Salve a tutti!
È la
prima volta che pubblico una fan
fiction in questa sezione, spinta dal crescente amore nei confronti di
questa
splendida serie!
La storia
è ambientata nella terza
stagione, dopo il mid season finale (spoiler per chi segue la
programmazione
italiana), con un ipotetico ritorno della vertigo insieme a un nuovo
‘Conte’.
Ora vi lascio
alla lettura!
Never again
La
sua paura più grande sei tu
“Oliver!”
Sentiva il cuore martellarle forte
nel petto, il respiro spezzato dalla paura mentre stringeva
convulsamente le
dita su quel piccolo auricolare nero.
Continuava a chiamare il suo nome ma
non riceveva alcuna risposta.
“Per l’amor del cielo Oliver,
rispondimi!”
Aveva il brutto presentimento che
qualcosa stesse andando storto e rimanere lì ferma davanti
ai suoi computer
senza poter aiutare concretamente la stava facendo impazzire.
Era l’unica rimasta al covo.
Succedeva spesso quando tutti i suoi amici uscivano in missione, ma mai
si era sentita
così sola come in quel momento.
Arrow, Arsenal e Diggle erano usciti
a dar la caccia al nuovo uomo della vertigo, James Miller, un altro
criminale
che aveva deciso di terrorizzare la città con la versione
potenziata di quella
droga.
Scatenava allucinazioni sulla
propria paura più grande in tutti i soggetti a cui veniva
iniettata e il team
Arrow lo sapeva bene.
Oliver era stato il primo a subirne
gli effetti, poi Laurel e adesso, quando pensavano che tutto fosse
finito, la vertigo
tornava tra le strade di Starling in mano ad uno nuovo psicopatico.
Felicity lo aveva rintracciato in un
vecchio magazzino nella zona industriale della città e
l’eroe incappucciato era
subito partito al suo inseguimento.
Nessuno di loro poteva sapere che
quella era solo una trappola, che quel criminale aveva scoperto i loro
piani e
teso loro un’imboscata.
Quando giunsero a destinazione
decine di complici avevano dato il via ad una guerriglia contro i tre
del team.
Da allora le comunicazioni con i
suoi compagni erano diventate difficoltose, sempre più rade
fino a scomparire
del tutto.
Il GPS di Roy e Diggle lampeggiava
sullo schermo del suo pc,segnalando la loro posizione nei pressi del
magazzino
mentre quello di Oliver indicava che si era spostato di parecchi
isolati.
La bionda aveva seguito da remoto
ogni suo piccolo movimento, fino ad individuare l’arciere
nelle vie del centro,
proprio sotto il grande grattacielo della Queen Consolidated.
O per essere più precisi quello
della Palmer Technologies.
Era da quel momento che cercava
disperatamente di mettersi in contatto con lui senza però
ottenere alcun
risultato.
Mentre si mangiava nervosamente le
unghie corte aveva sentito la voce di Oliver giungere debole nel suo
auricolare: “Felicity …”
Il suo nome fu solo un sussurro ma
scatenò nella donna un’ondata di terrore di
proporzioni enormi, soprattutto
quando non rispose ai suoi innumerevoli richiami.
Oliver era in pericolo e lei doveva
fare qualcosa, qualunque cosa.
Sapeva che era una follia, sapeva
che lui si sarebbe infuriato quando l’avrebbe scoperto ma non
le importava.
Il pensiero di perderlo la faceva
impazzire perciò doveva salvarlo.
A qualunque costo.
Era salito in sella alla sua moto
quando aveva notato il loro uomo fuggire in mezzo alla calca.
Mentre Roy e
John combattevano contro i complici del
criminale lui lo aveva notato lasciare indisturbato il suo nascondiglio.
Lo inseguì a tutta velocità
nelle
vie del centro, evitando le pallottole che lui sparava dal SUV nero
mentre
guidava come un folle.
Vedeva all’orizzonte il palazzo
della sua ex-azienda mentre tenendosi in equilibrio sulla moto scoccava
una
freccia dritta alla ruota posteriore della macchina davanti a lui.
Il SUV sbandò improvvisamente e il
rumore dei freni riempì l’aria silenziosa di
Starling City.
Era notte fonda e le strade,
caotiche durante il giorno, erano deserte.
