Schrei!
Bis du, du selbst bist
Schrei!
Und wenn es das letzte ist
Schrei!
Auch wenn es weh tut
Schrei so laut du kannst
(Schrei, Tokio Hotel)
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A 21 anni passati ci sono cose che
una ragazza dovrebbe e
non dovrebbe fare.
A 21 anni una ragazza dovrebbe
pensare solo agli studi e al
lavoro, e, sì, magari concedersi qualche svago, godersi la
vita, ascoltare
giustamente la musica, soprattutto se una di musica ci ha sempre
vissuto.
A 21 anni si è
più razionali, maturi e calibrati nel
scegliere i propri modelli, specie se in tutta l’adolescenza
sono completamente
mancati quegli idoli che tutte le ragazzine hanno, quelli che ti fanno
urlare e
piangere, quando li vedi, che ti fanno riempire la stanza di poster, e
correre
in edicola a comprare qualunque cosa contenga anche solo
un’immagine o una
traccia del nome del suddetto idolo.
A 21 anni una studentessa universitaria di
buona famiglia non
punta la sveglia alle tre del mattino perché quattro ragazzi
a quell’ora
vinceranno un premio per cui lei stessa ha passato ore ed ore a votarli
centinaia di migliaia di volte.
A 21 anni una ragazza non dovrebbe
essere nelle condizioni
in cui è la sottoscritta.
Tant’è.
La storia d’amore tra me e
i Tokio Hotel è forse poco
originale, simile a tante altre, ma poco importa. È una
grossa fetta del mio
presente, e quando si ama scrivere, nulla è mai troppo
noioso per essere
raccontato.
Si parla ormai di più di
un anno fa, giugno 2007, quando dei
Tokio Hotel non conoscevo che il nome. All’epoca avevo, come
molti (troppi),
dei pregiudizi su di loro, ed anche piuttosto forti, pur non avendo
idea di
come suonasse la loro musica, o di che facce avessero questi
fantomatici
neofenomeni. Sapevo solo che il nome non mi diceva nulla di
interessante. Non
li volevo nemmeno sentir nominare, a prescindere da tutto.
Fortunatamente sono una che sa
ammettere senza problemi che
ha preso un abbaglio epocale.
È cominciato tutto da mia
sorella di 17 anni che mi ha
chiamata a vedere “quello che sembra una ragazza”,
e da lì non so più nemmeno
io a quale stratosferica velocità il tutto è
decollato.
Parti ascoltando una canzone, te ne
innamori, consumi il tuo
iPod a furia di ascoltarla ininterrottamente, poi per
curiosità ti vai ad
ascoltare l’album da cui è tratta, poi comperi
quell’album e scopri che ne esistono
altri, in tedesco, e compri anche quelli, perché pensi ne
valga la pena (e nel
frattempo quasi ti scordi delle canzoni in inglese, perché
quelle in lingua
originale sono infinitamente superiori), e poi ancora trovi i DVD, e
compri
anche quelli, perché stai cominciando a capire che questa
band di ragazzini ha
qualche cosa di speciale e forse meritano davvero il travolgente
successo che
li accompagna ovunque mettano piede.
In men che non si dica ti ritrovi la
stanza letteralmente
tappezzata di poster ed immagini di questi quattro mezzi sconosciuti
che però
hai imparato ad amare nelle loro canzoni, nelle interviste, nei DVD e
anche
nell’idea che ti sei fatta di loro. Ti svegli una mattina e
scopri che saranno
a due passi da casa tua a firmare autografi, e allora ci vai,
perché in fondo
cosa ti costa? E da lì incontri gente che, incredibile, li
adora quanto li
adori tu, ragazze più giovani di te e donne di
trent’anni, padri con le figlie
e mamme che, arrossendo, ammettono di non essere solo in veste di
scorta, ma
anche un po’ di fan.
Per me è andata
così, e, grazie a un pizzico di fortuna, ho
spesso avuto modo di vederli live (FNAC, Kid’s Choice Awards,
il concerto di
Modena…) e ormai non è più un segreto
per nessuno che i Tokio Hotel per me sono
forse non tutto, ma tanto.
Sacri,
come mai
nessuno prima.
E se è la prima volta che
ti capita di innamorarti
letteralmente e con tanta patetica genuinità di quattro
sconosciuti che non sei
mai nemmeno riuscita a guardare negli occhi, un po’ di senti
presa da questo
uragano tutto nuovo che ti prende e ti porta in un’altra
dimensione. Ma ti
piace, perché la vita non è stata sempre generosa
con te, ed avere loro che ti
fanno sorridere significa tanto.
È forse un po’
folle conversare per ore con delle fotografie
appese accanto al tuo letto, dare vita ad una sinfonia di sospiri
inteneriti
quando Bill gioca a fare la diva, che più che diva sembra un
cucciolo d’uomo
nato per essere coccolato, o perderti in riflessioni senza fine sul
vero
carattere di Tom e su quello che nasconde, e magari è anche
patetico sapere che
ti basta vedere gli occhi di Gustav, o l’accenno di un suo
sorriso, per
sentirti il cuore sciogliersi in una pozza d’amore, o,
ancora, posare gli occhi
su Georg e pensare “Se solo tu fossi un comune
mortale…”.
