Gli allievi di Sherlock Holmes
Sherlock volteggiava contento nell’aria, appesantito solamente dal suo
stesso corpo e da una piccola busta di plastica che teneva tra le zampette.
Cercò la corrente d’aria giusta e poi planò dolcemente, fino ad arrivare
vicinissimo al suolo. Sbattè le ali una, due, tre volte e si ritrovò a volare
più in alto di una casa, più in alto di un pioppo, sempre più in alto. Ah,
che bello volare, volteggiare spensierato nell’aria. Ma il piacere del volo
era nulla in confronto alla soddisfazione di essere un pappagallo prodigio. Sì,
perchè Sherlock sapeva dire e leggere quasi tutte le parole del dizionario di
Lele. E non solo! Sapeva con esse formare frasi belle e complete e, sopratutto,
dirle a proposito. Ripensando a Lele, Sherlock promise a sè stesso che mai e
proprio mai si sarebbe scordato quel giorno, Il Giorno, quel preciso giorno: il
più importante della sua vita, non se ne sarebbe mai dimenticato. Fino a quel
giorno, era rimasto all’interno di un laboratorio scientifico, con la continua
paura di essere usato per qualche strambo esperimento; e invece no: Sherlock era
rimasto per un anno in un’angusta gabbia, finchè un signore benestante, il
padre di Lele, lo comprò e lo portò a suo figlio, Lele, appunto. Il ragazzo
era seduto davanti al computer. “Come si chiama?”gli chiese il padre di
Lele. Il pappagallo non voleva essere chiamato in qualche modo: voleva il suo
nome, un nome scelto da lui. Sentendo parlare i dottori e i chimici nel
laboratorio, aveva imparato qualche nome, ma.... si mise a guardare i titoli dei
libri nella stanza di Lele, ed alla fine, gli cadde l’occhio su un nome
importante, un nome da persona che avrebbe cambiato il mondo. Gli cadde l’occhio
sul titolo Le avventure di Sherlock Holmes. Istintivamente volò via dalla mano
dell’uomo per prendere il libro: scoprì di saper volare! Bè, ci riuscì:
prese il libro con le zampette e lo fece cadere in grembo a Lele. Il ragazzo
capì tutto. “Si chiama Sherlock”disse. Sherlock pensò: questo è il
ragazzo più intelligente che io abbia conosciuto! Ma lo pensò prima di
incontrare Michele. In seguito, Lele scoprì che Sherlock sa parlare. Questo
rimase per molto tempo il segreto della famiglia Bianchi, finchè.... Lele si
ammalò e fu costretto a stare a casa per un mese. Come tutti, il ragazzo aveva
(e ha ancora) un migliore amico, Michele, un suo compagno di scuola. Sherlock
accettò, in via del tutto eccezionale, di volare da casa di Lele a casa di
Michele e viceversa trasportando le comunicazioni tra i due, perchè Michele,
per motivi di distanza, non poteva andare a trovare l’amico. Per il pappagallo
non era un compito gravoso, perchè il peso da portare era leggero, e poi questa
era una delle poche occasioni per volare all’aperto. Lo scambio di
informazioni tra i due amici divenne sempre più frequente, finchè divenne
quotidiano. Una volta, Sherlock arrivò a casa di Michele mentre il ragazzo
stava ultimando un esperimento scientifico. Il pappagallo era molto impaurito,
ma poi si tranquillizzò, anche se non sapeva a cosa potesse servire un
esperimento del genere. Michele gli disse di aspettare un attimo, perchè anche
Lele voleva sapere il risultato dell’esperimento. Sherlock, interessatissimo,
non riuscì a trattenersi e chiese: “A cosa serve?”. Michele, allibito, lo
guardò fisso per un attimo, poi inarcò le sopracciglia e disse: “Avevo
sempre pensato che tu fossi un pappagallo fuori dal comune, ma non fino a questo
punto!”. “Perchè l’avevi sempre pensato?”chiese Sherlock, abbandonato
ogni timore. “Bè, innanzitutto, non avevo mai visto un pappagallo che entra
in picchiata dalla finestra, plana sotto il tavolo e poi, con una ripresa
straordinaria, mi atterra sulla spalla, avendo abilmente lasciato cadere poco
prima la busta di plastica sul tavolo. Poi, avevo notato la tua attenzione nel
seguire i miei movimenti. Poi avevo notato che guardavi i titoli dei libri nel
salotto ed i miei fogli come se cercassi di leggerli.”rispose Michele. “Ho l’impressione
che i nostri nomi andrebbero scambiati!”disse il pappagallo. Michele rise di
cuore. “In risposta alla tua prima domanda, questo esperimento serve a
distillare mezzo litro d’acqua.”aggiunse. “E perchè serve distillare l’acqua?
