“THE SELKIE WIFE” è stato scritto da Lissa
Bryan e tradotto in italiano da beate
A questo indirizzo potete trovare la
versione originale
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Capitolo 2
Edward riportò Bella in casa. Tornare su per il sentiero fu complicato
per Bella, per via della gonna troppo lunga in cui inciampava di frequente,
così Edward la tenne per il braccio per evitare che cadesse. Toccare il suo
braccio bastava a risvegliare di nuovo i suoi sensi, ricordandogli quanto fosse
soffice la sua pelle come l’aveva sentita quando aveva tentato di farla entrare
in camera, e si chiese se non stesse operando la sua magia selkie su di lui.
«Hai fame?» chiese lui mentre entravano in casa attraverso la stessa
porta che avevano usato la prima volta che l’aveva portata lì. Il tavolo era
ormai stato sparecchiato, ma di certo avrebbe potuto ordinare qualcosa dalla
cucina.
«No», disse lei. Lei lasciò cadere la gonna. L’orlo era bagnato e
incrostato di sabbia, probabilmente rovinato. Sentì un attimo di dispiacere per
il vestito, perché aveva amato vederlo indosso a sua moglie.
«Bella, quando parli con me in pubblico, devi rivolgerti a me in modo
appropriato.»
Lei guardò intorno la sala vuota, come a cercare il pubblico che lui
aveva menzionato. «I servitori hanno orecchie ovunque», spiegò lui. «Ogni volta
che siamo fuori delle nostre camere, o in mezzo a delle persone, tu devi rivolgerti
a me secondo il mio rango. Se non lo fai, la gente penserà che sei scortese e
irrispettosa.»
«Cosa devo dire?» chiese lei. Il suo tono era rassegnato, ma lui era
compiaciuto della sua volontà di obbedire.
«Devi chiamarmi ‘Vostra Grazia’, o ‘mio signor marito’,»
disse lui. E incredibilmente si trovò ad aggiungere, «Ma quando siamo nelle
nostre stanze da soli, puoi chiamarmi Edward.» Perché le aveva offerto questo?
E perché all’improvviso voleva sentire il suono del suo nome dalle sue labbra?
«Sì, mio signor marito», ripeté lei, provando la frase.
Lui le sorrise. «Molto bene, mia signora moglie. Andiamo a fare visita a
mia figlia.» La condusse giù nell’atrio dove si trovava la stanza di Elizabeth.
Quando erano quasi alla porta, sentirono Rosalie gridare, «Tu, piccolo diavolo
ostinato!» accompagnato dal suono di uno schiaffo. Lui spinse la porta e trovò
Rosalie in piedi davanti a Elizabeth, la mano alzata per dare un altro colpo.
La sua timida, piccola moglie selkie si trasformò in un leone.
Con un ringhio oltraggiato, Bella caricò in avanti, sbattendo Rosalie
contro il muro di pietra, l’avambraccio premuto sulla sua gola. Era molto più
piccola di Rosalie, ma la sua aggressività compensava più che bene la
differenza di taglia. I suoi occhi mandavano scintille di rabbia e Edward era
estasiato dalla sua feroce bellezza. In quel momento, nel suo fuoco, Bella era
magnifica.
«Tu osi picchiare la figlia del mio signor marito?» ruggì Bella.
Rosalie boccheggiò e gorgogliò, cercando senza riuscirci di spingere via
quel braccio che le stava togliendo l’ossigeno. Lanciò uno sguardo implorante a
Edward, che era ancora gelato dalla sorpresa.
«Se colpirai quella bambina di nuovo», sibilò Bella, «ti picchierò finché
di te non resterà che una poltiglia!»
Rosalie era diventata porpora. Bella tirò via il braccio e la donna cadde
sulle ginocchia annaspando per respirare. Elizabeth, che aveva guardato
l’incidente con occhi sgranati e affascinati, corse verso la sua nuova
sostenitrice con le braccia alzate.
Il cuore di Edward si lacerò a quella vista. Elizabeth indossava una
copia piccola di uno dei vestiti di sua madre, di velluto marrone, ricamato con
fili intrecciati d’oro, con delle perle sparse. Sotto quello, indossava lo
stesso tipo di corsetto di una donna e la sua testa era coperta da un copricapo
di lino bianco detto biggin.
