Ero
seduto sulla mia sedia da regista e stavo discutendo una
scena con Kat quando
vidi Nina arrivare,
puntuale come sempre
Non
avrebbe dovuto girare quel
giorno, ma a lei piaceva stare sul set, guardare girare tutte le scene
e godere
della compagnia dei suoi amici.
Vedendola capii subito che
qualcosa non
andava.
Con
la testa bassa si diresse direttamente al suo camerino:
i capelli le scivolavano lungo le guance, nascondendole il volto. Non
un cenno
di saluto, non un sorriso alla crew.
Strano:
di solito quando arrivava
salutava tutti, con la sua energia e il suo buon umore.
Anche
Kat la seguì con gli occhi,
notando quel comportamento insolito; le rivolsi uno sguardo indagatore
al quale
rispose con un’alzata di spalle e un sorriso strano.
Eravamo
appena rientrati dalle
vacanze di Natale, Nina era tornata dalla Nuova Zelanda ed era felice,
o almeno
lo era fino a ieri, quando tutti insieme avevamo letto il copione e
avevamo
discusso il calendario delle scene da girare.
Era
allegra.
Era.
Non
riuscivo ad immaginare cosa
potesse averla scossa, come mai il suo sorriso non era arrivato ad
illuminarmi
la giornata.
Un
senso di vuoto mi attanagliò lo
stomaco.
-Kat
… che
cosa le prende? – chiesi, questa volta ad
alta voce.
-Non
saprei Ian … tu cosa ne
pensi? –
Colsi
chiaramente l’ironia nella
sua risposta.
Non
riuscii a formulare una
risposta: la voce di Michael mi giunse inaspettata alle spalle.
-Allora,
buddy, devo farti le
congratulazioni o le condoglianze? – sbraitò.
Mi
arrivò una delle sue pacca
sulla schiena e con il braccio mi agganciò il collo,
facendomi piegare sotto la
sua spinta.
-Fidanzato?
Wow! – continuò. – Era
ora, fratello … il mio piccolo ha bisogno di un cuginetto
con cui giocare: tu
e Nikki vedete di non aspettare troppo. –
Mi
liberai dalla sua presa e lo
guardai crucciato.
Fu
come se un fulmine mi avesse
colpito in pieno petto.
L’annuncio
del mio matrimonio era
stato pubblicato la sera precedente. Era ancora solo un’idea,
qualcosa che io e
Nikki stavamo ipotizzando e, chissà come, era giunta a
orecchie indiscrete.
Avevo
intenzione di parlarne con
Nina e con gli amici prima di rendere ufficiale il fidanzamento, ma non
ero
riuscito a bloccare la notizia.
Maledetto
gossip.
Kat
mi guardò, sconcertata dalla
mia sorpresa.
-Come
pensavi l’avrebbe presa? –
la domanda era retorica.
Raccolsi
un po’ di orgoglio prima
di risponderle, prima di correre da Nina per vedere come stesse.
-Non
dovrebbe prenderla in nessun
modo particolare: non stiamo insieme e lei non ha intenzione di
sposarsi … di sposarmi.
Quindi … -
-Povero
illuso, - proseguì. –Non
starete più insieme, ma a lei importa eccome … e
importa anche a te. Come
reagiresti se lei annunciasse le sue nozze tramite un sito di gossip?
–
Semplicemente
spaccherei tutto,
frantumerei ogni cosa, sarei furioso … ma non lo ammisi
né con Kat né con me
stesso.
-Le
farei le congratulazioni. –
dissi invece.
-Sì,
come se non ti conoscessi.
Come se non vedessi il modo in cui la guardi. – mi
rimproverò.
Michael
assisteva alla scena con
un sorrisetto divertito.
-Cazzo,
peccato essere arrivato
troppo tardi: mi devo essere perso una gran bella storia … i
Nian … Kat, mi
devi raccontare ogni particolare. –
-Fottiti,
“Enzo” … sei stronzo
come il tuo personaggio. Non c’e nulla da raccontare, non
c’e nulla da rivivere.
