ok2
Titolo: What the hell’s going on here?
Trama:
Lestrade quasi si strozzò con la sua stessa saliva quando vide
Sherlock Holmes prendere la mano di John e rivolgergli un sorriso
beffardo.
Ma che diavolo stava succedendo?
***
Quattro
omicidi e un serial killer a piede libero. E Gregory Lestrade comincia
a sospettare che Sherlock e John stiano nascondendo qualcosa.
Johnlock.
Future!Mystrade
Rating: giallo ( non si sa mai)
Genere: romantico, mistero, commedia.
Beta: xaki
Note:
Post Reichenbach così evitiamo psicodrammi, ma soprattutto ci
tengo a sottolineare che Mary qui non esiste non è mai esistita,
John non l’ha mai incontrata e sposata. Per quanto mi riguarda
potrebbe aver preso il Titanic colando a picco insieme a Jack U_U
Sappiate
anche che è lunga – come ogni mia OS- supera le venti
pagine word perché quando distribuivano il dono della sintesi io
ero in coda per una pizza.
Disclaimer: I libri sono di Conan Doyle, la serie tv della BBC ed io non ci guadagno nemmeno un nichelino a scribacchiare su di loro.
What the hell’s going on here?
Essere svegliati alle due e venti di sabato mattina era routine per il detective ispettore Gregory
Lestrade, ma non mancava mai di imprecare animatamente contro il
cellulare e il povero malcapitato di turno che lo aveva chiamato per
informarlo di un omicidio.
Mai che potesse godersi un week and in totale relax!
<<
Regent’s Park >> aveva detto l’agente chiedendogli di
fare in fretta perché presto avrebbe piovuto e -
oddio!- le prove sul cadavere e sul terreno sarebbero state cancellate
e Anderson – maledetto idiota- avrebbe compromesso quelle salve
dall’acquazzone.
Sì. Doveva sbrigarsi.
Quando
alle tre e cinque del mattino giunse alla scena del crimine
capì, con profondo rammarico - e un distinto bruciore allo
stomaco- che avrebbe dovuto chiamare Sherlock Holmes, perché
un cadavere messo in posa su un’altalena, al centro di un parco
pubblico, in piena notte con addosso un bigliettino su cui vi era
scritto a caratteri cubitali “try to catch me Sherlock” era
sicuramente un caso di sua competenza.
Dio ce ne scampi, bofonchiò fra sé scrivendogli un rapido messaggio.
Cominciò a piovere alle quattro.
Sherlock
Holmes in tutta la sua drammatica teatralità, messa in risalto
dal lungo cappotto che svolazzava al ritmo del suo incedere fiero,
arrivò sulla scena del crimine con un paio di insulti verso
Anderson già sulle labbra, seguito da John Watson, che Lestrade
era sempre felice di vedere perché in un modo a lui estraneo
riusciva a mitigare il carattere di Sherlock rendendo un po’
più facile la vita di chi gli stava attorno.
Lestrade
mostrò il cadavere ai due interessati e li lasciò
lavorare esattamente come aveva imparato a fare: facendosi da parte.
Fu solo quando si allontanarono dal corpo che l’ispettore lo notò: John era arrabbiato.
Avendo a
che fare con Sherlock tutti i giorni – povero uomo – era
normale che fosse arrabbiato, anzi era quasi straordinario non averlo
già visto impazzire a causa dell’eccentrico coinquilino
che si era scelto, ma in qualche modo il detective
ispettore notò che quella notte era molto più arrabbiato
del solito tanto da sospirare ogni tre secondi. E guardare Sherlock con
puro odio.
<<
E’ davvero interessante Ispettore >> si compiacque Sherlock
con un sorriso luminoso in volto << Un caso da otto direi, vero
John? >>
<< Oh, se lo dici tu … >>
Lestrade aggrottò la fronte << Sì, bene e che mi dici della vittima? >>
Non avrebbe dovuto chiederlo. Perché si ostinava ancora a fargli delle domande?
Sherlock iniziò un’interminabile filippica sul lavoro della vittima – giardiniere- e
delle sue passioni per gli hot club e la marijuana, del suo recente
divorzio e della crisi cardiaca che avrebbe avuto da un anno a questa
parte se qualcuno non lo avesse fatto fuori prima. E ovviamente,
secondo il suo modesto parere, avevano di fronte niente di meno che un
seria killer con un disturbo ossessivo nei suoi confronti tale da
averlo spinto a sfidarlo.
<< Magnifico! >> esclamò infine esaltato ricevendo un’occhiataccia da parte del caro John Watson.
<< C’è un uomo morto Sherlock! Per la miseria! Ed il tuo nome su un biglietto!!>>
<< John! Un serial killer! Come potrei non essere felice? >>
John
sgranò gli occhi << Oh, è bello sapere che ti
eccitano serial killer che ti sfidano mentre a casa … -
<<
Oh, taci John! Questo è un caso da otto! Ci vediamo al
Bart’s devo assolutamente identificare la sostanza collosa sotto
le sue scarpe! E ho bisogno del tuo aiuto! >>
E detto ciò si allontanò verso il taxi che lo stava aspettando.
John sospirò e Lestrade provò tanta pena per lui in quel frangente.
<< Ehm, senti … ti vedo nervoso. Stai bene? >>
<<
Magnificamente se non tieni conto del fatto che sono le quattro del
mattino e Sherlock sarà fuori di testa finché non
troverà questo maledetto serial killer; inoltre sono preoccupato
perché lo sta sfidando e potrebbe diventare una cosa pericolosa
>> e gli scoccò un’occhiata micidiale.
<< E ce l’hai con me? >> si stupì.
<< No, con il tuo maledetto tempismo >>
<< Tempismo per cosa? >>
John
scrollò le spalle: << Lascia perdere >>
sbottò l’amico prima di raggiungere Sherlock nel taxi.
Lestrade rimase interdetto fermo in mezzo al prato.
<< Cosa diavolo gli è presto al dottore ? >> domandò acida Sally Donovan.
Greg fece spallucce << Credo che Sherlock lo abbia contagiato con il brutto carattere >>
***
<< Come on detective! Come out and play with me >> lesse Donovan.
<<
Il bigliettino è stato trovato nella gola della vittima questa
volta >> spiegò con tono piatto << si diverte a
provocare lo strambo >>
<< Donovan! >>
<< E’ strambo capo. Strambo forte! >>
Il
cadavere era stato trovato da un’infermiera che staccava dal suo
turno al pronto soccorso. Uomo sconosciuto sui trent’anni.
L’omicida lo aveva infossato a forza dentro un tombino, ma gli acquazzoni degli ultimi giorni lo avevano fatto tornare in superficie.
Sherlock aveva la testa infilata in quel benedetto tombino e la sua voce baritonale rimbombava in tutta la strada.
Cosa aveva detto di cercare? Un cellulare?
John lo
lasciò fare – ignorandolo per meglio dire- sorreggendo la
sciarpa blu che gli aveva ordinato di tenere perchè rischiava di
sporcarsi e ciò non doveva assolutamente accadere.
<<
Sì, un cellulare! Lestrade, di a quell’inetto di Anderson
di non toccare niente. Deve esserci un telefono! >>
Lestrade sospirò stancamente: << E’ il secondo omicidio. La stampa mi sta dando addosso >>
<<
Poveraccio >> commentò il dottore rivolto verso il corpo
disteso supino sull’asfalto: la morte gli aveva conferito
un’espressione spaventata e statica, quasi incredula di fronte
alla sua sventura.
<< Ah, trovato!
>> gridò Sherlock tornando verso di loro con un cellulare
bagnato fra le mani senza dar loro spiegazioni in merito
all’utilità di quel’oggetto.
<< Potresti renderci partecipi? >> gli domandò John.
<<
La vittima è stata strangolata, ma non ci sono segni di difesa,
come mai? Lo aveva stordito, no più probabilmente lo conosceva.
Lo ha preso di sorpresa e gli ha stretto le mani attorno al collo. La
vittima è un solitario, ricicla gli stessi abiti da anni, un
disoccupato socialmente inetto, basso QI e soffriva di disturbi
epilettici. Sì, John, l’ho capito dalla rigidità
muscolare del collo. Non faceva amicizia tanto facilmente quindi se
conosceva l’aggressore avrà sicuramente avuto il suo
numero in rubrica o nei contatti e, pur di non
perdere quella conoscenza, gli avrà scritto molte volte per
sapere come stava. Analizza il cellulare e controlla i tabulati
telefonici ammesso che si riescano a recuperare. E ora la sciarpa, John
, la rivorrei indietro >> e tese la mano verso il dottore ancora
stralunato da quel fiume di parole.
