SOGNO
SOGNO
Near aprì gli
occhi con lentezza, infastidito da tutto quel brusio che si era venuto
a creare attorno a lui.
Non ricordava
nulla di quello che era successo da quando, nemmeno
sapeva quante ore fa, si era addormentato.
Da tanto non gli accadeva di
cadere in un sonno così profondo: chiudere gli occhi e
lasciarsi
cullare da un tepore che lo aveva fatto stare talmente bene da indurlo
a non volersi muovere dal letto nel quale era sprofondato.
Ma ora era completamente sveglio e non capiva perché la
gente con cui usualmente lavorava si fosse radunata nella sua stessa
stanza. Non parlavano bensì bisbigliavano, come se avessero
paura di disturbarlo.
Eppure lo
sapevano che lui voleva stare da solo.
Tutto
perché si era concesso il lusso di addormentarsi e, per
una volta, non reggere le fila delle numerose indagini che stava
svolgendo.
Chiaramente imbarazzato si alzò in piedi, abbassando lo
sguardo
nascondendosi dietro il ciuffo di folti capelli bianchi, quel colore
eterno ed immutabile, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, che
erano talmente tanti da potersi dire prossimo al pensionamento.
Con le mani lungo
i fianchi, come per paura di toccare qualcuno,
coperte dalle lunghe maniche bianche della camicia troppo larga per il
suo fisico che da sempre era stato minuto, si allontanò
dalla
stanza evitando di parlare con gli astanti.
Ma questi non parevano fare troppo caso a lui, sembrava che l'unica
cosa importante per loro fosse stata sapere che Near, meglio conosciuto
come Elle, stesse continuando a lavorare.
Nonostante stesse
male, nonostante il suo fisico non reggesse molto bene quei ritmi di
lavoro che da anni continuava a fare.
Lui sarebbe
andato avanti, in ogni caso.
Non aveva nulla
da perdere, tutte le persone per lui importanti lo avevano lasciato
molto tempo fa.
Camminò per un lungo corridoio, deserto e silenzioso,
toccandosi
con una certa tensione le ciocche dei capelli che, nonostante
l'età, non volevano saperne di abbandonarlo.
Non aveva
incontrato nessuno. Ne era contento, detestava gli altri... o
meglio, lo mettevano a disagio perché erano imprevedibili e
lui
voleva che ogni cosa fosse perfettamente calcolata.
Si sentiva più leggero, mentre camminava, come se il suo
corpo
non fosse più tormentato dalle odiose fitte dovute ai troppi
giorni passati chinato a terra, dove adorava stare per sentirsi
completamente a suo agio.
Improvvisamente
vide una porta semi aperta dalla quale traspariva una luce intensa.
Non seppe il
perché ma ne fu terribilmente attratto.
Lì,
pensò, nessuno lo avrebbe disturbato. Erano tutti troppo
poco curiosi e banali per andarsene dalla sua stanza.
Aprì
con lentezza la maniglia e attese di vedere cosa vi era oltre
quell'apertura che lui non aveva mai notato.
In un primo momento fu avvolto solo da un bianco totale, quasi
accecante. Poi mano a mano quel colore così intenso si
diradò per lasciare il posto ad una stanza piuttosto
piccola,
dall'odore di vecchio e con le pareti dalla tappezzeria rovinata.
Un raggio di sole
filtrava attraverso una finestra impolverata.
Si guardò un istante le mani che erano piccole, lisce,
nascoste
da un abito troppo grande per lui e infine i suoi occhi dardeggiarono
verso uno specchio semplice, senza decorazioni, appeso alla parete
accanto a diversi poster, foto e ritagli di giornale.
Era tornato
giovane. Era tornato quel Near piccolo e debole che era
sempre stato. Quel Near pallido con gli occhi nascosti dai rigogliosi
capelli dal colore del latte.
Si ricordò, con una fitta dolorosa, di quella stanza che
aveva
visto per la prima e unica volta il giorno in cui Roger l'aveva portato
a conoscere i suoi vicini di camera.
