Nel nulla cosmico il tempo e lo spazio fuggivano via, dentro la capsula tutto era
smoderatamente lento, il battito assente, la temperatura sfiorava lo zero assoluto, il
mio cervello quiescente ed il resto del mio corpo surgelato come un merluzzo
terrestre; eppure grazie al computer di bordo, che stimolava le mie attività cerebrali,
avevo coscienza di me. Nella mia solitudine forzata continuavo ad apprendere dati
per essere pronta ad agire una volta arrivata a destinazione. Ero il prescelto numero 3,
avevo avuto tutta la vita per prepararmi, ero stata creata per questo: giocare a fare
Dio su un nuovo pianeta. La parola “Dio”, anche se la mia avanzatissima società la
riteneva quasi infantile, per me significava la manifestazione di una spiccata
creatività e fantasia. Che menti interessanti dovevano essere quelle dei terrestri e che
varietà di vita sul loro pianeta! Credo che quel puntino blu chiamato Terra sia la
riserva più bella ed impressionante di esseri viventi di tutta la Via Lattea. Non come
il mio pianeta, un’accozzaglia triste di rocce con un sole ormai moribondo.
Dopo l’ultimo salto nell’iperspazio ero finalmente dentro il sistema solare, ma il
computer non rilevava distintamente tutti i segnali delle altre capsule, che
strano…una volta completamente sveglia avrei controllato i dati, per il momento era
prioritario elaborare le nuove informazioni che captavo dai satelliti intorno al pianeta
Terra, così avrei aggiornato le mie conoscenze sui terrestri. La capsula in cui stavo
viaggiando era piccola, una sorta di uovo fatto di scaglie argentee grande poco più di
me, ma era tale il potere dei cristalli di Enerzon che mi avevano permesso di fare ben
due salti iperspaziali; sarei arrivata in pochi giorni su Terra ed avrei avuto ancora
energia per le mie necessità primarie.
Una volta arrivata a destinazione avrei dovuto mettermi in contatto con gli altri
prescelti, forse dieci, forse più, per motivi a me ignoti non mi era stato comunicato il
numero esatto, né riuscivo a captare tutte le altre capsule in viaggio con me. Lo Stato
Supremo ed il Consiglio Scientifico avevano deliberato che ognuno atterrasse in vari
punti della superficie terrestre, ognuno di noi aveva scelto un luogo, per i terrestri
dovevamo sembrare solo innocue stelle cadenti. Quale incalcolata poesia…
Avevo scelto New York perché era una città cosmopolita, in pochi giorni avrei potuto
incontrare persone da tutto il mondo. Ero stata obbligata ad imparare le lingue più
parlate su Terra: inglese, cinese, spagnolo e arabo, in più avevo imparato italiano e
giapponese per mio diletto.
A New York avrei dovuto incontrare il prescelto numero 1, l’ingegnere elettronico,
meccanico e del materiale. Non avevo avuto molta possibilità di interagire con gli
altri prescelti, quindi non ero sicura se lo avrei riconosciuto o riconosciuta. Dicevano
che era meglio così perché se qualcuno che conoscevamo fosse morto nel viaggio ci
saremmo scoraggiati e saremmo stati soggetti a psicosi. A me sembrava un po’
assurdo, c’era sotto qualcosa, un qualcosa che non ci volevano dire, ma cercavo di
non pensarci. Le nostre cinture Enerzoniche avevano un sistema di rilevamento che
poteva scannerizzare mezzo globo, questo sarebbe servito per rintracciare la
posizione degli altri prescelti e, se per qualche non calcolato motivo non ci fossimo
trovati, avevamo le coordinate per un luogo di rendezvous finale ben stabilito.
I giorni passavano davvero lenti, piano piano il mio corpo si risvegliò completamente
da quello che chiamavo surgelamento per merluzzi. Non sapevo perché ma mi era
rimasta in mente un’immagine di un merluzzo in mezzo al ghiaccio su un
peschereccio terrestre, aveva l’occhio spento e –poverino- era lì inerme che subiva il
suo destino, proprio come me.
Finalmente vidi Terra, una vera meraviglia, un azzurro brillante fra turbini di nubi di
tempeste mai viste, mentre nel lato in ombra i mille occhi delle città. Ero estasiata,
non avevo mai visto un pianeta abitato e vivo! Perforai l’atmosfera con facilità, il
calore dell’attrito veniva assorbito dai cristalli di Enerzon, che si sarebbero ricaricati
anche se in modo irrisorio. Vedevo i tratti della città farsi sempre più grandi, era notte
a New York, e quando finalmente avrei potuto scorgere qualcosa ad occhio nudo la
capsula si inabissò in mare mimando un meteorite che si spense nelle acque della
baia.
Sul tetto di un palazzo di New York otto occhi intelligenti avevano assistito al fenomeno raro.
-Allora Donnie? E’ tutto qui? Non erano semplici stelle cadenti?-
-No ragazzi, giudicando dalla grandezza erano meteoriti! Una si è inabissata nel mare. L’altra invece ha deviato in modo strano, non so dove sia caduta, speriamo che non abbia fatto danni-
Quattro ombre sparirono nella notte con rapidità e agilità.
P.S. Ciao a tutti!
Benvenuti nel mio mondo parallelo…nel prossimo capitolo maggiori spiegazioni.
Grazie per aver letto, spero vi piacerà
Altair
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