Ero e Leandro

di Katara Hira
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ERO E LEANDRO

È tardi, Leandro, è tardi e fa freddo quassù
la mia balia è già a letto da tempo.
Sento voci maschili provenir dalla spiaggia
aguzzo lo sguardo ma non sei tu.
I miei vestiti svolazzano al vento
e stringo i tuoi al petto in cui il cuor si scoraggia.
Nel cielo gli astri risplendono tutti,
e perdo lo sguardo in ogni stella o costellazione
di cui, grazie al tuo aiuto, ora conosco il nome.
E guarda lì in basso i flutti.
Sembran combattere un’ invincibile lotta
contro gli scogli lasciando la spuma
al posto del sangue, lattea come la luna.
Riuscirai a mantenere la rotta?
Il lume, Leandro, si è già spento due volte
e di te non c’è ancora traccia,
le preoccupazioni ormai son molte:
avranno retto lo sforzo le braccia?
Ora il Sole il cielo seduce
che arrossendo si tinge di rosa,
mentre Apollo su tutto riluce,
Ero diventa più ansiosa.
Si è raccolta un folla vicino al porto:
che stanno facendo? Chi tengono in braccio?
Si copre il volto piangendo un bambino,
mentre una donna grida “È morto!”.
La paura mi assale e mi affaccio,
non può farmi questo il destino.
Ma per quanto lo voglio, l’occhio non mente,
e riconosco il tuo volto seppur bianco e spento,
mi strappo i capelli e lancio un lamento.
È colpa mia questo incidente?
Dovevo saperlo che un giorno
l’acqua gelosa ti avrebbe avvolto tra le sue braccia
senza permetterti di fare ritorno.
Ma Eros da la caccia
Agli stolti che non fanno attenzione all’insidia.
E il nostro amore così potente
ha suscitato l’invidia
di qualche dio che si è vendicato furente.
Mi manchi, Leandro, mi manchi…
Questo balcone è così in alto…
Dicono che la vita sia solo un passaggio.
Mi asciugo gli occhi ormai troppo stanchi,
guardo in basso e salto.
Non preoccuparti, Leandro, oggi lo compio io il viaggio.




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