Amrâdu
adad
Tante
volte, sedendo negli alloggi di Dís a Ered Luin,
Thorin aveva rimuginato sul fatto che lei – una principessa
della stirpe di Durin – avrebbe meritato stanze ben
più lussuose.
Oggi,
però, la sua mente non aveva spazio per quel genere di
pensieri. Oggi, quel genere di pensieri gli sembrava triviale.
All’esterno
della montagna si era fatto buio da qualche ora,
e lui si sentiva esausto come se non dormisse da anni.
Quel
giorno era partito all’alba con una manciata di altri
Nani. Avrebbe dovuto trattarsi di una semplice battuta di caccia, ma
quando erano stati attaccati si era trasformata in una carneficina.
I
loro avversari, seppur cruenti e rabbiosi, erano in svantaggio
numerico e completamente disorganizzati, e alla fine i Nani erano
riusciti a prevalere.
Alcuni
di loro erano rimasti feriti, però, e il cognato di
Thorin era stato ucciso da un colpo d’ascia alla testa. Era
stato proprio lui a trovare il corpo, e ancora lo rivedeva nella
propria mente. Quei capelli biondi inzuppati di sangue, quegli occhi
scuri vitrei e sbarrati…
Non
aveva una memoria precisa del viaggio di ritorno, ma sapeva che era
stato lento e difficoltoso. Ciò che ricordava bene era il
momento in cui era arrivato alla porta di sua sorella.
Dís
gli aveva aperto reggendo il piccolo Kíli con
un braccio, e Fíli aveva fatto capolino da dietro la gonna
della madre con aria curiosa.
Nel
vedere l’espressione di Thorin, Dís era
impallidita.
Le
sue labbra si erano dischiuse, ma poi lei aveva abbassato lo sguardo
su Kíli – impegnato a mangiucchiare felicemente un
cavallino di pezza – e si era sforzata di ricomporsi.
Aveva
posato a terra il suo secondogenito, ed aveva detto a
Fíli di andare in camera col fratello.
Il
bambino biondo aveva guardato Thorin ma non aveva protestato,
limitandosi a prendere la mano di Kíli e a fare come aveva
detto sua madre.
«Dov’è?»
aveva chiesto
Dís, con voce incrinata, non appena i suoi figli erano
scomparsi nell’altra stanza.
Quando
Thorin le aveva spiegato quanto era accaduto, lei non aveva
né pianto né urlato. Era diventata ancora
più pallida, invece, e si era premuta una mano sulla bocca
come per cercare di contenere lo strazio.
Riguardando
indietro, Thorin avrebbe preferito che si fosse accasciata
tra le sue braccia singhiozzando, poiché il dolore nel suo
sguardo muto era stato devastante.
Adesso,
Dís si trovava a preparare il corpo di suo marito
per il funerale – aveva rifiutato con fermezza che se ne
occupasse qualcun altro – e a vegliare su di lui secondo le
tradizioni.
Prima
di andarsene, aveva parlato a lungo con Fíli e
Kíli, cercando di spiegare loro cos’era successo,
e li aveva messi a letto.
Thorin
chiuse brevemente gli occhi, sfiorando la benda che gli
avvolgeva la mano. Un taglio sul palmo era l’unica ferita che
avesse riportato. La cosa lo assillava: suo cognato era morto, lui non
avrebbe dovuto star bene.
Non
che avesse mai avuto uno stretto rapporto col marito di sua sorella
– anzi, all’inizio era stato riluttante a concedere
la mano di Dís ad un Nano di origini tanto modeste
– ma pian piano era giunto a considerarlo parte della
famiglia.
Ed
ora Dís aveva perso il suo sposo, e Fíli e
Kíli sarebbero cresciuti senza un padre.
Thorin
sfiorò il tessuto rattoppato del divano su cui era
seduto. Ricordò l’eterno ottimismo di suo cognato,
il suo incrollabile buonumore, l’orgoglio e l’amore
con cui guardava sua moglie e i suoi figli.
Con
occhi assenti, fissò un ciocco di legno che anneriva nel
focolare.
Alla
fine, la stanchezza ebbe la meglio su di lui. Dopotutto, tra la
marcia e la battaglia, senza contare i danni emotivi, quel giorno era
stato davvero sfibrante.
Quando
riaprì gli occhi con un sussulto, l’aurora
era vicina, e Fíli lo guardava con le mani appoggiate sul
suo ginocchio.
«Fíli?»
domandò Thorin, con
voce impastata. Si passò il dorso della mano
sull’angolo delle labbra. «Come mai sei in piedi?
Dov’è tuo fratello?»
«Dorme».
Thorin
strizzò gli occhi. Ma certo.
Dopotutto,
Kíli era ancora molto piccolo. Aveva da poco
imparato a camminare, e i suoi lunghi monologhi erano tanto vivaci
quanto incomprensibili.
Thorin
supponeva che avrebbe dovuto esser grato del fatto che fosse
troppo giovane per risentire di quanto era appena accaduto…
Tutto ciò che riusciva a pensare, però, era che
probabilmente da qualche anno a quella parte Kíli non
avrebbe più serbato alcun ricordo di suo padre.