Bella le sorrise con gentilezza e la prese in braccio. Mostrando un pugno
a Rosalie, uscì dalla stanza. Edward la seguì, frastornato. Bella si diresse
alla sua camera da letto ma si bloccò sulla porta quando vide che il fuoco era
stato riacceso.
«Deve esserci un fuoco», disse Edward. «Non vuoi che la bambina prenda
freddo, no?»
Bella rabbrividì ma entrò nella stanza. Rimase nel punto più lontano dal
fuoco, sedendosi sul letto di Edward. Questo era uno dei mobili più opulenti della
casa, col suo spesso materasso di piume e le sue cortine di velluto rosso, che
pendevano da aste fissate sul soffitto. Lo schienale dietro il letto era
riccamente ricamato col suo stemma di famiglia. Non c’erano cuscini: quelli
erano normalmente usati per i malati e gli infermi. Edward si aspettava che
Bella restasse impressionata da quella grandeur, ma la sua attenzione era tutta
concentrata su Elizabeth. Si sedette sul bordo del letto e la prese in braccio.
Elizabeth stava balbettando alla sua nuova amica e Bella sembrava
ascoltare con evidente interesse, sebbene Edward non riuscisse a seguire quello
che stava dicendo. Mentre Bella era occupata, lui si alzò e andò al suo
armadio, tirando fuori la chiave dal suo farsetto. Lo aprì e sistemò la
pelliccia di Bella all’interno, richiudendo gli sportelli. Diede agli sportelli
uno strattone per assicurarsi che fossero ben chiusi. Sapeva che Bella non
avrebbe potuto riprendersi la pelliccia, anche se l’avesse semplicemente
appoggiata su un tavolo in bella vista. Doveva essere restituita
volontariamente. Ma sentiva il bisogno di metterla al sicuro … tanto per.
A Bella sembrava piacere davvero parlare con sua figlia. Nonostante il
suo amore per lei, Edward passava poco tempo con Elizabeth, come molti genitori
della sua classe sociale. Si era fatto un punto d’onore di andare a farle
visita almeno una volta al giorno, di norma la sera dopo cena. Lei gli faceva
un inchino e poi gli recitava la lezione che aveva imparato quel giorno. A
dispetto delle raccomandazioni di Rosalie e dei suoi amici, non poteva fare a
meno di darle affetto, anche se l’avevano avvertito che l’avrebbe viziata.
I bambini nel suo mondo venivano trattati come piccoli adulti e
disciplinati duramente, nel timore che peccassero o venissero rovinati da
troppa indulgenza. Edward vedeva i suoi stessi genitori solo una volta o due
alla settimana, quando erano nella magione, che non era spesso, dato che
seguivano la Corte di palazzo in palazzo. Veniva vestito come si deve e portato
da loro per recitare le sue lezioni e ricevere la loro benedizione. Ricordava
ancora la paura che sentiva ogni volta ad essere inchiodato sotto lo sguardo
freddo di suo padre, paura che lo faceva inciampare nelle parole e balbettare,
come non gli capitava mai altrimenti.
Per debole e permissivo che potesse sembrare, Edward non voleva che
Elizabeth avesse paura di lui. Lei aveva una natura dolce e obbediente, e lui
sapeva che non c’era bisogno di aggiungere il timore per mantenerla in riga.
Rosalie era quella che imponeva severamente la disciplina, nella sua vita. Il
che lo portava al problema corrente: cosa fare con l’interferenza della sua
piccola moglie selkie? Era rimasto troppo stordito al momento per il brusco
cambio di comportamento per dire qualcosa, ma doveva provare a spiegarle che
questo era il modo in cui venivano disciplinati i bambini nel suo mondo.
Dovevano essere tenuti rigorosamente in riga. Bella probabilmente non avrebbe
capito. I bambini selkie non avevano lo stesso livello di responsabilità dei
bambini umani. Loro non dovevano essere preparati ad amministrare un patrimonio
una volta raggiunta la maturità. Non avevano bisogno di imparare il latino o
l’italiano per seguire le conversazioni a Corte. Non dovevano saper suonare uno
strumento, o danzare in modo appropriato o le altre centinaia di cose che si
dovevano sapere crescendo come persone di sangue nobile.
