“I came from the 80s”
“Turn
around, look at what you see. In her face, the mirror of your dreams. Make
believe I'm everywhere, living in your eyes. Written on the pages is the
answer to a never ending story.”
Era sempre un piacere
risvegliarsi con quelle note.
Il ragazzo stirò per bene più
muscoli possibili del suo corpo, tendendo le braccia ben in alto e con le dita
delle mani intrecciate tra loro. Rilassò nuovamente il fisico ed osservò per
qualche istante il soffitto della sua camera da letto. Era proprio l’ora di
alzarsi.
Con ben poca fluidità nei
movimenti, riuscì a sedersi al margine del letto e, una volta che le sue pupille
si furono riabituate alla luce che traspariva dalle tapparelle chiuse della sua
camera, diede un’occhiata a tutta la stanza che lo circondava. Era la sua
realtà: sulle pareti attaccati poster rispettivamente di Samantha Fox, con
scritto a caratteri cubitali rossi l’invitante “Touch me”, buona parte del cast
della quarta stagione di “Saranno famosi”, la migliore secondo il ragazzo, ed
una giovane Sophie Marceau direttamente dalla pellicola “Il tempo delle mele”.
Sospeso sopra una scrivania, stranamente ben ordinata, vi era uno scaffale con
sopra, schierata al gran completo, la collezione del manga “Capitan Tsubasa”,
conosciuta meglio in Italia come “Holly e Benji”. Se da un lato i manga
poggiavano con sicurezza verso l’armadio dei vestiti, dall’altro, a fare buona
guardia ai preziosi volumetti, vi erano un minaccioso Hulk Hogan, ovviamente
formato ridotto e con una salda
presa in “bearhug”, e una riproduzione fedele del Grande Mazinga alta 82 cm.
Sulla scrivania, quella stranamente ordinata, vi si poteva trovare, oltre alla
presenza di rito di qualche libro scolastico, anche una delle prime versioni
della console manuale “Game Boy”, con dentro inserita la cartuccia del videogame
“Tetris”, una scatola dei “Crystal ball”, un cubo di Rubik, chiaramente con
nemmeno una faccia dello stesso colore, ed un peluche di E.T. l’extraterrestre,
con dito e petto colorati di rosso. Il giovane sedeva sopra la coperta di
marchio “Teenage Mutant Ninja Turtles”, o “Tartarughe Ninja”, che nel tal caso
davano dimostrazione delle loro straordinarie doti atletiche mentre, su uno
degli apici di una gamba del letto, trovava il suo posto un cappello
caratterizzato da simil treccine rasta e con davanti la foto del fuoriclasse
olandese Ruud Gullit. Infine, in un angolo della stanza, era gettato un
pisolone. A proposito, rischiavo quasi di dimenticarlo, il ragazzo si chiamava
Roberto Ripoli.
“Roberto… Roberto, sei sveglio?
Scendi che è pronta la colazione!” una voce femminile cercava la giusta
comunicazione dal piano inferiore.
“Sì, arrivo mamma!” una volta
risposto, Roberto si strusciò il palmo della mano sinistra sopra gli occhi, per
cercare di ridestarsi completamente, ed infine si alzò in piedi, anche se un po’
traballante.
“Ciao, cucciolo” una graziosa
signora sulla quarantina lo accolse con un dolce sorriso in cucina.
“Buongiorno, mamma” rispose al
saluto il giovane, ancora molto assonnato.
Una volta seduto a tavola, portò
a sé una scatola di cereali Kellog's, i suoi preferiti.
“Roby, sei sicuro di voler fare
colazione con quegli affari? Se vuoi ti preparo un po’ di caffèlatte?” gli
chiese quasi preoccupata la madre.
“No mamma, lo sai che mi va bene
così” le rispose il figlio, mentre aveva appena terminato di spargere i cereali
dentro la sua ciotola, preparandosi ad affogarli nel latte.
“Giornata dura, oggi a scuola?”
domandò la donna, cercando di coinvolgere l’assente figlio in un progetto di
conversazione.