Nessuno si era accorto del
giustiziere che camminava a grandi passi verso la macchina,
l’arco teso e una
freccia pronta ad essere scoccata.
Oliver si avvicinò cautamente, i
vetri oscurati non gli permettevano di vedere all’interno
dell’abitacolo, ma
quando arrivò non c’era più traccia di
Miller.
Mise all’erta tutti i suoi sensi ma
questo non bastò ad evitare il forte colpo che si
abbatté sulla sua nuca.
“Felicity …”
chiamò, nella speranza
che lei potesse comunicare a Roy e Diggle la posizione di Miller.
Prima di sentire una risposta cadde
a terra rischiando di perdere i sensi, mentre sentiva i passi
dell’uomo
allontanarsi.
Cercò di mettere a fuoco ciò
che lo
circondava ma la sua vista era annebbiata e la testa gli pulsava
dolorosamente.
Riuscì faticosamente ad alzarsi in
piedi, rincorrendo il fuggitivo.
Lo raggiunse mentre attraversava la
piazza con le fontane, la stessa che fino a qualche tempo fa vedeva dal
suo
ufficio da amministratore delegato dell’azienda di famiglia.
E mentre i due ingaggiavano una
lotta corpo a corpo un’ombra silenziosa, al diciottesimo
piano dell’edificio,
osservava incredulo la scena.
Non aveva mai spinto così tanto il
piede sull’acceleratore come quella sera.
Felicity parcheggiò velocemente
l’auto, non distante dal grattacielo dove tutti i giorni
andava a lavorare per
Ray, e si affrettò a controllare sul cellulare la posizione
di Oliver.
Vide un uomo avvicinarsi ma non era
il suo eroe, bensì James Miller.
Con un coraggio che non pensava di
avere, si accucciò dietro l’auto e non appena il
suo nemico fu a portata di
tiro lo colpì violentemente alla testa con una vecchia
bottiglia di birra,
abbandonata da qualche ubriacone sul marciapiede.
L’uomo cadde a terra ma prima che
Felicity potesse fare la sua seconda mossa sentì qualcosa di
appuntito e
metallico pungerle il collo.
Un fastidioso dolore si propagò
sulla pelle mentre portava la mano sulla piccola puntura, lì
dove una dose di vertigo
le era appena stata iniettata.
Sentiva la testa pesante, tutti
i suoi sensi farsi
meno reattivi e
davanti a lei l’uomo che si stava avvicinando dopo essersi
rialzato pareva
avere qualcosa di famigliare.
I lineamenti squadrati del suo viso
si addolcirono, le labbra divennero rosee e carnose, i suoi occhi si
trasformarono in due pozze azzurre a lei ben note, celate dietro una
piccola
maschera verde.
Un cappuccio tirato sul viso le
impediva di vedere i capelli corti
ma
incredibilmente soffici al tatto, quelli che lei avrebbe tanto voluto
stringere
tra le sue dita durante un bacio appassionato.
“Oliver …” la sua
voce era solo un
flebile sussurro ma sapeva che lui l’aveva sentito.
Le labbra dell’arciere si
incurvarono in un ghigno minaccioso e i suoi occhi la fissarono, ma la
guardavano diversamente da come erano soliti fare.
Oliver le si avvicinò alzando una
mano, coperta dai guanti in pelle nera, in quella che doveva essere una
carezza
gentile sul suo viso ma che in realtà arrivò in
uno schiaffo doloroso sulla
guancia di Felicity.
Lei rimase frastornata non capendo
realmente quello che le stava succedendo, fino a quando
sentì un pugno
infrangersi contro il petto, facendola gemere dolorosamente.
“Oliver” ripeté
quando ritrovò il
fiato per parlare ma l’incappucciato rise di lei colpendola
ancora.
“Sei solo un’illusa”
diceva mentre
la bionda cadeva a terra e si dimenava, cercando di colpirlo come
meglio
riusciva “una stupida illusa”
“Oliver, sono io. Felicity”
continuava a ripetergli mentre si tirava nuovamente in piedi e
scagliava un
debole pugno contro il costato dell’uomo.
“Tu non sei nessuno!” le
rispose
mentre un ulteriore colpo sul viso le spaccò un labbro
facendolo sanguinare.