Scriverei un libro, per loro, per
raccontare a chi pensa di
conoscerli perché ha visto mezzo minuto di loro in un video
o in un servizio
chi sono veramente i Tokio Hotel, e perché
c’è così tanta mobilitazione attorno
a loro. Qualcuno deve spiegare ai miscredenti
qual è il vero sacro di
questi
ragazzi che dal nulla si sono guadagnati a pieni meriti il loro posto
nel
firmamento musicale, perché tanti hanno raggiunto le vette
delle classifiche e
vinto dei premi, ma quanti hanno cominciato alle tenera età
di 12 anni,
suonando per pura passione nei piccoli locali di paese, soltanto per
poter dire
“Ce la stiamo mettendo tutta”?
Meritano rispetto ed ammirazione, se
non verso il loro
stile, almeno verso l’impegno che mettono in quello che
fanno, le attenzioni
che hanno nei confronti dei fan, la sincerità con cui si
commuovono davanti
all’ennesimo gradino salito, ancora un po’
più in alto, forse anche troppo, per
dei ragazzi così giovani, ma loro non si fanno intimorire,
sorridono, magari un
po’ impacciati, e ringraziano, perché alla gente
come me devono tutto, e non
hanno mai smesso di ricordarcelo.
Lontani ed inarrivabili nello spazio,
è vero, ma quattro di noi,
vicini e familiari nelle
sensazioni che trasmettono, nel luccichio dei loro occhi quando salgono
su un
palco, acclamati da pubblici di decine di migliaia di persone, dal
tremore
delle loro voci quando stringono un premio e dicono grazie a chi ha
reso tutto
possibile, dai loro sorrisi radiosi e lusingati quando, tremante,
riesci a
sussurrare loro un pateticissimo “Vi amo” da dietro
ad una transenna.
Forse se qualcuno si soffermasse ad
osservarli con più
attenzione, un po’ più in profondità,
capirebbe quanto non siano affatto i divi
che appaiono, ma quattro esseri (più o meno) umani, dei
(quasi) comuni mortali
come chiunque altro, con i loro pregi e i loro difetti, a volte seri e
maturi,
da veri professionisti, altre spontanei e quasi infantili, come se
fossero
ancora nel giardino di casa a sognare un’utopia che ormai
utopia più non è.
Ho due sorelle più
piccole, di 17 e 13 anni, pazze di loro
quanto me, ed una madre quasi cinquantenne che non sa più
come fare per
mascherare il fatto che sia ormai stata palesemente contagiata
dall’affetto
verso questi quattro ragazzi che potrebbero essere i suoi figli, e mio
padre… Be’,
lui si è rassegnato ad avere quattro donne in casa che
stravedono per un gruppo
rock i cui componenti sono poco più che adolescenti.
Misteri che forse è
concesso comprendere a qualche uomo,
visto che ho avuto modo di conoscere un socio di mio padre che
è un fan
sfegatato dei Tokio Hotel e non appena ha scoperto che ero stata al
loro
concerto di Modena non ha esitato un istante ad intavolare con me una
bella
conversazione su quell’esperienza che, posso dirlo con una
certa sicurezza, è
stata una delle più emozionanti della mia vita.
Perché a 21 anni la vita
non è proprio la meraviglia che si
crede quando, in terza liceo, te ne stai china su un libro di Fisica a
sognare
l’indipendenza del futuro, e nemmeno l’oasi
spensierata che si ricorda passati
i 30.
A
21 anni sei a cavallo tra i travagli e i divertimenti
dell’adolescenza appena
lasciata e le responsabilità e le prospettive di
un’età adulta che ancora non
riesci a sentire come tua, e ne hai anche un po’ il diritto.
A 21 anni ti serve
qualcosa di bello a cui aggrapparti in un brutto periodo per poter dire
“Andiamo
avanti, era solo un momento di debolezza”, e non un padre che
ti dice “Non c’è
posto per i sogni, nel mondo reale”. A 21 anni, i sogni sono
tutto quello che
hai, e se non hai nessuno che ti incoraggi, se nessuno ti dice che ci
puoi
credere, che li puoi realizzare, allora che in che futuro puoi credere?
Che
voglia ti resta di andare avanti?
Ma qualcuno che ti fa credere nei
sogni forse c’è.
Non è forse la
realizzazione di un sogno cominciare a suonare
a 12 anni, quasi per scherzo, e poi ritrovarsi ad essere delle rockstar
mondiali a 20? Non è una fantasia diventata
realtà girare i cinque continenti,
seguiti da scie di urla estasiate ed applausi scroscianti, accolti
ovunque da
gente che ama te e la tua musica più di ogni altra cosa?
