Desmond Duncan - Game, set, death

di Desmond
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Per la notte, alloggiammo in un bed and breakfast di Addlestone. Per la verità, non dormii più di tanto. Arrivammo tardi, verso le tre del mattino, e passai almeno un’ora a giocherellare col mio distintivo e col tesserino riconoscitivo dell’MI5. Agente numero 132170210, Desmond Duncan. Fissavo la mia stessa foto, riconoscendomi a stento, sia per il vestito elegante – la classica tenuta da spia, in giacca e cravatta – sia, soprattutto, per l’espressione sicura che ridisegnava i miei lineamenti. Oltre ai distintivi, mi venne consegnato anche un invito speciale per il giorno stesso, ore nove del mattino, Sezione Delta  dell’MI5. In stanza, trovai ad aspettarmi una Glock 17 Gen4, la pistola che da qualche mese era diventata d’ordinanza per tutto l’esercito inglese.

Entrai in un ufficio di cui nemmeno conoscevo l’esistenza, nel terzo piano sotterraneo di Thames House. Ad attendermi c’era un uomo sulla settantina, i cui occhi ambrati mi guardavano da dietro un paio di spessi occhiali da vista.

«Buongiorno, agente Duncan – mi accolse – io sono K, il direttore della Sezione Delta. Qui potrà trovare tutte le armi a disposizione dell’agenzia e scegliere quali siano quelle di suo maggiore gradimento». Rimasi stupito dall’energia nella voce di quell’uomo, così anziano ai miei occhi, eppure indubbiamente pieno di inventiva. «Ho osservato i suoi test e sono abbastanza sicuro di almeno una pistola che sceglierà. La prego, indossi questo orologio e questo auricolare, e si ricordi di non toglierli per nessun motivo. Voglia seguire la mia assistente nel giro dell’armeria».

Mi congedò rapidamente, probabilmente perché oberato di lavoro. Allacciai il cinturino dell’orologio e infilai l’auricolare nell’orecchio sinistro. Nella stanza entrò una ragazza dai capelli ramati e leggermente mossi, gli occhi verdi e a palla, le labbra sottili e messe in risalto da un rossetto rosso scuro, tendente al viola. Indossava un tailleur blu notte che probabilmente ne invecchiava di qualche anno l’immagine, ma anche così sembrava a stento ventenne. Mi sorprese a fissarla e mi lanciò un’occhiataccia di sbieco.

«Che c’è? – chiese con tono quasi di sfida – Vuoi una foto?». Sorrisi, ma lei non ricambiò.

«Pessy, non essere così rigida, su! – la rimproverò bonariamente K – L’agente Duncan deve scegliere le proprie armi per la prima missione. Sii… quantomeno cortese».

Non appena fummo fuori, le porsi la parola. «Allora, Pes…». Non riuscii a finire.

«Per te sono l’Agente Psycho – mi interruppe – Solo K può chiamarmi in quel modo, e gradirei che non facessi umorismo facile su una mia possibile relazione ultralavorativa con lui, è solo mio nonno. Sappi che ho ucciso per molto meno, Duncan».
 




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