Continuava ad incassare calci e
pugni, difendendosi come meglio poteva mentre le parole di Oliver la
ferivano
sempre di più.
“Credi davvero di contare qualcosa?
Non sei altro che un burattino nelle mie mani, utile solo a raggiungere
i miei
scopi”
Felicity sentiva li occhi gonfi di
lacrime, ma non sapeva se fossero dovute al dolore fisico o a quello
che
provava dentro il cuore.
“Hai davvero creduto che potessi
innamorarmi di te?” il suo tono tagliente e velenoso la
colpiva e la tratteneva
a terra ancora di più dei calci che si abbattevano su di lei.
“Non potrei. Non ti amo Felicity e
non lo farò mai!” terminò urlando.
Felicity singhiozzava rannicchiata
sull’asfalto, per tentare di proteggersi dalle percosse,
mentre quelle parole
la ricoprivano di umiliazione.
Si sentiva stanca, voleva solo che
il dolore che sentiva in tutto il corpo svanisse, voleva chiudere gli
occhi e
scomparire per sempre.
E mentre si preparava all’ennesima
botta sentì un sibilo nell’aria poi, come i colpi
erano improvvisamente
cominciati, finirono.
Il suo smart-watch trillò
segnalandogli che un’altra ora era passata. Erano le tre di
notte e tutta
Starling City dormiva sotto un cielo incredibilmente limpido e
stellato, tutti
tranne lui.
Non riusciva a riposare molto
nell’ultimo periodo così passava sempre
più tempo nell’ufficio della sua
azienda, riflettendo su nuovi progetti e continuando a fare progressi
per ATOM.
Si era affacciato alla finestra,
sperando che il panorama mozzafiato sulla città lo ispirasse
per continuare il
suo lavoro.
Era l’unico in tutto il palazzo e
adorava tenere meno luci accese possibili: il cielo e la
città risplendevano
magnificamente nel buio del suo ufficio.
Stava pensando con le mani sepolte
nelle tasche del suo costoso completo, quando la sua attenzione fu
attirata da
un SUV nero che sfrecciava per la strada, inseguito da una moto.
Un forte rumore di freni arrivò fino
a lui e fu allora che vide chi realmente stesse guidando la moto.
Il grande e famoso Arrow, nella sua
tuta verde attillata, il cappuccio sul viso e l’arco teso.
Inseguiva un uomo, forse un
criminale, che riuscì a colpirlo e darsi alla fuga.
Dopo un breve ma intenso
combattimento corpo a corpo, il vigilante di Starling City
incassò un doloroso
colpo, cadendo a terra per qualche secondo.
Fu allora che Ray vide una macchina
in lontananza e una donna bionda con gli occhiali.
Era troppo lontana per poterne
essere sicuro ma sembrava fosse Felicity, sola e spaurita in quella
strada
deserta.
Ne ebbe la conferma quando l’uomo la
raggiunse e iniziò a picchiarla con ferocia, mentre lei
tentava di difendersi.
Ray scattò velocemente verso
l’ascensore, rischiando di cadere sul pavimento lucido e
scivoloso del suo
ufficio.
Si fiondò nella cabina e premette
più
volte il tasto di discesa, spazientendosi per la lentezza
dell’ascensore.
Forse avrebbe fatto meglio a
prendere le scale.
Dopo qualche decina di secondi le
porte si riaprirono al piano terra e Palmer si fiondò in
strada, sperando che
non fosse troppo tardi.
Oliver Queen si rialzò con un
po’ di
fatica, dopo la botta in testa si sentiva debole e senza forze, ma non
si
sarebbe lasciato sfuggire quell’uomo.
Lo aveva perso di vista per un
istante ma lo ritrovò appena svoltato l’angolo
della piazza.
La scena che si trovò davanti agli
occhi lo impietrì.
Il cuore cominciò a battergli forte
nel petto mentre tentava di tenere a bada la paura che si stava
diffondendo
dentro di lui.
Dall’altra parte della strada vide
Miller accanirsi su una donna, rannicchiata sull’asfalto, i
capelli biondi
sfuggiti alla lunga coda le coprivano in parte il viso.