John gli
passò la sciarpa e Sherlock se la legò attorno al collo
coprendo una ferita circolare che sbucava rossa all’incavo della
spalla e che Greg prima non aveva notato.
<< Stai bene ? >>
<< Magnificamente >>
<< Ma ti sei medicato quella ferita? >>
E allora
successero un paio di cose: Sherlock si irrigidì e John
arrossì fino alla punta delle orecchie guardando altrove.
<< E’ tutto okay, sto bene >>
<<
Sì >> aggiunse John titubante << ha sbattuto
… cioè una delle sue provette si è rotta e … beh succede >>
Lestrade aggrottò la fronte e John lo notò assumendo un’aria agitata.
<< Non devi andare al Bart’s? Molly ha finito l’autopsia sulla prima vittima >>
<< Sì, lo credo anche io >>
Lestrade li vide allontanarsi alla ricerca di un taxi.
O era diventato matto o quei due si stavano comportando in un modo troppo strano.
<<
E’ ufficiale: lo strambo ha contagiato Watson con la sua
stramberia >> commentò Sally, acida come sempre quando si
trattava di avere a che fare con Sherlock.
<<
Spero di no … spero proprio di no. John è l’unico
amico sano di mente che mi è rimasto >>
***
La terza
vittima del serial killer era stata identificata grazie ad un ciondolo
con su scritto il suo gruppo sanguigno e la sua malattia: diabete. Dopo
un paio di telefonate Lestrade conobbe il suo nome.
Martin Denver. Quarant’anni. Infermiere presso la clinica Riverside. Impiccato al ramo di un albero ad Hide Park
Il biglietto questo volta era stato lasciato nella tasca.
“
Hi Sherlock. Don’t you are bored too?” citava, anche questo
scritto al computer e perciò non facilmente identificabile.
L’umore del detective quel pomeriggio era pessimo.
Non aveva ancora scoperto molto dell’assassino e tutte le prove erano state contrassegnate come inconcludenti – soprattutto il cellulare bagnato e inutilizzabile- e ciò lo stava facendo uscire fuori di testa.
Lestrade lo poteva vedere bene dai i
suoi occhi chiari che saettavano dal cadavere a John e da John al
cadavere. Sembrava infastidito e agitato e non si era ancora preso la
briga di insultare Anderson e la sua squadra. Brutto segno, davvero un
brutto segno.
Il
dottore stava parlando e medicando la donna che aveva trovato il
cadavere, un’attraente trent’enne dalla pelle olivastra e
gli occhi verdi. Aveva saputo dare poche e incomplete informazioni a
riguardo: Sally Donovan aveva scritto sui suoi appunti che la testimone
stava tornando a casa dopo una festa e percorrendo il parco aveva
notato un uomo non molto alto trafficare vicino ad un albero e tirare
quella che disse essere una corda. Poi era corso via zoppicando. Si era
avvicinata e la scoperta del cadavere appeso nel buio l’aveva
spinta a correre e urlare fino ad inciampare e sbattere la testa contro
il selciato provocandosi uno squarcio non indifferente alla fronte. Per
questo motivo John la stava medicando cercando nel contempo di calmarla
parlandole in tono rassicurante.
Lestrade
diede ordine ai suoi uomini di controllare il cellulare della vittima
osservando in frattempo Sherlock destreggiarsi fra indizi e pezzi di
carta raccolti dalle tasche della vittima.
<<
Quando vorrai farmi sapere qualcosa fammi un fischio! >> lo
riprese infastidito sia dal comportamento eccentrico – tanto per
cambiare- sia dalla mole di giornalisti che affollavano le transenne
poste dai poliziotti. Urlavano che volevano sapere, volevano parlare con Sherlock Holmes, volevano indizi.
<< Dovrò indire una maledetta conferenza stampa entro questo pomeriggio >> borbottò fra sé.
<< Non so se servirà a calmarli. Ok, questo brucerà un po’, mi dispiace >> gli rispose il dottore tamponando la ferita aperta della donna con del cotone sterile.
<< Oh, per l’amor di Dio, John!
>> sbraitò Sherlock ad un certo punto << smettila di
medicare quella donna. Sta bene, ha solo un taglio e ci sono tre
paramedici che muoiono dalla voglia di metterle le mani addosso! Vieni
qui e aiutami con il cadavere. Ho bisogno di sapere come è morto
entro i prossimi venti secondi! >>
<< Sappiamo già com’è morto … è stat- >>
<< Taci Anderson >>
John
sospirò e la donna sgranò gli occhi da cerbiatta
impietosendolo pur di non farlo andar via. Greg capì in quel
momento perché molti lo chiamassero Watson tre continenti. Il
suo viso rassicurante e il sorriso sincero faceva breccia nel cuore di
chiunque persino quando egli non tentava nessun approccio. Incredibile.
Lestrade
si chiese distrattamente se potesse insegnarli il suo metodo
perché davvero, aveva dell’incredibile alle volte,
soprattutto al pub.
John si
scusò con la donna e le rivolse un sorriso << I paramedici
si prenderanno cura di lei >> la rassicurò prima di
voltarsi e raggiungere Sherlock che si muoveva impaziente attorno al
corpo della vittima.
<<
Non è morto strangolato dalla corda >> proferì il
dottore dopo pochi secondi accontentando il consulente.
Lestrade sussultò << Come? E in che modo … >>
<<
Colpo letale alla seconda vertebra cervicale. E’ morto sul colpo.
Non ci sono emorragie petecchiali e le labbra non sono blu e gonfie. Il
livido attorno al collo è post mortem >> analizzò.
<< Brillante, John >>
<< Grazie >>
<< Per una volta … >> aggiunse con un sorriso sghembo che fece di nuovo irritare il dottore.
Lestrade proprio non sapeva come facesse a sopportarlo.
<<
Devo capire se stia o no uccidendo a caso >> bofonchiò fra
sé << cos’hanno in comune un giardiniere, un
infermiere e un uomo disoccupato e asociale? >>
<< Sherlock aggiornami, per favore! >> gli urlò dietro l’ispettore oramai spazientito.
<<
Singolo colpo alla nuca, un colpo preciso. Indica che sapeva dove
doveva colpire e con quanta forza. Il livido dietro al collo suggerisce
l’uso di un calcio di una pistola. Sapeva come fare perché
l’aveva già fatto. Zoppica questo implica trascorsi medici
da non sottovalutare. Conosceva la vittima numero due una
persona socialmente ritardata questo significa che potrebbe esserlo
anche lui vista l’ossessione che dimostra avere per me >>
<< Oh, andiamo! E come fai a dirlo? >>
<<
Una persona con un disturbo antisociale è solitamente incapace
di intrattenere rapporti umani lineari Anderson, fai qualche ricerca
ogni tanto. Ti gioverebbe >> prese un respiro e tutti rimasero in
attesa << Ha sistemato i corpi in modo che fossero trovati. Scene
del crimine pulite, questo dimostra che abbiamo a che fare con un
serial killer organizzato. Mi sta provocando ma non lascia indizi su
come possa essere trovato. Non vuole essere trovato, ma sa che
succederà. Questo per lui è un gioco >>
terminò con uno sguardo meditativo e lievemente inquietante.
<< Vuole giocare con te, perché? >> gli chiese John allarmato.
<<
Perché sono la sua ossessione >> rispose tranquillamente,
come se non ci fosse nulla di preoccupante in un pazzo che ti sfida a
colpi di cadavere scrivendoti dannati messaggi inquietanti << E
penso che l’atto finale del suo gioco sarà farsi trovare
>>
<< E perché? >>
<< Per potermi uccidere >>
John e Lestrade sgranarono gli occhi.
<<
Oh, non fate quelle facce. Il modo più semplice per evitare che
ciò accada è giocare d’anticipo >> e rise
<< Ora, mi serve uno dei computer di Scotland Yard >>
concluse risoluto avviandosi verso la strada principale, sordo ai
richiami dei giornalisti.
Lestrade
sospirò stancamente e salutò anticipatamente John
già pronto a seguirlo, sordo anche lui a Donovan che gli
suggeriva di provare a darsi all’ippica se tanto amava il rischio.
