‘A Christmas
Carol’ di Charles
Dickens, credo sia uno di quei racconti che tutti conoscono e che
pertanto non
hanno bisogno di presentazioni. Tra l’altro è
stato usato come linea guida per
l’episodio ‘Buon Natale Boss’. Io, nel
mio piccolo, ho pensato potesse essere divertente inventarne un’ulteriore versione,
ma nella mia storia non c’è un cattivo da redimere.
Sono ben accette critiche
di
qualunque tipo. Spero vi piaccia
A
Dukes Christmas Carol
Capitolo
primo: come tutto ebbe inizio
Era
stato ingannato dalla persona che più amava. Quante volte si
era sentito
ripetere: staremo sempre insieme, non ci
separeremo mai. E invece era venuto meno alla sua promessa.
Era un
tradimento puro e semplice.
Si
sentiva ferito, triste, arrabbiato. Questa non gliel’avrebbe
mai perdonata.
Quel rapporto speciale che c’era sempre stato tra di loro,
non sarebbe mai più
esistito. E tutto per colpa di Luke. Partendo per il fronte sarebbe
venuto meno
a tutti i giuramenti e agli accordi che avevano stretto nel corso degli
anni. Che
c’entravano loro con la guerra? I Duke non avevano mai fatto
del male a
nessuno, perché dovevano combattere in un conflitto che non
avevano contribuito
a far nascere? Perché Luke doveva abbandonare la sua
famiglia per andare in
quel luogo lontano, dall’altra parte del mondo? Neanche con
una cartina
geografica davanti agli occhi Bo sarebbe stato capace di individuare il
Vietnam. Non gli importava niente di quella stupida guerra. Che ne
sapeva lui?
Aveva solo quattordici anni e tanti progetti per la testa. Aveva tante
altre
cose più importanti da fare: doveva chiedere a Betty Lou
Rice di accompagnarlo
al ballo della scuola, doveva imparare a guidare, doveva costruire la
macchina
dei suoi sogni. E doveva farlo insieme a Luke. Aveva bisogno dei suoi
consigli,
del suo supporto, della sua presenza. Luke era il suo pilastro,
l’altro piatto
della bilancia. Ma evidentemente lui non era altrettanto importante per
suo
cugino oppure sarebbe rimasto. Non sarebbe mai partito.
Erano
ore ormai che se ne stava raggomitolato su di un giaciglio di foglie secche sulla sponda
del
torrente. Andava sempre lì quando voleva stare da solo. Era
il suo posto
segreto. Stava rimuginando su quella orribile giornata appena trascorsa
e su
come tutto il suo mondo gli si fosse sgretolato sotto i piedi nel giro
di pochi
istanti.
Si
era alzato controvoglia dal letto come ogni mattina e, dopo aver fatto
colazione, era andato a scuola. All’ora di pranzo era
ritornato a casa con
Daisy ed avevano mangiato tutti insieme. Come sempre. Poi
però era successo
qualcosa di insolito: Jesse aveva radunato tutti e tre i suoi nipoti in
salotto
perché doveva comunicare ai più piccoli qualcosa
di importante. Aveva provato a
dar vita al discorso, ma non c’era riuscito. Le parole gli
erano morte in gola.
Bo aveva capito subito che si trattava di una faccenda seria.
Alla
fine Jesse aveva capitolato ed aveva lasciato l’incombenza a
Luke.
“Bo,
Daisy, c’è una cosa che dovete sapere. Non posso
più rimandare.” La voce di
Luke era incerta. Aveva gli occhi bassi mentre parlava, sembrava
imbarazzato.
Sembrava dispiaciuto.
“Comincio
a preoccuparmi Luke, cosa c’è che non
va?” Fu Daisy a dare la spinta decisiva
al cugino.
“E
va bene. Sentite non c’è un modo facile per dirlo,
quindi lo farò e basta.
Subito dopo le feste di Natale andrò via. E’
arrivata la cartolina, parto per
il fronte.” Aveva alzato lo sguardo e lo aveva puntato dritto
sui suoi cugini.
Il
vecchio Jesse era seduto sulla sua poltrona preferita e, nonostante
fosse già
al corrente di tutto, fu raggiunto da un brivido di terrore al sentire
di nuovo
quelle parole.