Ma questo era il motivo per cui aveva preso Bella, per avere una madre
che amasse e si prendesse cura della sua bambina. Criticare adesso i suoi
metodi poteva fare più male che bene. Decise di aspettare un poco, per vedere
come Bella maneggiava i suoi doveri materni prima di tirare fuori il discorso
della disciplina. Per quello che ne sapeva, anche le selkie potevano avere i
loro metodi, ugualmente efficaci. E una immagine gli balenò in mente, di Bella
che colpiva Elizabeth sul dorso delle mani con un pesce. Scoppiò a ridere
rumorosamente.
Elizabeth si bloccò a metà parola, voltando gli occhi verso quel suono.
Aveva sentito raramente ridere suo padre, e aveva sobbalzato. Anche Bella si
bloccò, ma per un’altra ragione. Aveva tolto il copricapo a Elizabeth e le stava
pettinando i capelli con le mani. «Pidocchi!» gridò inorridita, come se avesse
trovato un buco nella testa di Elizabeth.
«Di nuovo?» sospirò Edward. «Farò portare da Rosalie l’olio alla lavanda
e il pettine.» Pidocchi e pulci e altri parassiti erano aspetti inevitabili
della vita. Molte persone portavano un pezzetto di pelliccia accanto alla pelle
perché gli animaletti ne fossero attratti e potessero essere eliminati.
«No! Fa male!» squittì Elizabeth, alzando le mani per proteggersi la
testa.
«Ti prometto di no», disse Bella, abbassandole le braccia con gentilezza.
«E se starai seduta tranquilla ti racconterò una storia.»
Edward tornò dopo un attimo con la bottiglia di olio alla lavanda e il
pettine a denti fitti. Come poi saltò fuori, questo era stato il motivo del
contendere per cui Rosalie aveva schiaffeggiato Elizabeth. Ma si accomodò di
fronte a Bella di buon grado mentre lei cominciava a passarle l’olio sui ricci
scuri. Edward si mise seduto vicino al fuoco, appoggiando i piedi sulla grata.
«C’era una volta una bellissima principessa di nome Mary», cominciò
Bella.
Elizabeth batté le mani. «È il nome di mia madre!»
«Giusto. Tua madre potrebbe essere stata chiamata così per via della
principessa. Bene, il fratello della principessa vedeva che sua sorella era
molto bella e ben educata. Danzava come una foglia nel vento, e quando cantava,
era come sentire il canto degli uccelli nelle mattine di primavera. Cominciò a
cercare un marito per la principessa Mary, e sapeva che poteva trovare un buon
partito per lei. Ma la principessa aveva già dato il suo cuore a uno degli uomini
della corte del fratello.»
I piedi di Edward caddero dalla grata e si raddrizzò sulla sedia quando
si rese conto che Bella stava raccontando a Elizabeth la storia della propria
madre. Dove aveva sentito questa storia? si chiese. Forse le selkie
raccontavano cose di questa terra, come qui si raccontavano le storie del
popolo magico?
«Suo fratello non aveva mai preso in considerazione questo matrimonio,
perché era avido», continuò Bella. Passò il pettine tra i capelli di Elizabeth
sciogliendo i nodi con gentilezza. Elizabeth non sembrava neanche notare quello
che stava facendo, tutta presa dalla storia. «Lui sapeva che poteva ottenere
per sua sorella più di quello che l’uomo che lei amava potesse dargli. Il
marito che scelse per lei era un uomo vecchio e malato, il re di una terra
lontana. La principessa Mary pianse quando lo venne a sapere, ma disse al
fratello che avrebbe obbedito al suo volere se lui le avesse fatto una
promessa: una volta morto il vecchio re, lei avrebbe potuto scegliersi un
marito. Suo fratello accettò e Mary salpò su una nave verso una terra lontana,
non sapendo quando sarebbe ritornata.»
«Questa è triste», si lamentò Elizabeth.
«Migliorerà», promise Bella. «Il vecchio re non visse a lungo, dopo il
matrimonio. Mary si ritirò in un convento mentre aspettava che suo fratello la
mandasse a prendere.»
In realtà, era stata mandata in convento per i tradizionali 40 giorni che
servivano ad assicurarsi che non fosse incinta di un erede al trono e per
isolarla da qualunque uomo potesse frettolosamente creare falsi ricorsi.