Lestrade la ignorò mostrandosi solamente insofferente e diede ordine di rimuovere il corpo. Domandò
ancora una volta alla donna che aveva trovato la vittima se ricordasse
altro ma lei negò col capo e quindi lasciò perdere,
voltandosi per tornare verso l’auto.
Stava
per infilare le chiavi nella toppa e chiamare Donovan quando udì
le urla sommesse di John coprire la voce di Sherlock dall’altra
parte della strada.
Stavano litigando. Una novità pensò con sarcasmo, scuotendo la testa.
<< … e ti comporti come se niente fosse? >>
<< Sto analizzando i fatti, John! E i fatti parlano chiaro! >>
<<
I tuoi stramaledettissimi fatti mi stanno facendo saltare i nervi,
Sherlock! C’è il tuo nome scritto su tutti quei cazzo di biglietti >>
<< Ora non essere volgare, sto solo … >>
<< Stai zitto! Sono così fuori di me in questo momento … >>
<< Lo vedo >>
<< Ci sono tre cadaveri, Sherlock … >>
<<
Lo so >> e Lestrade potè notare la sua alterigia nel
parlare. Che maledetto vanitoso << lo so bene, John, e infatti
sto studiando la vittimologia mentre tu medichi una donna palesemente
sana, ma con gravi carenze affettive dovute al suo recente divorzio che
persino un cieco noterebbe >>
<< Sherlock >> lo minacciò.
<< Vuoi tornare là a tenerle la mano mentre le mettono un cerotto, John? >>
<<
Era spaventata Sherlock. Era una testimone ed era terrorizzata
perché alle due del mattino ha trovato un cadavere pendere da un
maledetto albero >>
<< Oh, certo! Così terrorizzata da infilare il suo biglietto da visita nella tua tasca! >>
John lo guardò sorpreso e infilò la mano nel giubbotto nero estraendone un bigliettino bianco.
<< Oh … >>
<< Tu guardi ma non osservi, John >>
Lestrade
non si sarebbe mai, mai abituato ai battibecchi insensati di quei due.
Aprì la portiera dell’auto, ma si fermò ancora
perché avevano ricominciato a parlare.
<< Quindi è per questo >>
<< Cosa? >>
<< Sei geloso >>
A Lestrade scappò da ridere. Quasi perché quei due sembravano dannatamente seri in quel momento.
<< No >>
<< Sì invece o non mi avresti tenuto il broncio tutto il tempo >>
<< Io non … c’è un serial killer in giro, John, e vuoi davvero parlare di questo, ora? >>
<< Possiamo anche finirla qui ammesso che tu la smetta di comportarti come una testa di cazzo insensibile! >>
Persino
da quella distanza Lestrade potè vedere Sherlock alzare gli
occhi al cielo ed incamminarsi verso un taxi libero fermo ad una decina
di metri da loro.
<< E smettila di tenere il broncio >>
<< Stai zitto >>
Lestrade
quasi si strozzò con la sua stessa saliva quando vide Sherlock
Holmes prendere la mano di John e rivolgergli un sorriso beffardo.
Ma che diavolo stava succedendo?
***
Fermo al
centro del salotto di Baker Street, Lestrade aspettava - con una
pazienza che non credeva di avere - che Sherlock uscisse dal suo
palazzo mentale e gli spiegasse cosa aveva dedotto dopo due giorni di
intenso lavoro fra gli archivi della polizia e il suo computer.
John,
seduto sul divano attendeva insieme a lui che il detective tornasse fra
loro e in quel momento l’ispettore si trattenne a stento di
sfogare la sua curiosità chiedendogli cosa stesse succedendo con
Sherlock perché gli indizi contro di loro erano troppi e
maliziosamente sperò di aver ragione: le frasi lasciate a
metà, la - o mio dio- gelosia di Sherlock ? Possibile? La mano sfiorata vicino al taxi.
Se
così fosse, ragionò, doveva pretendere venti sterline da
Donovan. Avevano piazzato quella scommessa anni fa, ma sapeva bene che
tutta scotland yard era ancora in attesa di incassare la vincita.
Ma prima aveva cose più importanti di cui occuparsi, come il serial killer che i media avevano soprannominato con
poca fantasia “il provocatore”che aveva mietuto una quarta
vittima lasciata seduta su una panchina alla stazione centrale di
Londra.
<<
L’ultima vittima, Lestrade. Descrivimela >> ordinò
Sherlock con gli occhi ancora serrati per la concentrazione.
<<
Dunque >> sospirò << Emily McKlayn, trentotto anni.
Sposata con due figli e residente in periferia. Era un’infermiera
e presso il Children Hospital >>
<< Infermiera >> ripeté << Children Hospital … da quanto? >>
<< Un anno. Prima era stata disoccupata >>
<< Licenziata >> lo corresse e tornò silente per altre tre minuti. Tre estenuanti minuti.
Lestrade
guardò di sfuggita John ricambiato con rassegnazione.
L’attimo dopo Sherlock espose con un grido di vittoria <<
Riverside! >>
<< Come? >> domandò.
<< Riverside, Lestrade! La clinica! Ora tutto coincide! Tutto! >>
<< Di che cosa stai parlando? >>
<< Sherlock spiegaci >>
Il
detective si alzò in piedi di scatto oltraggiato da quella
domanda, come se fosse tutto chiaro e cristallino e ulteriori
spiegazioni solo una perdita di tempo. Ma l’occhiata di John lo
aiutò a capire che così non era.
<<
Riverside è una clinica per la cura delle malattie mentali.
Questa è la connessione fra le vittime. Emily McKlayn ci ha
lavorato come infermiera prima di essere licenziata per maltrattamenti,
come lo so che maltrattava i pazienti? Il suo continuo vagabondare fra
un impiego e l’altro, l’abuso di alcool e le nocche delle
dita e delle mani arrossate e gonfie. Sfogava le sue frustrazioni sui
pazienti per sopperire ad un marito violento e dedito alla droga. La
prima vittima:il giardiniere. È inquadrato nella fotografia di
presentazione della clinica. Lavorava lì prima di andare in
pensione. La seconda vittima, l’uomo con un disturbo asociale
è stato in cura lì per tre anni. La sua cartella clinica
è nei rapporti della polizia per atti osceni in luogo pubblico e
l’infermiere Martin Denver ci lavorava prima di essere ucciso.
Riverside è la chiave ora manca solo il chi. Oh sono stato
così lento questa volta >> Sherlock sgranò gli
occhi eccitato dalla prospettiva della risoluzione, fremeva dalla
voglia di trovare il serial killer e parlarci.
<< Fantastico! >> esalò John meravigliato.
Sherlock
accennò un sorriso e incrociò le dita fra loro <<
Dobbiamo cercare un uomo. Non giovane con un lungo passato di ricoveri
in ospedale. Zoppia evidente dovuta ad un incidente grave, ma non
è stato questo a scatenare la sua ira. Sì, è
furioso e nello stesso tempo ossessionato. E’ schivo e asociale.
Vive solo e segue i miei casi e potrebbe soffrire di fantasie
allucinatorie. Questo implica il fatto che
sarà già stato ricoverato in cliniche psichiatriche.
Riverside è sicuramente una di queste. Dobbiamo avere
l’elenco dei pazienti >>
<< Sarà infinita, Sherlock. Non possiamo controllarli tutti >>
Sherlock si defilò verso la camera da letto e tornò poco dopo senza vestaglia da camera pronto ad uscire.
<< Ma dove stai andando ? >>
<< A cercare, John! >> esclamò infilandosi il cappotto.
John sospirò e si alzò a sua volta, rassegnandosi a seguirlo.
Lestrade
li aveva accompagnati solo per fare la voce grossa contro il direttore
sanitario della clinica Riverside – perché era lì
che Sherlock li aveva condotti- restio a concedergli di rovistare nelle
cartelle sanitarie senza un mandato. Dopo due o tre minacce a proposito
di mandare il fisco per un controllo a sorpresa, il dottor Freeman li
accompagnò nel suo studio brontolando animatamente ad ogni
passo.
Greg
ancora non sapeva cosa aveva in mente quel pazzo e sperò davvero
che non avesse intenzione di cercare il criminale seguendo una lista
alfabetica perché sarebbero morti di vecchiaia prima della
lettera B.
La
clinica era immensa , difficile orientarsi per i corridoi e superare le
dozzine di pazienti in vestaglia che girovagavano spaesati mettendo
inconsapevolmente in scena spezzoni di film horror di terza categoria.
