Dream of Rain
Dream of rain;
Piove sui nostri volti silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggeri,
sui freschi pensieri che
l’anima che l’anima schiude novella,
su la favola bella che ieri
t’illuse,
che oggi m’illude, o
Ermione.
Gabriele D’Annunzio, La
pioggia nel pineto
Pioveva, quella sera. Pioveva a
dirotto. E lei non riusciva a trovare uno stramaledettissimo taxi
libero. Poteva smaterializzarsi, certo, ma non era per nulla una cosa
sicura: c'era un sacco di gente per strada, e lei si sentiva troppo
osservata per osare svanire nel nulla in pubblico. Aveva sempre avuto
una particolare attenzione per la segretezza e conosceva a memoria
tutte le norme e i decreti del Ministero della Magia a riguardo.
Proprio non poteva. Perciò se ne stava sul marciapiede, ormai fradicia,
a tentare di attirare l'attenzione di ogni taxista che passava Nemmeno
un posto vuoto. Era un incubo, un incubo freddo. Provò distrattamente a
farsi notare dall'ennesimo taxi nero, senza molta speranza, osservando
l'insegna del negozio che aveva di fronte. Fu estremamente stupita
quando il taxi si fermò di fianco a lei, bagnandola ulteriormente, ed
aprì la portiera entrando finalmente all'asciutto, con un sospiro di
sollievo. Sollievo che, però, durò solo pochi istanti. Non era un taxi,
notò, ma una limousine. Nera e lucente sotto la pioggia. Fece per
uscire, ma qualcosa la bloccò.
«Buonasera, Granger» le
disse qualcuno. Sgranò gli occhi e si voltò lentamente verso il
proprietario della voce bassa e strascicata che aveva udito. Solo lui
pronunciava il suo nome in quel modo. Non era possibile! Tra tutta la
gente di Londra lei doveva andare a beccare la macchina occupata dal
più schifoso serpente che avesse mai incontrato in tutta la sua vita!
Non era proprio la sua serata.
«Malfoy» replicò,
sprezzante. Il biondo ghignò.
«Ma come siamo gentili,
vero? E sì che io avevo deciso di condividere l'auto con te, visto che
mi sembravi piuttosto in difficoltà. Vuol dire che mi sono
sbagliato...» suppose Malfoy, sogghignando tra sé. La riccia alzò gli
occhi al cielo ma si rese conto che la sua voglia di tornare fuori era
assolutamente inesistente, e perciò si costrinse ad un piccolo sorriso.
«Ero semplicemente sorpresa
di trovarmi nella tua auto, e lo sono ancora di più sapendo che hai
deciso di aiutarmi. Come mai questo slancio di cavalleria, furetto?» lo
punzecchiò.
«Granger, Granger,
Granger... Dovresti saperlo che noi Malfoy siamo dei galantuomini.
Nonostante tu sia una Sanguesporco, sei sempre una donna. È un mio
preciso dovere quello di aiutarti, se ne sono in grado. E, in questo
caso, ne sono chiaramente in grado. Allora, dove ti devo far lasciare?»
chiese, senza che il ghigno sparisse dal suo viso. Lei lo guardò per un
attimo negli occhi e poi gli diede l'indirizzo, che egli comunicò
all'autista. L'auto partì nella notte, con la sua eleganza lievemente
inquietante, ed al suo interno calò il silenzio.
Era stata una decisione
improvvisa, quella di Draco. L'aveva vista sul marciapiede e, dopo il
divertimento iniziale, aveva ordinato all'autista di fermarsi. L'aveva
sempre vista forte e, osservandola lì sul marciapiede, che tentava di
coprirsi il più possibile con l'impermeabile, gli era sembrata quasi
indifesa. E si era incuriosito. Era chiaro che lei non avesse capito
dove si trovava esattamente, perché quando aveva notato di non trovarsi
in un taxi aveva tentato di uscirne, e lui aveva capito di desiderare
che lei rimanesse, anche solo per qualche istante. Come al solito,
lasciò spazio ad i propri capricci e così la convinse a rimanere. Non
sapeva dove abitasse, si rese conto. Ed era curioso. Non sapeva bene il
perché, ma era sicuro che qualcosa di interessante sarebbe successo,
quella notte. Non sapeva cosa, né come, ma ne era certo.
Ed anche lei sentiva che
qualcosa stava succedendo: da quando accettava così l'aiuto di
qualcuno? Di una Serpe in particolare? Ma era davvero stanca, quella
sera. In ufficio aveva dovuto svolgere un sacco di lavoro e non aveva
proprio voglia di andare a casa a piedi. Era lontana. Per quello si era
lasciata convincere ed aveva accettato il passaggio, e fortunatamente
il traffico era piuttosto scorrevole. In poco tempo sarebbero giunti a
casa ed avrebbe potuto cambiarsi e bere una bella tazza di thé caldo.