E’forse inquinata anche in questi paesi?”chiese impaurito Sherlock “Oh, io
non ci avevo mai pensato, forse per darmi da bere, Lele è costretto a fare
fatica per distillare l’acqua, forse è per colpa mia che si è ammalato,
forse...”disse d’un fiato lui. Ma Michele lo interruppe, ridacchiando: “Ma
no, ma no, non preoccuparti, e, sopratutto, non fare così il disfattista,
Sherlock! Lele si è ammalato di orecchioni, e questo non c’entra nulla con la
fatica che ha fatto. E poi qui l’acqua non è inquinata. L’esperimento che
ho fatto è solo per curiosità scientifica.” “Ma ti dico che le orecchie di
Lele sono sempre grandi normali!”ribattè il pappagallo. Michele scoppiò a
ridere e non riusciva a smettere. “Cosa c’è? Cosa ho detto che non va?”chiese
Sherlock, un po’piccàto. Michele smise di ridere. “No, no, niente che non
va. Vedi, Sherlock, si dice ‘orecchioni’, ma in realtà ad ingrossarsi è
qui, vedi, ai lati del collo.”disse. Poi il ragazzo ricominciò a lavorare
cercando di chiudere un buco in un tubo, nel suo Distilla-acqua. “Sembri molto
bravo a dedurre, a ragionare.”affermò il pappagallo. Michele si voltò verso
di lui.”Bè, mi diletto un pò con questi giochetti, mi diverto a stupire la
gente, tutto qui.”spiegò. “Cosa puoi dedurre dalle mie ultime frasi?”chiese
Sherlock, affascinato. “Innanzitutto, posso dedurre che hai letto o sentito
parlare di Sherlock Holmes, il protagonista delle numerose storie di Conan Doyle.
Poi posso dedurre che....hai letto o sentito parlare dei problemi ambientali, ma
che non hai avuto l’occasione di interessarti alla medicina comune, o forse
non ti interessa proprio.”rispose Michele. “Bravo!!”esclamò il
pappagallo. “Sto finendo di leggere Uno studio in rosso e proprio ieri ho
sentito parlare dell’inquinamento dell’acqua nei paesi poveri dove c’è la
carestia. In quanto alla medicina, non è che mi interessi così tanto.”
Michele sembrava soddisfatto e compiaciuto dell’entusiasmo dimostrato da
Sherlock nel seguire i suoi ragionamenti. “Ora è meglio che tu vada, se no
Lele si preoccupa.”disse il ragazzo, porgendogli la busta di plastica. “Ciao!!”salutò
il pappagallo, librandosi nell’aria. Da quel momento lui e Michele erano
diventati grandi amici. Sherlock si sentiva estremamente lieto di vivere, mentre
guardava dall’alto le case. Era l’ultimo giorno di convalescenza di Lele,
ultima spola casa di Lele-casa di Michele. Il giorno del primo dialogo tra lui e
Michele, Lele gli aveva promesso che lo avrebbe fatto uscire tutti i giorni
anche dopo la sua malattia e che lo avrebbe portato con sè le rare volte in cui
sarebbe andato da Michele. Il giorno del ritorno a scuola dell’amico, Michele
si dimostrò molto contento di rivederlo: “Come sono lieto di rivederti, amico
mio! Sai cosa mi ha detto mio padre?” “No, davvero!”rispose Lele,
notevolmente incuriosito. “Mi ha detto che, se vuoi e se i tuoi genitori
vogliono, posso restare a casa tua per tutto il giorno! Non che voglia
autoinvitarmi ed essere un peso...”spiegò Michele. “Un peso? Ma scherzi?