«Cos’è un convento?» chiese Elizabeth.
«È una casa dove vivono le suore», disse Bella, e Edward si stupì di
nuovo di quanto sapesse della vita sulla terra. «All’insaputa della
principessa, suo fratello stava già progettando di farla sposare con un altro
re. Non aveva mai avuto intenzione di mantenere la sua promessa. Mandò un uomo
della sua corte a riprendere sua sorella, e sai chi era?»
«Chi?» chiese Elizabeth impaziente.
«Era l’uomo di cui si era innamorata la principessa! Il figlio del
vecchio re scoprì l’amore di Mary per quest’uomo e la aiutò ad incontrarlo in
segreto. Lei chiese all’uomo di sposarla, e lui lo fece!»
Edward aveva ancora una copia della lettera che suo padre, Charles
Brandon, aveva inviato a Enrico VIII, sperando nel perdono del re. Charles
sapeva che Enrico sarebbe stato furioso perdendo sua sorella come pedina nel
mercato dei matrimoni reali, ma lui non aveva potuto resisterle. “Piangeva”,
scrisse Charles. “Non ho mai visto una donna piangere così.” Prima che
si rendesse conto di ciò che stava accadendo, Mary l’aveva messo davanti a un
prete e aveva recitato i voti. Confessava nella sua lettera, “Lo dico con
chiarezza, l’ho sposata e mi sono accostato a lei con vigore, tanto che temo
possa aspettare un figlio”, provando così ad assicurarsi che Enrico non
avrebbe tentato di far annullare il matrimonio.
Per provare ad ammorbidire la rabbia del fratello, la principessa Mary si
era tenuta una fetta considerevole dei gioielli della Corona francese, che si
supponeva dovesse restituire perché non erano una sua proprietà personale.
Invece li diede a suo fratello come regalo di consolazione. Una delle gemme era
un diamante così grosso che aveva un suo proprio nome: lo Specchio di Napoli (the
Mirror of Naples). Il nuovo re francese era piuttosto irritato per questo, e
probabilmente si sentiva anche tradito, dato che aveva aiutato la principessa
Mary e Charles ad incontrarsi. Scrisse a re Enrico, ordinandogli di
ridarglieli. In risposta, re Enrico gli mandò alcuni piccoli pezzi di scarso
valore, un gesto carico di un insulto implicito, come dire che i gioielli della
Corona francesi erano composti di chincaglieria, e poi fece dipingere il suo
ritratto indossando lo Specchio di Napoli in bella vista sul suo farsetto.
Enrico non aveva mai perdonato del tutto sua sorella né suo marito.
Impose loro un’ammenda di mille sterline all’anno per ventiquattro anni, una
somma enorme, e quando la principessa Mary morì, Charles si trovò costretto a
sposare un’altra donna subito dopo per la sua dote, per poter continuare a
pagarla. Aveva sposato la ragazza con cui era fidanzato Emmett, una baronessa
quattordicenne, e Edward si era trovato con una matrigna della sua stessa età.
«Sai chi era quella principessa?» chiese Bella ad Elizabeth. «Era tua
nonna!»
Come sapeva queste cose? si chiese di nuovo Edward.
Elizabeth sospirò. «Il nonno e la nonna sono in paradiso», disse
solennemente.
«Sì, e sono sicura che sono felici, di nuovo insieme.»
Edward pensò di correggerla, perché secondo gli insegnamenti della
Chiesa, non c’era matrimonio in paradiso, ma decise di lasciar perdere. Lascia
che la bambina creda alle storie felici, finché può.
Dopo aver pulito i capelli di Elizabeth dalle lendini, Bella glieli lavò
con dell’acqua profumata. Elizabeth si era lamentata, perché odiava lavarsi i
capelli, ma Bella insisté con gentilezza, ed Elizabeth scoprì, con grande
sorpresa, che era una cosa piacevole. Bella non le mandò il sapone negli occhi,
e non le tirò i capelli. Bella aveva fatto stendere la bambina sul tavolo e
aveva messo la bacinella sotto la sua testa su una sedia, usando una coppa per
passare l’acqua sui capelli di Elizabeth, il che, pensò Edward, era molto
intelligente, da parte sua.
