La chiave silenziosa girò nella toppa e la porta si aprì con
un leggero cigolio.
“Dovremmo metterci un poco d’olio, non ne posso più di
quello scricchiolio, è insopportabile!”
Così aveva detto, così diceva
sempre.
Il ragazzo entrò lasciando che l’impermeabile che aveva
indosso cadesse per terra, era fradicio, fuori pioveva
a dirotto.
Meccanicamente chiuse la porta alle sue spalle e con passi
svelti e sicuri si diresse verso la camera da letto mentre il battito, come
ogni giorno, accelerava bruscamente.
La porta si aprì e poté tirare un sospiro
di sollievo, lui era ancora là, fermo e immobile, come ogni giorno. Solo
il movimento regolare del torace lo rendeva vivo agli occhi di uno sconosciuto.
Quella pelle pallida, quelle bende
intrise di un rosso cupo sugli occhi e quelle lacrime che incessanti sgorgavano
dai suoi occhi e solcavano la marmorea pelle del volto.
Lacrime rosse, lacrime di sangue.
Il biondino mostrò un sorriso nel percepire quel silenzio
tranquillo rotto solamente dal rumore regolare del monitoraggio cardiaco, segno
indelebile che l’amico era vivo.
Si avvicinò al letto e si sedette sulla sedia posta accanto,
allungò il braccio infreddolito sino a sfiorare le guance del moro.
-Sono a casa Ban-chan...-
Così trascorreva ogni giorno, regolare sino a sfiorare la
monotonia, ma a lui andava bene così, non pretendeva più nulla...
Ecco forse, forse ancora una cosa desiderava, voleva solo
che quegli occhi blu come la notte e lucenti come il giorno si schiudessero
ancora una volta.
Solo questo, del resto non gli importava più nulla.
Era un pensiero ricolmo d’egoismo e quando se n’era accorto,
con sua enorme sorpresa non se n’era rammaricato, anzi se n’era rallegrato, a
dispetto d’ogni apparenza.
Ogni giorno si svegliava con il trambusto del traffico e non
appena i suoi occhi si schiudevano e notavano la figura del compagno, immobile,
tranquilla, le sue labbra mostravano un dolce sorriso e accarezzando i capelli
bruni pronunciava parole talmente soavi che se egli stesso si fosse risentito, anni
addietro, non vi avrebbe creduto, nessuno vi avrebbe
creduto.
-Buon giorno Ban-chan. Come va?-domandava sorridendo mentre si stiracchiava e alzava le tapparelle
elettriche permettendo ai raggi del sole di entrare.
Si preparava un veloce caffè e poi tornava da lui e trascorreva
lunghe ore a parlare, dei sogni che aveva fatto, di quello che avrebbe dovuto fare quel giorno.
Sciocchezze forse, ma quelle erano le uniche parole che gli
permettevano di continuare a vivere, di sopportare la vita stessa che
trascorreva giorno per giorno.
Si vestiva e solo dopo aver controllato che la flebo fosse a posto, il respiratore ben posizionato e le
coperte rimboccate allora sorridendo gli
baciava la fronte e usciva chiudendo la porta, non prima però di averlo
salutato.
-Ci vediamo per cena Ban-chan...-
Aveva abbandonato il lavoro di Get Backers da tempo,tre mesi per essere esatti,da quando era accaduto
l’incidente.
Niente, nessuno era riuscito a smuoverlo da quella posizione benché ci avessero provato tutti e in migliaia di
modi. Ginji non aveva ceduto per alcuna ragione e le motivazioni da lui portate
avevano scosso nel vivo i presenti.
-Io non farò il get backers sino a
quando Ban-chan non si riprenderà, poiché è stato questo lavoro a
portarci a questo...e poi il mio partner e Ban-chan, o lui o nessuno!-.
Davanti a questa motivazione in apparenza infantile n’aveva
portata un’altra, molto più convincente.
-Io voglio occuparmi unicamente di
Ban-chan, ora come ora non ho altre ragioni di vita...-.
Davanti alla domanda su come avesse intenzione di mantenere
lui, Ban e le cospicue spese sanitarie, il ragazzo si era alzato dal divano e
facendo qualche passo incerto per la stanza si era limitato a dire che un
lavoro l’avrebbe trovato. I presenti ribatterono fortemente davanti a quell’affermazione ma il ragazzo fu irremovibile.