L’avrebbe riconosciuta tra mille e
mentre si chiedeva perché lei fosse lì, la sua
mano corse veloce alla faretra.
Un istante dopo la prima freccia si
conficcò
sibilando nel petto del criminale, seguita da altre due.
Lo vide accasciarsi a terra, gli
occhi privi di vita, mentre già correva verso Felicity.
La sua Felicity.
La sentiva piangere, spaventata e
dolorante.
“Felicity” la
chiamò dolcemente ma
lei non rispondeva.
La chiamò ancora, rassicurandola:
“Sono qui, va tutto bene”
Dalla sua voce traspariva tutto il
suo amore per lei, la sua preoccupazione mentre
scostava delicatamente i capelli dal
suo viso, in cerca dei suoi occhi dietro le lenti degli occhiali.
Ciò che vide lo scosse: il sangue
che colava dal labbro rotto, il dolore che poteva percepire dalla sua
espressione sul viso. Ma fu quello che sentì a spaventarlo
ancora di più.
“Vattene!” Felicity parve
urlarlo,
con tutta la forza che aveva ancora, anche se in realtà
uscì solo come un
debole sussurro.
“Felic…”
“Non toccarmi!” lo interruppe
istintivamente scostandosi da lui “non mi toccare
…” disse ancora, la paura
dipinta nei suoi occhi chiari.
Nuove lacrime le rigarono le guance
mentre Oliver non riusciva a capire cosa le stesse accadendo.
Fece per avvicinarsi ancora una
volta ma il corpo della donna s’irrigidì di colpo,
facendogli capire che non
gli avrebbe permesso di toccarla.
“Hai bisogno di aiuto,
Felicity” le
disse cercando di restare calmo “dobbiamo andare via da qui,
hai bisogno di
essere curata”
Lei scosse la testa terrorizzata,
scostando così i capelli e lasciando intravedere il collo.
Fu allora che Oliver la notò, quella
piccola puntura sulla sua pelle delicata e una piccola fialetta
abbandonata sul
marciapiede, poco distante da lei.
“Felicity” le parlò
cercando i suoi
occhi per farle capire che non le stava mentendo “qualunque
cosa tu veda, qualunque
cosa tu stia sentendo non è vera, non è reale.
Sono Oliver e voglio solo
aiutarti”
“No” rispose lei con
più decisione “So
chi sei, Oliver. Ed è per questo che non voglio il tuo aiuto
… Non toccarmi”
L’arciere sentiva i sui occhi
riempirsi a loro volta di lacrime, non capiva perché lei
continuava a
respingerlo e vederla a terra dolorante senza poterla aiutare lo faceva
impazzire.
Sentì un rumore di passi che si
avvicinava e tese l’arco in quella direzione, pronto ad
intervenire in caso di
necessità.
Solo quando quell’uomo fu più
vicino
capì di chi si trattasse e dovette abbassare
l’arma.
Ray Palmer.
“Felicity” la
chiamò lui
avvicinandosi.
“Ray?” la voce debole della
bionda
spinse Palmer ad inginocchiarsi accanto a lei.
“Hai bisogno di aiuto” le
disse preoccupato
per poi rivolgersi ad Oliver “Dobbiamo portarla in ospedale!
Che cosa stai
aspettando?”
L’irritazione nella voce di Palmer
non fece altro che accrescere la rabbia che già ribolliva
dentro Oliver.
“No” fu la sua risposta secca.
“Che cosa?”
“Niente ospedale. Lì faranno
domande. So io dove portarla” gli rispose sperando che questa
volta Felcity non
lo respingesse.
Fece per prenderla in braccio ma lei
si ritrasse.
“Non toccarmi, Oliver!”
Una strana luce brillò negli occhi
di Ray che stava lentamente mettendo insieme i pezzi.
“Oliver …”
Il vigilante lo interruppe: “Non
c’è
tempo per questo. Devo portarla al sicuro”
“Lei non vuole venire con te”
gli
rispose mentre sollevava Felicity da terra. Lei si aggrappò
al suo completo
elegante, fidandosi delle braccia possenti del suo capo.
Oliver cercò di reprimere
l’istinto
omicida che gli scorreva nelle vene, l’unica cosa che contava
ora era salvare
Felicity.