«Non
so dov’è amad» gli disse
Fíli.
«Si
sta… occupando di alcune cose»
rispose Thorin, raddrizzando la schiena. «Tornerà
quando sarà mattina».
«Oh».
Suo nipote lo guardò da sotto in
su. «E quando torna adad?»
Il
cuore di Thorin sprofondò. Era probabile che ci sarebbe
voluto un po’ di tempo, prima che il bambino capisse
pienamente cos’era accaduto.
«Fíli… Tuo padre non
tornerà».
Fíli
aggrottò la fronte.
«Perché no?»
Thorin
lo guardò, e in quel momento desiderò che
ci fosse qualcun altro, qualcuno che sapeva come spiegare le cose ad un
bambino. Ma non c’era nessun altro, e in più
Fíli era suo,
persino più suo di quanto non lo
fosse Kíli.
«Tuo
padre è morto».
Fíli
lo guardò con la fronte aggrottata.
Evidentemente quelle parole – che peraltro aveva
già sentito sulle labbra di sua madre – non gli
erano chiare. E allora?
Non può tornare se è morto? sembrava
voler
chiedere. Invece, fece segno di no con la testa, poi il suo labbro
inferiore tremò e lui parve esitare.
Thorin
notò che il bambino occhieggiava le sue gambe in
maniera inequivocabile. Mentre Kíli – quel piccolo
impudente – non si faceva problemi ad arrampicarsi in grembo
allo zio, Fíli pareva nutrire una certa soggezione nei suoi
confronti.
Thorin,
allora, si chinò in avanti e lo prese su, issandolo
sulle proprie ginocchia. Fíli si girò di lato e
si rannicchiò contro di lui, appoggiandogli un orecchio sul
petto come per ascoltargli il cuore.
Ci
fu un istante di silenzio, riempito soltanto dal crepitio del fuoco.
«Zio
Thorin?» chiese poi Fíli, con voce
minuscola. «Ho fatto qualcosa di brutto?»
Thorin
credette di aver capito male. «Come?»
Il
bambino tenne la testa bionda appoggiata contro il suo petto mentre
riformulava la domanda: «Sono stato cattivo? Adad
è andato via perché sono stato cattivo?»
Thorin
rimase immobile per un istante, poi sollevò il mento
del bambino per guardarlo in faccia.
«Fíli,
non è colpa tua» gli
disse, con la massima serietà. «Tu non hai fatto
niente di male».
Il
bambino tirò su col naso. «Davvero?»
A
Thorin si strinse il cuore. Gli permise di tornare ad appoggiare la
testolina, e gli accarezzò i capelli biondi in modo un
po’ impacciato. «Davvero. Tuo padre è
stato ucciso».
Fíli
rimase zitto, e Thorin maledisse le proprie parole
goffe e forse troppo dirette. Non ci sapeva fare con i bambini.
Quando
Fíli si mise a tremare, lui raggelò, poi
lo avvolse nelle proprie braccia, cercando di offrirgli conforto e
calore.
Fíli
si aggrappò alla sua camicia consunta e
nascose il viso contro il suo petto.
A
Thorin mancò il fiato. Il bisogno di rassicurare suo
nipote era così intenso da essere quasi un dolore fisico, ma
non conosceva né le parole né i gesti
più adatti.
Temeva
che, se solo avesse allentato la presa, Fíli avrebbe
tremato più forte, così non si azzardò
nemmeno ad accarezzarlo. Si limitò a tenerlo stretto, mentre
le ore si trascinavano lente una dopo l’altra.
Quando
sopraggiunse la mattina e i cinguettii degli uccelli arrivarono
sino a loro, il bambino aveva smesso di rabbrividire.
Thorin,
però, sospettava che si trattasse di un sintomo di
stanchezza, non di un’improvvisa tranquillità.
Si
frugò la mente alla ricerca di qualcosa da dire, e si
schiarì la gola. «Andiamo a controllare tuo
fratello?»
Subito,
Fíli non rispose. Poi, però,
sollevò il viso dal petto di Thorin per guardare suo zio
negli occhi ed annuì.
Provando
un certo sollievo, Thorin si alzò in piedi,
reggendo il bambino. A quel punto, si diresse nella stanza dei figli di
Dís… e per poco non gli venne un colpo nel vedere
che entrambi i giacigli erano vuoti.
Poi
Fíli indicò il pavimento, e Thorin
abbassò lo sguardo.
Kíli
era raggomitolato sul tappeto morbido che si trovava
tra i due letti. Aveva una coperta appallottolata vicino ai piedi, un
dito in bocca, ed era profondamente addormentato.
Thorin
mise giù Fíli, ricordando che
Dís gli aveva parlato delle abitudini notturne del suo
secondogenito.
A
quel che pareva, quasi tutte le notti Kíli rotolava dal
proprio letto al pavimento, dove seguitava a dormire come se nulla
fosse. Ogni tanto, Fíli si svegliava e scendeva dal letto a
sua volta, per poi rimettersi a dormire abbracciato al suo fratellino.
Vista
la frequenza con cui questo accadeva, la loro madre aveva
sistemato sul pavimento di pietra un tappeto spesso e morbido ed una
coperta.