-Io voglio mantenermi solo grazie a me stesso, voglio
pagare io ogni cosa e non m’importa quale lavoro dovrò fare o quante ore, io
voglio, io devo farlo...per lui...-e solo allora i suoi occhi si rivolsero di fronte alla porta che dava nella camera da
letto.
Non accettò nessun aiuto, nemmeno le
insistenze non sempre cordiali di Himiko lo fecero smuovere.
-So cosa provi per lui e proprio perchè lo sai penso che tu possa capirmi...-aveva ribadito secco
facendo tacere la ragazza.
Sconfitto anche quest’ostacolo Ginji poté ritenersi
soddisfatto e assumersi come compito quello di
dedicarsi con tutto sè stesso unicamente a Ban.
Ma trovare un lavoro che ti
permettesse di curare una persona in coma e sostenere le ingorde spese sanitarie
non era facile, impossibile a dirla tutta.
Ginji non si era arreso, aveva cercato ovunque e finalmente
l’aveva trovato. Un bar nel centro di Shinjuku, un locale
aperto 24 ore su 24, aperto e dedicato solo ad una clientela maggiorenne.
Il nome era “Hot sense”.
Nessuno aveva approvato e tutti gli avevano più volte
pregato di lasciarlo. Hevn stessa gli aveva promesso di cercargli un lavoro
ottimamente retribuito che soddisfasse ogni sua esigenza ma
Ginji aveva cordialmente rifiutato.
-E’ un locale a luci rosse!Non puoi lavorare lì!-lo aveva ripreso l’amica nel tentativo di persuaderlo in una
delle rare visite che il ragazzo faceva all’Honky Tonk.
-Hevn-san ha ragione, nemmeno io approvo Ginji-san, e
sono certo che nemmeno Ban se lo sapesse
approverebbe...- aveva continuato l’amico Kazuki mentre sorseggiava del te.
A quell’affermazione Ginji si sentì punto nell’orgoglio e
s’infuriò -Credete che io mi possa vendere sino in quella maniera?Mi
rincresce che voi mi abbiate giudicato così, mi sento enormemente ferito dalle
vostre insinuazioni!Ma sappiate per vostra personale
informazione che io in quel locale non vendo il mio corpo!-e detto questo
era uscito dal locale sbattendo la porta.
Si era poi pentito del suo comportamento e si era
debitamente scusato con entrambi e fu proprio quella sera, dopo aver telefonato
agli amici, che sedendosi vicino a Ban si era reso
conto che avrebbe venduto anche l’anima per rivedere quegli occhi schiudersi
ancora una volta.
Il locale gli permetteva un orario flessibile e mutabile in
base alle sue esigenze personali, grazie anche all’ottima impressione che aveva
fatto al gestore e alla discreta popolarità che aveva ottenuto con la
clientela.
Sempre affabile, sempre gentile e dolce, caratteristiche
ben rare tra i giovani d’oggi che invece traboccavano limpide da Ginji.
Ogni volta che terminava il suo turno si cambiava e
poi salutava il suo capo prima di tornare a casa.
-Allora a domani signor Kuraki.-
Tornava a casa il più velocemente possibile e dopo aver
appurato che Ban stesse bene poteva lasciarsi andare in un lungo respiro di
sollievo. Si faceva una rapida doccia, preparava una frugale cena e poi si
sedeva al capezzale dell’amico raccontandogli cosa avesse fatto durante la
giornata, di chi avesse incontrato, di cosa avesse parlato. Mentre
faceva questo pettinava i lunghi capelli castani dell’amico oppure gli
massaggiava una mano tenendola ben stretta sè.
Quando l’ora iniziava ad essere tarda allora srotolava un
futon ai piedi del grande letto,indossava il pigiama e
solo dopo aver rimboccato le coperte all’amico e controllato che ogni macchina
fosse a posto allora lo baciava sfiorando appena con le labbra quella pelle
lattea. Solo dopo andava a dormire.
-Buona notte Ban-chan...-
Certe volte le giornate trascorreva così, tranquille e spensierate,
come se nulla fosse cambiato.
Altre volte i giorni passavano lenti e lacerati da un dolore
lancinante ed un senso di colpa insostenibile.
