A doppio filo

di Hermione Weasley
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V.

 

L'odore nauseabondo del disinfettante, mescolato a quello acre dell'ammoniaca per pavimenti, finì per dargli il colpo di grazia.

Fu costretto ad uscire in fretta e furia dalla camera d'ospedale, ad accostarsi al carrello che l'inserviente si era lasciata alle spalle, e a rimettere il contenuto della sua cena a base di birra e pollo fritto nel sacchetto dell'immondizia, lo stomaco contratto in una gelida morsa d'agitazione.

Inspirò a fondo, accorgendosi con orrore che le mani gli tremavano incontrollabilmente; le strinse a pugno quasi fino a farsi male mentre socchiudeva gli occhi e si sforzava – inutilmente – di controllare il battito impazzito del proprio cuore.

La stanza da cui era dovuto fuggire era occupata da Natasha: Odessa era stata impietosa con lei e Clint... Clint si era visto obbligato a rendersi conto di non essere del tutto preparato ad affrontarla in quelle condizioni.

Era abituato a vederla scattante, sempre padrona della situazione, capace di capovolgere qualsiasi circostanza – anche la più disperata – a suo vantaggio, una battuta pungente, una complicata identità alternativa sempre pronta all'occasione. Natasha riusciva a combattere attraverso qualsiasi tipo di dolore: nei pochi anni che avevano condiviso sul campo, Clint aveva imparato che non c'era virtualmente niente capace di fermarla. L'aveva vista correre su caviglie acciaccate, impugnare armi a dispetto di dita rotte e spalle lussate... respingere la consapevolezza del dolore in un qualche remoto angolo della sua testa fino a missione conclusa. Durante i primi incarichi dello Strike Team Delta, aveva persino dovuto far uso delle sue inesistenti doti oratorie per convincerla a farsi medicare le ferite riportate in combattimento. Fosse stato per lei, sospettava, avrebbe resistito finché non avesse avuto modo di rattopparsi autonomamente nella solitudine del suo appartamento o della stanza assegnatale allo SHIELD Center o sull'helicarrier. Clint aveva suo malgrado finito per prenderci gusto: il lato più vulnerabile di Natasha gli piaceva tanto quanto quello più duro e spietato; non meno vero o meno interessante della facciata che si sforzava di erigere tra sé e il mondo esterno giorno dopo giorno. Più prezioso, forse. O magari era la contraddizione costante tra quei due aspetti ad affascinarlo davvero...

Si rimise dritto, voltandosi lentamente verso la camera inquadrata nella cornice della porta: quando si accorse che Natasha lo stava guardando, per poco non gli mancò il respiro. Si sentì stupido, colto con le mani nel sacco... fastidiosamente debole.

Se c'era una cosa che non gli riusciva – che non gli piaceva, che non accettava – era lasciare andare le persone. Rischiare di perderle. Come avrebbe potuto dirle che si era visto costretto a darsela a gambe perché l'agitazione gli aveva dato il voltastomaco? Come un dannato principiante, come se non ci fosse già passato in precedenza, come se la mancanza e l'abbandono non fossero parte integrante di lui come il suo arco, il suo stupido altruismo o il suo caffè preferito.

“B-Barton... ?”

Il bisbiglio stonato e roco di Natasha ebbe l'effetto di una scarica elettrica: le fu di fianco prima di potersi concedere il tempo di pensare o riflettere.

“Ehi...,” riuscì a malapena ad esalare, tentando di apparire normale e rilassato.

“S-Stavi andando?”

Dal modo in cui sbatteva le palpebre, Clint capì che faceva fatica a metterlo a fuoco.

“No... n-no,” si affrettò ad assicurarle, “sono appena arrivato.”

“O-Okay.”

La vide rivolgergli un mezzo sorriso tutt'altro che lucido prima di richiudere gli occhi e arrendersi di nuovo alle confuse spire degli anti-dolorifici.

Rimase immobile per un lunghissimo attimo, il rimescolio allo stomaco tutt'altro che alleviato, a studiarla attentamente... quasi avesse potuto farla stare meglio solo con la forza del pensiero.

Infine, quando iniziò a sentirsi sciocco – in piedi sull'attenti come un stoccafisso – recuperò la sedia accostata sotto la finestra e prese posto di fianco al letto.

La mano di lei, pallida e fasciata, pendeva oltre la sponda del materasso; sembrava invitarlo a stringerla.

Non ne ebbe il coraggio.

Ma Natasha detestava gli ospedali, detestava i dottori e – per quanto non avesse mai avuto il coraggio di ammetterlo – detestava doverli affrontare da sola.

Mentre si concentrava sulla sua presenza, sul fatto che era viva e concreta accanto a lui, Clint decise che non l'avrebbe delusa.



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Note: siamo arrivati al giro di boa! Stavolta la "pillola di realtà" è un vero e proprio cliché (quello della visita in ospedale), ma mi sembrava giusto dare spazio anche a questo per mostrare l'avvicinamento tra le nostre due spie :) Il prossimo capitolo sarà il più lungo della storia e abbastanza vicino a quest'atmosfera qui.
Sperando che anche questo sia stato di vostro gradimento, ringrazio chiunque legga, commenti, spulci e in particolare la mia sclerobetasocia Eli, as usual :P
Buon weekend a tutti e alla prossima!
Serena.




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