Thorin
osservò Fíli avvicinarsi al suo fratellino
e chinarsi su di lui. Sembrava un po’ meno agitato di prima.
Quasi
avesse percepito la sua presenza, Kíli si
stiracchiò e aprì gli occhi. Vedendo il fratello
torreggiare su di lui, sorrise radiosamente ed allungò le
braccia. Si aggrappò al collo di Fíli,
obbligandolo a chinarsi di più, e a quel punto gli
stampò un bacio sonoro sulla guancia.
Fíli
emise uno squittio di protesta, ma il più
piccolo rise – una risata a dir poco deliziata.
Alle
orecchie di Thorin, suonò al contempo come un balsamo e
come un dolore.
Poi
Fíli ricambiò l’abbraccio, e si
rotolò sul tappeto insieme a Kíli. Erano
avvinghiati l’uno all’altro, e i capelli biondi di
Fíli e gli occhi scuri di Kíli – che
ora cercava di liberarsi – saltarono all’occhio di
Thorin.
Per
un momento, un raggelante momento che gli tolse il fiato, a Thorin
parve di vedere del sangue insudiciare i ciuffi dorati di
Fíli, e gli occhi splendenti di Kíli gli parvero
privi di vita. Poi il più piccolo strillò e
l’altro lottò per tenerlo fermo, e
quell’attimo terribile passò.
D’impulso,
Thorin si avvicinò ai suoi due nipoti.
I due bambini si fermarono un attimo, stretti l’uno
all’altro, e lo guardarono ad occhi sgranati.
Lui,
allora, prese la coperta lì accanto, e con un gesto
fluido la avvolse attorno a quei due furfanti. «Vi ho
presi!»
La
risata argentina di Kíli esplose subito, e stavolta fu
accompagnata da quella di Fíli.
Thorin
attirò bambini e coperta contro il proprio
petto… e mentre Kíli si dimenava con un anguilla
senza smettere di ridere, Fíli diede una manata al braccio
dello zio.
Poco
a poco, smisero di agitarsi, e ai gridolini si sostituirono degli
sbadigli assonnati. Non fu una sorpresa. Sì, era mattina, ma
dopotutto Fíli si era svegliato prima dell’alba, e
Kíli certo non si alzava col sole.
Cautamente,
Thorin permise ai due bambini di rannicchiarsi sul tappeto.
«Zio?»
biascicò Fíli, mezzo
addormentato. «Non voglio stare senza adad».
Thorin
respirò bruscamente, ma prima che potesse pensare a
una risposta il bambino era già sprofondato nel sonno.
Lui
tese una mano verso i suoi capelli biondi, poi la ritirò
con una stretta al cuore. Rimase semplicemente lì, in
ginocchio accanto ai suoi nipoti addormentati.
Non
avrebbe saputo dire quanto tempo passò, ma ad un certo
punto udì un rumore, e voltandosi vide Dís sulla
soglia della stanza.
Sua
sorella era di un pallore spettrale, e il dolore le segnava il
volto. Si era tagliata la barba scura in segno di lutto,
notò Thorin, ora era molto corta. Più corta
persino della sua, che lui non lasciava crescere in memoria di coloro
che erano periti tra le fiamme di Smaug.
Senza
dir nulla, Dís venne a sedersi sul pavimento accanto
al fratello. Non lo guardò, posando invece gli occhi sui
propri figli.
Fíli
e Kíli erano stretti l’uno
all’altro, le boccucce semiaperte, il respiro regolare.
«Non
hanno ancora compreso quanto è accaduto,
vero?» sussurrò Dís, la voce roca.
Prima
che Thorin potesse rispondere, lei inclinò il viso per
osservare Fíli, e venne percorsa da un tremito.
«Dís?»
chiamò sommessamente
suo fratello.
Lei
girò la testa verso di lui e lo guardò con
aria desolata. «Gli somiglia così tanto»
si limitò a dire, la voce incrinata.
Thorin
esitò. «Lo so».
Dís
si passò una mano sul volto.
«Voglio che partecipino anche loro» disse poi.
«Al suo funerale, intendo». I suoi occhi azzurri,
di solito così sicuri, parvero improvvisamente incerti.
«Sei d’accordo? O forse sarebbe meglio se non lo
vedessero. Pensi…»
«No,
credo sia giusto» la interruppe Thorin.
«Devono dire addio al loro padre».
Lei
gli rivolse un sorriso tremulo, e andò a poggiare la
testa sulla sua spalla. Thorin rimase immobile, respirando il suo odore
familiare e desiderando con tutto se stesso di poter alleviare il suo
dolore.
Note:
A quel che pare, non posso proprio astenermi dal scrivere su questa
famiglia.
Il titolo, a prova del fatto che la mia originalità fa
davvero schifo, significa ‘la morte del padre’.
Mi auguro con tutto il cuore di non aver scritto idiozie
(sì, sono molto preoccupata, va bene?). Grazie per aver
letto :)
Quasi dimenticavo! Pubblicherò la seconda e ultima parte
questo sabato,
il 28 febbraio.
|