7. Un computer, una
connessione a internet e una webcam
Mi sono sempre
chiesta perché alcune risposte, per la precisione quelle
più azzeccate, vengano in mente ogni volta troppo tardi.
Mi sono sempre chiesta perché, a guardarla da lontano,
l'angoscia di un momento sembra spesso esagerata.
Mi sono sentita una stupida per un'intera settimana dopo aver
raccontato ad Emme della mia esperienza londinese.
Mi sono sentita ancora più stupida per aver raccontato
l'episodio a Manuele, in occasione della nostra prima ed unica uscita a
due. Effettivamente non so se mi sono sentita più idiota per
avergli parlato dei fatti miei oppure per aver accettato il suo invito.
Mi sono sempre interrogata sullo scorrere del tempo. Su quale base un
minuto conta sessanta secondi, un'ora sessanta minuti e un giorno
ventiquattro ore? Chi ha definito il concetto di secondo, minuto, ora,
giorno, mese, anno? E come? Qualsiasi siano le risposte ai miei
interrogativi, sono trascorsi tre mesi da quando ho parlato per la
prima volta con Emme.
Mi sono sempre domandata se quando qualcosa accade sia semplicemente
per destino. Se ciò che accade, accade esclusivamente in
base alle nostre scelte. Se il perché di un accadimento sta
da qualche parte tra il destino e le scelte di ognuno.
Poco importano comunque, adesso, le mie domande esistenziali.
Ostento calma mentre trascino me stessa e il mio bagaglio leggero
tentando di non perdermi tra decine e decine di persone e bagagli.
Ho preso un permesso al lavoro e ho avvisato i lettori della mia
assenza a tempo indeterminato.
Trovo un posto a sedere, ma non un reale rimedio alla tensione e
all'attesa. Senza neanche pensarci accendo il portatile e mi collego al
blog con l'intento di ripercorrere le ultime settimane di conversazione
con lui.
Sebbene io stessa fatichi a crederci, sono in aeroporto e stringo tra
le dita un biglietto di sola andata per Londra.
Il messaggio che cerco è esattamente quello che ha dato il
via a quella che considero la più grande avventura della mia
vita.
Eccolo...
[...] Hai mai pensato che tra tutti i
lettori del tuo blog potrebbe esserci qualcuno coinvolto in qualche
modo nella serie? Qualcuno di importante... qualcuno del cast? Che so,
magari Gatiss che in crisi viene a cercare qui ispirazione in compagnia
di Moffat. Magari qualcuno di loro ti ha anche scritto senza che tu lo
sappia. Ci hai mai pensato?
M.
Ricordo di aver riso per cinque minuti buoni prima che il dubbio
riuscisse ad insinuarsi in me.
Il problema più grande di chi ama le storie è che
se gli dai un input poi mica riesci a fermarle le rotelle della loro
fantasia. E da quel preciso momento per le mie rotelle non
c'è stata più pace.
Per quanto continuassi a ripetermi che Emme aveva soltanto
voglia di scherzare o di verificare se e quanto mi fossi montata la
testa, una parte di me iniziava a prendere in considerazione quell'idea
senza etichettarla come assurda, anche se lo era. Lo era?
Brutta bestia il dubbio.
Il vantaggio di un confronto virtuale sta nella virtualità
stessa: avvolta dalla confortante coperta dell'invisibilità
offerta da questo tipo di conversazioni, sono stata capace di dare una
risposta veritiera senza tradire il temporale di emozioni... Dirgli che
secondo me il blog non ha mai raggiunto un tale livello di fama da
attirare l'attenzione di gente famosa ed esprimergli i miei dubbi
riguardo al fatto che qualcuno tra gli autori e gli attori abbia voglia
di prendere in considerazione le deduzioni di una perfetta sconosciuta
che per hobby gioca al detective non è stato affatto
difficile. Il difficile è arrivato quando mi sono accorta,
ovviamente in ritardo, di aver tralasciato completamente la prima parte
del messaggio. Copertura saltata. Complimenti Zury, hai vinto un bel
mongolino d'oro a grandezza naturale.
Ricordo anche la risposta arrivata in tempo reale, cosa che non era mai
successa prima.
E se ti dicessi che io non sono
un semplice ragazzo che ama giocare al detective con te? Se ti dicessi
che sono Mark Gatiss?
M.
Perfino adesso, rileggendo, sento il panico scorrere in ogni parte del
mio corpo. Panico perché non riuscivo più a
capire dove volesse arrivare con quello scherzo. Panico
perché non capivo cosa lo spingesse a dirmi quelle cose.
Panico perché quella fastidiosissima parte di me continuava
a credergli.
La velocità con cui ho digitato la risposta e
l'esagerata pressione sugli innocenti tasti del mio pc non credo che li
dimenticherò mai.