È finita. Siamo solo buoni amici. Mi dispiace che la notizia
le dia fastidio ma
io devo andare avanti con la mia vita e se questo prevede un
matrimonio, lei lo
deve accettare e capire. Fine. Punto. –
-Se
ci credi tu … - insinuò la
“strega”
che avevo di fronte. – Beh, io farei una pausa. Michael, se
mi offri un caffè,
ti racconto come … -
-Kat
… - le urlai, ma lei mi
voltò le spalle e prese sottobraccio quel mostro di
Malarkey.
I
tecnici che avevano assistito
alla scena si fingevano affaccendati: chi controllava la camera, chi
riguardava
la storyboard … qualsiasi scusa pur di non guardare me.
-Ok
– annunciai. – Mezz’ora di
pausa e poi si ricomincia. –
Andai
verso il bancone del rinfresco
e preparai una tazza di caffè con un goccio di latte e una
punta di zucchero,
come piace a Nina, poi m’incamminai verso il suo camerino.
Davanti
alla sua porta mi fermai
un momento per prendere respiro.
Speravo
fosse sola. Volevo
parlarle, chiarire, spiegare … vederla.
Origliai
per sentire se
dall’interno provenissero delle voci, ma colsi solo le note
di una canzone che
suonava a basso volume. Non una canzone qualsiasi: “quella"
canzone.
Non
bussai. Afferrai la maniglia,
l’abbassai e lentamente aprii la porta.
-Nina?
Ci sei? –
Entrai
senza aspettare una
risposta.
Nina
era seduta davanti allo
specchio del trucco; guardò la mia immagine riflessa senza
voltarsi, con uno
sguardo di rimprovero.
Chiusi
la porta e d’istinto girai
la chiave nella serratura. Non volevo sorprese inopportune: avevo
bisogno di rimanere
solo con lei.
Mi
avvicinai e appoggiai il caffè
sul ripiano pieno di trucchi e pennelli, guardando il volto di quella
splendida
donna attraverso specchio.
Gli
occhi rossi e le labbra
gonfie mi svelarono più di ogni parola, di ogni confessione.
Aveva
pianto.
La
cosa mi sconvolse più di
quanto mi aspettassi: Nina non piange spesso e se lo fa è
perché sta soffrendo
più di quanto non possa sopportare.
No,
lei non piange. E non per
orgoglio, non per vergogna.
“Non ho tempo da sprecare in lacrime inutili: il
dolore passerà comunque
ed io non avrò sprecato ore preziose a piangermi
addosso”, era la sua
filosofia, il suo mantra quando qualcuno o qualcosa la feriva.
Nina
non piangeva. Davanti ad
un’offesa alzava il mento e sfidava il nemico con un sorriso,
il destino con un
passo di danza.
Il
dolore doveva sfiancarla per
farla cedere: doveva colpirla dritta al cuore o al centro
dell’anima.
Nina
aveva pianto quella notte,
quella mattina, forse solo qualche minuto fa … per colpa mia.
Feci
girare la sedia in modo da
porla di fronte a me e, mettendo un dito sotto al suo mento, la
costrinsi a
guardarmi in faccia.
-Nina
… - il suo nome mi uscì
dalla gola insieme ad un sospiro di angoscia.
Lei
non emise un suono. I suoi
occhi, pur seganti dal pianto, erano duri dentro i miei, le labbra
serrate in
una linea rigida e sottile.
-Ascolta:
non dovevi venire a
saperlo così … avrei voluto parlartene.
È solo un progetto … -
Lei
mi zittì mettendomi la mano
sulla bocca e scuotendo la testa.
Non
voleva ascoltarmi. Non voleva
parole.
Le
parole non le erano bastate
mai.
Quegli
occhi rossi, quelle
lacrime trattenute mi ricordarono altre lacrime,
gli stessi occhi disperati che mi guardavano
con angoscia, in un altro frangente, in un’altra vita.
Mi
tornò alla mente la sera in
cui mi presentai in albergo con un anello, la sera che le chiesi di
essere mia
per sempre.