Sarei lieto se tu venissi a casa mia e non ho neanche bisogno di chiederlo ai
miei genitori: anche loro ne saranno contenti!”rispose Lele con un largo
sorriso. E venne la fine di un altro lungo pomeriggio di scuola. “Passiamo per
il centro del paese? E’un giro leggermente più lungo, ma so che tu non vieni
spesso qui, e forse ti piacerebbe vederlo.”propose Lele. “Un pensiero
davvero gentile! Andiamo!”disse Michele.
****
Il centro del paese era molto affollato. Pareva che i pochi paesani si
fossero dati tutti appuntamento lì a quell’ora. “Guarda chi sta arrivando”esclamò
Michele. Sherlock stava planando verso di loro: atterrò sulla spalla di Lele e
salutò con un ‘ciao’ sottovoce; evidentemente aveva paura a parlare in
pubblico. “Quanta gente davanti alla casa della contessa Rubini! Guarda! E c’è
anche la polizia!”urlò Lele, sovrastando il vociare della folla. I due
ragazzi si avvicinarono, appena in tempo per udire la voce disperata della
contessa che esclamava: “Hanno rubato tutti i miei diamanti, ispettore, tutti,
capisce?” Poi l’ispettore che diceva: “Si calmi, contessa: benchè il
ladro abbia fatto cadere alcune cose, non si può ricavare nessun indizio!” I
ragazzi si erano fatti largo nella folla. Michele ribattè: “Si sbaglia,
ispettore. Io vedo almeno due indizi.” L’ispettore disse, con una risatina:
“Vediamo, ragazzo!” “Il primo è l’ora del furto: facendo cadere l’orologio,
il ladro lo ha rotto, così si è fermato all’una e mezza della notte,
immagino. Il secondo..”disse Michele. Lo interruppe un battito d’ali, ed in
un attimo Sherlock aveva portato un foglietto in mano a Michele. “Il secondo
è questo foglietto: un pezzo di biglietto da visita! C’è scritto: ..ia
viaggi Barconi, ...bieri. Molto confuso, ma...credo di sapere dove andare!”
Michele uscì dalla casa della contessa, con Lele e Sherlock. “E ora dove
pensi di andare?”chiese Lele all’amico. “Semplice, amico mio: all’Agenzia
viaggi Barconi, in piazza Pinco Pallino! Venite con me?”chiese Michele. “Sicuro!”esclamarono
all’unisono Lele e Sherlock. Il signor Barconi, direttore dell’agenzia
viaggi, accolse i tre con diffidenza: prima cosa, non gli piaceva che due
ragazzi mettessero il naso negli affari dell’agenzia, seconda cosa, non gli
piacevano i pappagalli. Tuttavia, mentre Lele fingeva di chiedere informazioni
per un viaggio in Australia, vitto e alloggio per sette giorni ad un prezzo
ragionevole, Michele ci mise ben poco tempo ad individuare il padrone del
biglietto da visita. Fece un cenno all’amico, e tutti e due uscirono dall’agenzia.
“Allora? Hai trovato quel ...bieri?”chiese Lele. “Credo di sì. Si chiama
Barbieri Giovanni, ed è un impiegato all’Agenzia viaggi Barconi, a quanto
pare”rispose Michele, mentre stava attraversando la piazza assieme a Lele, con
Sherlock che svolazzava sopra le loro teste. Michele si fermò all’improvviso.
