Capitolo 2. My
name is Odango
Sono
in ritardo. Sono maledettamente in ritardo.
No,
Usagi. Tu sei sempre in ritardo.
Ogni
mattina è la stessa storia.
Devi
andare a lavorare, Usagi. Ti devi alzare presto.
Anzi, no. Ti devi alzare.
Perché
non ti corichi prima la sera?
Ah,
giusto. Non ti viene mai sonno prima delle due.
Questo
non va bene, Usagi. Non fa bene alla tua
pelle. Non fa bene al tuo cuore.
Il
cuore… è vero, la colpa è tutta sua.
Quel
tuo collega.
Lui
non riesce a farti dormire.
Eppure
lo vedi tutti i giorni. A lavoro, ovviamente.
Lui
è lì, sempre circondato da ragazze. Anzi, loro
entrano apposta ad ordinare caffè e cornetto solo per
guardarlo.
Ha
un bel sorriso, lui. Un buon carattere. Ed è un
ottimo collega.
Già,
lavoriamo insieme.
Un
barista. Mi piace un barista come me. Può
funzionare?
Dicono
che è meglio non innamorarsi tra colleghi.
Voglio
andare controcorrente?
Forse.
Beh,
dovrei appurare se anche lui provi qualche
sentimento nei miei confronti.
Pensandoci
bene… come potrei piacergli?
Sono
un disastro!
Ritardataria
e pasticciona… il mio caffè, poi, è
orribile.
Non
so quante volte, Motoki, mi ha sgridata.
Già,
lui è il boss. Moto-boss.
“Usa, impara da
Seiya a fare il caffè!”, mi ripete
sempre.
A
queste parole, ormai sono abituata.
Seiya.
Lui mi aiuta. Mi dice come migliorare.
Ma
io non riesco ad ascoltarlo. Non posso.
Passo
il tempo a scrutarlo. Mi piace.
Non
so ancora perché .
Mi
piace perché mi fa battere il cuore?
Possibile.
Mi
piace perché è carino? Perché il
codino nero che
cade sulle sue spalle è carino?
Probabile.
Non
so il motivo, ancora.
Però,
mi piace. E questo è certo.
Dovrei
smetterla. Di perdermi sempre nei miei
pensieri.
E
devo correre.
Sbam! La porta
di casa è chiusa.
Devo
correre. Correre e correre. Sono in ritardo.
E
ho sonno. Gli occhi mi si chiudono mentre corro.
Sono
sudata, ma devo continuare a correre. Motoki mi
ucciderà se arrivo anche oggi in ritardo.
Fa
freddo. Sento il vento che taglia il mio viso.
Le
mani sono congelate.
Non
riesco nemmeno a vedere bene. C’è anche un
fastidioso filo di nebbia .
Uffa,
la solita fortuna. Ma non posso demordere. Devo
correre.
Oh,
no. Il semaforo. E’ rosso.
Non
posso. Non devo aspettare. Devo attraversare.
Vado
e… skretch!
Una
frenata.
Ahi! Sento dolore.
Sono
a terra. In ginocchio.
Sono
caduta.
Ho
gli occhi chiusi, ma sento una luce su di me. Sono
i fari di un’auto?
Sono
viva?
Sento
una portiera che si apre e chiude velocemente.
“Ehi,
tu! Vuoi stare più attenta? Non vedi
che è rosso?”
Una
voce.
Sì,
sono viva.
Sento
dei passi. Qualcuno si sta avvicinando a me.
Apro
gli occhi.
“Stai bene?”
Un
uomo è inginocchiato davanti a me.
Non
riesco a vederlo bene.
“Sentiamo il
tuo polso…”
Mi
ha preso la mano. Sembra stia contando.
“Sembra tutto
ok, ma devo portarti per precauzione in ospedale per un controllo
più
approfondito.”
Lo
ascolto. Non ho ancora realizzato. Non so ancora
cosa è successo.
Ma
quelle parole. Sono così fredde.
Deve
essere una persona molto razionale.
“Riesci a
vedermi?”, mi chiede.
Strabuzzo
un po’ gli occhi. Vedo la foschia della
strada isolata a quell’ora del mattino.
Vedo
l’asfalto e le mie gambe. Vedo anche le scarpe
di quell’uomo.
“Si”, gli
rispondo ancora un po’ confusa.
Silenzio.
Uno strano silenzio mi avvolge.
Una
mano. La sua. Mi sta aiutando ad alzarmi.