Seduto su quella sedia osservava il lento scorrere del
sangue da quegli occhi ora chiusi e imprigionati in chissà quale orrendo incubo
che aveva inflitto a sè stesso pur di salvarlo.
Era lui il colpevole.
Lui l’orrendo assassino.
Lui il motivo di quella sua apparente morte.
Lacrime copiose rigavano il volto e gemiti squarciavano il
silenzio dell’appartamento.
I ricordi di quel lontano giorno erano ancora tangibili e
poteva rivedere ogni immagine scorrere, vivere, compiersi davanti ai suoi
occhi. Non poteva fuggire. Poteva solo subire.
Pregare, implorare, supplicare che l’esito cambiasse, almeno
per una volta.
Evitare quel vile colpo dato con un sadico sorriso sulle
labbra.
Sopportare il contraccolpo e piombare contro la granitica
parete del capannone.
Vedere che Ban atterrava Ryudo Hishiki per l’ennesima volta
facendogli perdere i sensi.
Sorridere mentre si è aiutati a rialzarsi.
-Sei la solita palla al piede...-detto con un riso.
-Gomen Ban-chan!-rispondere massaggiandosi la testa.
-Tutto a posto?-chiesto con un tono preoccupato.
-Tranquillo, tutto ok...-rispondere con tono sicuro e
sorridente.
E sorridere. Ridere. Fuggire.
Pregustandosi già la ricompensa. Volando con la fantasia.
Lasciandosi persuadere da quella voce così sicura e rassicurante.
-Questa volta saremo ricchi, Ginji!-
Ma non era successo questo. Era
andato tutto male, fin dall’inizio.
Erano stati scoperti e avevano dovuto ingaggiare uno scontro
diretto con la scorta. E contro Ryudo Hishiki,
l’immortale.
Nulla aveva saputo arrestare quella montagna di muscoli, né
una scarica elettrica, né lo Snake Bite a piena potenza.
Solo il Jagan si era rivelato un
valido aiuto,e Ban l’aveva usato. E quella era la
terza volta...
E poi quel colpo preso in pieno, senza
possibilità di difesa.
Era stato sbalzato dalla parte opposta e sfondata la
finestra era precipitato per un paio di metri prima di
trovarsi a contatto con il freddo e duro cemento della strada che passava
presso quel capannone.
Dolore, sapore di sangue sulle labbra, confusione. Cos’era accaduto?
E poi quella voce chiara...
-Ginji!Ginji!>-
Voltarsi e vedere che sopraggiungeva rapido il compagno di
squadra.
Udire poi il rumore fragoroso di un tir
che sopraggiunge contro di te. Girarsi appena e capire
subito che non ci sarebbe stata via d’uscita...
E poi ancora quella voce...
-Ginji!-
E poi...poi quella frenata che
squarcia l’aria e ritrovarsi ancora vivi. Vedere davanti a te
la figura del tuo compagno, immobile e fiero come sempre. Il camion a mezzo metro di distanza con un conducente visibilmente
terrorizzato.
-Ban-chan...-sibilare quel nome quasi con riverenza.
-Sei la solita palla al piede...-
...............
E poi quelle gocce di sangue che dipinsero
l’asfalto. Scendevano da quegli occhi blu come la notte.
Aveva forzato il loro limite ed ora ne pagava le severe
conseguenze...
Crollò a terra svenuto e da quella
volta non si svegliò più.
Nulla poteva placare quel dolore e quel sentimento di colpa
che dilaniavano il suo già tormentato cuore.
Le lacrime dapprima sgorgavano abbondanti da quegli occhi bruni ma ora erano finite e forse piangere senza lacrime era
ancora peggio.
Si trascinava al lavoro senza il minimo di vita e si
limitava a servire i clienti con un tiepido e falso sorriso sulle labbra e
quando l’ora del turno era conclusa, era solo allora che diventava una figurina
tremante agli occhi di chiunque.
Timoroso e lento raggiungeva l’appartamento e ci volevano
delle ore, prima che riuscisse ad entrare nella stanza in cui stava Ban.
Tremava e sudava freddo, come se al di là
di quella parte lo attendesse il suo peggior incubo,...ma forse era
proprio così.