“Guarda lì per terra!”esclamò. Per terra vi era il pezzo mancante del
biglietto da visita. Sul retro vi era scritto: ‘sabato, alle 17.10, molo 7’.
“Sabato, alle 17.10, devo essere al molo 7.”affermò Michele. “Allora ci
sarò anche io!”esclamò Lele. Michele cercò di dissuaderlo, ma Lele
ribattè: “La responsabilità di ciò che potrà accadere è solo mia”. “Non
è prendermi la responsabilità che mi spaventa.”mormorò Michele. Accadde
però un piccolo contrattempo: la polizia volle assolutamente sapere ciò che il
giovane investigatore aveva scoperto; e fra interrogatori e chiarimenti, vennero
le 17.20. A quell’ora Michele guardò l’orologio e scappò via dalla
centrale di polizia, con l’ispettore e due agenti che lo inseguivano. A metà
strada Michele quasi si scontrò con Sherlock che urlò disperato: “Aiuto..tragedia..corri!!”
Arrivato sul molo, Michele si rese conto di cosa intendeva Sherlock per ‘tragedia’:
il ragazzo arrivò appena in tempo per vedere un uomo che buttava in acqua il
corpo senza vita di Lele. Michele si tuffò nell’acqua gelida, e gli parve di
non aver mai fatto sforzo maggiore di quello fatto per raggiungere l’amico.
Con fatica lo tenne a galla, ma a metà strada non ce la fece più e si lasciò
andare nell’acqua fredda. Michele si svegliò seduto su uno dei sedili
posteriori dell’automobile dell’ispettore di polizia. Il ragazzo era coperto
da una pesante giacca a vento, e al suo fianco sedeva Lele, sveglio. “Per
fortuna stai bene!”esclamò Lele, quando vide l’amico aprire gli occhi.
Michele non riusciva a pensare: chiuse gli occhi e dormì.
****
Si risvegliò a casa, completamente ristabilito, e insistette per uscire subito
e andare a trovare Lele. A casa di Lele, i due amici fecero il punto della
situazione. “Sappiamo che colui che abbiamo avuto il dispiacere di conoscere
è un tipo losco, ma non sappiamo se è il ladro o se è il signor Barbieri.”affermò
Michele. “A proposito, non mi hai ancora raccontato per intero la tua
avventura, Lele.”continuò lui. “Oh, bè, si può riassumere in poco tempo:
arrivato al molo, ho sentito un colpo alla testa, poi mi sono trovato bagnato
come un pulcino nell’automobile dell’ispettore. A quanto pare è stato lui
che ci ha ripescati.”disse Lele. Sherlock stava appollaiato sullo schienale
della sedia di Lele. “Certo che non ho mai visto due ragazzi più amici
e...più intelligenti di voi due!”affermò il pappagallo. “Sembrate quasi
gli allievi di Sherlock Holmes!”continuò lui. I due amici scoppiarono a
ridere. “Uffa, perchè ridete sempre quando dico qualcosa?”si lamentò
Sherlock. Michele smise a fatica di ridere. “Scusaci, Sherlock. Per farmi
perdonare, ti dirò dove ho intenzione di andare adesso: a casa della contessa
Rubini!”esclamò il ragazzo. Michele uscì dalla stanza a passo deciso; Lele
riusciva a malapena a stare al passo, mentre Sherlock volteggiava sopra le loro
teste. Arrivati alla casa della contessa Rubini, i due ragazzi vennero accolti
con molta cortesia e trattati con tutti i riguardi. “Per fortuna che ci siete
voi, se no, quegli incapaci della polizia non ce la farebbero a recuperare i
miei preziosissimi diamanti! Sapete, sono un tesoro di famiglia! Li ho ereditati
da mia madre, che a sua volta li aveva ereditati da sua madre, eccetera.”disse
sconsolata la contessa. Dopo avere esaminato la scena del reato una seconda
volta, Michele, Lele e Sherlock si congedarono. Si era messo a piovere, così la
contessa Rubini prestò loro un ombrello. Mentre tornavano a casa, i tre amici
avvistarono il signor Barbieri. “Lele, guarda chi c’è: il signor Barbieri”disse
sottovoce Michele. “Lo seguiamo?”chiese Lele. “Certo. Guarda! Sta
svoltando in quella stradina senza uscita. Mi pare troppo pericoloso, andiamo
via.”decise Michele. Mentre stavano andando via, i tre amici si accorsero di
essere inseguiti: un uomo li stava raggiungendo, camminando a passo veloce.