Greg rabbrividì e seguì il corteo fino all’immenso ufficio del direttore sito al primo piano.
<<
In questi archivi ci sono tutti i pazienti che la clinica ha preso in
cura negli ultimi quindici anni >> spiegò con tono
stizzito e profondamente contrariato << invece, nei magazzini
abbiamo casi più vecchi >>
<< Non mi interessano >> commentò Sherlock << sto cercando una persona ben specifica >>
<<
Sono il direttore sanitario. Non mi occupo di ogni singolo paziente
>> protestò l’uomo visibilmente irritato.
Sherlock
ruotò gli occhi al cielo e allungò una mano verso i
fascicoli che Lestrade si era portato dietro contenente i dati delle
vittime: l’Ispettore gli passò la foto della vittima
numero due e il detective lo mostrò al direttore.
<< Lo riconosce? >>
L’uomo aggrottò la fronte ed annuì turbato << Certo, Scott Hamilton. E’ stato in cura qui. Ha fatto qualcosa di male? >>
<< E’ morto >> dichiarò lapidario Sherlock con la sua solita delicatezza da manuale.
John
emise un sbuffò, ma non lo redarguì lasciando che
proseguisse << E’ stato vittima di un altro suo paziente.
Ho bisogno
di sapere chi frequentava all’interno dell’ospedale. Mi dia
un nome, un volto, un soprannome … qualsiasi cosa >>
<< Sono passati anni, santo cielo! >>
<< Chi era il suo medico? >>
<< Devo controllare! >>
<< Allora, si sbrighi! >> esclamò alterato Sherlock.
Greg a
quel punto decise di intervenire: << Dottor Freeman, abbiamo
motivo di credere che un suo ex paziente possa aver ucciso Scott
Hamilton, l’infermiere Martin Denver nonché due suoi ex
dipendenti Emily McKlayn e il vostro giardiniere >>
L’uomo si accasciò sulla sedia, sconvolto.
<< Mi sta dicendo che … non ci posso credere >>
<< Mi dispiace >>
<<
Stiamo cercando un suo ex paziente, solitario con manie ossessive
compulsive, zoppia dovuta ad un incidente probabilmente sul lavoro, ma
con un’ancora notevole forza fisica. Conosceva Scott Hamilton
quindi le richiedo, chi frequentava ai tempi del suo ricovero? >>
L’uomo
si ridestò e annuì concitato e dopo qualche secondo di
silenzio si alzò e prese da un cassetto un fascicolo, molto
spesso, passandolo al detective.
<<
Non posso credere che sia lui, ma è l’unica persona che
Scott Hamilton frequentava. Erano entrati in confidenza >>
Sherlock
aprì il fascicolo e mostrò anche agli altri la fotografia
e il nome di un uomo sulla cinquantina, capelli bianchi e occhi
glaciali.
Bart Harvey.
<< E’ lui >> ghignò il detective con aria superba e vittoriosa.
Greg
lesse il fascicolo stupendosi nuovamente di quanto fosse stato preciso
Sherlock nel profilare quell’uomo ancor prima di leggerne la
cartella clinica.
Bart
Harvey era un ex poliziotto di Nottingham ferito sul lavoro, ricoverato
nel 2003 per aggressione, rilasciato nel 2005 e dichiarato riabilitato.
Evidentemente gli psichiatri di quell’integerrimo ospedale si erano sbagliati su di lui.
<<
Passava da un’ossessione all’altra: disturbo asociale con
manie di persecuzione >> raccontò il direttore con tono
rammaricato << aveva aggredito un suo ex collega credendo che lo
volesse uccidere. Qui invece era ossessionato verso Martin Denver poi
fui costretto a licenziare Emily McKlayn dopo aver scoperto che
percuoteva sia lui che altri pazienti. Era anche convinto che il
giardiniere della clinica lo spiasse >>
Sherlock richiuse il fascicolo con uno scatto sorridendo elettrizzato.
<< Vai ad arrestarlo Ispettore >>
Greg sgranò gli occhi << Come? E dove? Non conosco il suo indirizzo >>
<<
Zona portuale. Di ai tuoi uomini di rovistare ogni baracca nel raggio
di due miglia dal porto. Troverai abbastanza prove per arrestarlo:
fotografie, lettere mai inviate e destinate a me … trovalo e
portalo a Scotland Yard. Voglio incontralo >>
<< Perché la zona portuale? >> osò domandare John mostrandosi confuso.
Sherlock
esibì un’espressione insofferente nota a tutti << La
corda con cui ha appeso la vittima numero tre era in polipropilene al
cui interno vi era un rosario di piombo. Un tipo comune di corda usata
per le reti da pesca, ergo, zona portuale. Posso elencarti altre prove,
ma non c’è tempo. Entro oggi, Ispettore >>
Greg
finse di non essere stupito e salutò il direttore cercando di
non dare a vedere quanto fosse scocciato dalla perdita di tempo che
aveva rappresentato per il caso e si incamminò verso il
corridoio con il cellulare già in mano.
Donovan rispose dopo due squilli.
<<
Zona portuale. Manda due squadre di ricerca e perquisite ogni baracca.
Cercate un uomo capelli bianchi occhi azzurri, zoppia evidente. Non
chiedere, ti aggiorno appena arrivo >> e lasciò
l’edificio sperando che quei due se la sbrigassero da soli ad
uscire di lì, lui aveva troppa fretta per portarseli dietro.
***
Con
l’incedere lento e cadenzato di un uomo sconfitto, Gregory
Lestrade si apprestò a salire i diciassette gradini del 221B per
poter dare la cattiva notizia a Sherlock.
Si
sentiva già mentalmente pronto a subire gli insulti del
detective a proposito della sua incompetenza, ma sperò non
calcasse troppo la mano: era stanco e quel caso lo aveva tenuto sveglio
per troppi giorni. Aveva un bisogno disperato di dormire.
Trovò
Sherlock seduto davanti al suo pc nella penombra del camino acceso e di
una piccola lampada sbilenca appoggiata alla scrivania.
<< Scommetto che ve lo siete lasciati sfuggire >> esordì il detective mostrandosi impassibile.
Greg
esalò un respiro << Lo abbiamo visto fuggire. Donovan lo
ha perso lungo un vicolo apparentemente cieco >>
<< Eppure zoppica >> ironizzò Sherlock senza staccare gli occhi dal pc.
<<
Lo beccheremo, ma non è questo il punto. Sherlock,
quell’uomo è ossessionato da te in un modo che nemmeno
immagini. In quella baracca abbiamo trovato di tutto >>
spiegò con tono preoccupato << fotografie, trafiletti di
giornale col tuo nome sopra. Stampe del blog di John e del tuo …
credimi se ti dico che è stato inquietante. Ho deciso che
metterò te e John sotto protezione finché non lo avremo
preso >>
Sherlock
sbuffò una risata << E una pattuglia ben evidente davanti
a casa mia potrebbe sopperire la vostra incompetenza? >>
Greg alzò gli occhi al cielo e gli si avvicinò. La situazione gli stava gradualmente sfuggendo di mano.
<<
Sherlock, è una cosa seria. Se quell’uomo dovesse arrivare
a te ti ucciderebbe. Vorrei evitare di replicare la tragedia della tua
morte una seconda volta >>
Sherlock finalmente si ridestò alzandosi con grazia per poterlo fronteggiare in modo diretto.
<< Se tu lo avessi arrestato in tempo questo non starebbe succedendo, Lestrade >>
L’ispettore
strinse i pugni fermandosi prima arrivare a picchiarlo <<
Sherlock, non sono solo preoccupato per te, ok? Anche John potrebbe
finirci in mezzo perciò da adesso vi assegno una scorta >>
Sherlock lo interruppe con un’occhiata quasi allucinata << Aveva foto anche di John? >>
<<
Molte, ti sta sempre appiccicato come un- >> Greg si zittì
osservando il viso del detective mutare e trasformarsi in una maschera
di puro terrore. Se ne stupì a tal punto da trattenere il
respiro. L’algido detective privato era improvvisamente sparito
lasciando il posto ad un uomo palesemente disperato.
<< Lui non è solo ossessionato da me. Mi odia. Mi odia perché rappresento qualcosa che lui detesta >>
Greg
aspettò che proseguisse, con l’ansia che lo stava
divorando dentro, ma immaginò subito perché Sherlock
fosse così sconvolto: John, John poteva finire in mezzo a quella
storia.
