Carlo
era un agricoltore. Uno di quelli moderni, con il wi-fi sul trattore e
arando un campo consultava il GPS per vedere di non sgarrare neppure di
un millimetro. Carlo, che era un bravo ragazzo conscio del fatto che
l’ambiente va trattato bene, produceva solo frutta e verdura
biologiche. Ci teneva moltissimo che i suoi campi fossero liberi da
robacce chimiche e da intrusi di tutti i tipi: spesso gli era capitato
di fermare un lavoro per raccogliere un sacchetto di plastica che il
vento aveva portato a spasso sopra le sue terre.
Era
molto contrariato dall’idea che la spazzatura di qualcuno
finisse per errore sotto le radici delle sue piccole piantine, o che si
avviluppasse sulle foglie dei germogli che avevano tanto bisogno di
sole. Così, il giorno che trovò un bel fiocco
rosso attaccato ad un’erba di campo cresciuta in un fosso ai
bordi della sua proprietà scese dal trattore piuttosto
rabbuiato:
“Possibile che ci sia sempre qualche scriteriato che butta
via le cose lungo la strada invece che negli appositi
cassonetti?”
Il fiocco scintillava nel sole del primo pomeriggio, mentre i nastri
svolazzavano allegri nella tiepida brezza autunnale. Nonostante il
fastidio di trovarselo lì, ad un passo dai campi e mezzo
metro sopra l’acqua del fosso che serviva ad irrigarli, il
fiocco lo indusse a sorridere: era molto buffa questa strana canna
solitaria, con in cima quella specie di pompon svolazzante. Scese fin
quasi a livello dell’acqua e tese la mano per togliere
l’intruso, che però sembrava non volerne sapere di
staccarsi.
Dopo
qualche inutile strattone, decise di avvicinarsi ulteriormente per
sciogliere il nodo che si era evidentemente formato. Sollevò
un lembo e: meraviglia! Il fiocco era proprio attaccato alla canna; un
piccolo picciolo verde si staccava dal fusto principale e si produceva
in questa piccola voluta di nastro. Visto così, a tutti gli
effetti, l’impressione era che fosse davvero una specie di
fiore.
Forse
è qui da molto tempo e la canna, crescendo, lo ha avviluppato,
pensò senza troppa convinzione. Era certo di essere passato
diverse volte in quel punto negli ultimi mesi; conoscendosi, un fiocco
di quella portata non avrebbe potuto passare inosservato per
così tanto tempo. Decise comunque di non strappare
la canna e di lasciare il nastro dov’era. Nei giorni seguenti
però, tornò a controllare ogni sera prima di
tornare a casa: il fiocco sembrava sempre più grande e si
accentuavano i riflessi dorati, alla luce gentile del sole al tramonto.
Dopo una settimana abbondante, Carlo si rese conto che c’era
qualcosa sotto al nastro: ancora una volta si fermò e scese
fin quasi in acqua per poter osservare da vicino.
Sotto
al fiocco era spuntato un piccolo pacchetto di carta verde con una
fantasia floreale. Strabiliato, allungò una mano per
toccarlo: era proprio una bella carta da regalo che avvolgeva una
scatola delle dimensioni di quelle che, solitamente, contengono un
anello oppure un paio di orecchini. Il nastro la avvolgeva come se
fosse appena stato incartato in una qualche gioielleria del
centro. Nelle settimane successive il pacchetto si
ingrandì fino alle dimensioni di una mezza scatola da
scarpe; allo sconcerto di quel fatto prodigioso si stava cominciando ad
unire una sottile inquietudine:
“Fino a che punto crescerà?” si
domandava.
Ma
la sua preoccupazione più grande era che qualcuno potesse
accorgersi di tanta meraviglia e decidesse di staccarlo oppure,
pensiero ancora peggiore, che gli rubasse addirittura la pianta. Fu
così che decise, un giorno, di andare a prendere la pianta e
trapiantarla in un luogo più sicuro. Con il badile
scavò una grande zolla intorno al fusto, nel timore di
rovinarne le radici; poi la prese e la sistemò in un grande
vaso all’interno della sua veranda: lì sarebbe
stata al riparo dai primi freddi ma esposta ai tiepidi raggi del sole
al tramonto.
