Capitolo
23
"Tuomas".
"Hell, piccola mia, come stai?".
"Loro sono qui".
"Lo so".
"Ho visto Janne, ho parlato con lui, dovevo..." - ammisi liberandomi da
quel peso.
Sentii i pesanti passi del tastierista che spostò una sedia.
Lo immaginai sedersi come al suo solito e poggiando il telefono sul
tavolo e mantenendo le cuffie per potermi sentire.
"Ed ora come ti senti?".
"Non lo so".
"Sono passati ben due anni, devi ricominciare a vivere, smettere di
prendere quelle maledette pasticche, smettere di bere e rifarti una
vita" - rispose duramente, cercando di spingermi a seguire i suoi
consigli.
"Non ci riesco".
"Dov'è finita la donna che ho conosciuto? Quella che
è arrivata in Finlandia a 20 anni è ha tirato su
tutto?".
"E' morta in quell'incidente" - commentai fredda.
"No, non è morta, è lì..da qualche
parte, tirala fuori!".
"Vorrei che tu fossi qui" - ammisi.
"Prendo il primo aereo e vengo da te" - mi rispose, strappandomi
inevitabilmente un sorriso.
"No, non preoccuparti".
Essendo più grande di me di ben cinque anni, lo vedevo come
un fratello maggiore.
Il fratello maggiore che non avevo mai avuto.
Era l'unico che riusco a considerare come tale, nemmeno Tony era mai
entrato così tanto nella mia vita, nonostante fosse un
pilastro portante della mia esistenza.
In più avevamo discusso per la sua costante domanda su un
mio possibile ritorno a casa.
"Tu non vuoi affrontare nulla. Non vero che sei stata messa
in mezzo da loro perchè hai voluto tutto, hai voluto Alexi,
hai voluto Ville e ormai stanca te ne sei andata. L'incidente
è stata solamente una scusa per scappare, per allontanarti e
smetterla di giocare. Cresci, torna e affronta tutto questo".
Non capiva che non volevo, che non c'era più posto per me
li, che non avevo la forza di tornare e quelle parole che mi aveva
urlato, facendomi soffrire e rendere conto di quanto fossi stata anche
egoista, mi aveva fatto allontanare ancor di più
dall'inglesino.
Tuomas invece era entrato così, di punto in bianco e mi
aveva cresciuta, accettando e supportando qualsiasi mia scelta,
trascianandomi con se e insegnandomi a suonare anche le sue amate Korg
che non faceva toccare a nessuno, se non me.
Di tanto in tanto, quando andavo da lui nei fine settimana ci facevamo
delle lunge suonate insieme, ridendo e divertendoci come bambini.
"Ci sei?".
"Si, stavo solo ricordando delle cose".
"Di che tipo?".
"Mi ricordo le nostre suonate, le notre giornate passate con le Korg" -
confessai.
"Mi mancano".
"Adesso devo andare, ci sentiamo" - tagliai corto, non volendo sentire
altro.
"Ti voglio bene, ricordalo".
"Lo so" - risposi, chiudendo la chiamata e tirando un sospiro.
*
Mi stiracchiai, mentre rispondevo cordialmente al saluto di un ragazzo
che usciva da locale.
Era appena passata l'ora di pranzo e Bill era appena rientrato dopo
aver preso il fratellino a scuola.
"Ciao soldato Hell".
"Mio capitano" - risposi - "Come è andata la sua giornata?".
"Bene, abbiamo iniziato a imparare i dinosauri".
"Oh e ti piacciono?".
"Si" - disse sorridendo.
Bill mi sorrise, mentre metteva a scaldare un panino per il piccolo
William che esausto dalla lunga giornata scolastica, si era appena
seduto su una panca, incollandosi come tutti i ragazzini alla tv.
Mi misi seduta, prendendomi una coca cola e massaggiandomi come di
consueto le tempie e lisciando i capelli che avevo tagliato e ora
arrivavano poco più giù delle spalle.
Sentimmo la porta aprirsi e un signore portar dentro delle valige.
Anzi per essere corretti, delle custodie di qualcosa.
Dietro di lui, entrò un'altra persona, decisamente
più alta e magra, dai capelli neri e lunghi più o
meno fino alle spalle.
Portava una canotta bianca con una leggera sciarpina messa tanto per
bellezza e dei pantaloni neri abbinati con gli anfibi neri.
"Oh mio dio" - dissi ad alta voce, aspettando solamente di vedere il
suo viso.
"Che c'è?" - chiese Bill, mentre io mi perdevo negli occhi
azzurri del tastierista dei Nightwish.
Mi alzai di corsa dallo sgabello, lasciando la bottiglia sul bancone e
correndo a tuffarmi nelle sue braccia.