«Devi metterti davanti al fuoco finché non ti asciughi», disse Edward ad
Elizabeth. I capelli bagnati erano pericolosi. Potevano portare ogni tipo di
umori nocivi e malattie. Per questa ragione la persone in quei tempi non
facevano spesso il bagno. Secondo il dottor Andrew Boorde, con cui Edward
corrispondeva di frequente in materia di salute, il bagno “permetteva alle
arie velenose di entrare e distruggere gli spiriti vivi dell’uomo e
indebolire il corpo.” Ogni giorno Edward veniva lavato dai servitori,
usando una bacinella di acqua odorosa e sapone profumato di Marsiglia fatto con
l’olio d’oliva invece che con il grasso animale. Il sacerdote di famiglia,
Padre Jacob, lo aveva castigato per questo, dicendo che denotava una
peccaminosa vanità del corpo, ma Edward era sensibile agli odori. Faceva anche
un bagno in una vasca una volta al mese, di meno in inverno.
Elizabeth saltò giù dal tavolo e trottò obbediente verso il padre,
sedendosi sul camino ai suoi piedi. Bella scosse la testa, quei grandi, limpidi
occhi di selkie che lo imploravano di non costringerla ad avvicinarsi a quella
cosa che temeva così tanto. Edward sospirò, andò alla sua cassapanca per
prendere un pettine normale e si sedette su uno sgabello a pettinare i capelli
di sua figlia finché si asciugarono. Continuava ad avere in mente le parole di
Emmett sul fatto di evitare angosce a Bella. L’aveva costretta a stare in una
stanza col fuoco. Poteva bastare per un giorno.
Mentre lui la pettinava, Elizabeth chiacchierava della sua giornata.
Adesso le avevano insegnato le lettere; l’educazione cominciava molto presto,
nella sua classe sociale (la Regina Maria aveva imparato a suonare la spinetta
prima dei quattro anni). Presto avrebbe dovuto ingaggiare un tutore per lei.
Aveva deciso di scrivere a Roger Ascham per un suggerimento. Lui era stato
tutore della principessa Elisabetta, la cugina di Edward, che era rinomata come
una delle donne meglio educate in Inghilterra.
Rosalie bussò alla porta della camera. «Vostra Grazia? È ora di andare a
letto per lady Elizabeth.» Tenne la testa bassa per evitare lo sguardo gelido
di Bella.
Edward parlò con sua figlia. «Corri, tesoro. Ci vediamo domani.»
«Mi porterai la mia nuova mamma?» chiese Elizabeth impaziente. Rosalie
doveva averle spiegato la posizione di Bella.
«Sì, lo farò», disse dandole un colpetto sulla testa. «Ti benedico,
amore, e dormi bene.»
Quando se ne fu andata, Bella chiese piano, «Possiamo spegnere il fuoco,
adesso?»
«Non ti farà del male», disse Edward. «È contenuto dal camino.»
«Dormiresti a tuo agio se sapessi che c’è un serpente ‘contenuto’
qui vicino?»
Concesse il punto. Prese la bacinella che era stata usata per lavare i
capelli di Elizabeth e gettò l’acqua sulle fiamme. Forse si sarebbe abituata a
questo, col tempo. In un modo o nell’altro, doveva imparare ad accettarlo prima
dell’inverno, o sarebbero gelati.
La stanza era molto più buia, adesso, con solo poche candele ad
illuminarla. Le spense una ad una e lei si rilassò visibilmente. «Come sapevi
la storia di mia madre?» chiese Edward.
«Le selkie amano quella storia», replicò Bella. «La raccontiamo ai nostri
bambini.»
Lui esalò un respiro. «Bella, tu hai dei figli?»
«Non miei», disse lei.
Lui continuò, a denti stretti. «Hai un marito?»
Lei scosse la testa.
«Un amante?»
«Oh sì, di quelli un sacco», annuì lei entusiasta.
Edward non capì bene i sentimenti che gli provocò quella risposta.
Rabbia, gelosia, e abbastanza stranamente, si sentì ferito. Si pizzicò la
radice del naso. Sapeva che lei non aveva avuto la sua stessa educazione
morale, ma non era disposto a farsi cornificare da lei. «Ascoltami molto
attentamente, Bella. Tu non potrai avere nessun altro amante mentre sei con me.
Hai capito?»