“No, normale” rispose brevemente
Roberto mentre stava terminando rapidamente la sua porzione di cereali.
Per un po’ fu il silenzio a farla
da padrone, con la sola voce del presentatore del telegiornale mattutino che
elencava le principali notizie del programma, poi il ragazzo si alzò per tornare
di sopra in camera sua.
“Ah, Roby…” lo richiamò la donna,
interrompendo la lenta marcia del giovane “vestiti per bene, ok?”
Dopo qualche attimo di piena
immobilità Roberto rispose “Certo, mamma”.
La madre, però, non era per
niente convinta della sincerità del suo unico figlio.
La prima tappa post colazione per
Roby fu il bagno.
Mentre stava eseguendo la pulizia
dei propri denti, il ragazzo per qualche secondo si squadrò allo specchio. Aveva
16 anni, un fisico normale per un giovane uomo della sua età, il viso ben
rasato, gli occhi castani ereditati da sua madre ma, soprattutto, il suo
personale vanto, una quantitativamente enorme chioma di capelli castano chiaro,
quasi addirittura biondi, che gli incorniciava perfettamente il viso. Uno come
tanti.
Una volta uscito dal WC, era il
turno di uno dei momenti più solenni di ogni mattina: la scelta del vestiario
quotidiano.
Sorvolando su mutande e calzini,
come pantaloni un classico paio di jeans con il caratteristico colore grigio
chiaro, scarpe da ginnastica della Roos, ma, cosa più importante, era da
scegliere la giusta maglia. Nonostante le ultime dichiarazioni che aveva
rilasciato a sua madre, quello era un giorno speciale. Non tanto per la
mattinata scolastica, ma per gli avvenimenti che si dovevano svolgere il
pomeriggio. Quindi ci voleva una maglia importante e la scelta ricadde sulla sua
maglietta preferita.
Di base era una classica fruit
bianca, leggera e ben cucita, era la scritta davanti che l’elevava al
prestigioso rango di maglietta speciale. La frase era in inglese e si componeva
di tre parole: “I”, il soggetto, un cuore rosso nella sua classica forma
artistica, ed infine la parola “80S”, che per Roberto era fondamentale.
Prese al volo il giubbotto e lo
zaino Invicta giallo fosforescente e scese di volata le scale, in fondo
difficilmente l’autobus avrebbe aspettato i suoi comodi.
“Ciao mamma, io vado!” salutò
ancora più rapidamente delle sue gambe.
“Va bene, cucciolo, a dopo!”
provò a tenergli il ritmo la mamma che poi, una volta che la porta d’ingresso fu
violentemente sbattuta, commentò tra sé e sé “Oh misericordia! Ha ripreso la
maglia speciale…” mettendosi una mano sulla fronte, presa dallo sconforto.
Nel mentre, il ragazzo stava
raggiungendo la propria meta a grandi falcate, ed intanto cercava di sistemarsi
per bene il giubbotto e lo zaino sopra di esso. L’impresa risultava alquanto
semplice per ogni suo coetaneo, la difficoltà risiedeva proprio nel giubbotto
che Roberto indossava. Infatti era caratterizzato dalla presenza delle
spalline!
E non era certo facile tenerci
ben salde sopra di esse le cinghie dello zaino.
Infine, come tocco di classe
finale, Roberto estrasse dalla tasca esterna del suddetto indumento un paio di
occhiali da sole con montatura in pura plastica.
Arrivato alla fermata, ormai del
tutto noncurante degli sguardi che la gente gli rivolgeva per quel suo
particolare look, si mise in attesa del suo autobus. Qualcuno gli si
avvicinò.
“Scusa, hai per caso da
accendere?” gli chiese un individuo poco più grande di lui.
“No, mi dispiace amico… anche
perché Mr. T non me lo permetterebbe di certo!” gli rispose con un sorriso il
giovane.
L’altro, che di certo non aveva
compreso appieno la battuta di Roberto, si defilò senza chiedere
chiarimenti.