<< Sherlock, ho bisogno di sapere dov’è John >>
Il detective sgranò gli occhi ancora più sconvolto: << Io non … non lo so >>
<<
Come sarebbe a dire che non lo sai! Sono le nove di sera, possibile che
non ti abbia detto dove andava?! >> urlò alterato.
Sherlock si batté le mani sulle tempie blaterando parole senza senso.
<< Sherlock, dov’è? >>
<< Non me lo ricordo! L’ho cancellato! >>
<< Porca miseria! >>
Greg
prese il cellulare e compose il numero di John e il panico prese anche
lui quando sentì che squillava a vuoto: lui rispondeva sempre,
non lasciava mai cadere la linea.
Sherlock si guardò attorno spaesato e Greg notò che stava tentando di dedurre dove fosse andato John.
<<
Tesco! >> gridò ad un certo punto colto da una
folgorazione << Mancava il latte e lo zucchero! Gli ho detto che
non potevamo fare il tè senza latte e zucchero e lui è
uscito >>
<<
Tesco, bene >> riassunse l’Ispettore provando ancora a
chiamare il suo numero. Fu in quel momento che la notò, mentre
Sherlock raccattava cappotto e cellulare per fiondarsi fuori casa,
l’espressione più disperata che gli avesse mai visto in
volto che in breve gli confermò mentalmente ciò che
già da qualche giorno sospettava. Ma non osò commentare
limitandosi a correre in strada seguendo Sherlock lungo Baker Street.
Ben
presto si misero a correre arrivando da Tesco in pochi minuti. Non
servì nemmeno entrare dentro il negozio per capire che qualcosa
era successo. Qualcosa di brutto.
A Greg
mancò un battito mentre si avvicinava alla busta della spesa
rotta e abbandonata a terra: latte e zucchero si erano riversati
sull’asfalto creando un composto granulato ancora fresco ma di
John nessuna traccia. Imprecò mentalmente e tre attimi dopo
aveva già informato Donovan e la sua squadra affinché li
raggiungessero nel più breve tempo possibile.
<<
No, no, no!!! >> gridò Sherlock correndo da un vicolo
all’altro, controllando, frenetico che John non ci fosse,
chiamandolo con voce spezzata e tremante.
Ispezionò ogni anfratto finché non gli fu chiaro che l’assassino lo aveva portato via.
<<
Non ha un’auto, non può guidare e non avrà preso un
taxi per evitare di lasciare tracce. E’ andato via a piedi
costringendolo a seguirlo >> spiegò ad alta voce concitato
<< è qui vicino >>
<< Sherlock, John è armato? >>
Scosse la testa.
<<
Non c’era motivo di portare dietro un’arma Ispettore,
almeno fino a dieci minuti fa! >> lo accusò fissandolo in
un modo che a Greg mise i brividi: non solo ora si sentiva in colpa per
non aver preso l’assassino, ma terribilmente preoccupato per John.
E’ forte, è un soldato si ripeté, sa affrontare queste cose, l’ha già fatto in passato.
<<
Perché non si è difeso? >> mormorò Sherlock
pensieroso << perchè non ha reagito? >>
<< Potrebbe averlo colto di sorpresa >>
Sherlock
lo guardò come avesse appena detto una blasfemia e Greg di
fronte a quella nuova accusa abbassò lo sguardo, dispiaciuto.
<< John non si fa prendere di sorpresa! >> e il suo grido fu spezzato dal suono di un messaggio.
Greg aggrottò la fronte e vide Sherlock prendere il suo cellulare e leggere un messaggio a occhi sgranati.
<< Mi sta ancora sfidando >>
I dare you to find me, lesse Greg.
<< Dobbiamo trovarlo, subito! >>
<< I miei uomini stanno arrivando! >>
<<
I tuoi uomini arriveranno tardi! >> e Sherlock ricominciò
a correre lungo i vicoli bui, agile e veloce e Greg fece fatica a
stargli dietro al suo stesso passo. Se quella storia fosse finita bene,
si promise di darci un taglio con le cheescake.
<< Sherlock! Dove stai … andando?! >> gli urlò dietro cercando di riprendere fiato.
<< Zoppica, non è molto lontano e John avrà fatto di tutto per rallentarlo !>>
Arrivarono
al limite di un edificio dove la via s’immetteva in un vicolo
cieco. Sherlock si fermò puntando lo sguardo nel buio oltre
alcuni cassonetti malandati.
Greg
prese silenziosamente il cellulare e chiamò Donovan: <<
Siamo dietro Baker Street, in un vicolo cieco. Li abbiamo a vista.
Di agli altri di avvicinarsi a piedi >> e chiuse la
comunicazione senza attendere risposta.
Due
uomini erano in piedi, vicino ad un muro in mattoni e anche da quella
distanza e al solo chiarore dei lampioni potevano vedere John
fronteggiare un assassino seriale che gli stava puntando una pistola
contro.
Sherlock mosse un passo in avanti, ma Greg lo fermò subito.
<< No. Non aiuterai John immolandoti >>
<< So quello che faccio! >> lo zittì camminando verso il vicolo.
Greg
strinse i denti e capì che la cosa migliore da fare era tenersi
vicino alle mura dell’edificio accanto, in silenzio, pronto
all’attacco con la pistola d’ordinanza carica e in mano.
<< E’ me che vuoi >> proruppe Sherlock alzando le mani in aria << sono disarmato >>
<< Di al tuo amico poliziotto di non avvicinarsi >> proruppe una voce calda, bassa trasudante tranquillità.
Greg si abbassò lungo il muro nascondendosi alla vista dell’assassino proprio grazie al cassonetto.
C’era
puzza di spazzatura stantia e umido, ma Greg s’impose di non
muoversi. Doveva coprire le spalle a Sherlock implorando che non
facesse nulla di stupido prima che i rinforzi arrivassero.
<< Il poliziotto se ne è andato >>
<< Non ti credo, ma non importa. Non oserà avvicinarsi se non vuole ritrovarvi cadaveri >>
Sentì Sherlock prendere un respiro.
<< Mi hai sfidato. Ora sono qui, davanti a te. Lascia andare John, non ti serve a niente >>
<< No, mi serve >> rispose con voce melliflua << mi serve per tenere in pugno te >>
<< Non uscirai vivo da qui e questo lo sai, vero? >>
Greg strinse i pugni e lo maledì mentalmente sporgendosi per osservare la scena.
John era
in piedi davanti all’omicida, gli dava le spalle con una pistola
piantata fra le scapole. Era una situazione così complicata e
rischiosa che Greg temette il peggio. Il suo cuore batteva così
forte da mozzargli il respiro e le tempie pulsavano e stava per urlare
e sparargli, ma resistette perché c’erano troppe vite in
gioco.
Spiò le mosse di Sherlock il quale sembrava calmo davanti allo sguardo preoccupato di John.
<< So che non uscirò vivo da qui, ma non mi interessa. A me interessa uccidere te >>
<< Perché? >>
<< Lo sai già il perché ed è proprio questo che mi dà fastidio di te Sherlock Holmes >>
Sherlock ridacchiò amaramente << Sì, è vero lo so >>
<< Dai, allora dillo >> lo sfidò.
<<
Eri un bravo poliziotto, ma non abbastanza bravo per essere notato. Non
ti distinguevi dalla massa, eri troppo ordinario e, tu, tutto
ciò che volevi era una promozione ed entrare nella omicidi, ma
non sei mai stato così intelligente, non come me. Così
hai cominciato a ossessionarti per i colleghi più in gamba di
te, ti identificavi in loro e ben presto hai cominciato a pensare di
essere perseguitato da coloro con cui lavoravi.
Poi è capitato l’incidente e la tua carriera è finita definitivamente. Ho sbagliato qualcosa? >>
<<
Io non sono ossessionato! >> sbottò l’omicida
<< sono loro, gli altri, quelli che credono tanti furbi a
perseguitarmi >>
<< Per questo uccidesti Emily McKlayn e gli altri? >>
<< Quella puttana mi picchiava e Martin era un idiota! >>
Greg lo sentì alterarsi e temette accadesse il peggio. I suoi uomini non sarebbero mai arrivati in tempo.
<<
Avresti dovuto avere il mio cervello per essere il poliziotto che
volevi >> sottolineò Sherlock come se quella situazione
non fosse già abbastanza pericolosa.
<< Ma io ho il tuo cervello. Guarda cosa ho fatto! >> esclamò esaltato.