Lei annuì di nuovo. «Questo lo so. Gli umani sono gelosi. Non devi
preoccuparti. Non posso andare a trovare nessuno di loro, comunque, perché tu
hai la mia pelliccia.»
«Potresti incontrare qualcun altro, qualcuno qui.» Era stranamente
difficile tirare fuori quelle parole. Doveva fare una riflessione profonda per
provare a capire quelle emozioni.
Gli occhi di lei si ammorbidirono. «No, Edward, non succederà. Tu mi hai
preso come tua moglie e io sarò leale nei tuoi confronti.» Sembrava comportarsi
come se si fosse trovata in un matrimonio combinato, qualcosa che non aveva
cercato, ma che doveva accettare. Fu sorpreso per la totale mancanza di
risentimento.
«Bene, bene», mormorò. «È tardi, dobbiamo andare a letto.»
Lei tirò giù le coperte e fece per salire sul letto. «No!» disse lui, più
bruscamente di quanto intendesse.
Lei si bloccò e lo guardò, sbattendo i grandi occhi scuri, confusa.
«Non puoi dormire qui», disse lui. «I domestici ti prepareranno il letto
nella camera delle signore.»
«Devo dormire sola?» chiese lei con voce scioccata.
Lui si schiarì la gola. «Io … Bella, er … non intendo giacere con te.»
Lei sembrò delusa. «Come potremo avere dei bambini, allora?»
Lui scosse la testa. «Io non voglio altri bambini, adesso. Elizabeth è
abbastanza per me.» Gli venne in mente una domanda. «I nostri bambini sarebbero
selkie?»
«No, solo due selkie possono avere un bambino selkie. I nostri bambini
sarebbero umani.» Sembrava rammaricata.
Lui imprecò dentro di sé, perché se avesse chiamato i domestici a
prepararle il letto, tutti avrebbero saputo che non dormiva con la sua nuova
moglie. Il pettegolezzo si sarebbe sparso dai domestici alle tenute confinanti
e presto tutto il Paese ne avrebbe parlato.
«Puoi dormire qui», disse. «Solo dormire, sia chiaro.»
Tirò due volte il cordone per chiamare il domestico addetto al suo corpo
e quando questi entrò, senza parlare Edward alzò le braccia per farsi
spogliare. L’uomo lo guardò stranamente quando Edward gli disse di lasciare la
sua biancheria di lino, perché Edward di solito dormiva nudo. Guardò Bella, che
sedeva sul letto, e lo guardava mentre si spogliava. Sentì la sua faccia
arrossarsi. Questo era un problema. Non aveva domestiche da signore per
spogliarla e Edward non si sarebbe certo offerto volontario per quel compito. Aspettò
che il domestico se ne andasse prima di dirle, «Dormi come sei.»
Lei sembrava perplessa. «Vestita?»
«Sì, vestita.»
Lei salì sul letto e si stese rigidamente. Edward fece lo stesso
dall’altra parte. Il letto del duca era enorme e si poteva comodamente dormire
in sei su quel materasso di piume, ma stanotte sembrava scomodamente stretto.
La vicinanza di Bella lo scherniva. La sua mente servizievole gli forniva
immagini di quello che poteva fare, e il tutto era peggiorato dal sospetto che
lei non avrebbe rifiutato i suoi approcci.
Sospirò. Le selkie erano strane creature.
Lei si agitò e si girò, strattonando il corpetto come se la soffocasse, e
provò a scalciare la gonna per liberare le gambe aggrovigliate col vestito.
Sospirò. Si contorse ancora un po’. Si tirò ancora il corpetto. Si dimenò.
Gemette silenziosamente sapendo che non sarebbe mai riuscita a dormire così. «Bella,
puoi toglierti il vestito», disse lui.
Lei si mise seduta e se lo tolse dalla testa, maniche cucite e tutto.
Lui provò a non guardare. Provò veramente a non guardare.
Guardò.
Il suo seno era pieno e rigoglioso, con capezzoli rosa come boccioli. Il
corpo di lui, praticamente morto negli ultimi due anni, si risvegliò
completamente e si mise sull’attenti.
Lei sospirò felice e si rimise giù, stendendosi sullo stomaco, il
lenzuolo alla vita. Appoggiò la testa sulle mani a mo’ di cuscino.