“Ciao Rob! Oddio! Ma stai ancora
conciato così?!” a fare questo esplicito commento fu una ragazza, dai capelli
neri lunghi poco più in giù delle spalle e gli occhi, leggermente truccati, del
medesimo colore.
“Ciao pupa! Anche tu sei uno
schianto!” ricambiò il saluto Roberto.
“Ahah… piuttosto, Rob, ti ricordi
di oggi pomeriggio? Ci devi assolutamente essere!” gli ricordò la ragazza, il
cui nome era Beatrice, afferrando il suo braccio destro.
“Ma sì Bea, stai tranquilla, ci
sarò! E poi, se anche ritardassi un attimo, ti chiamerò al cellulare da qualche
cabina telefonica per farti sapere dove sono…” gli spiegò sbrigativamente il
ragazzo.
“Ma dai, Rob! È da una vita che
hanno tolto le cabine dalla città! Ma perché non ti decidi a comprarti un
cellulare! Certe volte sei proprio uno…” ma il rumore dello sportello
dell’autobus che si apriva censurò la pesante ingiuria rivolta al nostro
protagonista dalla sua amica.
Durante il tragitto verso
l’istituto scolastico, Roberto si stava quasi per riaddormentare profondamente
con la testa appoggiata al finestrino del mezzo, mentre ascoltava il suo fidato
walkman bianco e nero, mentre invece gli altri ragazzi nell’autobus utilizzavano per la
medesima funzione i propri i-pod personali.
“We're
flying high We're watching the world pass us by Never want to come down
Never want to put my feet back down On the ground”
Accanto a lui sedeva ovviamente
Beatrice, che ogni tanto si voltava verso di lui per controllare che non
superasse eccessivamente la fase rem.
Mentre lo osservava, la giovane
donna ricordava il momento esatto in cui il suo migliore amico aveva abbracciato
completamente questo nuovo stile di vita.
Entrambi avevano ancora
quattordici anni ed erano a casa di Roberto che guardavano la televisione. Lei,
speranzosa in qualche attenzione particolare rivolta nei suoi confronti da parte
dell’amico, magari qualche bacio o
addirittura maliziose palpatine, a maggior ragione per l'assenza dei genitori
del ragazzo. Forse anche Roberto aveva grosso modo gli stessi pensieri, ma poi
la sua attenzione fu letteralmente rapita.
Si trattava di qualche
documentario o roba simile, Beatrice poi non si ricordava nemmeno il canale su
cui veniva trasmesso. L’argomento erano niente meno che gli anni ’80. Lo
speciale durò quasi tre ore e svariava in vari ambiti generali come: musica,
cinema, televisione, moda, sport, politica ecc…
Roberto non staccò gli occhi
dall’apparecchio televisivo nemmeno in occasione delle pubblicità, mentre
Beatrice passò uno dei più noiosi pomeriggi della sua giovane vita. Da allora
Roberto cercò d’informarsi il più profondamente possibile su quel decennio che
in un attimo gli era parso tanto splendido e speciale. Ed appunto ciò ebbe molta
influenza nel suo stile di vita, insomma anche Roberto aveva avuto un suo
cellulare ed un suo i-pod prima di allora.
Poi, tutti questi pensieri della
ragazza, furono bruscamente interrotti dalla frenata dell’autobus, che si fermò
proprio davanti alla loro scuola superiore. Lo stesso Roberto si ridestò
pienamente, battendo la testa contro il sedile procurandogli, nel contempo, la
caduta degli occhiali da sole.
Anche durante il tragitto dalla
fermata dell’autobus alla scuola superiore, la ragazza tentò nuovamente di far
tornare il suo fedele amico sulla retta via.
“Ma è possibile che tu voglia
continuare a seguire questo inutile stile di vita?” gli chiese con voce
seccata.
“Sai com’è, Bea: I came from the
80s!” fu la risposta del ragazzo.
Una volta entrati in classe i
due, che condividevano anche i due banchi adiacenti l’uno all’altro, furono
assaliti dalle tre migliori amiche di Beatrice: Alessandra, Sabrina e Stefania.