“Matt?”
chiese quasi in un sussurro.
E vide il ragazzo
a pochi metri da lui, sdraiato sul letto disfatto, le
scarpe gettate a terra ed in mano una di quelle stupide consolle
portatili con le quali tanto amava perdere il suo tempo.
Matt era morto. Eppure era li, con in bocca una sigaretta e sul
comodino un posacenere dal quale si levava una sottile nuvoletta di
fumo.
Pareva non
essersi accorto di lui.
Con lentezza Near
si accovacciò, toccando il pavimento freddo e
rimanendo qualche istante seduto, contemplando quel ragazzo che, nella
sua presunzione, aveva guardato ben poco.
I suoi mormorii,
il suo spostarsi frenetico delle dita... sembrava
tutto così vero, persino l'odore acre della sigaretta accesa.
In quel preciso momento, di assoluta perdita da parte del ragazzino,
qualcuno bussò alla porta con una certa impazienza.
Near
sussultò, scattando in piedi.
“Ehi
vedi di muoverti ad aprire! Mi devi ancora quegli yen che ti ho
prestato!”
Riconobbe quella voce. A tratti isterica ma terribilmente secca e
graffiante.
Il ragazzo dai
ribelli capelli rossi alzò gli occhi al cielo,
sospirando, finché continuando a non staccare lo sguardo
dallo
schermo del videogioco si alzò con lentezza, andando ad
aprire
senza nemmeno volgersi in direzione del suo ospite.
Mello.
Mello con la frangetta calata sugli occhi ed i capelli biondi lunghi
fino alle spalle ma senza la cicatrice che, negli ultimi giorni di
vita, aveva cambiato tanto il suo aspetto.
Quando lo
osservò, intento a protestare ad alta voce contro
Matt, che sghignazzava nel vederlo perdere la pazienza, Near senza che
lo volesse avvertì gli occhi umidi.
Si
portò un dito vicino alle ciglia e sentì una
lacrima bagnargli la pelle diafana.
Possibile?
Possibile che si sentisse tanto sconvolto nel ritrovare Mello, il suo
primo ed unico rivale?
Il biondo orfano
era esploso, nella maniera più crudele
possibile... ma si trovava in quella stanza, con quello stesso
atteggiamento di superiorità e aperta ostilità
che
dimostrava quando doveva parlare con gli altri.
Near senza pensarci si avvicinò. Mosse un passo, poi due,
poi
tre... fino a che non fu davanti a Mello e Matt, che continuavano a
parlare come se lui non esistesse.
E infine,
istintivamente, toccò la croce che Mello portava
sempre al petto: quello era un sogno, un suo stupido e disperato sogno,
che male c'era se osava fare una cosa impensabile quando il
proprietario di quel monile era in vita?
Quest'ultimo improvvisamente si voltò e smise di parlare,
così che anche Matt tacque, girandosi come lui verso Near.
Questi li
fissò un istante ma stranamente non si sentì a
disagio... lo aveva sempre voluto... che lo notassero che, in un modo o
nell'altro, parlassero con lui.
E in tutti quegli
anni di completa solitudine, avvolto solo dalla
consapevolezza che non avrebbe avuto un'altra occasione per rivederli,
aveva riflettuto a lungo sul fatto che non era mai riuscito a dir loro
addio. Se n'erano andati quando lui era ancora troppo stupido ed
orgoglioso per capire.
“Che ci fai qui nanerottolo?”
Improvvisamente Near ritrasse la mano. L'ultima volta che aveva parlato
con Mello in modo così diretto, guardandolo negli occhi, era
stato più di vent'anni fa...
“Non lo so.” rispose semplicemente lui.
Matt lasciò che la sua sigaretta, ormai ridotta ad un
mozzicone,
cadesse a terra e mostrò uno sguardo perplesso. Mello
incrociò le braccia inarcando le sopracciglia
finché non
commentò:
“Sei
sempre stato deboluccio, lo sapevamo già, ma non
pensavo che tornassi qui tanto presto. Stavo davvero bene senza te fra
le scatole.”