Provò a non guardare. Provò davvero a non guardare.
Guardò.
La sua schiena era come una pozza di crema, liscia e immacolata. Il
lenzuolo scivolò così in basso che poteva vedere la curva superiore del suo
rigoglioso fondoschiena e un accenno della fessura in mezzo. La lussuria lo
colpì, calore, bisogno, fame.
Non era un peccato concupire la propria moglie, ma Edward si sentiva
colpevole. Mi dispiace, Mary, pensò. Non era mai stato con nessun altra
che sua moglie, perché l’aveva amata dal momento in cui l’aveva vista e nessuna
le si poteva paragonare. I loro rapporti d’amore erano stati impacciati
all’inizio, ma poi avevano imparato l’uno il corpo dell’altro, negli anni, e
come darsi piacere.
La sua piccola moglie selkie dormiva pacifica, inconsapevole dello
sguardo bollente dell’uomo al suo fianco, inconsapevole di quanto lui la
volesse.
Staccò gli occhi da lei, ma ogni volta che li chiudeva, la sua immagine
sembrava inscritta all’interno delle sue palpebre. Provò a pensare alle Sacre
Scritture per scacciarla via ma la sua mente si riempiva del Cantico dei
Cantici. Imprecò silenziosamente e si alzò per ritirarsi nell’intimità del suo
guardaroba, ma quando tornò, il corpo che pensava di aver peccaminosamente
saziato, ritornò al suo agonizzante stato di eccitazione.
Sospirò e si stese. Sarebbe stata una lunga notte.
Si svegliò con le braccia piene di una calda, nuda selkie. Lui gemette e
lei si svegliò, sbattendo verso di lui i grandi occhi assonnati. Gli sorrise e
si accoccolò di più contro il suo petto. Emise un lamento di protesta quando
lui scivolò via.
Lui si alzò, assicurandosi che la sua camicia lo coprisse. «Ti manderò
una delle domestiche delle camere come cameriera finché non troveremo qualcuna
più adatta», disse, e corse a tirare il cordone del campanello. «Rimetti su il
vestito finché il domestico non avrà finito di vestirmi.»
Prese il suo pugnale incastonato di pietre preziose da sopra il comodino,
si punse il dito e fece cadere qualche goccia di sangue sulle lenzuola bianche.
Bella aggrottò la fronte confusa. «Cosa stai facendo?»
«Hai passato la notte nella mia camera come mia moglie», disse lui. «Se
non ci fosse sangue sulle lenzuola ci sarebbero dei pettegolezzi.»
La sua confusione non era diminuita. «Perché dovrebbe esserci sangue?»
Edward arrossì. Posò il pugnale e si leccò il dito. «Er … perché … Tu non
hai sanguinato la prima volta che sei stata con un uomo?»
Lei scosse la testa. «No.»
Lui sospirò. Davvero non voleva spiegarle la verginità. «Le donne umane
sì», disse brusco e si voltò mentre il suo domestico entrava nella stanza.
Edward saltò le abluzione mattutine perché era molto consapevole che la
sua nuova sposa era dall’altra parte delle cortine del letto. Non voleva che
sbirciasse.
Non appena vestito scappò via, dando ordine che qualcuno fosse inviato a
aiutare Bella. C’era una colazione con pane, formaggio e birra che lo attendeva
nella stanza appena fuori la sua camera da letto. Edward tracannò la birra, e
all’improvviso, essere tutto il giorno ubriaco come Emmett, non gli sembrò così
male, dopotutto.
«Fratello, devo parlarti», disse Emmett dalla porta. Edward gli fece
cenno di entrare e si sedettero entrambi al piccolo tavolo. Emmett occhieggiò
il boccale della birra e Edward silenziosamente glielo passò. Emmett prese una
coppa e se la riempì. «Penso che dovresti sposarla», disse lui. «In chiesa,
pubblicamente.»