Il
pacchetto si ingrandì fino a diventare grande come un
piccolo televisore: sotto il suo peso la canna si era tutta incurvata,
sofferente, e Carlo l’aveva aiutata legandola ad un supporto.
L’aveva innaffiata amorevolmente e nutrita con un buon
fertilizzante: si vedeva dalle foglie che stava facendo un grosso
sforzo per produrre quella grossa scatola sormontata da quel magnifico
fiocco rosso.
Infine,
un pomeriggio di un giorno di dicembre, quando ormai mancava poco
più di una settimana a Natale, sentì un grosso
botto provenire dalla veranda. Doveva essere caduto qualcosa; forse,
pensò con terrore, si era addirittura rotto il supporto.
Corse là più velocemente che riuscì
ma, arrivato, non poté che constatare che il regalo si era
staccato dalla pianta e che lei se ne stava lì, dritta e
libera da tutto quel peso. Le foglie avevano assunto una posizione
diversa dal solito, quasi la pianta mostrasse tutto il suo orgoglio
nell’aver prodotto un regalo così grosso.
Carlo
lo raccolse, domandandosi cosa avrebbe dovuto farne. Nel sollevare la
scatola si accorse che, staccandosi dal picciolo, il pacco aveva
staccato di netto una foglia. Dispiaciuto, decise di provare a
salvarla: la mise in un bicchiere con un po’
d’acqua nella speranza che potesse mettere una piccola
radice. Poi, preso il pacco, se ne tornò in casa.
Lo sistemò sotto l’albero; la presenza di un
regalo così importante fece di colpo sparire i piccoli
pacchetti che aveva preparato per i suoi pochi amici. Lo
guardò spesso, mentre la notte di Natale si avvicinava;
addirittura provò a scuoterlo per vedere se, dal rumore, si
potesse intuirne il contenuto.
Giunta
la notte del 24, davanti all’albero ed al presepe illuminati,
decise di provare ad aprirlo. Il fiocco non si poteva sciogliere: in
realtà sembrava proprio un fiore, con al centro un piccolo
seme. Il pacco invece si aprì: conteneva una magnifico
modellino di locomotiva, uno di quelli addirittura da collezione.
Carlo, da sempre appassionato di treni, si commosse persino, per aver
ricevuto un regalo tanto bello ed inaspettato. Corse dalla pianta,
accarezzandone le foglie per ringraziarla. Poi, sempre nel tentativo di
aiutarla per quanto possibile, provò anche a piantare quel
piccolo seme contenuto nel fiocco.
In
capo a qualche settimana, sia la foglia che il seme avevano dato segno
di essere riusciti a sopravvivere. Confortato dal successo, Carlo
decise di costruire una serra per piantare queste magnifiche piante e
dare loro tutti i comfort che meritavano. Tra semi e talee si
trovò ben presto ad avere molte piante nella propria serra e
l’autunno successivo fu un profluvio di regali. Dal colore e
dalla fantasia della carta, pardon, della buccia, era in grado di
distinguere se fosse destinato ad un uomo o ad una donna, ad un ragazzo
oppure ad una bimba. Tutti, quel Natale, si mostrarono entusiasti dei
suoi regali e tutti, invariabilmente, gli dissero che quel regalo era
in assoluto la cosa che più avrebbero desiderato ricevere.
Spinto
da questo successo, impiantò una seconda serra e
cominciò a trascurare i campi per dedicarsi notte e giorno
alle sue amate piante da regalo. In breve cominciò ad averne
così tante che si mise d’accordo con i negozi
perché vendessero direttamente i suoi pacchi invece dei
regali normali. Oscurò i vetri laterali delle serre
perché nessuno potesse vedere cosa succedeva al loro interno
e installò un impianto d’allarme perché
nessuno potesse impadronirsi del suo segreto.
La
gente, però, cominciò a discutere di come facesse
a produrre così tanti pacchi con i regali.
