That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Habarcat - I.009
- Amicizia
Severus
Snape
Spinner's End, località sconosciuta -
giov. 25 febbraio 1971
"Corri! Corri!
Prendilo!"
“Sbrigati, Sam, ci sta
scappando!”
“Ora lo blocco io!”
Sentii la "manona" di Eddy Thompson che mi ghermiva il retro del misero
cappottino, tirò e udii il rumore inconfondibile della
stoffa della fodera che si strappava. Mia madre mi avrebbe
rimproverato, me lo meritavo: sapevo quanto costava la stoffa, e quanti
pochi soldi ci restavano. Ma in quel momento dovevo scappare, o sarebbe
stata la fine per me, se mi avessero raggiunto. Non l'avevo fatto
apposta, non me l’ero cercata, io non me la cercavo mai,
eppure anche quel giorno, appena era suonata la campanella della pausa
pranzo, i soliti prepotenti mi avevano preso di mira, mi avevano
accerchiato e, oltre a farsi beffe di me, come sempre, avevano cercato
di picchiarmi. Io non l’avevo fatto apposta nemmeno quando
Roger Templeton mi si era gettato contro, cercando di tirarmi un pugno
in faccia, ma stranamente i lacci delle sue scarpe si erano annodati
tra loro ed era caduto con un tonfo sordo in mezzo alla neve: in quel
frangente ero scappato, mentre i teppistelli venivano investiti dalle
risate di tutti i ragazzini del cortile. Anche i suoi: un timido
sorriso aveva illuminato per un attimo la mia ennesima giornata buia.
Era quello che mi capitava sempre, se Lily Evans era presente.
I cinque bulli non l'avevano presa affatto bene e a quel punto, per
riportare in alto il proprio nome, avevano dato inizio al gioco
più popolare della scuola elementare di "Hollies Way":
"Caccia al ragnetto" detta anche “Caccia al gufetto". Mi
chiamavano così dal primo giorno di scuola, per via del mio
aspetto malatino, capelli neri e untuosi, colorito pallido, per non
dire giallastro, fisico da moscerino, abiti sempre inadatti, o troppo
grandi o troppo corti. E le cose erano peggiorate ulteriormente quando
fu evidente che ero il più bravo della classe. Correvo:
m’intrufolai tra il cortile e il capanno del custode, sentii
le voci avvicinarsi, saltai la recinzione, camminai sul muretto,
superai anche quello e mi ritrovai finalmente fuori dalla scuola. Misi
ancora più urgenza nelle mie gambe e voltai l'angolo: mia
madre mi avrebbe punito, la maestra l'avrebbe informata che ero
scappato e, soprattutto, stavolta avevo perso anche la cartella con
tutto quello che c'era dentro. Eppure non era proprio il caso di
tornare indietro, dovevo tenermi alla larga per quel giorno, tra
l’altro non era la prima volta che capitava, sapevo a cosa
andavo incontro. Rallentai, fino a fermarmi, non avevo più
fiato, mi piegai a metà, le mani sulle ginocchia, a bocca
aperta, sperando di raccattare più ossigeno che potevo: fu
allora che mi saltarono addosso, quei maledetti si erano mossi,
silenziosi e rapidi, tagliando per il sottopasso. Che stupido a non
averci pensato io! Mi misero subito sotto, di sicuro mi avrebbero rotto
di nuovo il naso e incrinato qualche costola, Eddy era una balena, a
dieci anni pesava già oltre ottanta kg: era di questo che si
pavoneggiava sua madre nel quartiere, soprattutto quando incrociava la
mia. Il pugno arrivò alla faccia ed io presi a contare nella
mia mente, avevo scoperto che pensando ai numeri, a volte, mi
estraniavo a tal punto da me stesso da non percepire più
come mio il corpo che veniva pestato. 1, 2....Non dovevo piangere.
3.... 5.. non dovevo...
"Brutte canaglie che state facendo!
Mariniamo la scuola eh! Andiamo a rubacchiare in giro? Ora chiamo la
polizia!”