<<
No, non ce l’hai. Hai solo ucciso quattro persone credendo di non
aver lasciato indizi, ma sei incapace anche in questo >>
Maledizione! Imprecò Greg, meditando di sparare al detective anziché all’assassino.
Lo stava provocando, perché lo stava facendo?
<< Stai zitto! >> gridò l’assassino facendo oscillare pericolosamente la pistola.
Greg
osservò la scena con il gelo nelle vene ed ebbe anche modo di
sorprendersi dalla freddezza di John che non tradiva nessuna emozione,
nonostante avesse una pistola puntata addosso.
<<
Ho ucciso quelle persone per vendicarmi di loro … avevo molti
buoni motivi per farlo e ho buoni motivi per uccidere anche te >>
e detto ciò l’uomo direzionò la canna verso
Sherlock il quale non si scompose limitandosi a sospirare, come fosse
annoiato da quella perdita di tempo. E allora accaddero due cose
contemporaneamente: Sherlock si appiattì contro il muro e John
assestò una gomitata nello stomaco dell'aggressore,
facendolo indietreggiare. Il colpo che uscì involontariamente
dalla canna si infranse rumorosamente contro la lamina del cassonetto
e, prima che potesse tornare in sé, Sherlock
urlò “ora” e Greg capì cosa avrebbe dovuto
fare. Uscì dal suo nascondiglio e puntò l’arma
contro l’omicida << Fermo, sei in arresto >>
gridò, ma sapeva bene che avrebbe reagito perciò, prima
che potesse far partire un secondo proiettile, sparò mirando
alla gamba destra, facendolo cadere a terra davanti a John.
Il medico lo disarmò con un calcio portandogli entrambe le braccia dietro la schiena. E tutto finì.
Cessarono le grida e i pensieri negativi; l’adrenalina scemò lasciandoli scombussolati e stanchi.
Greg
ammanettò l’uomo e osservò Sherlock scavalcare
entrambi per afferrare John per le spalle e scuoterlo come fosse stato
un giocattolo di pezza.
<< Stai bene? >>
<< Sì! Sto bene! >>
<< Ti ha ferito? Fammi vedere! >>
<< Sherlock, sto bene! Prendi un respiro e calmati >>
Il detective
obbedì ma non si calmò << Mi dispiace! E’
tutta colpa mia! Ho ignorato alcuni indizi e sono arrivato alla
conclusione sbagliata. Non ricapiterà più, John. Mi
dispiace >> e allora John, sotto lo sguardo allucinato di Greg,
trasse a sé Sherlock avvolgendolo in un abbraccio protettivo
intimando a lui di fare silenzio. E no Greg non voleva davvero sapere
cosa gli stava sussurrando all’orecchio.
Chiuso
dentro l’ambulanza, l’omicida ringhiava parole
incomprensibili rivolte sicuramente a Sherlock, ma Greg non aveva
orecchie per i suoi improperi, si sarebbe occupato di lui più
tardi a Scotland Yard. Ora, la sua unica intenzione era capire se
avesse problemi di vista perché non poteva essere possibile
vedere John coccolare Sherlock Holmes. Erano ancora in piedi,
sul ciglio della strada, avviluppati in un abbraccio stretto, tanto da
non riuscire più a capire di chi fossero gli arti. Ed era una
scena così surreale che a Greg vennero in mente quei video che
giravano in youtube su gatti e cani innamorati: assurdo e surreale.
Donovan
aggrottò la fronte << Credo abbia vinto la scommessa, capo
>> disse con una smorfia di disapprovazione.
<< Cosi pare >> borbottò perplesso.
Lestrade
prese coraggio e camminò verso di loro, tossendo un paio di
volte, imbarazzato nel vano tentativo di attirare la loro attenzione.
John alzò il viso e lasciò la presa, con il viso rosso e
gli occhi lucidi guardandolo come se non capisse cosa ci facesse qui.
<< E’ tardi … vi, ehm … accompagno a casa >>
Nessuno dei due, stranamente, protestò.
Prendere
l’auto in quelle condizioni sarebbe risultato pericoloso
perciò li scortò a piedi per tre isolati, guardandoli
mentre camminavano spalla a spalla.
Era tutto così fottutamente strano che, il risultato del mettere insieme gli indizi, portasse solo a quel binomio.
Doveva saperlo, era un ispettore che diamine! Sapere era il suo lavoro!
Arrivarono al 221B e finalmente poté trarre un respiro di sollievo.
<<
So che siete entrambi provati da tutta questa faccenda, ma ci saranno
una marea di carte da firmare quindi se domani- >>
<< Sì >> lo interruppe Sherlock, gli occhi glaciali fissi sui suoi e un piede già dentro casa.
<< Sì, cosa? Non ho nemmeno finito di- >>
<< Sì. Sto rispondendo alla tua domanda. Sì >>
<< Quale domanda? >> sbottò incredulo.
Sherlock alzò gli occhi al cielo, sospirando esasperato.
<< La domanda che tu e il sergente Donovan continuate a porvi per vincere la scommessa >>
<< Quale scommessa? >> s’intromise John, confuso.
<<
Hanno scommesso su di noi >> spiegò Sherlock con aria
divertita << anni fa o sbaglio, Ispettore? >>
<< Ecco … io … >> balbettò Greg imbarazzato seriamente intenzionato a correre via.
<< Quindi la risposta è sì. Hai vinto tu, Lestrade >>
<< Quindi è vero? >> chiese sorpreso da quella ammissione.
<< Sì >>
Lestrade
li osservò entrambi ignorando l’espressione confusa di
John e quella altera di Sherlock e tirò le somme.
<< Tu e … John okay … e state … >>
<< Sì >>
<< E fate … >>
<< Sì >> ripeté scocciato.
<< Sherlock,
vuoi raccontargli anche la nostra posizione preferita mentre ci sei?
>> mormorò John a denti stretti suscitando il sorriso del
detective.
<< Lo farei, John, ne avessimo una >>
<< Sherlock! >>
Lestrade
indietreggiò verso la strada, emblema dell’imbarazzo
<< Ok … meglio se … >> biascicò
<< ci vediamo domani … sì, domani >> E
voltò loro le spalle camminando rapido verso le auto
lampeggianti.
Mai si
era sentito così in imbarazzo in vita sua, peggio di quella
volta in cui Donovan lo aveva filmato mentre russava in ufficio dopo un
turno di trentasei ore.
La camminata si trasformò in una corsa mentre cercava di trovare un modo per non rivedere quei due tanto presto.
Aveva
ancora centomila cose da fare, persone da interrogare, prove da
raccogliere e rapporti da compilare e l’immagine di Sherlock e
John abbracciati in quel vicolo non gli si levava dalla testa. E come
se non bastasse Mycroft Holmes gli aveva lasciato sei messaggi in
segreteria.
Al ritorno, Donovan gli consegnò con stizza venti sterline per poi salire in auto e partire con il prigioniero.
Mai una vincita fu più imbarazzante.
Sherlock
si accostò alla finestra osservando Lestrade camminare svelto
per tornare indietro e un sorriso gli scappò dalle labbra. Oh,
erano mesi che progettava di metterlo in imbarazzo per vendicarsi del
uso essere così inconsapevolmente inopportuno: almeno adesso
avrebbe smesso di chiamare John e trascinarlo al pub nei momenti meno
confacenti.
All’improvviso,
il corpo caldo di John si adagiò contro il suo, avvolgendolo in
un abbraccio forte e rassicurante. Il profumo del suo bagnoschiuma
intorpidì i suoi sensi o forse era la stanchezza. Da quante ore
aveva detto di non dormire?
<< Stai meglio? >> sussurrò contro le sue scapole.
<< No >>
<< Non è stata colpa tua, Sherlock. Smettila di torturarti >>
<< Avrebbe potuto ucciderti >>
<<
Avrebbe potuto uccidere te >> ribatté aspramente per poi
sospirare e lasciare la presa costringendolo a voltarsi verso di lui.
<<
Cos’era quella storia, Sherlock? >> domandò
decidendo di cambiare argomento << Quale scommessa? >>
<< John, John … >> sussurrò << tu guardi ma non osservi >>
Il
dottore sbuffò fingendosi sorpreso << Così da
domani mattina lo saprà tutta l’Inghilterra >>
<< E’ un problema per te? >>
John scosse la testa << No, affatto >>
<< Bene >>
<< Ti va una tazza di tea? >> chiese, ma Sherlock gli impedì di andarsene soffocandolo in una stretta decisa.