"Tuomas...Tuomas sei tu, sei qui".
"Piccola Inferno, sono qui, che fai piangi?" - domandò,
prendendomi il viso tra le mani e asciugando con i pollici le mie
lacrime che avevano preso a scorrere senza interruzione sulle mie
guance.
Mi lasciai stringere, insipirando il suo odore che sapeva di nord, di
freddo e bosco.
Sapeva di Finlandia e di casa.
Bill ci fissava senza parole e William aveva anche smesso di mangiare,
incuriosito dallo strano soggetto che mi stava stringendo a se con
così tanta dolcezza.
In confronto a lui sembravo una bambina.
Mi staccai, fissando le custodie ai suoi piedi e indicandole
incuriosita.
"Mi hai detto che ricordavi le nostre giornate".
"Hai portato qui le Korg solo per suonare insieme?" - domandai.
"Esattamente, hai bisogno di sorridere e quando suonavamo, lo facevi
sempre, se piangi ti picchio".
"Sono solo felice che tu sia qui".
"Lo so" - risposie accarezzandomi la testa e avvicinandosi a Bill - "Tu
dovresti essere Will...?".
"No, Will è lui, io sono Bill" - lo corresse, stringedo poi
la sua mano.
"Perdonami".
"Ma figurati".
"Grazie per quello che hai fatto e stai facendo per Hell".
Sorrisi intenerita mentre come una malata accarezzavo la custodia che
io avevo modificato, attaccandoci sopra mille adesivi diversi.
Era la custodia della "mia" Korg.
"Quanto rimani?" - domandai già ansiosa al pensiero di
doverlo salutare di nuovo.
"Quanto vuoi tu, quado vorrai, me ne riandrò".
"Fosse per me ti terrei sempre qui" - confessai.
"Potrei anche rimanere sai".
"No, hai la tua vita, il gruppo....".
"Ehi ehi, via quel muso".
"Hell, oggi sto io, divertiti e domani guai a te se ti presenti qui".
"Sentito il ragazzo? Su su, dobbiamo suonare un po!" - disse euforico
il tastierista, sollevando di nuovo le sue due amate Korg e uscendo dal
locale.
Mi girai verso Bill, sorridendogli grata e ringraziandolo per la sua
infinita dolcezza.
Poi corsi dietro al mio amico, aprendo il portone e facendolo salire.
Aprii anche la porta di casa e lo aiutai, chiudendoci dentro e
fissandolo.
"Rimani qui, vero?".
"Si, non me ne vado, sta tranquilla".
"E' che..che..." - scoppiai a piangere, affondando istintivamente il
viso nel suo petto e sentendo prima i suoi sospiri, poi le sue braccia
avvolgermi.
Mi trascinò con se, facendoci sedere sul divano e
continuando a stringermi a se, cullandomi e accarezzandomi la schiena
che tremava a causa dei miei incontrollati e innumerevoli singhiozzi.
***Tuomas***
Sentire Hell piangere in quella maniera non mi piaceva e sapevo che la
mia irruzione a sorpresa era stata un duro colpo.
Continuai ad accarezzarla, riuscendo a sentire tramite le mie callose
mani da musicista, quanto lei fosse debole e fragile, lontana anni luce
dalla ragazzina che era arrivata ad Helsinki e aveva conquistato tutto
e tutti.
Notai il contenitore delle sue pasticche per l'ansia sul mobiletto
vicino alla tv e sospirai.
"Io non ce la faccio" - disse sussurrando appena, confessando quelle
parole che sapevo fossero nella sua mente dal giorno del suo risveglio.
"Puoi farcela, ce la farai".
"Non dormo più, non riesco a non pensare, non riesco a
vivere" - rispose, richiudendosi nel suo inutile mutismo, fatto
solamente di singhiozzi.
Quel mutismo troppo simile a quello di Ville.
Poggiai il mento sulla sua testa, iniziando a canticchiarle The
Islander, canzone che le era sempre piaciuta molto.
"Sai Annette e Floor quando hanno saputo che eri sparita, volevano
venire a cercarti, non le ho mai viste così unite. Marco
ogni tanto prova a chiamarti e anche Tarja non smette di pensare a te".
"Lo so, loro sanno che sono qui?".
"No".
"Cosa gli hai detto prima di partire?".
"Che andavo in Italia" - risposi sorridendo appena mentre lei
continuava a piangere.
Quante lacrime aveva
trattenuto?
*******
Salve!!!
Dopo giorni e giorni, mesi e mesi, eccomi qui!
Come va? Come state?
Io bene, stanca per il lavoro ma abbastanza felice e voi? Siete felici?
Un bacione e alla porssima!
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