Sorrise al pensiero confortante, e Malfoy lo notò.
«La mia compagnia ti mette
di buon umore, Granger?» chiese, e lei sussultò: si era quasi
dimenticata della sua presenza, lì con lei. Era stato immobile da
quando erano partiti.
«Più che altro la tua
macchina, Malfoy. Si sta bene qui dentro: fa decisamente più caldo
rispetto a fuori» rispose, sincera.
Draco annuì tra sé e
replicò: «Quando vuoi, Granger. Quando vuoi». E tornò a starsene zitto
ed immobile, osservandola attentamente. Lei fece finta di nulla, ma
sentiva che il suo sguardo era posato su di lei. Come se volesse
catturare ogni minimo particolare. Prestava attenzione ad ogni curva di
ogni singolo ricciolo bagnato che le si posava in viso.
«Che hai da guardare,
Malfoy?» chiese dopo un po', innervosita.
Per un attimo vi fu
silenzio, ma poi il biondo rispose: «Ti osservo, Granger, per sapere se
sei cambiata. O invecchiata, non so. Invece devo ammettere che sei
rimasta pressapoco uguale all'ultima volta in cui ti ho vista.
Complimenti.».
Lei lo guardò senza capire:
«Complimenti?» chiese. Lui ghignò di nuovo, come se quella fosse
l'unica espressione che il suo viso fosse in grado di assumere.
«Sì, complimenti. Sei una
bella donna, Granger. Peccato per i tuoi genitori» aggiunse, quasi
noncurante. A quelle parole gli occhi di lei si riempirono di lacrime.
I suoi genitori... Li aveva persi, per sempre. Non era riuscita a
spezzare l'incantesimo che aveva fatto su di loro prima di partire alla
ricerca degli Horcrux. Era stata troppo decisa nel formularlo. Era
irreversibile. Non aveveno idea di chi lei fosse, ed era dovuta sparire
per sempre dalle loro vite. Draco notò la reazione di lei alle sue
parole e ne rimase stupito: non aveva detto quella frase con
cattiveria, e lei si era sentita dire di molto peggio. Cosa era
successo? Si rese conto che gli dispiaceva davvero averla fatta
piangere, perciò la chiamò: «Granger?» disse, ma ella non rispose.
Rimase immobile come lui aveva fatto poco prima. «Granger?» ripeté.
Niente. Sospirò e storse la bocca in una smorfia, poi allungò una mano
e sfiorò il mento di Hermione, facendola girare in modo che lo
guardasse negli occhi, e riprese: «Non volevo farti piangere, Granger.
Non pensavo ci saresti rimasta male, non ero nemmeno così serio. Stai
tranquilla, okay?».
Non le aveva chiesto scusa,
ma ella vide nei suoi occhi che era sincero. Perché era così
maledettamente bravo a fingere? si chiese. Ma annuì semplicemente e si
asciugò le lacrime, scostando il viso dalla sua mano, lievemente
controvoglia: lui era caldo, e lei aveva ancora così freddo...
«Siamo arrivati, Signore»
disse la voce dell'autista dal posto di guida. L'auto si fermò
esattamente di fronte al vialetto di casa sua e, prima che Hermione
potesse ringraziare, Malfoy scese dalla macchina, sotto la pioggia
battente, e ne fece il giro, andando ad aprirle la portiera. Ella
scese, sempre più sorpresa, e si mise sotto un albero, dove la pioggia
arrivava meno. Lui chiuse la portiera e la raggiunse: «È la casa
giusta?» domandò.
Ella annuì e rimase
pensierosa per un istante: «Ti va di salire a prendere un thé? Ti sei
bagnato tutto, per aprire la portiera a me. Sarà il mio modo per
ringraziarti, se per te va bene».
Malfoy la osservò per un
momento e poi annuì, dicendo: «Fammi strada».
Hermione sorrise e si mise
improvvisamente a correre, giungendo al viale di casa sua ed aprendo la
porta il più velocemente possibile. Nell'atrio, quasi spoglio, ella
lasciò le scarpe e si diresse in camera sua, dicendo ad alta voce: «Mi
cambio ed arrivo, la cucina è sulla destra».
Draco rimase fermo per un
attimo e poi si asciugò i vestiti con un colpo di bacchetta, andando
poi a sedersi in cucina, guardandosi in giro. Era una stanza semplice,
arredata con buon gusto. Vi era un quadro appeso alla parete che
rappresentava un elfo domestico con una banana legata ad una catena a
mò di collana, una giacca elegante verde bottiglia, che gli arrivava
fino alle ginocchia ossute, e calzini spaiati ai piedi. Si domandò cosa
c'entrasse con il resto della stanza e poi notò la firma dell'autrice:
Luna Lovegood. Solo quella pazza poteva disegnare una cosa del genere.