Era
come se avessi bisogno di
riaccendere quel dolore, di scucire una ferita non rimarginata,
precipitare
ancora e più a fondo in quella sofferenza, in quella miriade
di domande che
avevano una sola, inequivocabile risposta: non mi amava abbastanza. Non
abbastanza da rinunciare alla sua spensieratezza, alla sua voglia di
gioventù,
alla sua libertà … ed io l’amai
talmente tanto che la lasciai andare, libera, giovane
e stupenda.
Era
quasi mezzanotte quando
uscimmo dal ristorante.
Rientrati
in camera Elena si era
tolta quell’ingombrante vestito bianco e nero che indossava
per il party di
Elton John e si era fatta la doccia, mentre io telefonavo al servizio
in camera
per farmi portare altro champagne.
Ne
avevamo bevuto parecchio
durante la cena. Lei sentiva freddo con quel vestito scollato sulle
spalle e la
mia giacca non le era bastata per riscaldarsi.
Si
era accucciata sulla sedia, le
mie braccia attorno alle sue spalle per evitare che i brividi la
scuotessero.
Il vino accese la sua allegra: le guance arrossate e gli occhi
luccicanti la
rendevano maliziosa ed irresistibile.
Per
questo motivo lasciammo la
serata prima degli altri.
Per
questo e perché le avevo
preparato una sorpresa.
Non
volevo chiederle di sposarmi
in un ristorante, in mezzo alla gente che ci avrebbe guardati e
fotografati.
La
nostra vita, la nostra storia,
era già fin troppo sotto i riflettori.
Volevo
che ci fossimo solo noi
due, una rosa, un anello e due flute di bollicine.
Volevo
che fosse libera di
esprimere i suoi sentimenti.
La
volevo solo per me.
Uscì
dal bagno solo con un
asciugamano bianco avvolto attorno al seno, che la copriva appena. I
capelli
umidi sconvolti e il viso pulito.
Sexy
da togliere il fiato. Bella
da cancellare i pensieri.
Io
mi ero slacciato il papillon,
lasciandolo penzolare ai lati del colletto della camicia appena
sbottonato.
Avevo
messo una rosa rossa al
centro delle lenzuola bianche e tenevo tra le mani i bicchieri riempiti
a metà,
l’anello nascosto sotto il mio cuscino.
Nina
mi guardò e il suo sguardo
era così acceso, vitale, eccitato che quasi dimenticai cosa
stavo per dirle.
Le
porsi il vino mentre si accoccolava
sul cuscino: l’asciugamano si aprì quel tanto che
bastò ad appannarmi la vista.
-Altro
champagne? - mi sorrise
alzando il bicchiere. –Cosa festeggiamo?-
-Noi
insieme adesso … domani …
per sempre. – sussurrai, fissandola negli occhi e svelando la
scatolina di
velluto amaranto.
Il
bicchiere rimase sospeso a
mezz’aria.
-Ian
… quello che cos’è? –
mormorò con la voce spezzata, quasi tossendo, quando le misi
tra le mani il mio
piccolo tesoro.
-Una
promessa. La mia promessa. Aprilo.
– la esortai.
Posò
il bicchiere ancora pieno
sul comodino dietro di lei e guardò il mio dono, titubante.
A
mia volta appoggiai il vino per
non farle notare il tremore alle mani.
Lo
stomaco mi si era chiuso e il
respiro aveva perso il suo ritmo regolare.
La
guardai spingere il minuscolo
tasto che fece scattare il coperchio del portagioie.
I
suoi occhi si fissarono sull’anello
che conteneva: un piccolo diamante solitario incastonato in una fede
d’oro
bianco, semplice e prezioso, come lei.
Per
un lunghissimo istante non si
mosse.
Ruppi
il silenzio: le parole
uscirono in un soffio, la bocca secca per l’emozione.
-Voi
sposarmi, Nina? Vuoi essere
mia moglie, la mia amante, la mia migliore amica da adesso fino a
quando non
smetterai di amarmi? –
La
risposta si fece attendere un
attimo di troppo.
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