“Non puoi portarla
all’ospedale”
ribadì con fermezza “Conosco un luogo dove
possiamo prenderci cura di lei”
“Io non la lascio” Ray lo
guardò con
aria di sfida, determinato a non mollare la presa sull’esile
corpo di Felicity
“Ovunque la vorrai portare io verrò con
te”
Oliver imprecò mentalmente,
ragionando su cosa fare.
Doveva agire in fretta, eliminare i
residui di Vertigo dal suo corpo e curare le varie ferite, non poteva
permettersi
di perdere altro tempo.
“D’accordo”
acconsentì mentre
Felicity perdeva coscienza nelle braccia di un altro uomo.
Oliver condusse Ray al covo, lì dove
nessuno sarebbe dovuto entrare a parte i suoi più fedeli
amici.
Ma non aveva altra scelta: Palmer
non avrebbe ceduto e tutto il tempo che avrebbero perso a discutere
sarebbe
stato dannoso per Felicity.
Quando entrarono nel seminterrato
Roy e Diggle erano appena tornati dalla missione.
“Oliver, cosa diavolo è
successo?”
chiese Diggle prima che Palmer facesse il suo ingresso.
“Perché non rispondevi? E
dov’è
Felicity?”
“Ho perso
l’auricolare” disse secco
facendo entrare Ray.
Tutti si immobilizzarono alla vista
dell’uomo dentro il covo ma soprattutto quando capirono che
cosa fosse successo
alla loro amica.
Oliver fece segno a Palmer di
adagiare Felicity sul banco metallico che spesso usavano come barella
per i
feriti dopo le missioni.
“È stata drogata.
Vertigo” spiegò
mentre si toglieva maschera e cappuccio.
Ormai era inutile nascondersi a
Palmer, sapeva che lui aveva capito.
“Oliver Queen”
commentò “Sapevo che
eri tu”
Oliver lo ignorò continuando a
rivolgersi ai suoi compagni “Poi l’ha
picchiata” le sue parole erano colme di
rabbia e frustrazione per non essere stato in grado di proteggerla.
Se solo avesse schivato quel colpo
alla nuca avrebbe potuto prendere quel maledetto prima che arrivasse a
lei,
prima che la sfiorasse anche solo con un dito.
“Oliver” la voce di John lo
riportò
alla realtà “Non è colpa tua”
“Si invece!” rispose rabbioso
“Se
solo avessi capito che era una trappola, se …”
“Non potevi capirlo. Nessuno poteva.
Hai fatto tutto quello che era necessario per catturarlo”
“Si ma lui l’ha
….”non riuscì a
terminare la frase.
Anche solo l’idea che Miller avrebbe
potuto ucciderla a furia di calci e botte gli faceva ribollire il
sangue nelle
vene.
Si voltò strofinandosi gli occhi con
una mano per impedirsi di scoppiare a piangere come un bambino davanti
a tutti
loro.
“Piuttosto, perché Felicity
si
trovava lì?” chiese Roy che stava medicando le
varie ferite sul corpo della
donna.
“Non lo so” rispose Oliver
“Avrebbe
dovuto essere qui, al sicuro, a lavorare dietro al suo
computer”
“Forse è successo qualcosa
che l’ha
spinta ad allontanarsi” ipotizzò John
“Io e Roy abbiamo perso la comunicazione
con lei poco dopo che tu hai inseguito Miller”
“Io ho tentato di parlarle ma Miller
mi ha colpito e penso di aver perso l’auricolare mentre
cadevo”
“Forse ha tentato di mettersi in
contatto con te ma non le hai potuto rispondere ed è venuta
a cercarti”
“Perché avrebbe dovuto?
Perché
esporsi così tanto al pericolo?” Oliver non poteva
crederci.
Non voleva farlo.
Solo il pensiero che lei fosse
uscita, esponendosi ad un tale rischio per lui lo riempiva di rabbia.
“Lo sai perché,
Oliver” gli rispose
Diggle.
Sì, lui temeva di sapere quale fosse
il motivo e proprio perché lo sapeva non poteva tollerarlo.
“E lo so che non riesci ad
accettarlo ma devi fartene una ragione. Lei si preoccupa per
te” si interruppe
un istante guardando l’amico negli occhi “E non
è diverso da quello che fai tu
per lei”
Ray fece per aprire bocca ma Roy lo
fulminò con lo sguardo e lui decise che era meglio tacere.