Daisy
si alzò di scatto dal divano e raggiunse il cugino. Gli
buttò le braccia al
collo e lo strinse forte a sé: “oh no, Luke. Non
è possibile.” Non piangeva, ma
la sua voce vibrava e il suo corpo era scosso da fremiti incontrollati.
“Da
quanto tempo lo sai? Perché non ce l’hai detto
prima?”
“La
cartolina è arrivata un paio di settimane fa, non di
più. Avrei voluto farvi
trascorrere il Natale in pace e armonia, ma non potevo darvi la notizia
e
partire subito dopo.” Luke stava cercando di consolare la
cugina e nello stesso
tempo tentò di immagazzinare la sensazione di amore
incondizionato che il
contatto fisico con Daisy gli stava lasciando.
Dopo
qualche istante Daisy si staccò dal cugino e
tornò a sedere, unì le palme delle
mani come se si fosse messa a pregare, ma in realtà la sua
mente era vuota. I
suoi occhi si misero a fissare un punto qualunque del pavimento.
Bo
non si era mosso. Aveva cominciato a tormentarsi le mani. I gomiti
poggiati
sulle ginocchia e lo sguardo basso a studiarsi le dita intrecciate.
“Bo,
guardami per favore.” Fu la supplica di Luke.
“Dimmi a cosa stai pensando.”
Il
giovane non si scompose e non fiatò. Jesse si
alzò dalla poltrona e si mise a
sedere accanto al nipote più giovane. Sollevò un
braccio e lo poggiò sulle sue
spalle sperando di dargli quel conforto di cui pensava avesse bisogno.
All’improvviso Bo drizzò la testa e
guardò Luke. C’era rabbia nei suoi occhi.
“Vuoi
sapere a cosa sto pensando, Luke? Se hai già deciso che te
ne andrai senza
curarti di noi, che te ne fai della mia opinione?” Di sicuro
Luke non si
aspettava una reazione del genere.
“Come
puoi pensare che non mi importi di voi? Se potessi cambiare le cose, lo
far…”
“Se
tu potessi cambiare le cose? Ma che stai dicendo? Ti basta dire che non
sei
interessato, che non vuoi partite. Nessuno ti obbliga.”
“Bo,
non è così che funziona.” Si intromise
Jesse. “Non è un invito che si può
declinare. Ne abbiamo parlato tante volte, sapevamo che sarebbe potuto
accadere
anche se io speravo non sarebbe mai successo.”
“Non
voglio sentire scuse, zio Jesse. Luke ci sta abbandonando, come fai a
difenderlo?”
“Bo…”
Luke
alzò una mano e fece segno allo zio di lasciar perdere.
Avrebbe provato lui a
spiegarsi col cugino. Si accovacciò di fronte a lui e gli
afferrò le mani
stringendole tra le proprie: “lo so come ti senti,
perché lo sto provando anche
io. Io non vorrei mai lasciarvi, ma non ho scelta. Devo andare. Questo
non
significa che non mi importa niente di voi. Non parto per un viaggio di
piacere
Bo e spero che tu lo comprenda.”
Bo
usò talmente tanta forza per recuperare le sue mani, che
Luke perse
l’equilibrio e cadde in terra. Il giovane si diresse
velocemente verso la porta
con l’intenzione di andarsene via, ma il tono perentorio
dello zio lo fece
desistere: “torna qui Bo. Non interromperemo questa
conversazione finché non
sarà tutto chiarito.”
“Che
c’è da chiarire, zio Jesse? Ormai è
tutto deciso, che io sia d’accordo oppure
no, Luke partirà lo stesso.”
“Smettila
di comportarti come un bambino capriccioso e ascolta quello che hanno
da dirti
zio Jesse e Luke. Credi a qualcuno di noi faccia piacere tutto questo?
Non stai
rendendo le cose facili a nessuno.” Daisy, ancora sconvolta
dalla rivelazione
del cugino, adesso era altrettanto contrariata dal comportamento di Bo.
Sapeva
che agiva così per paura, ma non tollerava che alzasse la
voce in quella
maniera senza permettere che gli fossero date le dovute spiegazioni.