Se so ancora sognare, è
solo perché ho trovato qualcuno che
mi dicesse che ne valeva la pena, ma di farlo sempre e comunque con i
piedi ben
piantati a terra.
Cinicamente, sarebbe stupido pensare
che i Tokio Hotel siano
una band al 100% genuina e nature,
gli
accorti sanno che ad alcune delle loro canzoni non hanno nemmeno messo
mano, se
non per suonarle e cantarle, ma la maggior parte dei testi e delle
musiche
viene da loro, l’amore e la passione che mettono in
ciò che fanno è evidente, e
solo se uno porta i paraocchi del pregiudizio non è in grado
di capire chi sono
veramente questi quattro ragazzi, spuntati quasi
all’improvviso dall’oscuro
paese di Magdeburgo per mettersi a fare le star in tv. Per quanto
riguarda il
look, che qualche azzardato osa definire
“costruito”, non si può certo definire
“comune”, ma i Tokio Hotel sono rimasti esattamente
quelli che era all’alba dei
tempi, all’epoca dei Devilish, con lo stesso stile e le
stesse speranze.
L’unica cosa che è cambiata è qualche
zero sul conto in banca.
Ho una madre di 50 anni che
all’inizio era scettica verso all’affetto
che io e le mie due sorelle mostravamo verso di loro. Adesso, dopo un
anno di
ascolti di ogni loro CD e visioni di ogni loro DVD, a qualunque ora del
giorno
e della notte, anche lei è una loro fan sfegatata, tanto da
aver espressamente
richiesto un biglietto anche per lei al loro prossimo concerto.
Ed è proprio ai concerti
che si vede il potere immenso
dell’amore comune per la musica: a partire da bambine di 10
anni, fino ad
arrivare a uomini e donne di mezza età, senza figli, che
accorrono per sentire
questo gruppo di giovani che sembra avere tanto da offrire, ma anche
coppie di
fidanzati, gruppi di ragazzi senza ragazze che si fanno strada tra le
fan non senza
un po’ di imbarazzo, ma esibendo con una certa fierezza le
loro magliette
firmate Tokio Hotel.
Quando si ha in comune una cosa
così forte e radicata come
l’amore per la stessa musica, il contatto con gli altri
diventa subito più
immediato: cammini per strada in centro a Milano, passi accanto ad una
persona
che non hai mai visto, vedi il simbolo dei Tokio Hotel sul suo polsino,
lei
vede la tua borsa che li raffigura tutti e quattro, vi guardate in
faccia e,
per nessuna ragione al mondo se non il fatto di aver trovato uno spirito affine, vi sorridete.
E c’è della
magia negli incontri di massa in onore di un gruppo.
Non solo dei Tokio Hotel.
Respiri l’eccitazione,
l’entusiasmo, l’adrenalina, la voglia
di urlare e dire al mondo che là fuori ti guarda che,
sì, sei una studentessa
universitaria che è venuta per dimostrare il proprio affetto
a quattro persone
che nemmeno sanno chi sei, e, sì, dovresti proprio essere a
casa a studiare per
l’esame di Filologia, ma loro sono lì, e tu non
potevi mancare, era questione
di vita o di morte. E come te, altre diverse migliaia di persone, tutte
lì,
insieme, per lo stesso, straordinario motivo.
Mi dispiace per chiunque non
riuscirà mai a provare
l’emozione del batticuore unisonante di una folla che quasi
sembra un’unica creatura,
immensa e viva, per qualcuno spaventosa e pericolosa, per te
meravigliosa.
Mi sarei persa una sfaccettatura
della vita stupenda, senza
i Tokio Hotel. Grazie a loro ho fatto esperienze nuove, ho conosciuto
persone
bellissime che sono diventate tra i miei migliori amici, ho riscoperto
la
voglia di fare e di essere indipendente, ho trovato un coraggio tutto
nuovo di
guardare le cose.
Tenetevi pure i vostri paraocchi, voi
che insistete a
definirli una boyband costruita. Non sapete cosa vi perdete.
Tenetevi il pregiudizio e la
comodità dell’ignoranza. Io mi
tengo il mio affetto e i miei sogni.
Perché a 21 anni, quando
sacro e profano spesso coincidono, l’estasi
vera non la trovi in una pastiglia, o in un bicchiere di vodka, o in
una
trasgressione estrema.
Basta premere un tasto, chiudere gli
occhi, alzare il
volume…
Grida, finché
sarai te stesso.
Grida, anche se è l'ultima cosa.
Grida, anche se fa male.
Grida più forte che puoi.
E
forse lo sanno anche loro.
A/N: ho appena appreso di
questa mia inattesissima vittoria. Sono ancora troppo scossa per
lasciare
delle note serie e coerenti. Voglio solo ringraziare questi quattro
ragazzi che
mi hanno dato tanto e anche tutte voi miei lettrici che da sempre
contribuite
ad accrescere la mia passione per la scrittura. La dedico a loro e a
voi, con
tutto il mio affetto.
P.S.: I link:
La Compagnia del Libro e la classifica dei vincitori
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