Sunrise
CAPITOLO 1
“Ahi!! Zia Alice, mi fai male
con quegli spilli”
“È il tuo primo giorno al liceo, Renesmee, non
vorrai andarci vestita come una barbona?”
“No, ma…”
“Niente ma, signorina. Ho già dovuto modificare il
modello originale perché tua madre lo riteneva
esagerato”
Abito lungo di seta e giacca di cachemire, l’avrei giudicato
esagerato anche io, pensò la piccola Renesmee. Che poi tanto
piccola non era, a vederla. In teoria andava per i quattro anni, in
pratica aveva il corpo di una quattordicenne. Una crescita accelerata
dovuta alla sua natura di mezza vampira, che in molti aspetti della sua
vita aveva dovuto imparare a nascondere, per proteggere la sua
famiglia. Ciò in cui aveva avuto maggiori
difficoltà era stata l’alimentazione. Sin da
quando era dentro sua madre l’avevano nutrita di sangue
umano, che poi aveva imparato a sostituire con quello animale, come era
tradizione nella sua famiglia.
In preparazione all’inizio della scuola era stata poi
costretta da sua madre a mangiare del cibo umano. apprezzava molto la
carne, specie se poco cotta, il gusto era molto simile al sangue, a
fatica si faceva andare bene pasta e pizza, proprio non le andavano
giù le verdure. Ma, le avevano sempre detto, era un difetto
di molti suoi coetanei.
Il fatidico primo giorno di scuola era poi arrivato, e Renesmee era
pronta. La sera prima in casa Cullen si era tenuta una piccola festa
privata dove aveva ricevuto in regalo tutto ciò che le
sarebbe servito durante il liceo.
“Il regalo più bello deve ancora venire”
le aveva detto sua madre, suscitando la sua impazienza talmente tanto
che la notte non era riuscita a dormire. Non che ne avesse molto
bisogno, però un buon sonno ristoratore dopo una festa come
quella non le avrebbe fatto male.
In quel momento era in camera con sua zia Alice, che le stava
sistemando l’orlo dei pantaloni neri con cui era riuscita a
sostituire, insieme ad una sobria camicetta, l’abito lungo
precedentemente scelto da Alice. I morbidi boccoli ramati le ricadevano
sulle spalle, tenuti indietro da una treccia che le passava intorno al
capo e terminava dietro la nuca, un’opera di Rosalie. Zia
Rose era tra tutte quella che le si era affezionata di più,
che l’aveva amata come fosse sua figlia prima ancora che
venisse al mondo e che la viziava di più, regalandole ogni
giorno qualcosa di nuovo ed estremamente costoso – ovviamente
non abiti, a quello pensava Alice.
“Tesoro, farai tardi a scuola!” chiamò
sua madre Isabella dal piano di sotto, dove si erano riuniti tutti i
Cullen e i Swan. In quella casa non serviva urlare per farsi sentire,
erano tutti dotati di un udito finissimo.
“Zia Alice, hai finito??”
“Sì sì, quanta impazienza!”
Appena sentì Alice mollare la presa sui suoi pantaloni,
Renesmee si fiondò fuori dalla stanza e giù per
le scale, recuperando nel mentre giacca e borsa.
“Dove vai così di corsa? Fatti vedere bene,
no?”. Sua madre l’afferrò per un braccio
con forza e grazia allo stesso tempo, costringendola a voltarsi verso
gli altri membri della loro numerosa famiglia, che subito si
prodigarono in elogi sulla sua bellezza e il suo abbigliamento.
“Se continuate così, arriverà davvero
in ritardo a scuola”.
Suo padre, Edward Cullen, il suo salvatore ogni volta che la situazione
lo richiedeva. Forse perché riusciva a leggere nella sua
mente. Non aveva mai abusato della sua capacità contro di
lei, anzi le era sempre venuto in soccorso, così Renesmee
aveva imparato a pensare la cosa giusta al momento giusto.
“Il tuo regalo ti sta aspettando”
continuò Edward con voce suadente, ammiccando alla figlia.
“Dove?”. La voce di Renesmee tradì
l’impazienza di un’intera notte.
“In garage” sorrise il padre, facendole strada con
un gesto ampio. Renesmee lasciò cadere a terra la borsa e
corse verso il garage, aprì la porta con foga e le
trovò lì. Due splendide moto, forse un
po’ datate ma completamente tirate a lucido, corredate di
casco e tutto il resto.
“Sono fantastiche!”. Corse a toccarle, accarezzarle
come degli animaletti, ci montò sopra. “Da dove
vengono?”
“Da una persona speciale” rispose la madre,
arrivata insieme al resto della famiglia nel grande garage
già zeppo di macchine di lusso. Il suo tono
lasciò trapelare una punta di emozione nel rispondere alla
figlia, il cui sguardo si illuminò ulteriormente quando
capì a chi si stesse riferendo Bella.
“Jacob…”. I genitori le sorrisero.
“È qui?”. Sembrava più una
supplica che una domanda.
“No, Nessie” rispose Edward a malincuore. Il
sorriso svanì lentamente dalle sue labbra. In fondo, cosa
poteva aspettarsi. Era ormai un anno che non aveva più sue
notizie. Se n’era andato senza dare una spiegazione,
lasciando il branco nelle mani di Leah. Era stata lei a informarli
della sua partenza. Si ricordava di aver pianto per giorni e giorni, da
sola o tra le braccia di sua madre o delle zie. Poi un giorno si era
convinta che prima o poi sarebbe tornato da lei, dalla sua Nessie,
dalla bambina che aveva visto nascere, crescere, di cui si era preso
cura in onore dell’amore che lo aveva legato per tanto tempo
a sua madre.