Jeffrey Coltrane uscì dal suo negozio di idraulica
all’angolo e li mise in fuga, brandendo il vecchio fucile da
caccia che aveva ritirato fuori da quando, per quattro volte di
seguito, dei giovinastri gli avevano depredato il magazzino. Era un
burbero misantropo, con una fosca nomea, sembrava che avesse ammazzato
due persone da giovane e solo grazie al buon cuore del vecchio padrone
del negozio aveva da decenni quel posto, prima da garzone poi da
gestore. Quando mi vide al suolo, immobile, mi raccolse su, prendendomi
per il bavero, poteva sollevarmi con una mano sola: a me, da sempre, da
quando mia madre me ne aveva parlato la prima volta, ricordava un
gigante.
"Ah, il figlio di Prince... sei strano
proprio come tua madre, eh?"
Mi diede una pacca sulla schiena e mi portò dentro, mi
versò una tazza di brodo caldo e un'aletta di gallina. Mi
guardò mangiare con una strana espressione, sembrava quasi
che mi misurasse.
“Non ho di meglio, a te
servirebbe carne vera, ma vedi d mangiare almeno questo o quelli
là son capaci di spezzarti la schiena.”
Rimasi a mangiare in silenzio anche due patate e una carota, mi
versò un’altra scodella di brodo, poi si
alzò, andò nel retro e tornò con un
fiascone di acqua ossigenata.
“Non ho di meglio!”
Mi strofinò energico sul sopracciglio pesto, bruciava come
l'inferno. Infine, sempre di mala grazia, mise un cerotto, dandomi
l’aspetto di un "ragnetto corsaro".
“Vedi di tenerti alla larga da
quelli, Prince, altrimenti, prima o poi, qualcuno chiamerà i
servizi sociali e tua madre non avrà più nemmeno
te.”
Mi rivolse uno sguardo profondo. Si diceva che la sua sventura fosse
iniziata proprio perché la sua famiglia era troppo povera e
l’avevano affidato ad un istituto da cui era scappato,
dandosi poi alla macchia per anni, crescendo come un selvaggio. Lui non
poteva sapere che io non ero destinato a niente di tutto
ciò: io avevo la scuola di magia di Hogwarts, a cui ero
iscritto dal momento della mia nascita, da bravo mago...
“Nessuno mi porterà
via da mia madre!”
“Certo, certo, figliolo,
nessuno… a parte Dumbledore!”
Lo disse in un soffio, e a me quasi cadde la tazza di mano, mi
sembrò che mi facesse l'occhietto con aria burbera.
“Come ha detto?”
“Nulla! Ora vattene e dammi
retta, tieniti lontano dai guai, settembre non è poi
così lontano, no? E se ti trovassi ancora nei pasticci con
quelli là, portali fino da me, che ci penso io! Quando passi
da queste parti, puoi fermarti per una tazza di brodo, o per guadagnare
qualche soldo aiutandomi in negozio, non ho più venti anni e
tu almeno non staresti per strada!”
Era ormai il primo pomeriggio, in quel mentre entrarono un paio di
clienti, mi squadrarono in malo modo, sapevo benissimo che avevamo una
cattiva nomea nel quartiere, a causa di mio padre sempre ubriaco, che
perdeva un lavoro dopo l’altro, ma non sapevo
perché se la prendessero anche con la mamma: lei si faceva
gli affari suoi, non dava fastidio a nessuno, non era come certe madri
che per procurarsi soldi... Non aveva mai fatto nulla che potesse
indurre chicchesia a dubitare di noi, di cos'eravamo
davvero… Eppure, quei maledetti babbani ci deridevano, ci
isolavano... ci odiavano. Uscii per strada, mi guardai attorno, i miei
aggressori erano ormai spariti da un pezzo, per fortuna era una
giornata rigida e ventosa, secca, col sole gelido che ormai iniziava a
scendere dietro al rudere della vecchia ciminiera. Niente pioggia.
