Tempo antico cap 1
Note
utili: non volevo iniziare con le note, mi spiace spaventarvi.
Sarò più breve possibile, concisa e quel che occorre.
Essendo
un AU dove compaiono gli Ancients, spesso dovrò creare la
personalità ed informazioni che l'autore stesso non ha mai
precisato, o trascurato. Compare immediatamente Diederik, ossia
scandinavia, che ho scelto essere fratello di Magna Germania.
Cercherò
di essere il più possibile precisa nei legami storici, anche se
in un contesto simile è -se non difficile-, impossibile. Se
avete correzioni o consigli di qualunque tipo, fatemi sapere!
Note
poco utili: si tratta di una fic particolare- non essendo più
attiva nel fandom, l'avevo accantonata con dispiacere, ed oggi l'ho
ripresa (forse con coraggio, chi tratta ancora degli antichi?)-
nonostante gli impegni vari ho già preparato la prima parte
della storia, che irrimediabilmente subirà cambiamenti,
tant'è.
Spero di poter vedere nuove persone appassionarsi a questi personaggi, che tanto mi stanno a cuore.
Personaggi:
Lucio Cincinnato (Antica Roma), Ariovisto Beilschmidt (Germania Magna,
il nome suona particolarmente male, è voluto), Diederick
Beilschmidt (Scandinavia).
Tempo antico
-capitolo primo-
“All’inizio di una vita
ben spesa, Io fui empio, intento a disfare strade percorse da altri e
rifarne di mie, e volendole rendere praticabili ho rotto i miei piedi e
spezzato le mie gambe, avendo come spettatore il cielo.
Grigio, un uragano, sorrideva verso me.”
La Torino del 1755 porta
nell’aria il nuovo ed il ferro; si fa grande pian piano sotto la
sicura dei Savoia, che voglion là le reali presenze, per poi
goderne.
Ora che la città alza fiera
i fumi del proprio lavoro, la mattina si ferma per poco a sospirare
d’impazienza: era il diciotto ottobre, e l’aria pallida
tremolava e fremeva attorno ai movimenti sicuri della Torino operaia.
Ariovisto ne annusò l’odore umido e bagnato, e gli ricordò casa.
Cercò, forse illudendosi
speranzoso, il muschio scuro degli abeti e la chioma bruna dei pini, il
cinguettio lontano dei passeri migranti- trovando solo il ciottolato
composto e dei guardinghi pennacchi sulle case più alte.
Impiegò un respiro profondo,
quel giovane tedesco, per dissimulare lo stupore e la rabbia ribelle
che pungeva le gote, e gli occhi verdi e diffidenti. Questi ultimi,
selvaggi, erano divenuti il metodo di comunicazione più efficace
in suo uso; puntandoli poi sull’Accademia, si intese la
vicendevole repulsione.
Ne osservò curioso la
squadratura, la componente di più stabili, e la studiò da
lontano come un nemico non voluto, seguendo ad ammirare e detestare la
salda figura dell’edificio.
-Non averla così in odio, Ariovisto.-
Il giovane osservò muto il
fratello, e la divisa blu che corredava il suo disgusto. Infine
rifiutò di vederne lo sguardo buono, ed i capelli legati secondo
etichetta.
Diederik era un candido punto
bianco fra vie fuligginose e sguardi indiscreti, portava con eccessiva
baldanza lo stereotipo base del grande uomo del nord, e sul volto
marcato aveva incise le tracce delle sue origini. Le adornava con
discreta nostalgia.
La visibile differenza fra i due,
per l’appunto, sedeva nell’immagine data di sé e di
quella che si rifletteva nei loro occhi chiari- le avrebbero chiamate
opinioni, se non fossero stati entrambi così bramosi di scovare
novità nel paesaggio, come fa in eugual modo la bestia ferita e
tolta dal loco natio.
Se il più grande dei due si
adattava ammorbidito dall’esigenza, Ariovisto in cuor suo ancora
scalciava urlante, preso nel suo odio verso Torino, e grato di aver
ricordi buoni e profumati su cui rimuginare.
-Se non vuoi che ti dia il suo calore, almeno lascia che ti regali un riparo e del cibo. -
Ora Ariovisto sente gli abiti
stretti ed il cuore borbottante, è estraneo agli altri e a se
stesso- non vi è nulla che lo accolga dopo un viaggio
disturbante quanto terribilmente sofferto.
Ha occhi solo per i sapori lontani delle sue terre, e nella sua ignoranza ne trova alcuni nella voce del fratello.
L’accademia militare di
Torino, nell’anno corrente, rappresenta l’avanguardia
dell’insegnamento- modestamente cosmopolita, d’ampia veduta
illuminista, economicamente sorridente, in quanto si dava diritto del
vanto di poter ospitare giovani allievi aristocratici e borghesi di
paesi differenti.
Orgoglio!, sentimento così
ben suddiviso fra studenti e militari, volti inconsciamente o meno
verso il progresso, troneggiante nella Guardia reale e l’esercito
studente, capace di un caloroso benvenuto alle reclute volontarie.
“Il
militare è ora felicemente in ginocchio verso la sua fazione, e
nel caso di fortuna avversa se ne aggrapperà con forza, trovando
in lei buone parole.”
