cp1
Semplicissima.
E rugginosa come una bicicletta che non uso da tantissimo.
Una cosa di una sera e via, avrebbe voluto-potuto essere più lunga, ma
approfitto di questo attimo libero e vi lancio questa cosina.
Epo
(o nefene)
n. 4 magliette stese, uova, cereali (e
altre liste)
Tra le
ore 12 e le ore 14.30 di quel sabato aveva:
lavato e steso n. 4
magliette
tentato
di riparare i fornelli elettrici del suo nuovo appartamento
fallito
nel riparare i fornelli elettrici del suo nuovo appartamento
pranzato:
insalata, n. 7 uova, n. 2 mele
fatto
n. 75 flessioni
scritto
n. 4 liste (cosa aveva fatto, cosa non aveva fatto, cosa avrebbe dovuto fare,
la lista della spesa)
Ripensandoci,
niente avrebbe potuto fargli prevedere che alle 17 di quel pomeriggio si sarebbe
ritrovato con le mani addosso a Stiles. In un letto.
Era solo
uscito per andare al supermercato.
*
Era stato
dopo che aveva iniziato a scrivere liste. Con le narici e la gola ancora
brucianti della puzza del fuoco e della morte. Laura aveva consigliato un diario,
ma Laura era... beh, un Alpha migliore, tanto per cominciare. Non aveva sensi
di colpa capaci di mangiargli il fegato, il sonno e i sogni. E sapeva parlare e
scrivere di sentimenti senza sentirsi idiota, a differenza sua.
Le liste
erano parse un buon compromesso: si era detto che non sarebbe stato più così
stupido da farsi sfuggire dettagli importanti - Kate Argent. (Anche se in
realtà era stata un’illusione, aveva continuato a perdersi i dettagli
importanti – Peter, Jackson, Jennifer).
A volte
Laura entrava nella sua camera e scriveva-aggiungeva-modificava qualcosa.
prendere
il diploma
lavare
i piatti
iscriversi
al college
desiderare
abbassare
la tavoletta del water
scopare
di più
pensare
a cosa voglio fare da grande
*
“Non
avrei assolutamente mai pensato di incontrarti qui.”
Derek si guardò
intorno. “Nella corsia dei cereali, intendi?”
Stiles annuì,
grattandosi la nuca nervosamente.
“Avresti
preferito la corsia dei surgelati?”
*
Dopo la
morte di Laura tutto era andato in malora (di nuovo). Aveva smesso di scrivere
liste, perché… che senso aveva? Viveva come un’ombra tra ruderi e ricordi,
cercando di cancellare ogni traccia di sé e del proprio passaggio. Un animale
senza odore e senza impronta.
La “Parete
dei Post-it” era un ricordo lontano, di una New York chiassosa e affollata in
cui perdersi fino a divenire anonimi, un fratello e una sorella qualsiasi dallo
sguardo sospettoso e sfuggente, in cui riscoprire rare risate dietro le porte
di un appartamento da chiamare “casa”.
Ma anche
a Beacon Hills il tempo era trascorso. Sei mesi. Un anno. Due anni. E il dolore
ancora una volta diveniva meno soffocante e faceva spazio ai pensieri –
frastagliati, aggrovigliati, aguzzi, in quel caos ringhiante che era la sua
mente.
trovare un appartamento
con una parete libera
Aveva
scritto un giorno sul retro di uno
scontrino.
*
Stiles
aveva infilato nel proprio cestello dei cereali a forma di orsetti ricoperti di
miele. Quelli che ogni mattina lasciava a mollo nel latte abbastanza minuti da
renderli una pappa viscosa e spugnosa (Derek lo sapeva per via di quella volta
che una strega lo aveva privato della vista con un assurdo maleficio e aveva
ritrovato la strada al di là del bosco seguendo solo il proprio olfatto. E si
era ritrovato di fronte a Stiles e la sua disgustosa colazione).
Derek
afferrò dallo scaffale una confezione di muesli con pezzi di cioccolato
fondente e frutta essiccata.
Poi
controllò la lista.
“Ah,”
mormorò, portando di nuovo la mano al ripiano. Accanto a lui Stiles lo spiava
ancora, attento come un falco.
“Crusca? Dici sul serio?”
Derek si
voltò a fissarlo, un sopracciglio inarcato. “Perché? Non ti piace la crusca?”
Stiles
boccheggiò, agitando le mani. “Cos-? A nessuno
piace la crusca, Derek!”