Camminavo, solo, lungo i binari della ferrovia, arrampicandomi sui
terrapieni ancora innevati, guardavo la città che si
dispiegava come una lumaca pigra lungo le rive del fiume. Ormai la
giornata scolastica era conclusa, potevo avviarmi lentamente verso
Spinner’s End, per quel giorno nessuno a casa si sarebbe
accorto della mia fuga, con un pò di fortuna avrei potuto
persino nascondermi in camera fino al mattino dopo, nessuno avrebbe
notato subito quei lividi. Finii col restare fuori a bighellonare,
sperando di non incontrare di nuovo i bulli e riuscire a trovare
qualche buona scusa da raccontare alla mamma. Per lo meno da qualche
settimana sembrava che mio padre nemmeno mi vedesse. Non
più, dopo quella notte, in cui mi aveva fatto un occhio nero
perchè avevo difeso la mamma. Ero certo che
l’amico di mia madre c’entrasse qualcosa con lo
strano torpore di mio padre, ma lei non m diceva nulla, anzi
s’incupiva ogni volta che gliene parlavo: le avevo chiesto
perché quel mago era stato da noi, perché non ci
aiutava se era davvero nostro amico, perché non chiedevamo a
lui quello che ci era necessario. Fu l’unica volta che mia
madre mi diede uno schiaffo, ricordandomi che i Prince non chiedono
l’elemosina a nessuno, e di scordarmi anche di aver visto
quell’uomo quella mattina. Sapevo, però, che, da
quel giorno, quasi tutte le settimane, il mercoledì veniva
da noi una donna dai capelli rossi, che s’intratteneva in
casa per un paio d'ore e di cui mia madre si rifiutava di dirmi
qualsiasi cosa. Ero certo che si trattasse di una Sherton, avevo visto
le sue mani tatuate, sbirciando, non visto, dal corridoio quando era
arrivata, subito prima che mia madre chiudesse a chiave la porta che
dalle camere immetteva nel soggiorno.
Fin da piccolo la mamma mi aveva raccontato di Hogwarts, la scuola di
magia, mi aveva fatto leggere i libri d pozioni e di erbologia ed era
stato su uno dei suoi libri che avevo letto per la prima volta quel
nome, Alshain: non capivo perchè l'avesse scritto, sapevo
solo che era una stella della costellazione dell’Aquila, e
non conoscevo nessun uomo che portasse un nome del genere. Mia madre mi
parlò del suo compagno di scuola solo molto tempo dopo: era
un mago della sua stessa età, era stato il più
forte cercatore di Quidditch della scuola nel periodo che vi avevano
studiato, ed anche uno dei ragazzi più ambiti, proveniente
da una delle più nobili e antiche famiglie Serpeverdi del
Nord. Non aveva delle foto di Sherton, perciò avevo
fantasticato a lungo sul suo aspetto e sulle leggende che circolavano
su quella famiglia, legata a Salazar stesso fin dalla notte dei tempi.
Avevo fantasticato anche sulla mia vita: come sarebbe stata se mia
madre avesse sposato un altro mago, e non un babbano come mio padre?
Vedere quel famoso mago, quella mattina, in casa nostra, mi aveva
aperto il cuore, era la prova che presto la mia vita sarebbe cambiata,
che Hogwarts era reale e aspettava solo me.
“Attento a non cadere di
sotto!”
Mi voltai di scatto e quasi caddi sul serio: Lily Evans era
lì, ai piedi del terrapieno con i suoi magnifici occhi verdi
e quella nuvola di capelli simili a seta rossa, sotto un cappellino di
lana color panna: una fata che irradiava ovunque un’aura di
bellezza e magia. Era già bellissima a dieci anni e
immaginavo come sarebbe stato un giorno vivere accanto a lei,
meravigliosa come la strega che faceva visita a mia madre. Sua sorella
era poco lontana e ci guardava storto.Cercai di darmi un contegno e
scivolai con quello che era il massima della mia grazia, ovvero ben
poca; con sollievo vidi che reggeva la mia cartella. Non ci potevo
credere! Mia madre non avrebbe dovuto vendersi quel poco che aveva per
ricomprarmi i libri! E, soprattutto, Lily Evans pensava tanto a me, da
togliermi da quel pasticcio e venirmi addirittura a cercare!
“Questa è
tua…”
La ringraziai con un cenno, e m misi a guardare dentro, c’era
proprio tutto.
“Ti fa tanto male?”
Con la mano sollevò una ciocca dei miei capelli, scoprendo
il livido incerottato.
“No, non è
nulla”
Le scansai ruvido la mano, con la solita voce saccente. Mi morsi il
labbro pieno di vergogna: Merlino, perchè uscivo sempre
così dannatamente spocchioso con lei, che era
l’unica persona che si mostrava sempre gentile e meravigliosa
con me?