<<
Sherlock … non respiro >> biascicò divertito
ricambiando goffamente l’abbraccio districandosi fra quella
braccia chilometriche << E’ tutto okay >>
sussurrò accarezzando delicatamente la sua schiena.
<< Ora sì >>
Non sbaglierò più, John - pensò cercando la sua bocca- per te non sbaglierò più.
***
Greg
Lestrade si lasciò cadere pesantemente sul suo letto emettendo
un suono stanco e spossato. E di nuovo, nonostante se lo fosse
promesso, aveva lavorato fino alle tre del mattino.
Interrogare
quel folle con manie di grandezza e sentirlo inveire contro Sherlock
Holmes e poi chissà chi altro, soggiogato dalla sua psiche
malata, non era stato facile da gestire. E il suo avvocato avrebbe
sicuramente seguito la linea dell’infermità mentale.
Probabilmente sarebbe tornato alla clinica Riverside e forse –
solo forse maledizione- ci sarebbe rimasto per tutta la vita.
Si sentiva le ossa rotte e gli occhi secchi e stava sbadigliando da quasi venti minuti in maniera ininterrotta.
Non
tentò nemmeno di cambiarsi né scivolare dentro la doccia
o prendersi un bicchiere d’acqua: semplicemente chiuse gli occhi
e rimase lì a pensare e a pensare … da quanto andava
avanti quella cosa fra John e Sherlock?
Riaprì gli occhi di scatto e fissò il soffitto della sua solitaria camera da letto.
Riflettendoci,
era da un paio di mesi che John non contraddiceva le frecciatine di
Sally, quindi probabilmente erano un paio di mesi che quei due …
no. Non ci voleva pensare. L’idea che Sherlock Holmes –
quel Sherlock Holmes, il detective sociopatico che aveva recuperato
mezzo morto di overdose in quella vecchia fabbrica abbandonata- facesse
sesso proprio non riusciva ad immaginarlo. E poi John … come
aveva superato le sue reticenze morali? Ma soprattutto, perché
non glielo aveva mai confidato? Erano amici, no?
Okay, aveva vinto una scommessa piazzata quattro anni prima, ma questo non lo faceva sentire meglio, anzi, ripensare
allo sguardo strafottente e compiaciuto di Sherlock quando lo aveva
messo – di proposito- in imbarazzo peggiorava la sua attuale
situazione psichica.
Si
tirò su di scatto e pensò a John, all’ amico che
aveva visto soffrire così tanto in quei due maledetti anni e a
Sherlock che per farsi perdonare si era praticamente buttato ai suoi
piedi, senza più un briciolo di orgoglio, attaccandosi ai suoi
vestiti con disperazione; sorrise per loro rimpiangendo di essere solo
e di aver divorziato.
Avrebbe
dato volentieri un braccio in cambio del profondo sentimento che legava
quei due, di quella complicità ed elettricità che
emanavano. Avrebbe dato due braccia pur di essere di nuovo felice con
qualcuno.
Si
trascinò verso la cucina e tentò di versare un po’
d’acqua in un bicchiere, ma questo cadde in frantumi quando lo
squillo inatteso del cellulare lo fece sussultare.
Guardò quell’oggetto con odio profondo e ponderò di spegnerlo.
<< Non di nuovo. Ho bisogno di dormire >> brontolò scrutando lo schermo.
Numero sconosciuto.
Oh,
perfetto. Ci mancava solo lui, il suo personale tormento che a quanto
pareva non dormiva mai e amava chiamarlo alle ore più
impensabili per proporgli casi di cui occuparsi. Come se non ne avesse
già abbastanza del suo di lavoro.
Rispose solamente perché, spegnendo il cellulare, avrebbe dovuto fare i conti con la l’ira funesta di quell’individuo e la sua notte di riposo si sarebbe trasformata in una notte da incubo.
<< Lestrade >> disse con tono lugubre, sospirando stancamente.
<<
Ho saputo del travagliato arresto di questa notte >> parlò
il suo interlocutore con un tono di voce vagamente divertito e Greg se
lo immaginò, seduto in poltrona con la sua solita aria annoiata
e altera. Aspettò che continuasse a parlare e terminasse i
convenevoli di rito – perché questi erano i convenevoli di
Mycroft Holmes ovvero sbattergli in faccia che qualsiasi cosa facesse,
dicesse o pensasse lui ne era a conoscenza.
Represse
un brivido di inquietudine e guardò distrattamente il suo
orologio da polso che segnava le quattro del mattino. Maledizione.
<<
Sono rare le volte in cui mio fratello ammette di aver sbagliato eppure
… >> e si prese una pausa, probabilmente per pensare
<< farò in modo che Bart Harvey passi molto tempo dietro
le sbarre di un penitenziario statale >>
<<
Credo che quell’uomo abbia bisogno di cure >> si costrinse
ad ammettere perché nonostante avesse minacciato a morte gli
unici due individui che poteva considerare amici, la sua etica morale
gli imponeva di aiutarlo.
Mycroft rise a quelle parole, un riso di scherno ovviamente.
Greg strofinò una mano sui suoi occhi stanchi e sospirò.
<<
Immagino che mi abbia chiamato per un motivo e, scusi la franchezza, ma
sono le quattro del mattino e credo di siano trentacinque ore che non -
>>
<<
Oh, naturalmente >> lo interruppe << che sbadato. Ho fatto
in modo di recapitare nel suo ufficio una missiva in cui lei spiegava
di dover prendere tre giorni di malattia >>
Greg sgranò gli occhi e quasi gli cadde il cellulare dalle mani.
<< Scusi, come? >>
<<
Immagino che essere la balia di mio fratello ed avere a che fare con le
sue erronee deduzioni sia molto stressante Ispettore, perciò ha
diritto ad una breve pausa >>
<< Ma … ma io … >>
<< Non si preoccupi di ringraziarmi >>
In
realtà, Greg, in quel preciso momento, grazie era l’ultima
parola che gli veniva in mente di pronunciare. Stronzo, manipolatore,
pallone gonfiato erano i termini che più si avvicinavano al suo
stato d’animo irritato. Sospirò senza trovare la forza di
mandarlo al diavolo. In fin dei conti non lo avrebbe mai fatto.
Lui era
Mycroft Holmes, non un qualunque funzionario governativo inglese, e una
sua parola avrebbe potuto segnare la fine della sua carriera. E della
sua vita.
Lo temeva, lo temeva sul serio eppure in un certo – assurdo- senso era
anche affascinato dall’aura glaciale e misteriosa che lo
circondava. Era così diverso da Sherlock eppure così
simile per certi aspetti.
Non era
la prima volta che lo intercedeva – prendendosi libertà
non sue- firmandogli permessi, inviando documenti e facendo chiamate e
questo, unito alle sue sempre più frequenti telefonate, lo stava
davvero incuriosendo.
<< Che cosa vuole da me signor Holmes? >> chiese cercando di essere gentile.
Ci fu
una pausa, un lunga e snervante pausa durante la quale Greg temette di
addormentarsi, ma poi Mycroft riprese a parlare: << Le andrebbe
una tazza di tea? >>
<<
Una … tazza di tea? >> rimuginò confuso. No, dai
aveva capito male. Non poteva aver sentito Mycroft Holmes chiedergli
di trascorrere del tempo con lui e prendere una tazza di tea. Assurdo.
Ed era troppo stanco per non credere di avere allucinazioni uditive.
Mycroft
restò in silenzio finché Greg terminò di pensare
<< Non ha bisogno di offrirmi una tazza di tea per chiedermi di
seguire un caso, lo sa bene. E’ capacissimo di obbligarmi a farlo
>> come quella volta a Baskerville considerò, quando
quella strana frequentazione telefonica era iniziata. E se la memoria
non lo ingannava, Mycroft lo aveva chiamato mentre era in vacanza
ordinando con tono perentorio di tornare in Inghilterra e seguire suo
fratello affinché non facesse più danni di quelli
già procurati. E, ovviamente, il suo no non era stato ascoltato
quindi perché provarci ancora?
Lo sentì sospirare, scontento.
<<
In realtà, Ispettore, non ho nessun caso da affidarle. La mia
era una domanda fine a sé stessa, ma se preferisce posso
obbligarla >>
Oh, per la miseria.
La testa di Greg sbatté contro l’anta del frigo producendo un rumore sordo.
Sospirò
un paio di volte ignorando la sensazione che quelle parole, pronunciate
con un tono caldo e rassicurante, gli avevano lasciato addosso. Doveva
solo capire se fosse bella o brutta quella sensazione.