Eppure quell'elfo era convinto di averlo già visto da qualche parte.
«Ti piace il quadro?»
chiese la voce di Hermione, entrata nella stanza senza essere sentita a
causa della mancanza di scarpe.
Draco alzò gli occhi verso
di lei e rispose: «Non direi, no. Ma il resto della stanza è arredato
bene. Mi chiedevo appunto cosa c'entrasse questo quadro.»
Ella sorrise e disse: «Luna
ha fatto molti quadri di questo genere, perché ama ricordare Dobby,
l'elfo che ci ha portati via da casa tua quando tua zia mi ha
torturata. Non lo riconosci?».
In quel momento al biondo
tornarono in mente le lunghe giornate trascorse con lui, che era
l'unica sua compagnia nell'immensa casa di famiglia. Era con lui che
parlava o giocava da bambino. E gli era davvero dispiaciuto quando suo
padre aveva detto che era stato liberato. A causa di Potter. Come al
solito.
«Sì che lo riconosco. Dove
è ora?» chiese, curioso e forse un po' speranzoso.
Hermione lo guardò stupita
e replicò: «È morto quello stesso giorno. Mentre si smaterializzava tua
zia ha lanciato un pugnale, e lui è stato colpito. Harry gli ha scavato
una tomba a Villa Conchiglia, la casa del fratello di Ron e di sua
moglie».
«Oh..» disse semplicemente
Draco, un po' stranito.
Hermione sorrise
leggermente e poi disse: «Preparo il thé».
Quando fu pronto, Hermione
pose due tazze colme di thé sul tavolo e prese un cucchiaio per
mettervi lo zucchero, chiedendo: «Quanto ne vuoi tu?».
Draco scosse la testa e
disse: «Io non metto zucchero nel thé: va bene così, grazie».
Ella alzò le spalle e gli
porse la tazza, mettendo due interi cucchiai di zucchero nel suo ed
aggiungendoci ancora un po' di latte, sotto lo sguardo quasi schifato
di lui.
«Che c'è?» chiese.
«Come fai a bere quella
cosa? Fa venire il diabete solo a sentirne l'odore!» rispose Draco.
«Io sono una persona dolce,
non come te, furetto» lo punzecchiò lei.
«Sì, ricordo quanto sei
stata dolce quando mi hai tirato un pugno!» ridacchiò lui.
Ella arrossì:
improvvisamente si sentiva in colpa.
«Beh te l'eri meritato! Eri
stato proprio uno stronzo in quell'occasione» si difese.
Draco alzò le mani in segno
di resa e replicò: «Okay lo ammetto, ma continuo a pensare che tu non
sia una persona poi così dolce». Lei rise e disse: «Come ti pare,
Malfoy. Ti sono ancora troppo grata per avermi portata a casa per
mettermi a litigare».
Lui sogghignò e rispose
enigmatico: «Ah davvero? Allora sarà meglio io ne approfitti...».
Hermione smise di ridere e
lo guardò seria: «Non sono abituata a non capire, furetto. Cosa intendi
dire?»
Draco ghignò ancora e poi
rispose: «Mi devi un favore, giusto?».
Lentamente, tentando di
capire cosa passasse per la testa della Serpe, Hermione annuì.
«Allora chiudi gli occhi
per dieci secondi, Granger. Solo dieci secondi, ed avrai saldato il tuo
debito».
Hermione alzò gli occhi al
cielo dicendo: «Tu sei matto, Malfoy», ma lo accontentò e chiuse gli
occhi. Erano solo dieci secondi, che cosa poteva mai farle?
Iniziò a contare
mentalmente. Uno, due,
tre, nulla: era
chiaro che Malfoy fosse matto.
Quattro,
cinque: metà del
tempo era trascorso.
Sei,
sette...
E poi qualcosa successe: un
piccolo movimento, veloce e silenzioso. Percepì le labbra di Draco
sulle proprie e si sorprese nel constatare che erano morbide e calde.
Come le sue mani.
Otto,
nove...
Un piccolo brivido, un
sussurro all'orecchio:
«Buonanotte, Granger. Fammi
sapere quando ti serve un passaggio».
Dieci.
Aprì gli occhi, ed egli era
sparito. Si ritrovò nel suo letto, a fissare il soffitto buio. Fuori
pioveva, pioveva a dirotto. Era tardo pomeriggio, e doveva passare in
ufficio per finire alcuni lavori. Si smaterializzò dopo essersi
preparata e seppe di essersi dimenticata l'ombrello. Ma, ne era certa,
qualcuno quella sera sarebbe giunto ad aiutarla.
|