“I regali di certo non gli crescono sugli alberi”,
dicevano alcuni, domandandosi davanti ad un bicchiere di vino da dove
arrivasse tanto ben di Dio.
“Tutti questi pacchi sottocosto, finiranno per fare chiudere
le aziende.”, dicevano altri, proprietari di qualche
industria di giocattoli.
Un
altro Natale si avvicinava velocemente, il cielo era sempre
più scuro e l’aria sempre più fredda.
Ai primi di dicembre la neve cominciò ad imbiancare case,
vie e piazze e la gente cominciò a comperare i regali nati
dalla piante. Chi non aspettò Natale, trovo comunque sempre
ed invariabilmente la cosa che più desiderava, che fosse una
bambola, una cravatta, oppure un viaggio ai Caraibi. Per Carlo fu un
successone, ma per i produttori di regali fu una debacle.
Un’autentica Caporetto.
La
primavera successiva, con i guadagni del Natale precedente, Carlo
iniziò a costruire altre serre dove crescere amorevolmente
le piantine. Entrare in quelle case di vetro, al tepore del sole,
circondato da migliaia di piante con fiocchi di tutti i colori lo
riempiva di gioia. Così una domenica se ne andò
fuori città, al mare. Voleva riposarsi delle fatiche fatte
negli ultimi anni, dedicati completamente alle sue adorate colture;
voleva sentire la sabbia sotto ai piedi come quando era bambino ed il
rumore delle onde che si frangono lievi sul bagnasciuga.
Fu
un pomeriggio felice: cullato dei richiami dei gabbiani e purificato
dall’odore salmastro che spirava dal largo gli parve di
tornare fanciullo, quando su quelle spiagge era solito andare a passare
con i nonni i primi giorni di vacanza dalla scuola. Poi, dopo qualche
ora, il sole decise che era tempo di scendere per mettersi a dormire e
Carlo salì in macchina per tornare a casa.
Quando
rientrò dal cancello d’ingresso, però,
ebbe una brutta sorpresa. Le serre giacevano a terra, distrutte. Le
piante, secche e moribonde, erano state avvelenate. Con le lacrime agli
occhi si domandò chi avesse potuto fare una cattiveria
simile, solo per rispondersi con una lunga lista di nomi. Venne il
commissario: si guardò in giro, fece qualche rilievo.
Nessuno aveva visto nulla. Nessuno aveva udito nulla. Così,
svogliatamente, compilò la denuncia contro ignoti e se ne
tornò tranquillo in commissariato.
Carlo
era distrutto. Tutte le sue povere piantine! Di colpo gli sovvenne che
forse una si era salvata: la prima, quella che aveva trovato nel fosso,
l’aveva sempre tenuta con sé nella veranda! Corse
in casa e la trovò, quieta, nel proprio vaso. Come sempre.
Molte lacrime bagnarono le foglie quella notte. Quando venne giorno,
infine, Carlo cominciò a chiedersi cosa fare. Una grande
rabbia stava montando in lui, e diceva alla pianta tutti i suoi
propositi bellicosi.
Quella
lo ascoltava paziente, ma le foglie rimanevano mogie; non sembrava
così concorde con i piani di battaglia
dell’agricoltore. Allora Carlo la guardò e le
chiese:
“Non sei d’accordo con me?”
La pianta non rispose, naturalmente, ma le foglie che cadevano
molli lungo i fianchi del fusto erano tutto tranne che un
sì. Carlo allora capì cosa volesse dire la
pianta; le sorrise e disse:
“Va bene. Allora faremo come dici tu.”
Lei
capì che lui aveva capito e, per l’emozione,
risollevò tutte le foglie.
Così
Carlo fece rottamare tutte le serre; si comperò un trattore
nuovo e tornò a coltivare i campi a granoturco come aveva
sempre fatto. Però tenne per tutta la vita cara e nascosta
la pianta della veranda. Lei, per ringraziarlo, tutti gli anni gli
faceva un pacco sempre più grosso che lui apriva
invariabilmente per S.Stefano: ogni volta era così certo di
trovare il regalo perfetto: quello che lui desiderava davvero e che
nessuno aveva pensato di regalargli.
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