“Vai a casa? Se vuoi, ti
accompagnamo”
“No Evans, allungheresti la
strada per niente e non m pare il caso…”
Vidi lo sguardo sempre più risentito e acido di sua sorella:
no, non era proprio il caso. Lily si avvicinò al mio viso e
mi sussurrò piano con una volce dolcissima e ridente. Quasi
svenni.
"Io sono una strega, Severus, posso fare
qualunque cosa… l’hai detto tu!”
Tirò fuori un righello dalla cartella e sotto gli occhi
atterriti di Petunia si mise a fendere l’aria, ridendo
aggraziata, simulando al tempo stesso la stoccata di un fiorettista e
il morbido movimento di polso con cui, secondo mia madre, si doveva
muovere la bacchetta.
"Per la strada potresti raccontarmi di
Hogwarts, no? Hai già ricevuto la lettera? Sono
così curiosa, lo sai? Chi pensi verrà a parlare
con imiei genitori della scuola?”
M'investì con mille parole, di cui capii appena le prime
tre, ero in un mondo tutto mio, in cui esistevano solo quegli occhi,
quella risata e quella voce melodiosa.
"Severus?"
Divenni porpora, lei rise della mia faccia mortificata e sua sorella si
incupì anche di più, camminando dieci passi
avanti a noi, come se portasse un palo alla schiena, tanto era dritta e
scocciata. Da quando l’anno prima, mentre giocava con
Petunia, avevo fatto irruzione nel parco definendola una strega, Lily
Evans aveva mostrato interesse per me. Lei, l’unico essere
umano al d fuori d mia madre. Mentre sua sorella non poteva vedermi,
come quasi tutti gli abitanti di quella insulsa cittadina di provincia.
Non che mi importasse di Petunia e di cosa pensavano i babbani come
lei. Io ero felice, non potevo crederci! Avevo osservato Lily varie
volte per la strada, mentre s avviava a scuola, l’avevo
persino seguita e spiata spesso, soprattutto nel parco, rischiando
più volte di essere scoperto e per questo perseguitato anche
di più, ma alla fine avevo capito: dopo un' attenta analisi,
mi ero reso conto che non erano i miei occhi a sbagliarsi,
nè la mia mente a sperare. No. Lily Evans era davvero una
strega, lei era come me. Poco importava se, come diceva mia madre, lei
era solo una sangue sporco. Lei era come me. Saremmo partiti insieme
per Hogwarts, saremmo entrati insieme nella casa d Salazar e la mia
vita sarebbe finalmente cambiata, basta con le umiliazioni, i pestaggi,
la miseria. Basta con la schifosa vita da babbano di mio padre, io
sarei stato un mago, e la cosa migliore d tutte, avrei avuto la piccola
Lily accanto a me.
“Lo sai che la prossima
settimana arriverà il circo? Ci saranno anche le giostre!
Vuoi venire insieme a noi?"
Ero convinto di vedere le stelline nei suoi occhi verdi, non sapevo
come facesse, ma ogni cosa che guardava o toccava, sembrava illuminarsi
come le vetrine dei negozi a Natale. Ma io non potevo andare alle
giostre, anche se avrei voluto, non avevo i soldi.
"Dai, dai Severus, dimmi di
sì! Sarà bello, vedrai!"
Risalimmo lungo il pendio del terrapieno e avanzammo verso il fiume, mi
aveva preso per mano, era morbida e calda, e il suo buon profumo m
inebriava, dandomi una volta tanto l’aspetto radioso tipio di
un bambino di undici anni. Si stava ormai facendo buio, eravamo
arrivati sul ponte, di fronte al parco, bastava attraversarlo per
entrare nella mia via, a Spinner's End.
"Allora verrai con me Sev?"
Petunia pistacchiava nervosa i piedi sull'asfalto, di là del
ponte le luci della mia casa m avvisavano che stavo per andare incontro
a un brutto quarto d'ora.
"D'accordo, Evans!"
Lily iniziò a saltellare contenta, m gettò le
braccia al collo e mi stampò un bacio sulla guancia, poi
disse qualcosa che non capii, tipo "a domani" o "ciao": io nn sentivo
più niente, solo il caldo umido d quelle labbra sul mio
viso, la mia faccia in fiamme, il cuore a mille. Attraversai volando il
ponte, qualsiasi cosa fosse successa, ormai non importava.