L’Accademia urlava in faccia
la propria rilevanza, e non fossero le mura stesse ad esser austere e
fredde, Ariovisto le avrebbe sentite bisbigliare curiose ai suoi lati,
fra le divise e i tomi di sapere, riecheggianti sulle alte volte. Vide
poi i volti curiosi dei giovani pronti a far carriera, che veloci
scivolano fuori dalla loro adolescenza; eppur trovano tempo di lanciare
un occhio veloce all’entrata, poiché dei probabili figli
d’Asburgo varcavano la soglia di un posto che semplicemente non
era loro.
L’ambiente li rifiutò con fretta, cercando di marcare il contrasto delle loro spoglie bianche e selvagge.
Non aspettandosi altro che il
delinearsi di una mancanza profonda, Ariovisto prese di nuovo aria, e
sperò fosse fredda, poiché poteva saggiarne di uguale al
nord- e giusto la presenza di lei, “dolce”, pensò,
fu per lui una mera consolazione.
-Ti diranno come e dove lavorare,
dove alloggiare…- preoccupazione istintiva del fratello
maggiore, che lo portò a stringere con vigore la spalla del suo
familiare, nascosta da un vestiario troppo sobrio e semplice, troppo
sporco per l’élite. –Parla, Ariovisto.-
Sorrise poi perché in colpa,
perché timoroso di dimenticare il volto di un passato più
roseo a cui aveva voltato le spalle da tempo.
Il più giovane era sempre
stato malinconico e curioso, e pure saltando a piè pari
l’adolescenza si trascinava cocciuto la sua frustrazione.
-Non ho niente da dire.- fu
semplice, quanto i suoi più fervidi desideri ed il suo essere.
Nella sua gioventù, non conosceva altra complessità che
quella del suo pensiero.
Vi fu una seconda pacca vigorosa
sulle spalle ed un saluto poco formale- lì Ariovisto riconobbe
suo fratello, nella camminata sicura e le falcate grandi, ed il curarsi
di lui con un sorriso ed un drastico abbandono; osservò
più arrabbiato il corridoio ampio, perso.
Si rivide nel quindicenne inesperto
quale era, che ignorava sia francese che italiano piemontese, su di lui
sguardi ed occhi compassionevoli, sconosciuti ed estranei capaci di
vedere il mondo un gradino sopra rispetto a lui.
Studiò la costruzione
con cura, la serie di vetrate in rigida fila, il pavimento liscio e ben
levigato, la dispersione dovuta a quell’esagerata e voluta
grandezza; e d’improvviso la solitudine gli pesò meno,
poiché altro aveva da pensare.
Il suo senso felino si acuì,
ed il respiro si fece leggero, gli occhi grandi e l’udito teso ad
un equilibro più precario. Si sentiva osservato, e gli occhi che
indecentemente lo tastavano nascondevano un’anima feroce.
Voltandosi vide la sua preoccupazione, che crebbe e si assestò poi sul suo orgoglio, impietrita.
Rompendo la monotonia del
chiacchiericcio provinciale, un ragazzo bruno si fece avanti- nella sua
acuta provocazione, i suoi gesti ed il suo fare chiedevano luce ed
attenzioni. Era sicurezza e genuina gloria quella di cui si vestiva, e
nel suo passo fluido si ricalcava il superiore condottiero.
Fu vicino ad Ariovisto, ed il suo fiato sapeva d’oro.
-Visto da lontano, somigliavi ad una donna.-
scherno, mostrò i denti felini con un sorriso accomodante, lo
scrutò da sotto i ricci scuri- mostrandosi poi incredibilmente
padrone delle proprie parole, sfiorò incauto i suoi capelli
biondi.
Parlò ed Ariovisto non
capì, l’accento particolare lo confuse, le parole ignote
lo intimorirono; il suo sguardo rimase vigile su quel particolare
ragazzo, sugli occhi voraci e la barba appena accennata.
-Barbaro.- un sospiro da parte
dello sconosciuto, un’altra parola vuota per Ariovisto. Gli occhi
scuri scivolarono intraprendenti sulla sua figura, ed il tedesco si
sentì abbracciato da un’attenzione spinosa e scomoda,
punto poi dalla ridente superiorità dell’altro.
Cercò di scostarsi, diffidente, quando di nuovo sentì il tono pretenzioso del riccioluto conquistatore.
Il tedesco era così giovane
e poco istruito al pensiero astratto, che ancora non era in grado di
analizzare l’effetto bruciante che quello sconosciuto dedicava
agli altri, ed il suo rimuginare si traduceva solo in confusione.
-Se parlo tedesco, mi capisci?
È questa la tua lingua?- sorrise ora, quasi intenerito; e per
Ariovisto fu solo una vergogna montante, devastata nel colorito del
viso, non pudico ma rabbioso.
-Adoro gli animali esotici.-
La risa ironica non scomparve, ed
il ribollire nei suoi occhi divenne lacerante, insostenibile per
un’indole tanto impulsiva e orgogliosa come quella di Ariovisto-
che avrebbe voluto scorgere la bruma mattutina, le fronde cariche
d’acqua e la natura prepotente, il cielo plumbeo e turbolento, il
calore del focolare di casa.
I suoi occhi reclamavano il verde
vivo delle colline, chiedevano delle case profumate e dei fiori e delle
poche parole pronunciate, dato che a lui non ne sono mai servite molte.
Fu per questo, che caricò il pugno destro e lo colpì.
Note volanti:
Grazie! Grazie lettore, che con pazienza e forse curiosità sei arrivato al fondo.
Chiunque abbia idee, correzioni,
probabili aggiunte (perchè no?) e consigli, non esiti a farmelo
sapere lasciando un commento o una breve opinione.
Buone cose, un abbraccio!
|