Queste ricordavano alla ragazza, praticamente in coro, il saggio di danza che
quel pomeriggio l’avrebbe vista protagonista.
“Immagino che oggi ci saranno
anche loro tre…” constatò quasi sconsolato Roberto.
“Certo! E come potrebbero
mancare, sono le mie migliori amiche!” gli rispose sorridente lei.
“A proposito, che canzone
utilizzerai? “Maniac” giusto?” gli chiese con fare interrogativo il ragazzo.
A quella domanda Bea sbottò “Rob,
ma è possibile che a volte sei così scemo? Ti ho già spiegato quattromila volte
che si tratta di un saggio di danza classica! Con che criterio posso utilizzare
il ritmo della canzone di “Flashdance”? Ma tanto che te lo rispiego a fare… e
togliti quel ridicolo giubbotto che sembri Ufo Robot…” gli ordinò mentre si
sedeva ed apriva la sua cartella.
L’altro obbedì al comando senza
fiatare e, quando si andò a risedere accanto all’amica, l’atmosfera di rabbia si
stemperò via via.
“Allora Rob sei pronto per il
tema?” cambiò definitivamente il discorso Beatrice.
“hmm hmm” mugolò Roberto muovendo
la testa in modo verticale poi, come ripresosi da uno stato catatonico dovuto ai
pensieri che nel mentre seguiva nella sua testa, reagì “Che cosa stai dicendo,
Bea?” in puro stile “arnoldiano”.
Le tre ore utilizzabili per il
compito passarono davvero troppo rapidamente e Roberto, dopo un iniziale attacco
di panico, era riuscito alla fine a tirar giù un accettabile tema.
Ed era giunto il momento della
ricreazione, Roberto tirò fuori dalla tasca dello zaino un pacchetto di Ringo al
cacao cercando di riprende gli zuccheri consumati per la prova appena
terminata.
“Senti un po’, Rob, ma per quanto
ancora continuerai con questa farsa?” gli chiesa Beatrice mentre sorseggiava un
bicchierino di caffè preso dalla macchinetta poco fuori la classe.
“Quale farsa?” le domandò
sorpreso Roberto.
“Ma come quale farsa? Questo
vivere in puro stile anni ’80…” s’infervorò nuovamente la ragazza.
“E perché mai dovrei cambiarlo?”
le chiese, guardandola dritto negli occhi scuri.
“Ma dai, Rob! Non ti rendi conto
di quanto sei ridicolo? Ma non potresti comportarti come qualsiasi ragazzo della
tua età?” gli urlò contro l’amica.
“Per poi fare cosa? Vestirmi
sempre alla moda? Scaricare suonerie per il cellulare? Cercare di farmi più
ragazze possibili?...” ed in questo caso anche la voce di Roberto aveva assunto
toni più duri.
“Ma non dico questo, solo essere
un po’ più… normale… insomma, possibile che tu non abbia un sogno per il tuo
futuro?” ribatté sempre più seccata lei.
“Il mio sogno non è nel futuro.
Il mio sogno… è nel passato” fu la risposta del ragazzo.
A quel punto, notando la
determinazione negli occhi dell’amico, la ragazza uscì dalla stanza per fare un
breve giro fuori e distendere i suoi nervi.
Al suono della campanella che
preannunciava la fine della ricreazione, Beatrice tornò in classe e dedicò a
Roberto un lieve ma dolce sorriso, gesto che annunciava che, nonostante tutto,
nulla era cambiato nel rapporto fra di loro.
Dopo aver ricambiato con una
strizzatina d'occhio, Roberto le chiese “Senti, Bea, ma ora c’è piscina
giusto?”.
“Sì, perché?” domandò incuriosita
la giovane.
“Bene! Due ore di completo
relax!” le rispose il ragazzo, stiracchiandosi un po’.
“Non fai piscina?” constatò
l’amica.
“No… ci metto troppo ad
asciugarmi i capelli…” fu la risposta ironica di Roberto.
La ragazza emise una breve
risatina.