«L’ho chiamata moglie davanti a testimoni», disse Edward. «È abbastanza
per essere legalmente sposati.» Dopo tutto, era quello che aveva dato modo a re
Enrico VIII di annullare il matrimonio con la sua quinta moglie, Kathryn
Howard, prima che fosse giustiziata per adulterio. Kathryn aveva un amante che
aveva chiamato “marito” di fronte ad alcuni amici. Questo era
sufficiente a fare di lei, legalmente, la moglie di Francis Dereham, e a
invalidare il suo matrimonio con il re. Nessuno, evidentemente, era stato
abbastanza coraggioso da puntualizzare che se lei non era mai stata legalmente
sposata con il re, non poteva essere accusata di adulterio. Usare la
logica con re Enrico, un uomo che poteva dire ‘Dio e la mia coscienza sono
in accordo perfetto’ e mantenere la faccia seria, era quantomeno un
proposito rischioso.
Emmett annuì. «È vero, ma hai pensato a quello che dirà la regina Maria?»
Edward emise un lamento. Non ci aveva pensato, in effetti. Per la prima
volta nella sua vita, il protocollo reale non aveva guidato le sue azioni. Il
suo sangue reale rendeva il suo matrimonio un affare di stato. Maria avrebbe
dovuto essere interpellata prima di ogni piano matrimoniale. Poteva insistere
per annullarlo a meno che lui non fosse stato formalmente sposato ai suoi
occhi, e questo significava un matrimonio cattolico.
«Adesso non posso farlo in ogni caso», disse lui abbassando la voce, nel
caso qualche domestico stesse origliando. «Bella non è una cristiana. Nessun
prete ci sposerebbe.»
«Sarà meglio che tu faccia qualcosa in proposito», disse Emmett, « e in
fretta. La regina Maria è intenzionata a riportare l’Inghilterra alla religione
cattolica, e nonostante proclami che non costringerà nessuno a tornare alla
Chiesa, penso che il papa la spingerà a purgare l’eresia dalle sue terre.»
«Bella non è un’eretica», disse Edward. «Non è mai stata cristiana,
quindi non può commettere oltraggio contro la fede.»
«Devi istruirla», replicò. «Deve almeno imparare a fingere, o ci metterà
tutti in pericolo.»
Edward sospirò e bevve un'altra coppa di birra.
«E già che siamo in argomento, sarà meglio restaurare la cappella», disse
Emmett.
Quando era sul trono, il giovane re aveva promosso molte riforme
protestanti nella Chiesa inglese, ed Edward si era conformato volontariamente,
dato che aveva lui stesso un orientamento protestante. Il cappellano della
tenuta, Padre Jacob, era cugino della moglie di Edward, che era l’unico motivo
per cui Edward non l’aveva cacciato via. Non gli era mai piaciuto Jacob e
sentiva che quel prete era un po’ folle. Mary, comunque, aveva insistito per
offrirgli un posto nella loro casa, e Edward aveva sopportato per tanti anni le
sue lunghe invettive alla messa della domenica.
Una volta passate le riforme (apparentemente aggiornate ogni anno con
nuovi cambiamenti) Edward aveva approntato una cappella protestante con un secondo
cappellano, mantenendo quella cattolica per Jacob. Edward aveva sempre pensato
che un giorno le rumorose intemerate di Jacob contro l’emergente fede
protestante l’avrebbero messo nei guai, ma adesso che la regina Maria era sul
trono, le vedute fuoco e fiamme di Jacob nei confronti dei protestanti potevano
di nuovo tornare a suo vantaggio.
Edward si passò la mano tra i capelli. Aveva una tenuta da amministrare,
una regina da placare e una moglie selkie da trasformare in una cristiana
gentildonna inglese.
E immaginava che l’ultima sarebbe stata la cosa più difficile da fare.
Note dell’autrice-
Mi sono presa alcune libertà storiche in
questo racconto. Gli appassionati dei Tudor noteranno che Edward dovrebbe
essere il Duca di Suffolk, e che Frances Grey dovrebbe essere sua sorella.
Però, io non sopportavo che quell’orrida donna fosse la sorella di Edward in
questa storia, così ho fatto in modo che Frances risultasse figlia di un altro
fratello o sorella innominati di Enrico VIII. C’è anche un certo dibattito sul
fatto se il matrimonio con Kathryn Howard fu veramente annullato, o se
semplicemente lei fu privata dei suoi titoli. Fu condannata per tradimento per
la legge che re Enrico approvò frettolosamente, che rendeva illegale per una
donna che il re voleva sposare, di nascondergli la sua storia sessuale, oppure “istigare”
un uomo a commettere adulterio con la regina.