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1. Il terzo superstite
Data: 4117 d.s., settima deca
Luogo: pianeta Damar, sistema Icene
Prometheus e Marianne voltarono l’angolo e si allontanarono
quanto bastava perché Trickster e Claire non potessero udirli.
«Cosa volevi dirmi?» domandò il carcarodon non
appena si furono fermati.
«Quando sono arrivata ho percepito qualcosa di
strano nella tua aura,» iniziò la giovane acinonyana, la voce incrinata da un
velo di preoccupazione, «e ho visto uno scorcio del tuo futuro… Lo vuoi sapere?»
Il guardiano rimase in silenzio per alcuni lunghi
secondi. L’espressione della poliziotta bastava per fargli capire che non era
un futuro molto roseo, però restare nel dubbio gli sembrava molto peggio che
avere una riposta spietata. «Sì, dimmelo. E cerca di essere più chiara
possibile.»
Marianne prese un leggero respiro. «D’accordo. Ho
visto la tua morte, Prometheus. Dopo che avrai radunato i quattro guardiani
senza memoria, tu morirai. Non so dirti come, né per mano di chi, ma questo è
ciò che ho visto. Non so dirti quanto sia sicura questa previsione, lo sai che
il futuro non è mai certo, però…»
«Ho capito.» annuì il carcarodon «Grazie per
avermelo detto, ne terrò conto per le mie future decisioni.»
La poliziotta lo guardò con rammarico. «Mi
dispiace…»
«No, non devi. Secondo la tua visione riuscirò a
radunare i quattro senza memoria e questo è già un bene, se poi dovrò morire…
farò in modo che non sia una morte inutile.»
Marianne annuì.
«E adesso torniamo da Trickster e Claire, ci
staranno aspettando…
«Pro…? Ohi, Pro! Mi stai ascoltando? Guarda che siamo
arrivati. Certo che ultimamente hai proprio la testa fra le nuvole…»
Il carcarodon si passò una mano sul volto. «Scusami,
non ho dormito un gran che questa notte.»
Il semidio scrollò le spalle. «Ti capisco, anch’io
ho avuto qualche problema ad addormentarmi. Certo che è proprio una seccatura
questo fuso orario! Ma quel Tremotino non poteva spedirci tutti nello stesso
posto!»
«Mmh… E comunque quante volte te lo devo dire che
non devi chiamarmi Pro?»
Il ragazzo sorrise allegramente. «Scusa, mi è
scappato.»
L’astronave fresca di officina proseguì nella sua
placida discesa e si adagiò silenziosamente nel parcheggio mezzo vuoto di un
grande supermercato. Era la mattina di una comunissima giornata di pioggia,
quindi non si vedeva molta gente in giro e le macchine parcheggiate si potevano
contare sulle dita delle mani.
Il portellone si aprì con un sibilo e grazie ad un
incantesimo di elusione i due guardiani poterono uscire dal velivolo dotato di
dispositivi di occultamento senza destare lo stupore dei passanti. I pochi myketis
presenti non sembravano essersi nemmeno accorti della loro presenza e
continuavano a camminare per i fatti loro con l’ombrello in mano.
«Bit, automobile.» ordinò Prometheus.
Il cane biomeccanico abbaiò e in un attimo assunse
la forma richiesta. Da quando era stato riparato la sua velocità di
trasformazione sembrava aumentata e salendo a bordo della piccola utilitaria i
due guardiani ebbero modo di ammirare delle piccole variazioni nello stile
degli interni.
Il carcarodon non ebbe bisogno di mettere in moto o
di premere pedali, l’automa partì da solo e imboccò l’uscita del parcheggio per
addentrarsi nel vicino centro abitato. Stando alle informazioni in loro
possesso il loro obiettivo era stato inviato in un paese di piccole dimensioni
situato nella periferia di una grande città industriale e in quel momento
doveva trovarsi a scuola.
«Aaah, non vedo l’ora di conoscere un altro dei
nostri!» esclamò Trickster tutto contento «Pro… Prometheus, com’è questo
guardiano? Hai detto che è un ragazzo, giusto?»
«Esatto, si chiama Kenvster ed è una chimera
mutaforma. Come ti ho già detto, andiamo a recuperare lui perché ha l’abilità
di curare se stesso e gli altri, però è anche molto forte e sono sicuro che ci
saprà dare una grossa mano nelle prossime battaglie.»
«Una chimera è un ibrido fatto con la magia,
giusto?»
«Non proprio. Un ibrido fatto con la magia si
chiama homunculus, la chimera viene creata combinando le parti di altre
creature attraverso la magia.»
«E cosa cambia scusa?»
«Per fare una chimera bisogna avere un corpo vivo
da cui partire, l’homunculus invece lo si crea da zero.»
«Aah… E questo Kenvster che combinazione è? No,
aspetta, me lo devo ricordare. Mmh… Ok, niente, dimmelo tu.»