Near lo avvertì... tra quelle parole, apparentemente
incomprensibili e irritate, c'era affetto... forse nostalgia.
Mello non avrebbe
mai ammesso che in fondo il piccoletto gli mancava
nonostante, al di là di tutto, per lui provasse un forte
rispetto. Anche Near da giovane la pensava allo stesso modo... invece
ora aveva la possibilità di trovarsi in quel corpo di
bambino ma
con la mentalità da adulto, lui che era sempre stato
razionale e
calcolatore, forse troppo.
Mello e Matt invece non erano potuti crescere, non avevano
avuto la stessa
occasione di assaporare la vita che aveva avuto lui. Occasione davvero
sprecata, concluse amaramente Near, perché da grande egoista
lui
aveva snobbato la propria esistenza.
Quante cose di cui pentirsi.
Il ragazzino comunque non replicò... dentro di sé
si
sentiva confuso, confuso da quell'incontro così spiazzante
che
gli ricordava i giorni nei quali erano insieme alla Wammy's house, nei
quali avevano ancora il tempo per maturare delle sane
rivalità,
nei quali non avevano ancora sperimentato il dolore di una morte.
Infine, dopo un sorriso indecifrabile di Matt, Mello disse guardandolo
con una certa aria di sfida ma al tempo stesso con qualcosa di vicino
al sollievo.
“Lui
è di là. Ti aspettava.”
Il cuore di Near fece fatica a battere il colpo seguente nell'istante
in cui Mello pronunciò quelle parole.
Il ragazzo si scostò dallo stipite della porta per farlo
passare
e Near, tenendo la testa bassa, dopo un attimo di incertezza si decise.
Portando il piede
oltre quel varco si arrestò un istante e si
girò verso i due ragazzi che erano rimasti a guardarlo: Matt
con
le spalle appoggiate alla parete, Mello con le braccia incrociate.
“Mi dispiace.”
Matt fece un sospiro e chiese quasi con divertimento incredulo:
“Per cosa?”
“Per non essere riuscito a salvarvi.”
Mello rimase in silenzio finché la sua bocca, prima
corrucciata in una smorfia, non si distese in un leggero sorriso.
A modo loro lo
avevano perdonato per quel suo distacco apparente che
aveva dovuto indossare davanti agli estranei; perché non era
stato abbastanza pronto così da evitare che altri morissero
a
causa di Kira.
Infine entrò nella stanza. Quando alzò lo sguardo
vide l'ufficio di Roger.
Ma questa volta
non c'era lui, seduto magnanimo alla scrittoio,
bensì la persona che fra tutte Near ammirava di
più.
Era di spalle, ne intravedeva soltanto il profilo curvo ed i capelli
disordinati neri come la pece mentre era circondato da un'ampia
scrivania inondata di dolci di ogni tipo e dotata di un computer acceso
con una serie di messaggi sul monitor.
Senza che ne
fosse pienamente consapevole Near trattenne il fiato.
“Mi sorprendi. Non mi sarei aspettato una tua visita
così
presto.” quella era la sua voce, a volte armoniosa, a volte
monocorde, ma non più falsata dietro il microfono dove si
nascondeva.
Al suo fianco vi
era Watari, il quale fece un leggero inchino con un sorriso gentile e
disponibile.
E infine si girò.
Gli occhi incavati dalle occhiaie lo fissarono per un lungo,
interminabile, attimo mentre l'unghia del pollice veniva mordicchiata
con noncuranza.
Le dita
affusolate che andavano ad appoggiarsi sulle ginocchia magre mentre
stava accovacciato su una formale sedia d'ufficio.
“Benvenuto.” disse semplicemente.
“Elle.” fu l'unica parola, quasi sussurrata come se
stesse per soffocare, che Near emise.
Gli fece uno strano effetto pronunciare quel nome, lo stesso che tanti
avevano usato per rivolgersi a lui in quegli anni da quando, come
successore, aveva preso in mano le redini del caso Kira.