Oliver prese un fazzoletto e lo
inumidì sotto l’acqua, poi si avvicinò
a Felicity e ripulì il suo bel viso dal
sangue ormai secco.
Quando ebbe finito le tolse
delicatamente gli occhiali e slegò la sua coda, lasciando
ricadere morbidi i
suoi capelli.
Aveva bisogno di riposare e i
capelli raccolti non era molto comodi per dormire.
Prese un cuscino dalla branda che
utilizzava prima di trasferirsi nel nuovo appartamento di sua sorella e
lo
posizionò sotto la testa della bella informatica.
Poi stese una coperta sul suo corpo
esile in modo che non prendesse freddo.
Cercò la sua mano e la strinse,
sperando che lei sentisse un po’ di quel calore che avrebbe
voluto
trasmetterle.
“Perché non
l’ospedale?” la voce di
Ray interruppe il silenzio che era sceso nel covo da qualche minuto.
“Perché lì
avrebbero fatto domande”
gli rispose “un’aggressione, una dose di vertigo
… avrebbero avvisato la
polizia e la polizia avrebbe cercato un colpevole. Un colpevole ucciso
da tre
frecce, riconducibili ad Arrow”
“Quindi l’hai fatto solo per
te? Per
proteggere la tua vera identità?”
“No, certo che no!” rispose
iniziando a sentire la rabbia crescere pian piano “Anche lei
rischia molto, perché
lavora per me e se si venisse a sapere potrebbe danneggiarla. Mantenere
il
segreto è di fondamentale importanza”
“L’avresti lasciata morire
piuttosto
che svelare la tua identità?”
Oliver si voltò verso Palmer,
furioso, lasciando la mano di Felicity.
Diggle e Roy uscirono dal covo,
lasciando che discutessero da soli.
“Pensi davvero che mi importi
così
poco di lei?” domandò avvicinandosi
minacciosamente “L’ho portata qui perché
sapevo che avremmo potuto curarla, meglio che in ospedale.
Lì avrebbero fatto
decine di analisi ed esami prima di scoprire che era stata drogata con
la vertigo.
E lo stesso fatto che tu sia qui dovrebbe suggerirti che no, il mio
segreto non
è più importante della sua vita. Nulla
è più importante di lei!”
Oliver sospirò pesantemente dopo
aver concluso il suo discorso, voltandosi nuovamente verso Felicity.
“Mi dispiace di essere stato
così
duro” disse Ray dopo qualche minuto “È
solo che lei è diventata importante per
me, da quanto l’ho assunta in azienda. È una
persona splendida e molto
intelligente”
“Lo so” rispose Oliver
continuando a
stringere la mano di Felicity mentre un strano dolore al petto si
espandeva
sempre più dentro di lui, fino a contorcere il suo stomaco.
Che cos’era?
Gelosia, forse?
Si, senza dubbio. Era geloso perché
un altro uomo aveva interesse per lei, per la sua Felicity.
E con il comportamento che aveva
tenuto con lei nell’ultimo periodo rischiava di perderla.
E questo gli faceva paura, più di
quanto avrebbe potuto immaginare.
Ma in fondo era solo colpa sua se
erano in quella situazione e probabilmente meritava tutto
ciò.
Meritava che un uomo come Ray Palmer
la rendesse felice al posto suo, perché lui probabilmente
non ci sarebbe mai
riuscito.
“So quanto vale, so quanta passione
mette in ogni cosa che fa, quanto è ….”
esitò mentre si perdeva a guardare il
suo viso rilassato mentre dormiva “speciale”
“Da quanto lavora per Arrow?”
domandò curioso.
“Da molto prima che tu la incontrassi
per la prima volta”
Calò di nuovo il silenzio tra loro
ma anche questa volta non durò molto.
“Qualche settimana fa Felicity mi ha
confidato una cosa” riprese Ray “Erano un paio di
giorni che era distratta al
lavoro, triste, afflitta e io non capivo perché”
Oliver rimase zitto, in attesa che
lui continuasse il discorso.