Prometheus si lasciò scappare un sorriso. «È un umano-alligatore.»
Il ragazzo annuì. «Ok, buono a sapersi. Sono
curioso di vedere com’è fatto un umano-alligatore…» Si voltò dall’altra parte e
guardò fuori dal finestrino rigato di pioggia. I vasti campi coltivati erano
irrorati dall’acquazzone e a giudicare dai nuvoloni in cielo l’acqua avrebbe
continuato a cadere ancora per un bel po’. «Che noia ‘sto tempo! Posso far
venire un bel temporale di quelli che dico io?»
«Sarebbe meglio di no.»
«E far venire il bello invece? Quando c’è il sole
le persone sono più di buon umore e sarà più facile convincere il
tizio-alligatore a seguirci.»
«Fossi in te ne farei a meno, è da quando siamo
atterrati che ho una brutta sensazione…»
«Magari è colpa della pioggia.»
«Non era una battuta.» ribatté il carcarodon in
tono serio «C’è davvero qualcosa che non va qui intorno…»
Il semidio allargò le braccia e si stravaccò sul
sedile. «Se lo dici tu…»
Circa dieci minuti dopo, finalmente avvistarono la
scuola in cui si trovava Kenvster. Si trattava di un edificio relativamente
grande e probabilmente era anche l’istituto più importante, se non l’unico,
dell’intero centro abitato.
I due guardiani scesero e Bit tornò subito in forma
di canide. Nessuno dei due disponeva di ombrelli, questo però non era un
problema per gente dotata di poteri magici. Il solito incantesimo di elusione
di Prometheus poi avrebbe evitato scomodi interrogativi da parte della gente
che li avrebbe incontrati.
I due guardiani e la biomacchina entrarono
nell’edificio scolastico e il bidello all’ingresso non parve nemmeno accorgersi
della loro presenza nonostante la scia di orme bagnate che si lasciavano alle
spalle.
Prometheus utilizzò il suo ciondolo per individuare
a colpo sicuro la posizione dell’altro guardiano senza memoria e in questo modo
raggiunsero la palestra. Dall’interno proveniva un acceso vociare che si
intensificò ulteriormente non appena Trickster aprì l’ampia porta in legno e
plastica semitrasparente.
«Cavolo, questa si che è una palestra!» esclamò il
semidio «Certo che questo Kenvster è proprio fortunato: dove c’ero io dovevamo
andare a fare educazione fisica chissà dove perché la palestra era troppo
piccola e c’erano troppe classi… Allora, qual è? Non mi sembra di riconoscere
nessuno…»
Prometheus osservò i vari ragazzi impegnati in un
gioco che sembrava pallamano e controllò col ciondolo se la sua impressione era
giusta. Lo era.
Un grido di gioia collettiva animò i giocatori
della squadra che aveva appena fatto goal.
«È quello che ha segnato.» annunciò il carcarodon.
Il semidio annuì e si concentrò sull’ultimo
marcatore della partita. Gli occhi erano scuri e senza sclere come per tutti i myketis,
lo stesso valeva per il naso appiattito e per la carnagione che sfumava al
verde, tuttavia era facile riconoscerlo perché era il più alto della classe e
probabilmente anche il più muscoloso. Certo, forse gli si sarebbe potuto
recriminare qualche chilo di troppo sulla pancia, però a giudicare dalla forza
con cui aveva lanciato la palla, era meglio non farlo arrabbiare.
«Sembra un tipo interessante.» commentò
allegramente il figlio di Loki.
Prometheus stava per rispondere quando la
spiacevole sensazione avvertita al loro arrivo si ripeté, solo in maniera
decisamente intensificata.
Questa volta doveva averla percepita anche
Trickster, perché l’entusiasmo sul suo volto si attenuò e i suoi occhi
cercarono in maniera eloquente quelli del compagno più esperto.
Non ci fu bisogno di parole. Entrambi avevano
capito che stava per succedere qualcosa di brutto e che era il caso di
sbrigarsi.
«Fagli mettere il ciondolo.» ordinò il carcarodon
porgendo il pendente argenteo «Con questo al collo dovrebbe essere al sicuro.»
Trickster annuì. «Ci penso io.»
Senza badare alla partita in corso andò da Kenvster
e gli si parò davanti. La sua intromissione causò un’inevitabile interruzione
del gioco e questo attirò l’attenzione degli studenti, che nonostante
l’incantesimo di elusione non poterono non accorgersi di lui.
«Ehi, cosa vuoi?»
«Guarda che stiamo giocando!»
«Vattene da un’altra parte!»
«Kenvster, sbrigati, metti questo!» ordinò il
semidio porgendo il ciondolo a forma di triangolo.
«Ma chi ti conosce? Non ci penso nemmeno! E poi chi
sarebbe Kenv…» Il ragazzo, che superava Trickster di tutta la testa, si
interruppe di colpo, come colto da un ricordo improvviso.
«Non c’è tempo di spiegare! Devi metterlo subito!»