Dopo un attimo di silenzio,
Roberto riprese “A proposito… hai portato il…” ma al giovane non fu concesso di
terminare la frase.
“No, Roberto, non ho portato il
bikini tigrato! Ma come te lo devo dire che, oltre a non averlo, non mi comprerò
mai un simile costume!” rispose secca e decisa Beatrice.
Come da previsione, Roberto passò
quelle due ore in completo relax. Relax dato anche dal fatto che la sesta ed
ultima ora era completamente libera, vista l’assenza della professoressa
d’inglese.
I due ragazzi stavano dunque
uscendo prima da scuola, visto che quel pomeriggio era particolarmente
importante ed impegnativo per i due, quando s’imbatterono in un gruppo di
persone che, disposte in cerchio, facevano d’arena ad altri due giovani che se
le stavano dando di santa ragione.
“Che idioti! Ma perché nessuno li
ferma? E perché non ci provi te, Rob?” scoccò la frecciatina Bea, squadrando
l’amico.
“Cosa?!” esclamò lui, voltandosi
preoccupato verso di lei “e te pensi che, visto che sono “speciale”, come dici
te, posso trasformarmi così,
parimpampu, in un attimo e diventare un Guerriero della Notte?!”.
“Dai Rob, scherzavo! Non ti si
può proprio dire nulla contro…” gli rivelò infine la ragazza, dandogli una lieve
spinta e sorridendogli dolcemente.
Infine i due si allontanarono
dalla zona, per evitare anche che gli venissero rivolte contro attenzioni
sgradite.
“Oddio, sono talmente tesa per
oggi!” ruppe il silenzio Beatrice.
“Ma no tranquilla, andrà tutto
bene. E poi non sei una delle migliori del corso?” cercò di tranquillizzarla
Roberto.
“Sì, però questo è il primo
spettacolo che facciamo” insistette la ragazza.
“Tranquilla, sarà una
passeggiata” proseguì il ragazzo.
“Speriamo, Rob… ci tengo così
tanto a proseguire nella danza classica!” rivelò con aria sognante lei.
“Don’t stop believin’” aggiunse
in perfetto inglese lui.
“Infatti” confermò Beatrice,
anche se rimaneva il dubbio che avesse tradotto correttamente la frase di
Roberto.
“Invece io spero un giorno di
trovare una bella De Lorean DMC-12, come quella di “Ritorno al futuro”, e poter
tornare indietro nei mitici anni ’80!” si esaltò il giovane.
“Ancora con questa storia, Rob!
Ma è possibile che non pensi ad altro? Perché invece non ti trovi una bella
ragazza con cui uscire?” cercò il cambio radicale di discorso la ragazza.
“Una ragazza tipo Sabrina di “È
quasi magia Johnny?”” propose Roberto.
“Va beh, lasciamo stare…”
rinunciò definitivamente al suo intento Beatrice.
I due, camminando con i propri
sogni, erano finalmente arrivati davanti alla casa del ragazzo.
“Ciao, Rob, ad oggi! E ricordati:
se non ti fai vedere, giuro che te ne faccio pentire a vita!” lo minacciò
l’amica, con sguardo serio e dito indirizzato al collo come fosse un coltello,
pronto a tagliargli la gola.
“Credo proprio che mi conviene
darti ascolto” accettò la proposta dell’amica.
Poi, mentre Beatrice proseguiva
il suo percorso diretta verso le sue mura domestiche e l’altro si avviava
all’entrata, quest’ultimo richiamò l’attenzione della ragazza “Ehi, Bea!”
Lei chiaramente si voltò.
“Perché, quando devi fare la tua
entrata per l’esibizione, non entri così!” e detto questo Roberto simulò, anche
discretamente, la classica camminata del Moonwalker.
Beatrice, stanca di dover
riprendere il ragazzo per le sue libere reinterpretazioni della danza classica,
decise in parte di assecondarlo per una volta “Ci penserò su, Rob. Ciao a
dopo!”