Lily Evans mi aveva dato un bacio.
***
Meissa
Sherton
Amesbury, Wiltshire - sab. 27 febbraio 1971
Il parco era nuovamente nascosto sotto una coltre
di soffice neve ed io stavo da sola in prossimità del
laghetto ghiacciato, a pensare; era l’ultimo giorno
“inglese”, l’indomani saremmo partiti.
Non sapevo perché mio padre avesse deciso di anticipare di
due settimane il nostro rientro in Scozia, tra l’altro era
stato anche annullato il mio viaggio con la mamma e Wezen in Irlanda,
sarebbe partito solo Mirzam, al nostro posto. Sembrava che da qualche
settimana si fosse inasprita una specie di guerra tra babbani in quelle
terre, e mio padre non voleva che corressimo rischi inutili: i
Llywelyn, la famiglia di mia madre, abitava da nove secoli a sud/est di
Doire, in un piccolo villaggio fondato nella notte dei tempi, lungo il
fiume Foyle. Fissavo i miei pensieri, disegnando con un bastoncino
delle figure geometriche sulla neve: ero entusiasta e al tempo stesso
spaventata, avrei iniziato prima i preparativi per Habarcat, con
papà, a Herrengton. Per quanto mi sforzassi di immaginare,
non riuscivo a farmi un’idea del tipo di prove che mi
attendevano.
“Ciao.”
Mi voltai, Sirius Black era di fronte a me, con un mantello blu scuro e
l’aria beffarda. Di colpo la giornata si fece fosca. Tornai
ad occuparmi delle greche che stavo disegnando: l’ultima
volta che ci eravamo visti… era meglio non ripensarci
più… sentii il suo solito passo baldanzoso sulla
neve soffice e mi misi subito sulla difensiva.
“Che cosa vuoi Black? Non sono
più in vena di sopportare i tuoi patetici scherzi, ti
avverto!”
“Volevo parlarti, prima che
partissi.”
Si avvicinò ancora un pò. Tornai a guardarlo, con
l’aria omicida delle migliori occasioni.
“Io non ho nulla da dirti,
Black, e non mi interessa sentire quello che vorresti dirmi tu.
È meglio se torni dentro, al caldo, da tuo fratello e tutti
gli altri!”
“Regulus è rimasto
a casa, ieri ha avuto un piccolo scontro con la mia... bacchetta.
È stato tuo padre a dirmi dove potevo
trovarti…”
Gli sfuggì un ghigno perfido. Io non sapevo cosa mio padre ci trovasse in
quell’idiota, però, con quella frase, Sirius aveva
trovato il modo sottile e vigliacco per dirmi che dovevo ascoltarlo per
forza. Incrociai le braccia al petto e lo guardai, desiderosa che
quella farsa finisse presto e mi lasciasse finalmente in pace. Fu
allora che notai che teneva qualcosa sotto il mantello: mi preparai al
peggio, ma ero sollevata di essermene accorta in tempo, forse non
potevo evitare l’inevitabile, ma almeno non gli avrei dato la
soddisfazione di vedermi spaventata.
“Non so quali diavolerie tu
abbia architettato stavolta, Black, ma ho visto che hai nascosto
qualcosa là sotto.”
Volevo sembrare decisa, ma mi accorsi di avere una sfumatura
supplichevole nella voce, e me ne vergognai. Sirius, con faccia
annoiata, aprì appena il mantello mostrando un sacchetto di
cioccorane.
“Giusto, il mio regalo di
arrivederci per te, principessa, per renderti più dolce il
viaggio, e convincerti a perdonarmi, se vuoi”.
Ero rimasta sorpresa, pensavo che questo non fosse da Black, non mi
sembrava il tipo da chiedere perdono, ma preferivo non abbassare la
guardia, anche l’ultima volta sembrava intimidito e indifeso,
e invece...
“Non le hai avvelenate,
vero?”
Lo guardai sospettosa, facendo capire che non mi vendevo per tanto poco
e non mi fidavo affatto di lui.
“Soddisfatta?”