Ma Near, lo
sapeva troppo bene, non era Elle bensì il suo semplice
sostituto: il vero Elle era morto, parecchio tempo fa.
Quante volte nel
corso della sua vita aveva finito per criticare il
modo di agire di colui che aveva preso ad esempio... eppure nel
profondo sapeva che nessuno al mondo mai avrebbe potuto anche solo
eguagliarlo.
Perché
Elle era diretto e al tempo stesso razionale.
Mentre lui era
incompleto.
Ironico. Per la prima volta, ora che era in un sogno ed era ormai
anziano, poteva parlare faccia a faccia con lui.
Poteva vederlo
mentre osservava i dolci, mentre si tormentava le unghie
con il labbro pensoso. Lo aveva proprio davanti a sé,
così reale da sembrare di poter respirare il suo stesso
ossigeno, da riuscire quasi ad avvertire i battiti di quel cuore che
pulsavano frenetici.
“Immagino che tu sia un po' confuso – concluse Elle
afferrando un pasticcino con la punta delle dita scarne –
anch'io
ero così quando entrai in questo luogo.”
Stava parlando dei primi giorni in cui era arrivato all'orfanotrofio?
Near lo
scrutò pensoso... non ne era sicuro...
Tutta la
situazione era confusa... era davvero in un sogno? Eppure era
così vero... e lui? Quello era il suo corpo? Chiaramente
no...
sarebbe stato troppo giovane.
“Sto sognando?” chiese Near con tono di voce basso,
guardandosi di sfuggita le mani da bambino.
Elle alzò gli occhi verso il soffitto, mentre Watari lo
guardava
silenzioso, picchiettando l'indice sul labbro, infine tornò
a
scrutarlo senza battere ciglio chiedendogli:
“Tu cosa ne pensi?”
Near non parlò subito. Calcolò la sua risposta,
come aveva sempre fatto:
“Ho
incontrato Matt e Mello prima.. sembravano veri. E adesso
vedo te... vedo Watari... tutto l'orfanotrofio che anni fa è
stato demolito...” parlare gli costava una ferita immensa,
perché il forte groppo che aveva in gola per l'emozione, per
un'agitazione che gli contorceva lo stomaco, gli impediva quasi di
respirare.
“Curioso – ammise Elle, reclinando leggermente la
testa – siamo tutti scomparsi.”
Near spalancò gli occhi. Aveva iniziato ad intuire...
Ad Elle non
sfuggì quel guizzo sul volto adombrato dai capelli e fece un
accennato sorriso.
“Io mi sono addormentato.” Disse infine Near, con
logica semplicità.
E i suoi collaboratori erano entrati nella stanza.
Ora ricordava un
particolare che prima non aveva avuto molta importanza:
quella gente
stava piangendo.
“Qui è dove noi ci ritroviamo, dove riallacciamo i
nostri
legami... il nulla è nulla per chi non è parte di
questi
legami – ci fu una lunga pausa di silenzio –
capisci cosa
ti è successo?”
Near pianse, lui che era sempre stato freddo ed impassibile al punto da
sembrare inumano.
Pianse perché da un lato non se lo aspettava, ma dall'altro
perché aveva ritrovato il mondo nel quale era
nato, la sua
stanza coi giochi da tempo dimenticati, le persone con cui aveva
condiviso i suoi veri giorni felici...
Sarebbe rimasto
li per sempre.
Ora capiva perché non ricordava niente di quel sonno senza
sogni
e perché si sentisse così leggero... fissando
intensamente Elle, in quegli occhi grandi e scrutatori, rispose:
“Io... sono morto.”
One-shot pensata un po' per caso. Avevo semplicemente voglia
di
scriverla e mi sentivo particolarmente nostalgica. Molto bene, quindi
perdonatemi se vi è sembrata una cosa assolutamente
inutile...
^_^''
Eppure mi piacerebbe pensare che Near, una volta anziano, possa
reincontrare la sua "famiglia" dopo aver passato anni a riflettere su
tutto quello che gli era successo. Ecco perché in fondo
appare
un Near un po' meno razionale e più confuso.
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