Era vero,
ma era tante le cose che non gli piacevano. Sopravviveva ugualmente. “Rende
regolari,” si limitò a spiegare, anche se Stiles parve ritenere la sua
affermazione piuttosto sconvolgente.
Derek non
credeva che si sarebbe ritrovato a spiegare qualcosa di così banale a Stiles, il
quale era capace di trascorrere notti intere a fissare lo schermo del pc,
seguendo i link e gli estremi di una qualche balzana e probabilmente inutile
ricerca.
(Derek lo
sapeva perché nel suo giro notturno di controllo dei confini di Beacon Hills
passava davanti alla sua casa – alla sua camera – tre volte. Restava sempre per
alcuni istanti, forse minuti. Il ticchettio spesso frenetico sulla tastiera.
Oppure il respiro regolare del sonno.)
“La
crusca fa bene a-” iniziò a illustrargli, per ritrovarsi interrotto dalle mani
alzate di Stiles, che scuoteva la testa guardandolo con espressione
oltraggiata.
“Derek, Gesù,
fermati, ti prego. So che la crusca fa bene. E a cosa fa bene,” disse, ammiccando e trattenendo una risata.
Lui lo
fissò impassibile.
“Derek…
stiamo davvero parlando di… quello? Di tu che… quello?”
“Hai
cinque anni?”
“Ah!”
esalò, passandosi le mani tra i capelli. “No è che tu, e la crusca, e… cioè.”
Sbuffò rumorosamente.
Derek ne
aveva abbastanza. Sollevò il cestello per dirigersi alla successiva corsia.
“Voglio
dire,” riprese Stiles, interrompendolo. “Prima ti becco che fai la spesa, e ok,
cioè, immagino che mangi e fai la spesa, certo, sì. Poi scopro che compri i
cereali sani perché ovvio, dopo i triliardi di esercizi che fai mangi cose sane
e poi…” gesticolò confusamente verso il suo torace. “Poi farai altri esercizi,
immagino, ovvio, certo, amico, lo immagino. Cioè, suppongo, ecco cosa volevo
dire. E poi scopro che mangi la crusca e ti preoccupi di essere regolare e…
boh, cos’altro devi comprare? Carta igienica e lubrificante?” Ridacchiò
nervosamente.
Derek
estrasse la lista dalla tasca posteriore dei jeans e controllò. “Mmm.”
*
Derek non
avrebbe mai scritto di sentimenti sui propri post-it, prima. Quella era Laura. E
Laura piangeva davanti ai film romantici con la stessa convinzione e ferocia
con cui lo costringeva al controllo durante le notti di luna piena.
Laura gli
aveva riempito interi fogli di citazioni e messaggi sull’amore. Affettuosamente
ricordandogli che loro due erano insieme,
ma v’era un intero mondo oltre i confini del loro appartamento e del piccolo
branco che rappresentavano.
Si era
sentito orgoglioso di Jennifer, aveva pensato a come Laura sarebbe stata fiera
di lui. C’era tutto quello che le era sempre piaciuto – romanticismo, dolcezza,
sensualità. Ma invece era stato tutto una finzione offuscata, proprio come in
quei film prevedibili, e ora ripensava a quei momenti con un senso di nausea al
ricordo di quella sensazione di zuccherina stucchevolezza. A Laura certo non
sarebbe piaciuto.
Eppure,
dopo tutto, dopo Jennifer, (dopo Kate), dopo aver creduto di non esserne più in
grado, invece ecco che desideri mai pronunciati scorrevano frettolosi e
impulsivi su carta. Infilandosi tra il numero della lavanderia in cui aveva
portato i pantaloni e la sfilza di lavori con cui sistemare decentemente l’appartamento.
cena: mangiato omelette e patate lesse.
Stiles.
ore 22 incontro con Chris Argent per la
questione dei troll (odora di Strozzalupo, sempre. Evita lo sguardo. Ha detto
12 frasi senza mentire.)
sognato: un corpo caldo, snello, sussurri.
riparato rubinetto del bagno.
masturbato: 2 volte (pensato a un
lui.)
*
Stiles lo
tampinava, seguendolo tra le corsie del supermercato. “Fammi vedere quella
lista.”