Aveva sperato in un suo ritorno per il giorno del suo
“quarto” compleanno, poi in occasione della festa
per l’inizio della scuola, il giorno prima, ma niente. Eppure
continuava a sperare.
“È tardi, Renesmee, ti conviene andare”
“Sì” rispose apatica, senza neanche
tentare di capire chi le avesse parlato. Suo padre le si
avvicinò porgendole borsa e chiavi della moto, quindi
premette il pulsante del piccolo telecomandino che apriva il garage e
lasciò spazio alla figlia, la quale, indossato il casco,
sfrecciò via lungo il vialetto.
Occhi, tanti occhi, troppi occhi le si erano appiccicati addosso appena
aveva sollevato il casco. Occhi che la invidiavano e di conseguenza la
odiavano, quelli delle ragazze del liceo di Forks, occhi che la
ammiravano, la studiavano, la assaporavano, quelli dei ragazzi.
Renesmee trasse un profondo respiro per calmarsi, quelle occhiate le
davano sui nervi, scese dalla moto e si mise la borsa a tracolla,
liberando i capelli da sotto la spallina, e si diresse a passo svelto
verso l'entrata della scuola, seguita da quei mille volti nuovi.
Andò a vedere quale fosse la sua classe e iniziò
a cercarla per tutto l'edificio, senza neanche pensare di chiedere
informazioni a qualcuno. Per fortuna trovò subito l'aula,
non c'era ancora molta gente dentro, eppure anche quei pochi presero
subito a squadrarla. Tirò dritta verso un banco in fondo e
vi si sedette, poi passò i minuti prima dell'inizio della
lezione a guardare fuori dalla finestra. Arrivò la
professoressa e venne il momento delle presentazioni alla classe, come
tradizione. Quando fu il suo turno, sapeva cosa doveva dire, erano
giorni che si preparava il discorso.
"Mi chiamo Renesmee Cullen, sono una cugina dei Cullen che vivono qui a
Forks. Mi sono trasferita qui dalla costa est dopo che i miei genitori
sono morti in un incidente"
Per completare il patetico quadretto, ricevette condoglianze da quasi
tutta la classe, poche delle quali veramente sentite. Solo una ragazza
in primo banco rimase in silenzio al suo posto, guardandola da dietro
le spesse lenti dei suoi occhiali decisamente fuori moda - certe volte
si sentiva un po' come Alice. Nella sua mente, ringraziò
quella ragazza.
A mensa sembrò che in ogni tavolo ci fosse un posto libero
per lei, ma Renesmee scelse un tavolo solitario vicino alla finestra,
con vista sui boschi intorno a Forks. Un senso di malinconia la
pervase, ma continuò a fissare quel verde orizzonte, nella
speranza di trovare un qualche segno di movimento.
L'ora di biologia del pomeriggio passò velocemente e presto
fu il momento di tornare a casa. Inforcò rapidamente la moto
e si mise il casco, ma prima di abbassare la visiera notò la
ragazza occhialuta della mattina osservarla da dietro un albero, forse
impaurita o imbarazzata. Non ci fece molto caso, abbassò la
visiera e sfrecciò sulla strada, finalmente verso casa.
Passò velocemente dalla centrale di polizia a salutare
Charlie, suo nonno, che ormai non faceva più caso alla sua
rapida crescita, poi si immerse nei boschi che portavano a casa Cullen.
Mancavano ancora poche centinaia di metri quando un movimento nella
boscaglia attirò la sua attenzione. Inchiodò
all'istante, sollevando mucchietti di terra ed erba, e si tolse il
casco per osservare meglio. Un altro movimento, più vistoso,
e poi un pelo rossiccio in mezzo al verde della vegetazione. I battiti
del cuore di Renesmee accelerarono. Lasciò casco e moto
dov'erano e andò in direzione del movimento, a cui ne
seguì un altro e un altro ancora, che la portarono sempre
più nel fitto del bosco, fino ad una radura coperta dalle
chiome degli alberi. Avanzò lentamente verso il centro dello
spiazzo, guardandosi intorno. Possibile che fosse stato tutto frutto
della sua immaginazione, che avesse inseguito solo una speranza e
niente di più? Il fruscio delle foglie dietro di lei la fece
voltare, e il cuore le esplose nel petto.
"Jake..." sussurrò a fior di labbra, quasi avesse paura che
il ragazzo svanisse al solo pronunciare il suo nome.
"Ciao Nessie" le rispose sorridente. Avanzava verso il centro della
radura dove si trovava Renesmee, era a torso nudo, coi capelli lunghi
neri che gli ricadevano disordinati sulle spalle, un paio di
pantaloncini sfilacciati a coprirgli le gambe fino al ginocchio. Era
esattamente come un anno prima, la barba tagliata da poco, segno che
doveva essere a Forks almeno da quella mattina. A pensarci Renesmee
montò su tutte le furie.
"Solo adesso spunti, eh? Beh, sai che ti dico? Potevi restare in mezzo
ai boschi o dovunque tu fossi, non ci sei mancato neanche un po', anzi,
siamo anche riusciti a mandare via quei tuoi amici pulciosi che
ronzavano intorno a casa. Non puoi immaginare che liberazione, senza
più la vostra puzza di cane a infestare la casa, puah!"
Jacob rise divertito alle ingiurie mandategli dalla ragazzina, che
però cercò di fare ancora di più
l'offesa e la stizzita. Il ragazzo cercò di calmarsi e la
guardò dritta nei morbidi occhi nocciola.
"Mi sei mancata anche tu, Nessie"
A quelle parole la maschera imbronciata di Renesmee andò in
frantumi e la ragazza si gettò fra le possenti braccia di
Jacob, scoppiando in un pianto liberatore.
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