Michele lasciò cadere l’ombrello e cominciò a correre, imitato da Lele. L’inseguitore
corse loro dietro e li spinse in una strada senza uscita. Con le spalle al muro,
i due non sapevano cosa fare! Michele guardò Lele, che sembrava stesse per
svenire, pallido e con gli occhi spalancati. L’inseguitore si stava
avvicinando sempre più. Michele si fece avanti per affrontarlo,
coraggiosamente. “Lele non c’entre nulla!”esclamò. “Sono stato io a
trascinarlo in questa storia. Lasci andare almeno lui! Non c’entra niente, le
dico!”continuava ad urlare Michele, disperatamente, mentre l’uomo si
avvicinava sempre più. Il signor X afferrò Michele per un braccio. Michele
cercò di difendersi, ma tutto era vano. Il ragazzo sentì un colpo alla testa e
cadde in ginocchio. Sembrava che tutto fosse perduto, quando si udì la sirena
di un’automobile della polizia. Il signor X lasciò andare Michele, e si
infilò in una porticciuola. Michele rimase in ginocchio sulla strada bagnata. L’ispettore
di polizia arrivò di corsa e Michele lo sentì ordinare ai suoi uomini di
abbattere la porta. Poi l’ispettore tirò su da terra Michele,
preoccupatissimo. “Cosa ti è successo, ragazzo?”chiese. “Quel che mi è
successo lo ha visto. Piuttosto, il nostro signor X ha fatto un errore che mai
mi sarei aspettato da un ladro astuto come lui.”rispose Michele. Poi il
ragazzo raccolse qualcosa da terra e mostrò un pezzo di biglietto da visita,
come quello del signor Barbieri. Sul retro vi era scritto: ‘Via del canarino,
15, ore 12.00, giovedì.’. “Però potrebbe essere una trappola..”mormorò
Michele. In quel momento arrivò un poliziotto, che dise all’ispettore: “Nessuno
in casa, signore. Aspettiamo ordini.” “Mi è sfuggito un’altra volta!”urlò
l’ispettore. “Ora torniamo in centrale, anzi, prima riaccompagnamo questi
ragazzi a casa. Venite.”aggiunse. L’ispettore acconsentì ad accompagnare
tutti e due a casa di Lele. Arrivati sul posto, Lele e Michele trovarono un
biglietto scritto dalla mamma di Lele, con il quale lo informava del fatto che
lei ed il padre di Lele erano andati per negozi. I due amici decisero quindi di
fare il punto della situazione. “Sappiamo che l’ultimo biglietto trovato
potrebbe essere una trappola, ma non abbiamo scelta: almeno io devo andare in
via dei canarini, 15, giovedì alle ore 12.00.”disse Michele. “E io verrò
con te”decise Lele. Ormai Michele sapeva che era inutile ribattere. Dopo circa
venti minuti, qualcuno suonò il campanello. Michele avanzò verso la porta con
circospezione. Il ragazzo afferrò un ombrello e aprì di scatto la porta. Fuori
non c’era nessuno. Per terra era appoggiata una lettera, senza destinatario
nè mittente. Lele la prese in mano, la aprì e lesse: “Non immischiatevi in
questa storia della signora Rubini. E’ meglio per voi.” “E ora? Cosa vuoi
fare?”chiese Lele. “Andrò domani all’appuntamento in via del Canarino.”