Era un
impulsivo, ma non era da lui sputare sentenze senza neanche prendersi
la briga
di ascoltare.
“Bo
ti prego. Non è che voglio partire. Devo. Non farei mai
niente per far soffrire
tutti voi. Non farei mai niente per far soffrire te. Siamo sempre stati
amici
prima ancora che cugini, dimmi che le cose non cambieranno tra di
noi.”
“E’
qui che ti sbagli, Luke. Gli amici si scelgono, i parenti no. E io non
ti
voglio più come amico. Non so che farmene di una persona che
non sa mantenere
le sue promesse.”
“Parli
così perché sei arrabbiato, lo so che non pensi
quello che hai detto. Quale
promessa ti ho fatto che non sono riuscito a mantenere?”
“Mi
hai promesso che non ci saremmo mai separati, mi hai promesso che
l’estate
prossima mi avresti insegnato a guidare, mi avevi promesso che per
quando avrei
preso la patente avremmo costruito la macchina dei nostri sogni.
Insieme.”
Luke
avanzò di qualche passo e raggiunse il cugino. Era poco
più di un bambino, ma
fisicamente dimostrava più dei suoi quattordici anni. Non
dubitava affatto che
al suo ritorno lo avrebbe ritrovato più alto di quanto fosse
lui. Alzò le
braccia e gli poggiò le mani sulle spalle: “lo
faremo, Bo. Faremo tutto quello
che vuoi quando tornerò.”
Bo
afferrò le mani del cugino e se le strappò di
dosso con violenza: “non faremo
un bel niente perché tu non tornerai mai più da
laggiù. Ti stanno mandando a
farti ammazzare e non fai niente per evitarlo. Nessuno di voi fa
niente.” Disse
puntando il dito prima verso lo zio e poi verso Daisy.
“Bo
ti proibisco di parlare così.” La rabbia stava
montando anche in Jesse. Non era
giusto che Bo parlasse in quel modo come fosse l’unica
persona a soffrire per
quella situazione. “Chiedi immediatamente scusa a tuo
cugino.”
“No,
zio Jesse. Non chiederò scusa a Luke. Non ne voglio sapere
più niente di lui.
Mi hai sentito, Luke? Non voglio più avere niente a che fare
con te. Fai della
tua vita quello che più ti piace.” Bo diede le
spalle a tutti, guadagnò
l’uscita e si richiuse violentemente la porta alle spalle.
Iniziò a correre con
la speranza che il vento, sferzandogli la faccia, avrebbe potuto
portarsi via
anche i cattivi pensieri e i dolori. Raggiunse il torrente a perdifiato
e si
mise a sedere su di una roccia. Lì avrebbe avuto molto tempo
per pensare,
nessuno lo avrebbe trovato perché nessuno conosceva quel
posto.
Si
stava facendo buio e senza più il sole, l’aria era
diventata fredda. Per la
fretta di uscire non si era neanche preoccupato di prendersi una
giacca. Ma non
sarebbe tornato a casa, non ancora.
Raccolse
un bastoncino di legno e cominciò a scarabocchiare la terra.
Ormai aveva preso
la sua decisione: non avrebbe più rivolto la parola a Luke.
Non ne voleva
sapere più niente di lui. Luke se ne andava incurante di
coloro che si lasciava
alle spalle e Bo lo avrebbe ripagato con la stessa moneta. Non ci
sarebbe stato
il giorno della sua partenza e non si sarebbe fatto trovare al suo
ritorno.
Semmai fosse tornato.
Scaraventò
via il bastoncino con rabbia e abbandonò la roccia; si
sdraiò poco più avanti
su di un letto di foglie secche. Tentò di conservare il
calore corporeo incrociandosi
le braccia sul petto. Ormai la notte era scesa e le prime stelle
avevano fatto
la loro comparsa. Forse la stanchezza, forse l’inquietudine
della sua anima, ben
presto si rese conto di avere sonno. Non voleva correre il rischio di
addormentarsi
all’aperto, tuttavia decise di chiudere gli occhi per
concedere un po’ di
riposo alle sue palpebre divenute incredibilmente pesanti.
Cadde
presto in un sonno profondo.
Quando
si risvegliò c’era qualcuno accanto a lui.
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