Rispose ridendo, porgendomi il sacchetto con malagrazia dopo averne
mangiate un paio e aver finto di rimanere avvelenato
all’istante, strabuzzando gli occhi e strappandomi un
sorriso, per quanto era buffo; poi si diresse verso il laghetto, in
silenzio. No, Black non era come tutti gli altri, aveva chiesto scusa,
aveva fatto un’offerta, a modo suo, e ora stava a me
decidere. Non era il tipo da genuflettersi per ottenere il mio perdono,
e forse meritava di ottenerlo proprio perché non era un
patetico “molliccio” come tanti che avevo
incrociato, che tremavano davanti al nome d mio padre.
“D’accordo Black, Ti
posso concedere un’altra possibilità, anche
perché non voglio che tu mi rovini l’estate,
quando verrai a Herrengton. Se non mi farai altri stupidi scherzi,
avrai il mio perdono pieno, alla fine dell’estate.”
Mi sorrise mentre mi prendeva la mano che gli avevo offerto, la sua
presa era energica, ma anche gentile: il patto era sancito, mi chiedevo
se avesse tanto onore da rispettare l’impegno.
“Ti va di giocare a scacchi
magici con me?“
“No, non mi piacciono gli
scacchi, io non sono come mio fratello.”
M diede le spalle e si mise a fissare il laghetto ghiacciato. Certo che
era proprio strano!
“Ti prenderai un malanno, se resti qui, tra poco
riprenderà a nevicare! Non importa se non vuoi giocare con
me, ma ti conviene seguirmi. Se passiamo da quella porta saremo subito
al riparo".
Gli indicai la porta a vetri del salone che usavamo d’estate,
posto sotto la mia camera, acconsentì, probabilmente solo
perché la neve già cadeva sempre più
fitta. Vidi che mi seguiva incerto.
“Sei sicura di potermi
invitare?”
“Io non sono come
te!”
Ghignai e me lo lasciai dietro mentre salivo la scala, correndo
stranamente felice. Sirius non aveva mai visto quella parte della
villa, era stato sempre e solo nelle stanze aperte agli ospiti durante
le feste e i ricevimenti: la scalinata che portava alle stanze
padronali assomigliava oggettivamente a quella di Grimmauld Place, con
appesi alle pareti tutti quei ritratti di maghi e streghe del passato
che seguivano il passaggio e bisbigliavano dietro a quanti si
avventuravano lungo i gradini, ma confrontando il tutto con la casa dei
Black, ad Amesbury c’era molta più luce e un
maggiore senso di calore e intimità. Arrivati in cima alle
scale, i miei pensieri su quale fosse l’elfo più
orrido che avevo intravisto esposto a Grimmauld Place furono
interrotti: Sirius sembrava rimasto inebetito davanti al ritratto di
mia nonna, Ryanna Meyer, una strega dai capelli corvini e gli occhi
d’acciaio, che lo guardava con aria severa e altezzosa.
Sembrava rimasto senza fiato.
“Chi è la donna del
ritratto?”.
“Dovresti riconoscerla,
è Ryanna Meyer, la mia nonna paterna”.
“Merlino, Meissa, le assomigli
tantissimo!”
Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, estasiato. Sorrisi,
timida: lui non poteva saperlo, ma dicendomi una cosa simile mi aveva
fatto un complimento enorme, perché nella nostra famiglia e
nelle terre del Nord la bellezza di mia nonna era ancora leggendaria.
“Andiamo dai, prima che
qualcuno ci veda per le scale.”
“Allora stiamo davvero
infrangendo qualche regola di casa Sherton, principessa! Che dici?
Sarò all’altezza della sala delle torture di tuo
padre?”
Mi fece un occhiolino, complice, ed io trattenni a stento
un’altra risata mentre aprivo la porta e mi affrettavo ad
entrare, chiamai subito Kreya. Sirius mi seguì curioso e si
ritrovò nella mia stanza dei giochi, che assomigliava a una
gigantesca casa delle bambole, in cui i colori pastello, soprattutto il
rosa e il giallo chiaro, dominavano su tutto.
“Lo sapevo, ecco la prova che
sei una bambola animata! Qual è il tuo angolino?”.
“Sei sempre il solito villano,
sei proprio senza speranza!”.
Gli voltai le spalle fintamente offesa, rivolgendogli a bassa voce un
paio d insulti giocosi in gaelico, fingendo di prendermela con me
stessa per essermi illusa.