Il giorno dopo, Michele andò all’appuntamento. Insistette per andarci da
solo, e Lele convenne con lui che era la cosa migliore da fare. Arivato davanti
alla porta, Michele vide un’automobile arrivare, allora si nascose.
Indietreggiò verso Via dell’Alba, accorgendosi che l’uomo sceso dall’automobile
stava avanzando verso di lui. Michele si voltò per scappare, ma si trovò un
altro uomo davanti. Allora bussò alla porta vicina, ma nessuno rispose.
Terrorizzato, Michele si sforzò di pensare, ragionare, ci doveva essere una
soluzione logica....ma no, perchè lui aveva fatto una cosa illogica, andando in
via del Canarino senza avvertire la polizia....Michele prese in mano un bastone
trovato per terra, cercando di difendersi, e si sforzava di mantenere la calma.
“Lasciatelo andare, vigliacchi che non siete altro!”disse qualcuno in fondo
alla strada. Ed era Lele. “Lele! Pazzo! Vattene, scappa, finchè sei in tempo!”esclamò
Michele. Qualcosa volò via dalla mano di Lele. Ora uno degli uomini stava
avanzando minacciosamente verso Lele, mentre l’altro aveva afferrato Michele.
“Lasciatelo andare, o io...io..cosa faccio?!...”ripetè Lele, tremante per
la paura. Quando l’omaccio gli fu vicinissimo, Lele chiuse gli occhi,
preparato al peggio. Michele riuscì a divincolarsi dalla stretta dell’uomo,
prese in mano il bastone e diede una botta in testa al tipaccio che stava
minacciando il suo amico. Questo si voltò, afferrando Michele alla gola. Ma
improvvisamente qualcuno arrivò. Era l’ispettore di polizia, accompagnato la
Sherlock, il pappagallo. “Fermi tutti, polizia!”urlò l’ispettore. I due
assalitori fuggirono, lasciando Michele in mezzo alla strada, privo di vita.
Michele rinvenne dopo circa un’ora. Si trovò su una poltrona, in un luogo che
non riconobbe, subito, ma che poi si rivelò la centrale di polizia. Si alzò,
leggermente intontito, ed andò nella stanza vicina, dove trovò l’ispettore
di polizia, assorto nella lettura di un libro. “Salve!”esclamò Michele. L’ispettore
si voltò verso Michele, si alzò e, andando verso di lui, chiese: “Come stai,
Michele?” “Bene, grazie, ispettore. Vedo che finalmente si ricorda il mio
nome.”rispose Michele sorridendo. “Non fare lo spiritoso, ..ehm, ....” “Michele,
signore.”suggerì prontamente il ragazzo. “Certo.-disse l’ispettore- Già,
scusa.” “Di niente. Dov’è Lele?”chiese Michele. “E’ di là,
preoccupatissimo.”rispose l’ispettore.
****
Quando i due amici furono a casa di Lele, che ormai era il loro campo-base,
Michele disse: “Devo andare a vedere cosa c’è in via del Canarino, Lele.”
“Oh, no, Michele. Non rimetterti nei pasticci!”disse Lele. “Se non vuoi
venire, non sei obbligato.”disse Michele, con un sorriso. “Ma certo. Certo
che verrò .”disse Lele. I due amici sentirono un rumore dalla finestra. “Sherlock!”esclamò
Lele. Il ragazzo aprì la finestra, ed entrò trionfalmente l’amico che aveva
salvato loro la vita per ben tre volte. Il giorno dopo, Michele era di nuovo in
via del Canarino, insieme a Lele e Sherlock. I due bussarono alla porta davanti
alla quale era avvenuto il precedente scontro. Uscì una donna, piuttosto
indispettita. “Cosa volete?”chiese bruscamente. “Conoscete per caso il
signor Barbieri?”si informò Michele. “Perchè? Cosa volete da lui?”chiese
la donna, con un lampo di spavento negli occhi. “Volevamo...restituirgli il
suo taccuino. Lo ha perso davanti all’agenzia.”disse prontamente Lele,
tirando fuori dalla tasca della giacca un taccuino. La donna sembrava voler
prendere tempo. Ad un tratto si sentì un urlo provenire da dietro di loro. I
due amici si voltarono, e videro che un uomo stava per colpirli alla testa.
