Incontro

di Mojo_Pin
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Ancora pochi minuti e sarei arrivata a Firenze. Mi aspettava al binario e diceva di esser tranquillo. Buon per lui, perché il mio cuore non faceva altro che galoppare dalla sera prima; di questo passo sarei morta d’infarto non appena avessi messo il piede sulla banchina della stazione. 
I freni fischiano. Il paesaggio rallenta. Dapprima i prati si trasformano in case e poi in una distesa di ferro e cemento. Stop. “S’informano i gentili passeggeri che il treno proveniente da Roma Termini e diretto a Milano Centrale ha raggiunto Firenze Santa Maria Novella in perfetto orario. Grazie per aver viaggiato con noi”.  Proprio oggi che mi servivano quei dieci minuti in più per metabolizzare i prossimi eventi il treno raggiunge la destinazione in orario. E quel tipo lo dice in maniera così tranquilla, con quella voce metallica e fredda, come se non ci fosse nessuno di speciale in quella stazione. Mi sta già antipatico. Sospiro, chiudo gli occhi e li riapro. Prendo il mio bagaglio e mi dirigo verso l’uscita, sguardo basso. Non lo cerco con lo sguardo, non sono ancora pronta, non voglio accorgermene. Due scalini, banchina. Qualche passo e ancora mi guardo i piedi: le mie superga non sono perfettamente bianche, non me ne ero mai accorta. Mi sposto il minimo indispensabile per non intralciare il passaggio e guardo il cellulare… Posso sempre dire di non essermi accorta di nulla e che lo stavo per chiamare.
“Ehi”.
E’ dietro di me. Percepisco la sua presenza, sento la sua voce, per la prima volta non distorta da una linea telefonica. Mi fermo ma no, non alzo lo sguardo. Devo ancora guardare i miei piedi perché ho notato che le mie Superga hanno la base bianca ed è solo la stoffa a essersi ingiallita. Sono sicura che quando le ho comprate fossero tutte dello stesso bianco accecante.
“Dammi un secondo solo, devo… devo digerire tutta questa realtà”.
E’ così. Conto fino a cinque. Sospiro. Mi volto e lui è lì.

Sentivo l’aria fredda sulla pelle nuda della mia spalla, un’impronta umida lasciata dalle sue labbra pochi secondi prima. Forse pensava stessi dormendo: come poteva immaginare che ero stata tutta la notte a decidere di quale tonalità erano le mie Superga ingiallite; o magari, conoscendolo, poteva immaginare la mia lotta interiore, ma cercava di rendermi più facile la realtà ignorando la mia pelle che ardeva ogni volta che mi sfiorava anche solo con lo sguardo.  Ero rimasta tra le sue braccia tutta la notte, e ci sarei rimasta per sempre. Non sentivo nessun bisogno di alzarmi da quel letto che con le sue lenzuola aveva coperto il nostro casto abbraccio silenzioso. Sospiro.  Mi volto e lui è lì.




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