“Mi ha detto che aveva perso un
amico che in realtà era molto più di un amico per
lei, anche se le cose erano
piuttosto complicate tra lei e quell’uomo. Non sapevo a chi
si riferisse ma ora….
Eri tu, vero?”
“Io non lo so …”
Oliver non sapeva
realmente cosa rispondere, davvero Felicity si era confidato con lui su
questo?
Era successo quando aveva creduto
che fosse morto nel duello contro Ra’s al Ghul?
“Non so se tieni davvero a lei,
Oliver … ma io si. E dopo quello che ti ha detto quando era
a terra credo che
non voglia stare nei tuoi paraggi. Perciò apprezzo molto
quello che avete fatto
per curarla ma quando si sveglierà la porterò
via. In un posto dove sia davvero
al sicuro, dove lei si senta al sicuro”
Oliver non poteva credere che
l’avesse detto davvero.
“Che cosa?” domandò
incredulo “Tu
non farai nulla di tutto ciò”
Si avvicinò all’uomo, le
braccia
lungo i fianchi e le mani strette a pugno per tentare di contenere
tutto quello
che stava provando dentro.
“Hai sentito quello che diceva sul
marciapiede? Non voleva che ti avvicinassi a lei, era terrorizzata da
te. E non
voglio che lei soffra”
“Era sotto effetto della vertigo.
Non sappiamo che cosa abbia visto, quale allucinazione abbia avuto e di
certo
non era lucida quando diceva quelle cose”
“Stai solo cercando delle scuse per
non accettare la realtà. Lei ha paura di te. E forse fa bene
perché in fondo
non sei altro che un assassino”
“Non ti permetterò di
portarla via”
ribatté Oliver deciso “Non andrà da
nessuna parte, non con te. Forse sarò solo
un assassino ma tu sei solo un uomo d’affari che approfitta
delle debolezze
altrui per mettersi in mostra”
“Allora tutto questo astio nei miei
confronti è per l’azienda”
constatò Ray “Perché ho convinto gli
investitori più
di te. Perché ti ho rovinato economicamente togliendoti la
Queen Consolidated”
“Non si tratta di questo. Si tratta
di lei. Lei si fida di me, mi ha spronato ad essere migliore. Ad
aiutare la
gente, a diventare ciò che sono. Lei crede in me. Potrai
togliermi tutto Palmer:
l’azienda, la mia vita come amministratore delegato, tutti i
miei risparmi, ma
non potrai mai portarmi via lei. Questo non te lo
permetterò”
“Io non ne sarei così
convinto. La
vita che conduci, i pericoli che corri … lei sarà
sempre nel mirino, Queen. Di
chi ti vorrà distruggere, di chi ti vorrà
uccidere, di chi ti vorrà veder
soffrire. Pensaci … è davvero questa la vita che
vuoi per lei?” le sue parole
investirono Oliver di colpo, mozzandogli il fiato come un pugno nello
stomaco
“Io credo di no. Credo che lei meriti di meglio. Quel meglio
che tu non potrai
mai darle”
Oliver
rimase fermo, in silenzio, troppo
sconvolto da quelle parole per poter rispondere.
Tenerla al sicuro, proteggerla da sé
stesso e dai nemici che si era creato come Arrow era sempre stata la
sua
priorità.
Non lasciarsi andare con lei, non
permettere di renderla vulnerabile.
Restare a guardarla da lontano,
limitarsi solo a sognarla, ad immaginare di poterla sfiorare, baciare,
accarezzare, pur di proteggerla da ogni pericolo.
Ed ora il mondo gli stava cadendo
addosso.
Palmer aveva ragione e questa era la
cosa che faceva più male.
Lasciarla andare ora significava
spingerla nelle braccia di Ray, vederla sorridere per lui, essere
felice con
lui. E faceva così male anche solo pensarlo, altro che
doverlo vedere,
assistere, dover sorridere e far finta di essere felice per loro.
Sarebbe stato più facile affrontare
di nuovo Ra’s, la morte, Slade, l’isola, Hong Kong
e le missioni suicide della
Waller.
“Forse non la renderò felice,
forse
la esporrò a mille rischi ma io … la
amo” ammise ad alta voce di fronte a
Palmer.
“E questo dovrebbe bastare per
proteggerla?”
“Basterà”
disse Oliver, cercando di
auto convincersi.
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