Sicuramente era il signor X. Michele e Lele scapparono, e scoprirono chi aveva
urlato: era stata una ragazzina dai capelli rossi, pallidissima, che corse via
con loro. “Venite. Di qua. So io dove andare.”disse. I due amici la
seguirono mentre si infilava in una porticciuola. La casetta era deserta, e poco
ammobiliata. Appena ebbe ripreso fiato, Michele disse: “Liz! Cosa ci fai qui?.
La ragazzina scosse la testa, senza fiato. “Sai chi è, Michele?”ansimò
Lele. “Certo che sì!-esclamò l’amico-E’mia sorella!” “Tua
sorella..ah, sì, me ne avevi parlato, però non sapevo fosse inglese!”disse
Lele. “Non è inglese. Liz è solo il diminutivo di Elisabetta!”disse
Michele. “E ora che hai ripreso fiato, vuoi dirci cosa facevi qui?”continuò
il ragazzo. “Ero venuta per riportarti il tuo taccuino! Lo avevi perso...”disse
la ragazzina spaventata. “Non me la racconti giusta!”la rimproverò Michele,
accigliato. La ragazzina lo guardò negli occhi, terrorizzata. "I..Io non
ti volevo mentire....capisci....però, ti ho cercato a casa, e mamma ha detto
che non torni da tre giorni, allora sono andata alla polizia, e l'ispettore ha
detto che eri qui!". Michele non capiva bene, e neanche Lele, a giudicare
dalla sua espressione poco convinta. Ad un tratto la porta si aprì, e sulla
soglia apparve il signor X.Liz, pietrificata dal terrore, si lasciò trascinare
da Lele, che cercava disperatamente una via d'uscita. "N-non c'è uscita,
Michele!"gridò Lele. Michele prese una sedia e ruppe il vetro di una
finestrella. "Non ce la faremo mai ad uscire passando per quella
finestrella!!"disse Lele, preso dal panico. "Noi no-rispose Michele-ma
Liz sì." Liz uscì e corse verso la centrale di polizia. Intanto Michele
si fece avanti, verso il signor X, che sorrideva diabolicamente in direzione dei
due ragazzi. "Cosa vuole da noi?" chiese. Lo sconosciuto continuava a
sogghignare. Improvvisamente, Lele si accorse che in mano aveva un grosso
randello. Spinto da un improvviso coraggio, il ragazzo si parò davanti a
Michele. Il signor X afferrò per un braccio Lele, sul cui volto apparve
un'espressione risoluta. Afferrò una bottiglia che stava su uno scaffale di
fianco a lui e la ruppe sul braccio dello sconosciuto, che però non mollò la
presa. All'improvviso, qualcosa entrò dalla finestrella volando, ed era
Sherlock, che cominciò a beccare il signor X in testa. L'omaccio cercava di
togliersi di torno il pappagallo, ma non riusciva a prenderlo. A quel punto fu
Michele ad agire. Velocemente, tolse il cappello allo sconosciuto, che si
rivelò...il signor Barbieri. "Allora era davvero lei il ladro!"
esclamò Lele. "Sì-disse Barbieri-ma non lo racconterete in giro"
continuò, alzando minaccioso il randello. In quel momento la polizia, per
fortuna, irruppe nella casa ed arrestò il vero colpevole. Quando ci ripensa,
Lele ride ancora ricordando la faccia dell'ispettore sconcertato dal fatto di
sapere che Michele aveva ragione. |