Il giovane tornò presente a se stesso e spinse
indietro il figlio di Loki. «Ho detto di no!»
«Non capisci, sta per succedere qualcosa di
brutto!» insistette Trickster.
Un’improvvisa scossa di terremoto fece tremare
l’intero edificio e tra gli studenti serpeggiò un muto timore, seguito da un
roboante vociare che grondava paura.
Il semidio prese Kenvster per il bavero. «Presto!»
«Non mi toccare!» imprecò il ragazzo strattonandolo
senza troppi complimenti «Non ho idea di chi sei! Si può sapere cosa vuoi da
me?!»
Trickster non ebbe il tempo di insistere ancora
perché una luce abbagliate inondò le finestre e poi si riversò in tutta la
palestra. Un’onda magica comparve all’improvviso da oltre la parete e nel giro
di pochi istanti attraversò ogni cosa, macinando terreno ad una velocità
spaventosa e facendo sparire una dopo l’altra le persone che incontrava.
Nel giro di un secondo tutti i presenti erano
scomparsi.
Bit si guardò intorno, ma l’unica cosa che ancora
si muoveva era il pallone, che dopo alcuni mesti rimbalzi rotolò in un angolo.
Il silenzio era inquietante.
***
Il cielo era nero, punteggiato di stelle e solo leggermente
attenuato da sfumature di colore che si perdevano nell’immensità. In lontananza
riuscivano a distinguere delle nuvole, ma la cosa più sorprendente era che,
nonostante l’assenza di una vera fonte di luce, la zona in cui si trovavano era
illuminata a giorno.
Trickster si tirò su massaggiandosi la testa. Il
terreno sotto di lui era piuttosto strano: sembrava normalissima terra, però era
bianca. Intorno a lui c’erano innumerevoli piante, una foresta probabilmente, e
anche loro erano prive di qualsiasi colore. Solo le foglie assumevano una
leggera tinta grigiastra e i tronchi più grossi erano attraversati da sottili
venature nere.
Dopo qualche momento riuscì ad individuare
Prometheus. Si trovava a meno di dieci metri da lui, a fianco di un sottile
ruscello, e anche lui sembrava piuttosto confuso.
«Ehi Trickster, tutto a posto?»
«Sì. Sai dove siamo?»
Il carcarodon scosse il capo. «Non ne ho proprio
idea.»
Il semidio lo raggiunse. «Certo che è proprio
strano ‘sto posto…»
Aveva appena terminato la frase quando avvertì una
flebile luce tra gli alberi. Aguzzò la vista e dopo alcuni istanti riconobbe
quello che aveva tutta l’aria di essere un fuoco fatuo. Ma non era solo. Ce
n’erano a decina che fluttuavano tra gli alberi e rischiaravano l’ambiente con
il loro muto bagliore.
«Sono gli studenti che erano nella palestra.»
sentenziò Prometheus.
Trickster si voltò verso di lui. «Come fai ad
esserne certo?»
«Se vogliamo essere precisi, sono le loro anime.
Fidati, non ho alcun dubbio.»
Il semidio stava per parlare quando un’esclamazione
lo anticipò: «Ehi! Voi due!»
I guardiani si voltarono e Kenvster li raggiunse
con passo deciso. Il ciondolo al collo lo aveva protetto dalla trasformazione
in fuoco fatuo e, come con Trickster, aveva anche annullato quella parte di
sortilegio che alterava il suo aspetto. Adesso era ancora alto e muscoloso, e
non aveva perso i chili di troppo sulla pancia, però la carnagione era
diventata ramata e i tratti del viso non erano più quelli tipici dei myketis:
gli occhi avevano delle linee nette e precise, con le iridi di un marrone che
tendeva leggermente al giallo, le sopracciglia erano piuttosto marcate e il
naso aveva delle narici forse un po’ grandi. La mascella era piuttosto
importante, comunque proporzionata al resto del viso, mentre le orecchie erano
abbastanza piccole. I capelli erano rimasti lunghi fin quasi alla base del
collo, ma avevano assunto una sfumatura più tendente al castano, e attraverso
la maglietta si potevano intravedere delle piccole punte lungo la colonna
vertebrale.
Il giovane si avvicinò con fare poco amichevole a
Trickster e senza sforzo lo sollevò da terra tenendolo per la felpa. Nonostante
la situazione il semidio riuscì a notare che i denti del vero Kenvster erano
aguzzi e pronunciati e le pupille erano verticali, proprio come quelle dei
rettili.
Un momento, Prometheus gli aveva detto che Kenvster
era una chimera, ma di che cosa…? Ah, sì, umano-alligatore! Certo, quelli non
potevano che essere i denti e gli occhi di un alligatore…
Quando il ragazzo parlò, la sua voce sembrava proprio
il ringhio di un antico predatore: «Adesso mi dici cosa sta succedendo, e sarà
meglio per te che la spiegazione sia chiara ed esauriente.»