“Non vale, Sherton lo sai che
non conosco lo scozzese, non mi provocare!”
Mi guardava innocente, ma ero sicura che avesse capito che stavo
giocando, forse conosceva abbastanza del mio dialetto da capire che non
l’avevo affatto insultato. Divenni rossa, Merlino, cosa stavo
facendo? finsi di non averlo sentito, gettai il cappotto su una sedia,
e mi rivolsi a Kreya.
“Se cercano Sirius digli che
sta giocando qui con me, l’ho invitato altrimenti diventava
un pupazzo di neve!”
Lo guardai deridendolo, poi congedai l’elfa con tono
autoritario e Sirius trattenne a stento una risatina di scherno.
“Cos’hai da ridere
adesso ? Ti sembra una cosa tanto divertente?”
“No, è che... Se lo
dicessi io, invece di rassicurarsi, si materializzerebbero tutti quanti
in camera mia in un attimo!”
“Certo, tu sei un criminale
degno delle prigioni di Azkaban!”
Risi acida e gli diedi le spalle.
“Ah davvero? E tu cosa
saresti? Se m’ hai invitato nelle tue stanze
benchè mi consideri adatto a Azkaban, sei già
folle d’amore per me, è questa la
verità! Immagino quanto sarà contenta mia madre
quando glielo dirò!”.
Rise sarcastico e io divenni color peperone, non sapevo se di rabbia,
di paura o di vergogna.
“Quale amore, Black?! Ho dato
ospitalità a un reietto, che stava morendo di freddo nel mio
giardino!”
Mi voltai a guardarlo con aria di sfida, mentre Sirius, appoggiato
ancora alla porta della camera, rispondeva con occhi sempre
più divertiti. Merlino… che stavo facendo? Una
volta avevo visto Rigel comportarsi così con la figlia di
Emerson e Mirzam l’aveva poi preso in giro per giorni dicendo
che ci aveva “flirtato”! Ormai di color rubino, mi
avvicinai alla libreria, dandogli le spalle, se l’avessi
guardato ancora non sarei più stata capace di parlare.
“Vuoi vedere l’album
del Quidditch o sei talmente “inutile” che non ti
piace nemmeno quello? Preferisci tenere su la porta, Black?”
“L’album del
Quidditch di tuo padre?”
Annuii e Sirius smise di fare immediatamente l’idiota, si
tolse il mantello, stranamente entusiasta, lo buttò su
un’altra sedia, avendo cura di togliere la bacchetta che dal
giorno del compleanno, benché non potesse usarla, teneva
sempre con sé: trattenne di nuovo un sorriso perfido
ripensando, probabilmente, che il giorno prima non aveva fatto molta
attenzione mentre giocava con la bacchetta davanti a Regulus. Gli feci
segno di sedersi mentre io provavo a salire sulla sedia per prendere
l’album, su un ripiano, troppo alto.
“Aspetta!”
Sirius si avvicinò, salì sulla sedia al mio
posto, si sporse sulla mensola e indicò il libro, io annuii
e lui lo prese. Balzò dalla sedia, e con un inchino mi
consegnò il libro.
“Al tuo servizio
principessa!”
Non potei fare a meno di ridere.
“Non c'è nulla da
ridere, Sherton! Quando voglio sono davvero un Black,
ricordatelo!”
Mi fece l’occhietto. Cosa Merlino voleva dire? Ricordai che
la mamma, parlando con mia zia, diceva sempre che i Black facevano
scuola, per eleganza e galanteria: avevo già notato che i
figli di Walburga erano sempre perfetti rispetto a molti nostri
coetanei, ma non avevo mai considerato che fossero due Orion Black in
miniatura. E di Orion Black si diceva che fosse stato uno dei
più famosi dongiovanni di Hogwarts, ai suoi tempi, anche
più di mio padre. Sirius si mise ad ammirare
l’album di papà, in cui erano raccolte alcune foto
di quando era il cercatore di Serpeverde a Hogwarts: notai che si
soffermò su una foto in cui festeggiava la vittoria con
Orion, papà reggeva la coppa e Black la sua scopa. Sirius
aveva un’aria strana, era sparita la sua proverbiale aria
canzonatoria, sembrava quasi triste.