<< Come potrei dire di no? >> rispose dunque, totalmente arreso.
<<
Ne ero certo >> e sì, Greg era sicuro che stesse
sorridendo vittorioso in quel frangente << Le invierò
l’indirizzo >>
<<
Solo per sapere, devo portare la pistola? >> e a quel punto lo
sentì ridere sul serio brevemente ma in modo intenso. Si stava
prendendo gioco di lui?
<<
Come preferisce, Ispettore, ma le assicuro che non necessiterà
di una pistola per bere del tea. Buona notte >> e detto questo
concluse la telefonata lasciandolo sbigottito in una cucina buia e
silenziosa con almeno venticinque domande inespresse che gli
vorticavano nella testa. Ed erano le quattro e dieci del mattino.
Con un grugnito spense il cellulare e si svestì per metà ributtandosi sul letto.
Prima di
addormentarsi riuscì a chiedersi quante altre cose lo avrebbe
obbligato a fare in futuro se avesse continuato ad usare quel tono di
voce.
Non volle rispondersi.
***
Si
svegliò in tarda mattinata, ricordandosi immediatamente che
Mycroft lo aveva a sua insaputa dato per malato. Così si stiracchiò
per bene e sbadigliò tentando di riordinare le idee. Avrebbe
avuto una quantità industriale di cose da fare in ufficio, come
firmare mandati di arresto, inviare documenti, parlare con
l’avvocato di Bart Harvey e assicurarsi che Donovan non facesse
battute su Sherlock e John, ma era stato obbligato a restare a casa
perciò si ributtò fra i cuscini mandando al diavolo il
mondo.
Ma sì, una pausa poteva anche concedersela.
Riaccese
il cellulare e constatò che Sally Donovan, reduce da una
scommessa persa, gli aveva inviato quattro messaggi uno più
divertente dell’altro.
“Capo. Sei in ritardo. C’è l’avvocato di Bart Harvey che aspetta”
“Le risorse umane hanno ricevuto la tua lettera. Che diavolo è successo?”
“Abbiamo
raggiunto un accordo. Abbiamo vinto noi. Ergastolo in un carcere
psichiatrico. L’avvocato sembrava spaventato. Ne sai
qualcosa?”
“Lo
strambo ha urlato in corridoio tutto il tempo. E adesso sta borbottando
insulti verso suo fratello. Posso cacciarlo a calci?”
Greg sorrise e scosse il capo. Peccato che si fosse perso quella scena.
Decise di alzarsi, ma non prima di aver risposto sbrigativamente a Donovan sciorinandole patetiche scuse sulla sua assenza.
Tempo di andare in cucina e gli arrivò un ennesimo messaggio.
“Condoglianze,
Gavin. Un consiglio; porta la pistola. SH” ed il caffè
bollente che stava bevendo finì dritto nel suo stomaco in modo
molto doloroso.
<< Che diavolo ... >>
Lo
ignorò per il bene delle sue sinapsi e perché avere a che
fare anche con i criptici messaggi di Sherlock e le sue mattiniere
deduzioni era troppo.
Riprese a fare colazione con calma, ma il cellulare trillò di nuovo.
<<
Se questo è il vostro modo di lasciarmi riposare …
>> borbottò leggendo l’ennesimo messaggio.
Un indirizzo, niente più, inviato da quel famoso sconosciuto.
Kensigton
Road, un numero e niente più. Nessun nome di una caffetteria,
né quello di un locale. Solo una semplice strada.
Osò
premere il tasto di risposta e scrisse semplicemente “va
bene” per poi ripensarci e aggiungere “Non conosco locali
in quella zona”
“Perché non ve ne sono”
Greg osservò la risposta dubbioso e poi capì.
Oh …
***
Greg osservò l’imponente dimora che
si stagliava davanti a lui, una villetta a schiera dai muri bianchi del
tutto simile alle altre nel circondario tanto da non sembrare adatta
all’immagine che Mycroft Holmes lasciava trasparire di sé
stesso.
Fermo
sul marciapiede – davanti alla porta nera di quella villa-
Lestrade capì che era arrivato il momento di tirare fuori il
cellulare e aprire l’app per la registrazione vocale.
<<
Mi chiamo Gregory Lestrade. Se troverete questo messaggio vorrà
dire che sono morto e queste saranno le mie ultime parole: dite alla
mia ex moglie di andare all’inferno, impedite a Sherlock Holmes
di toccare il mio cadavere e soprattutto voglio essere cremato. Sto per
incontrare un uomo molto potente e se non uscissi vivo da questa
assurda situazione, questo è il mio testamento >>
Finì di parlare con un sospiro sconfortato rimettendo a posto il cellulare.
E per poco non gli prese in colpo.
<< Non credevo avesse il senso dell’umorismo, Ispettore >>
Posò
una mano sul cuore sussultando nel ritrovarsi Mycroft Holmes accanto a
lui, ombrello alla mano e sorrisetto sornione sulle labbra.
<<
Io … >> smozzicò Lestrade imbarazzato << Io
non so esattamente cosa ci faccio qui, signor Holmes, ma …
>>
<< Mi chiami Mycroft. E’ venuto per un tea, ricorda? >>
<< Sì, ma … >>
<<
Mi segua >> continuò imperterrito << non capita
sovente che io abbia invitati a casa, ma spero gradisca il tea
casalingo >>
Gregory
Lestrade lo seguì, incerto fino all’ultimo se scappare o
gridare al mondo aiuto, eppure una volta attraversata la soglia rimase
basito nel vedere Mycroft Holmes far cadere la sua maschera di
freddezza e sorridergli in modo ampio, indicandogli un salotto
ordinato.
Ma chi o cosa accidenti era davvero quell’uomo?
<< Sono davvero curioso Ispettore, come ha passato la giornata di relax? >>
Greg
aggrottò la fronte, ma improvvisamente la sua prossemica
mutò conscio che probabilmente non sarebbe stato ucciso.
<< E’ stata molto … lunga a dire il vero >>
Mycroft
sorrise e gli porse una tazza di tea. La accettò sfiorandogli
accidentalmente le dita e dovette ripetersi per almeno trenta volte di
non aver avuto i brividi a quel breve contatto. Si sedette su uno dei
divani e tutto ciò che successe dopo cambiò drasticamente
il corso della sua esistenza.
***
Sherlock
stava ghignando apertamente da qualche minuto, esattamente da quando
aveva acceso il cellulare per capire che ore fossero.
Diciassette e venti del pomeriggio: ciò significava che Lestrade aveva appena attraversato la soglia di suo fratello.
Sarebbe
entrato negli annali come il giorno in cui Mycroft Holmes permise ad un
pesce rosso- di cui si era accidentalmente invaghito tre anni prima- di
entrare a casa sua.
Sherlock ghignò di nuovo.
Povero, povero Gavin …
<< Sherlock … >> biasciò John << Non stai stalkerando tuo fratello, vero? >>
<<
Lui lo fa con noi >> si giustificò sorridendo
mefistofelico << Oh, non vedo l’ora di dirlo a mommy
>>
<< Stanno solo prendendo un tea insieme, nessuno farà annunci di nessun tipo, soprattutto a tua madre. E lascia in pace Greg >>
<< Lo farei se mio fratello non lo distraesse dai casi che dovrebbe trovarmi! >>
John sospirò rassegnato << E poi Greg non è gay >> puntualizzò.
Sherlock sorrise sghembo dando una eloquente occhiata ai loro corpi nudi.
<< Sì … mi sembra di aver già sentito questa frase >>
Note finali:
I nomi delle vittime li ho presi a caso ispirandomi ad attori ( Martin
e Freeman, della serie viva la fantasia) e personaggi di alcuni libri.
La
clinica Riverside non credo esista, l’ho inventata sul momento
perché necessitavo di un nome da clinica psichiatrica.
Le frasi
che ho scritto in inglese sono state una scelta dettata dal mio
impellente bisogno di non uscire dai canoni della BBC. Volevo che fosse
una ff simile ad un episodio di Sherlock, ma con un pizzico di Mystrade
e Johnlock! ;)
Non credo ci sia bisogno di traduzione perché sono frasi abbastanza comuni, ma nel caso le inserirò.
SO che è lunga e ci sono un sacco di omicidi per una one shot, ma mi auguro di non aver esagerato =)
Beh, spero vi sia piaciuta e vi abbia strappato un sorriso.
A presto!
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