Aveva perso il conto di quante volte aveva lasciato trillare
il telefono per intere giornate senza rispondere mai, di quante volte aveva
chiuso porte in faccia agli amici con la scusa di sentirsi poco bene, di quante
sere aveva passato a piangere sotto la doccia, rannicchiato in un angolo, di
quante volte avesse pregato di fare, almeno per una notte, un sogno e non un
incubo.
Invano, tutto inutile.
In quei giorni la felicità sembrava essere dipartita per chissà
quale lontana terra e l’aveva lasciato imprigionato nel suo dolore.
C’era stato un periodo nel quale aveva perso ogni stimolo.
Non provava più nulla...
Né fame, né sazietà.
Né caldo, né freddo.
Né allegria, né dolore.
Tutto gli scivolava addosso senza colpirlo o destarlo, era
come se anch’egli fosse entrato in coma, in una dimensione irreale eternamente
immobile e presente.
Ma qualcosa, qualcuno
era riuscito a ridestarlo, senza nemmeno volerlo...forse
Si era ritrovato a passeggiare per l’odiosa Shinjuku, lui
che la detestava.
Aveva riscoperto quel vicolo che portava a quel bar frequentato da ben poche e misteriose persone.
Vi era entrato senza alcun motivo apparente e nello stupore
generale,dovuto anche ad una notevole parte di paura
che infondeva la sua presenza,era venuto a conoscenza dell’incidente.
-Che peccato...-si era limitato a dire
mentre finiva di sorseggiare una tazza di te per poi uscire dal bar e
sparire così com’era arrivato.
Aveva rintracciato, senza fretta apparente, l’indirizzo e
dopo aver eliminato il suo informatore se n’era andato con quel bigliettino
nella tasca della lunga giacca di pelle.
Aveva continuato con la sua vita di corriere e solo un
giorno, camminando per Tokyo, la sua mano estrasse
dalla tasca quel bigliettino ancora perfettamente conservato.
Sorrise, forse era l’ora di una visita...
Si recò subito in quel palazzo abbastanza nuovo e senza
preoccuparsi troppo si diresse verso l’interno 16 e bussò alla porta.
Dovette aspettare un paio di minuti ma
sapeva essere paziente se voleva e attese che la porta venisse aperta da quello
che doveva essere al tempo il Raitei.
-Buonasera Ginji-kun...-esclamò con il tuo solito tono
apparentemente e il tranquillo. Il biondino sembrò non stupirsi di quella
visita e la cosa sembrò quasi rammaricare Akabane.
-I miei complimenti, hai affinato il tuo
self-control...-disse mentre si accomodava in
soggiorno.
Dalle poche parole che poté udire
dalla bocca di Ginji poté constatare che la situazione era davvero critica e
comprometteva seriamente la sua intenzione di sconfiggere entrambi durante una
missione,e questo lo seccava parecchio. E poi vedere Ginji così indifeso,senza barriere,senza scudi...insomma era totalmente
deprimente!In un confronto pure i fratelli Svastica sarebbero stati migliori di
lui!
Avrebbe dovuto ucciderlo?
-Ti ringrazio per la visita Akabane...-
Quella voce titubante ruppe le sue congetture e decise di
metterlo alla prova, forse non era diventato ancora
inutile come avversario.
-Allora la prossima volta con chi dovrò
confrontarmi?Chi sarà il tuo fortunato nuovo partner che dovrò
eliminare?-domandò sorridendo.
Ginji alzò lo sguardo e sembrò che una lucina, sebbene fioca,si fosse accesa in quegli occhi scuri.
-La prossima dovrai confrontarti
con me e Ban-chan e ti assicuro che non eliminerai nessuno,anzi saremo noi a
batterti...-disse con tono serio,sebbene la voce fosse bassa.
Akabane sorrise, forse non doveva ucciderlo ora, non sarebbe
stato divertente...
-Molto bene, anche perchè mi sto annoiando senza le
vostre puntuali incursioni nelle missioni- esclamò mentre
si alzava. Ginji lo seguì con lo sguardo senza muoversi dalla sua posizione, sussultò
solo quando sentì una mano sulla spalla.
-Alla prossima...-
Uscì chiudendo silenziosamente la porta alle sue spalle.
Ginji si strinse le braccia intorno alle spalle mostrando un
lieve sorriso mentre lacrime copiose rigavano le
guance.
-Alla prossima...-