Ecco,
sono in piedi.
“La ringrazio,
ma non c’è bisogno…”
Non
riesco a finire la frase. Ho visto il suo viso.
E’
freddo. Quasi scocciato. Forse, mi sta
disprezzando.
“Dobbiamo
andare!”, mi ripete.
Ho
paura. Perché?
Sento
il cuore battere. Batte forte. Batte talmente
forte che sembra uscirmi dal petto.
Perché?
Non
mi fido?
“Sono un
medico. Andiamo.”, mi ripete un po’
più dolcemente.
I
suoi occhi. Sembrano belli. Anzi, no. Lo sono senz’altro.
Il
suo viso. Sembra pulito. Sembra perfetto.
I
suoi capelli sono neri, arruffati.
Quest’uomo
è molto bello. Così sicuro di sé.
Intravedo
un’aura di mistero intorno a lui.
Lo
fisso. Lo sto fissando. Sono stordita.
Il
cuore mi batte. Non smette. Batte forte.
La
sua bocca. Sembra disegnata da un’artista.
“Cosa hai da
guardare?”
Il
suo sguardo sprezzante.
“Mi scusi.”
Arrosisco.
Il
mio cuore non si ferma. Batte fortissimo. Soprattutto
ora che ha preso la mia mano per condurmi in macchina.
Perché
batti? Stupido cuore.
Lui
ti intriga?
Sì,
mi sento affascinata da questo tipo.
“Andiamo,
Odango!”, mi dice aprendomi la portiera.
“Odango?”
Lo
guardo perplessa. Di cosa sta parlando?
“Sei stupida,
Odango?”, mi ripete.
Odango.
Odango. Odango. Non capisco.
“Sei tu,
Odango. I tuoi codini…”, mi spiega,
indicando i miei capelli con le dita.
I
miei codini?
Lo
guardo. Sono seduta affianco a lui. In macchina.
Ho
capito bene? Mi sta insultando?
Non
so, ma in tre secondi ha perso tutto il suo fascino.
“Odango chi,
scusa?”
Sono
leggermente adirata.
Lui
sorride. Arrogantemente.
“Odango tu,
stupida ragazzina. Mi stai facendo perdere tempo. E credimi, il mio
tempo è
prezioso.”
Si
avvicina a me e mi allaccia la cintura. Ha messo
in moto.
Sono
paralizzata. Sono scioccata. Come si permette?
Ritiro
tutto. Questo tipo non è affatto affascinante…
è un
cafone.
Deve
essere un isolato. Un emarginato.
Il
cuore mi batte. Ah, sento rabbia verso di lui.
Sento
ira. E rancore.
Quello
sguardo glaciale verso di me.
Sono
un peso? Mi hai quasi investito, stupido idiota!
Ah,
sto per esplodere! Sento che la collera sta
prendendo il soppravvento su di me.
“Sarai pure un
medico e avrai anche una bella faccia. Ma sei uno zotico. Un emarginato
e un
cafone.”
Eccoti
ben servito. Ti ho ripagato con la stessa
moneta. Con il tuo stesso modo. Con il tuo stesso sguardo glaciale.
Mi
guardi. Sei sbalordito, vero?
Non
te lo aspettavi, vero?
Fai
l’impassibile per non ammettere la tua sconfitta?
Ah,
che soddisfazione.
“Se pensi di
avermi impressionato, ti sbagli. Se pensi di esserti vendicata, ti
sbagli. Le tue
parole mi scivolano addosso. Ora scendi, stupida ragazzina.”,
mi dice
accostando.
Mi
sta scaricando.
“Stai fin
troppo bene. Sparisci ora.”
Cosa?
Sparisci?
Questo
tipo sta sfidando la mia pazienza. Devo
ignorarlo, però.
Devo
essere SUPERIORE.
“Ti accontento…”
Scendo.
Come un fulmine.
Lui
riparte velocemente, lasciandomi sul ciglio della
strada.
“Stupido idiota…”
Esistono
davvero persone così?
Mi
chiedo chi sia.
Chi
è, quel baka
glaciale?
Sono
arrabbiata. E in ritardo.
Riprendo
a correre. Stavolta Motoki mi maledirà
davvero.
Ma
gli spiegherò tutto.
Che
stavolta non l’ho fatto apposta. Che stavolta non
è affatto colpa mia.
Ma
di uno stupido idiota con una bella faccia.
Di
un baka
arrogante che spero di non vedere mai più.
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