Il pranzo fu consumato
velocemente da Roberto, come faceva di rado, e poi si ritirò subito nella sua
camera da letto. Quel primo pomeriggio, era incredibilmente teso, quasi come se
toccasse a lui a danzare sulle punte, invece che alla sua splendida amica
Beatrice. Per un po’ provò a seguire le avventure dell’agente Poncharello in
“Chips” alla tv, ma non ci fu nulla da fare. Allora percorse con lo sguardo da
cima a fondo la sua stanza. Tutti quei cimeli provenienti quasi esclusivamente
da un preciso decennio del millennio passato. Forse aveva ragione Bea, lui era
davvero un po’ particolare.
Scrutò l’orologio: erano le tre
in punto. Il saggio sarebbe iniziato un’ora dopo, però aveva un po’ di strada da
fare prima di raggiungere il palazzetto dove si svolgeva lo spettacolo. Decise
di partire.
Ma quasi varcata completamente la
porta della camera, il ragazzo tornò per un attimo indietro ed afferrò
rapidamente un oggetto di forma rettangolare che si trovava sopra la sua
scrivania.
Percorsi un po’ di metri, il
ragazzo era sempre più pensieroso, con tante riflessioni che gli turbinavano
violentemente dentro la testa.
Pensieri come: “Certo che se ero
il protagonista di “Rainbow Island” a quest’ora ero già arrivato da tempo. Un
arcobaleno e via!” oppure “e se mi mettessi a correre… di certo arriverei
sicuramente prima. Ma che dico? Mica sono T. J. Hooker…” ed ancora “appena ho
diciotto anni mi compro subito una macchina, magari come la Supercar! E se poi
si rivela essere un Transfomer?”.
Continuando ad occupare il tempo
con questi ragionamenti, il ragazzo era infine arrivato a destinazione. C’era
solo da attraversare una strada ed il palazzetto era di fronte a lui che lo
attendeva, con attaccato sul muro dell’entrata in bella vista il poster
promozionale dello show.
Il giovane fece un forte respiro
e disse “Speriamo almeno che Bea sia una delle prime ad esibirsi…” mentre era
sceso dal marciapiede e stava iniziando ad attraversare sulle strisce
pedonali.
“It's the
final countdown...
We're heading for Venus and still we stand tall
Cause maybe they've seen us and welcome us all With so many light years
to go and things to be found I'm sure that we'll all miss her so”
Le note che uscivano dal lettore
CD invadevano l’intero abitacolo della macchina. L'uomo alla guida della vettura
aveva ben altri pensieri in testa. Era in ritardo per il lavoro, la sua ragazza
lo aveva nuovamente lasciato perché non riusciva a smettere con la droga e,
proprio quella mattina, aveva trovato un graffio sullo sportello dell’auto. Di
certo i suoi pensieri non potevano essere gli anni ’80 o un saggio di danza
classica. Nulla poteva fermarlo. Tantomeno un giovane ragazzo che attraversava
la strada.
La macchina non provò quasi
nemmeno a scansarsi o a frenare, il corpo fu preso in pieno. Roberto tracciò tre
cerchi in aria prima di ricadere sul duro asfalto. Tanti quanti ce ne vogliono
per scrivere il numero 80.
Beatrice continuava i suoi
esercizi di riscaldamento, dando ogni tanto un’occhiata se dagli spogliatoi
riusciva ad identificare Roberto tra il pubblico sugli spalti.
“Se oggi quel bastardo non si
presenta, non gliela perdonerò mai!” pensava mentre, nello stesso tempo,
ripassava i passi della sua perfomance.
“Nervosa?” le chiese una sua
collega.
“No, va tutto bene” rispose lei
poco convinta.
Ma l’atmosfera dentro tutto il
palazzetto stava cambiando. C’era agitazione. Lo si percepiva pienamente
nell’aria. E non era certo dato dalla buona riuscita o meno dell’evento.
Mentre stava dando l’ennesima
occhiata sugli spalti, Beatrice vide subito che parecchia gente stava lasciando
il palazzetto dello sport. Qualcosa non stava andando bene. Si decise ad aprire
completamente la porta degli spogliatoi, noncurante dello stato di
presentabilità che potevano avere le sue compagne di danza, e cominciò a
chiedere ai presenti “Cosa sta succedendo?” con sempre più insistenza.