“Sirius? Va tutto
bene?”
“Cosa? Ah sì,
sì, certo, sto benissimo, se tu sei accanto a me, mia dolce
principessina!”
Mi prese la mano e me la baciò, io la ritrassi attonita, non
capivo quegli sbalzi d’umore.
“Smettila Black, io non sono
una di quelle frignanti ragazzine inglesi che frequenti a
Londra!”.
“Salazar, sei già
gelosa Sherton? Dimmi di sì e ti giuro che non
guarderò mai più in tutta la mia vita
un’altra ragazza, giuro!“
E fece il segno del giuramento magico sul suo petto.
“Quanto sei scemo! Volevo solo
dire… che …”
“Che?"
Salazar, in che situazione mi ero messa, e ora cosa gli dicevo? Sirius
mi guardava con un'aria strana, non capivo più se era
davvero interessato o si stava preparando a ridere, per come m ero
messa nel sacco da sola.
“Perché sei
così triste? Perché la foto dei nostri genitori t
ha spento il sorriso?”
“E perché dovrei
dirlo a te?”
Il sorriso radioso gli sfiorì subito sulle labbra e rimase
un attimo pensoso, come quel pomeriggio sotto al platano.
“Perché se vuoi
posso essere un’amica per te….”
“Cosa ti fa credere che io ne
abbia bisogno, Sherton?”
Stavo per rispondergli male, picchiarlo anche, perché se
continuava così, forse mi sarei messa a piangere.
Perchè doveva essere così odioso anche adesso che
gli parlavo col cuore in mano?
“Perché tu mi hai
seguito quel giorno nella neve, senza nemmeno sapere chi fossi,
perchè hai avuto paura per me, pensando che mi fossi ferita.
Rigel mi ha detto tutto. Sarai anche pazzo e scemo, Black, ma
… io nn dimentico.”
“Forse... se avessi saputo che
eri tu…."
Mi guardò divertito, a me salirono le lacrime agli occhi.
"No, scusa, non è vero. Mi
sono preoccupato davvero quel giorno. E sono stato davvero fiero di te,
quando li hai messi in riga… Sai, penso sarà
un’estate entusiasmante per noi, Meissa, perchè io
ti dimostrerò di meritare il tuo perdono e tu ... diventerai
mia amica.. Ci stai?”
“Sì. Ci
sto.”
Mi guardò, serio, ma presto la luce giocosa ebbe la meglio e
non potemmo evitare di ridere come mai avevamo fatto finora.
“Comunque, Sherton, non credo
m vedrai spesso a Herrengton, conto di andare in giro per boschi con
tuo padre e i tuoi fratelli, lascerò che sia Regulus a
frignare attorno alle tue gonne!”
Rise di nuovo.
“Tu per i boschi di
Herrengton, Black? Merlino! Devo ridere? Tu ti perderai già
nel cortile, altro che boschi! E poi ti illudi che mio padre porti a
zonzo voi, lasciandomi a casa? Tu non hai proprio capito nulla di
quello che ti aspetta, Black, quest’estate mio padre ti
rimetterà in sesto quel tuo cervellino malato! Ecco quello
che ti succederà!”
“Vogliamo scommettere,
Sherton?”
“E cosa vorresti giocarti,
Black?”
In quel momento, Kreya si materializzò nella stanza ormai
satura della nostra strana complicità, facendoci sussultare:
dovevamo scendere, i suoi erano pronti per ritornare a Grimmauld Place;
Sirius mi diede la mano, col suo solito sorriso radioso.
“Sai, Mey, magari mi sto
sbaglaindo, ma ho la sensazione che qualsiasi cosa accadrà,
io e te saremo amici per sempre!”
Il momento zuccheroso passò subito, lui mi diede un bacio
sulla mano e mi guardò strano, io gli lanciai uno dei miei
soliti sguardi di sfida: tornammo rapidamente ad essere noi stessi, in
silenzio seguimmo Kreya fino nel salone dove ci aspettavano i suoi
genitori. Mi spaventò, come sempre, l’aria
compiaciuta con cui m guardò Walburga, ma stavolta c'era
qualcosa di nuovo che mi rendeva allegra. Sirius Black era stato
sincero, e di certo saremmo diventati buoni amici.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
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