*
Le liste
dei “cosa avrebbe dovuto fare” erano le più difficili, perché ricordarsi di pagare la bolletta della luce
e dire la verità a mamma su cosa mi stava
succedendo finivano per intrecciarsi come se passato e presente non fossero
separati da macigni che nemmeno la più grande delle magie avrebbe potuto
attraversare.
Il suo
branco era spesso su quelle liste. Quando avrebbe dovuto insistere (Scott era
troppo spesso incredibilmente cieco e cocciuto), quando avrebbe dovuto
ascoltarli (Isaac), quando avrebbe dovuto proteggerli (Stiles si faceva male
così spesso).
Era
insopportabile, quando Stiles si faceva male.
*
L’aveva
seguito fino al suo appartamento. Infilandosi nella sua macchina come se fosse
normale, spulciando tra la sua spesa come se gli appartenesse.
“Non hai
niente di meglio da fare?” gli chiese Derek.
Stiles si
strinse nelle spalle e superò l’ingresso sfilandosi le scarpe da ginnastica per
poi mollarle noncurante in mezzo al salotto. “No.” Aveva ancora nel pugno la
sua lista della spesa, quella che aveva scorso ad alta voce, concentrato e un
po’ confuso. “Latte, pane, bistecca, leggere un saggio sulla teoria darwiniana,
formaggio, un bacio, uova, fatto: n. 125 flessioni, pomodori, insalata, Stiles…”
Aveva sollevato lo sguardo con aria smarrita e sorpresa e Derek non aveva detto
niente.
Non
avrebbe saputo spiegargli che a volte era difficile separare le liste.
Cosa
aveva fatto. Cosa non aveva fatto. Cosa avrebbe dovuto fare.
Lista
della spesa. Lista dei desideri. Lista dei pensieri.
“Ce ne
sono altre di queste?” gli chiese Stiles, e Derek l’aveva immaginato, che non
avrebbe lasciato perdere così facilmente. Appoggiò le buste sopra il tavolo in
cucina e gli indicò con un cenno del capo la propria stanza. “Sì, di là.”
Stiles
osservò prima la porta chiusa, poi lui, per alcuni istanti. Poi gli avvicinò e
poggiò una mano sul suo braccio, fermandolo mentre riponeva una confezione di
pasta nella dispensa.
“Hai
trovato tutto quello che era sulla lista?” chiese.
Derek lo
fissò e scoprì che gli era così vicino. Sentiva il battito del suo cuore
pulsare nelle orecchie e attraverso le dita sulla sua pelle.
“No,”
rispose. Perché era ovvio che non aveva trovato tutto.
Non aveva
nemmeno cercato, del resto.
Stiles chiuse
gli occhi per un istante. “Ok,” esalò seriamente e poi ridacchiò, con quel suo
modo di confondere le situazioni e le emozioni. “Ok,” ripeté. “Fermami se tu
non… se ho capito male, se ho letto male, se… Fermami e basta.”
Stiles
avvicinò il viso al suo e lo baciò, piano ed esitante. Derek percepì la
dolcezza di quel bacio fin nella pancia, fin negli artigli e nelle zanne, fin
dove il suo controllo si ancorava tra la rabbia e il desiderio di lasciarsi
andare a una nuova fiducia.
Socchiuse
le labbra e rispose al bacio.
*
Erano le
17 ed erano a letto. Si accarezzavano a vicenda, le magliette abbandonate sul
pavimento.
Secondo
la sua lista, in quel momento avrebbe dovuto telefonare allo Sceriffo per
fargli sapere che aveva deciso di iscriversi al college e studiare Storia e che
per questo non avrebbe iniziato a lavorare per la Centrale.
Ma lo
Sceriffo poteva aspettare.
Baciò il
collo di Stiles ancora una volta e poi sollevò il capo per osservarlo in viso:
sorrideva, e si ritrovò a sorridere a propria volta.
“Cosa
fai?” gli sussurrò.
“Leggo,”
rispose, indicandogli con un dito la parete accanto al letto.
La parete
dei post-it.
“Ok,” disse,
perché Stiles poteva leggerli. Magari un giorno avrebbe anche potuto scrivere
su di essi.
Gli passò
una mano tra i capelli, scorrendo con il palmo il profilo della sua nuca.
“E cosa
leggi?”
Stiles
portò le mani sui suoi fianchi nudi e lo spinse a coricarsi su di lui.
“Vuoi
fare l’amore con me?” chiese.
Lesse.
Stupidamente
incerto, come se non fosse nero su bianco davanti ai suoi occhi.
Fine.
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