Una delle sue amiche le si
avvicinò e le disse “Dicono che è stato investito un ragazzo fuori dal
palazzetto!”.
“È uno vestito in maniera
strana…” udirono le due ragazze da una voce maschile imprecisata.
Il mondo attorno a Beatrice, una
volta ascoltata quella frase, per un attimo si bloccò. Poi ripartì e la stessa
Beatrice ripartì con esso. Spintonò via la sua amica e andò contro la marea
umana che si accalcava verso l’uscita della struttura. Il suo tutù bianco si
sgualciva e si strappava sempre più ad ogni contatto che la ragazza aveva contro
qualsiasi figura umana che gli capitava. Poi finalmente uscì.
Nella strada trovò moltissime
persone, tutte disposte in cerchio davanti ad un punto preciso della via. Come
erano quegli studenti all’uscita dalla scuola.
Anche in questo caso non fu
facile per la ragazza farsi largo per identificare chi era la vittima
dell’incidente. Poi lo vide.
Roberto era disteso con la
schiena appoggiata all’asfalto della strada. Era proprio lui. Con la sua
maglietta preferita, il suo solito giubbotto con le spalline e gli occhiali da
sole qualche metro più in là. Il suo viso era sereno. La bocca stava quasi
sorridendo e gli occhi erano sognanti come lei sempre li ricordava. Sembrava
quasi che la stesse aspettando. Poi il rivolo di sangue che gli scendeva sulla
parte destra del mento la riportò all'odiata realtà.
“Rob…” sussurrò appena prima di
accasciarsi su di lui per stringerlo forte a sé.
Tale azione, però, le fu impedita
da un uomo che la bloccò, dicendole “Signorina si fermi! Non è prudente muoverlo
ora!”.
Le lacrime pungevano agli angoli
degli occhi e Beatrice non aveva nessuna intenzione di trattenerle.
“Rob… Rob… Rob… Rob… Rob…” tra i
singhiozzi della tristezza le uniche parole che uscivano dalla sua bocca erano
queste.
Nel frattempo sia la polizia che
e l’ambulanza erano sopraggiunte sul luogo. Anche se era evidente che per il
povero ragazzo non c’era più niente da fare.
Le amiche di Beatrice tirarono su
la ragazza, che fissava costantemente il volto di Roberto, ora attorniato dal
personale medico. Intanto la polizia stava portando il conducente incriminato
alla loro vettura. Beatrice lo vide. Solo una cosa si meritava quella
persona.
Uno sputo della ragazza raggiunse
in pieno volto l’uomo che non ebbe alcuna reazione, come non la ebbero i tutori
dell’ordine che lo scortavano in quel momento.
Dopo istanti che sembrarono
secoli anche il corpo di Roberto fu rimosso e caricato sull’ambulanza, che
lasciò il luogo dell’accaduto a sirene spente. Beatrice fu portata negli
spogliatoi dove aveva la sua roba. Lo spettacolo era stato definitivamente
annullato.
Il volto della ragazza era ora
inespressivo, con il solo battere delle palpebre ad identificarlo come un viso
vivente. Le sue guance tonde erano rese lucide dal passaggio di tante lacrime.
Le sue amiche le erano tutte attorno nell’attesa di una sua sperata reazione. Il
suo tutù, oltre ad essersi sgualcito e strappato in più punti, ora era anche
macchiato di sangue. Il sangue del suo migliore amico.
D’un tratto la ragazza prese in
mano il suo cellulare, che era riposto dentro la sua borsa tra i suoi vestiti, e
notò subito lo schermo illuminato dell’apparecchio che la informava di un nuovo
messaggio arrivato. La giovane aprì l’sms, che proveniva da un numero non
presente nella sua rubrica, e lesse:
“Ciao Bea, sono uscito ora da
casa, Ci vediamo tra poco. Roberto”
FINE
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