Tanto ovvio quanto lecito il mio:
Ti chiederei di dimostrarmelo.
Temo che le farfalle che hanno cominciato a svolazzarmi nello stomaco
in quel momento abbiano deciso di stabilircisi in via definitiva. Le
sento ancora, veloci, forti e completamente impazzite. La dimostrazione
che ho chiesto è gelosamente custodita in una cartella di
questo computer. Decido di aprirla.
Foto1: Uomo
incredibilmente somigliante a Mark Gatiss, in un'abitazione. Mai vista
prima.
Foto2:
Uomo incredibilmente somigliante a Mark Gatiss sorride al fotografo.
Mai vista prima.
Foto3:
Uomo incredibilmente somigliante a Mark Gatiss, accanto a uomo
incredibilmente somigliante a Ian Hallard. Mai vista prima
Chiudo gli occhi e non riesco a non sorridere se ripenso a come sono
andate le cose. Gli ho detto che non gli credevo e lui, invece di
perdere la pazienza, ha continuato ad arricchire la mia fortunata
cartella.
Foto4: Mark Gatiss,
davanti al solito computer, mi mostra la nostra conversazione.
Foto5:
Mark Gatiss, di spalle. Nel fuoco dell'immagine il messaggio che sta
per inviarmi.
Foto6:
Mark Gatiss con un foglio in mano: Le tue deduzioni hanno quasi colto
nel segno.
Questa sesta foto mi ha quasi ammazzata.
Foto7: Mark Gatiss e Ian
Hallard insieme a Bunsen, il loro cane.
Foto8:
Mark Gatiss, sorride e fa OK con la mano.
Non ci ho dormito per giorni.
Ho affrontato i peggiori mal di stomaco che abbia mai avuto.
Sono stata assalita dai dubbi più atroci e da un'insicurezza
che mi ha mandata completamente in tilt. Insicurezza che lui ha colto
nelle conversazioni successive all'invio delle fotografie.
Ancora adesso non ho ben capito il perché della sua
ostinazione.
Chiudo la cartella e riapro la conversazione.
Ho in mano una carta che ti
convincerà definitivamente. Ti serviranno un computer, una
connessione a internet (e so per certo che hai entrambe le cose) e una
webcam (non ci provare, non ti credo se mi dici che non ce l'hai). Una
videochiamata chiarirà ogni cosa. E poi, con tutte le
fotografie che mi sono fatto scattare, merito o no di poter finalmente
associare un volto alle conversazioni di questi mesi?
Mark
Sono morta e resuscitata non so quante volte leggendo questa email.
Fatto sta che un'ora dopo indossavo una delle mie magliette preferite,
mi ero rifatta il trucco più per distrarmi che per apparire
affascinante, ed ero seduta davanti al computer, connessa ad internet e
con la webcam pronta per essere avviata. Mi tremavano le mani, ero in
anticipo di dodici minuti ed ero così fuori di testa da
scrivergli che potevamo avviare la videochiamata quando voleva.
Chiudo gli occhi e rivivo il momento.
Neanche un minuto dopo, la videochiamata arriva.
Il cuore in gola.
Le mani che tremano.
Le farfalle nello stomaco.
Il panico negli occhi.
Accetto.
I secondi che occorrono al collegamento mi sembrano anni.
Luce intensa che lentamente lascia spazio ad una sagoma. Poi a un volto.
Un uomo.
Maglietta arancione. Auricolari neri sfiorano le spalle e il petto.
Niente barba.
Sorride.
«Hi».
Il vuoto nello stomaco, neanche fossi sulle montagne rosse. È
così che è iniziata.
Sollevo la mano senza riuscire ancora a parlare.
Prendo
un profondo respiro. Spero di non avere la faccia da idiota.
«Somigli
troppo a Mark Gatiss per non essere Mark Gatiss».
Non ho sbagliato sintassi e pronuncia, vero?
Ride.
Ora te lo chiedo. Smettila di sorridermi così
però, ok?
«Scusami, parlare non
è come scrivere».
Continua a sorridere e dice che non devo preoccuparmi di nulla. Va
tutto bene.
La videochiamata più bella della mia vita.
Spengo il pc. È ora di prendere questo aereo.
È ora di scendere da questo aereo.
Deglutisco. I miei piedi vanno da soli verso la meta.
Impazzirò. Crollerò. Morirò.
Mi fermo.
Le farfalle nello stomaco non mi imitano. Peccato.
Ha detto che sarebbe venuto a prendermi e stavolta gli credo. Mi
starà già aspettando.
Accendo il telefono. Ci siamo scambiati i numeri ieri sera. Mi arriva
un sms.
"Lo
so che sei arrivata :) Coraggio!"
Ho la netta sensazione che il mio inarrestabile
sorriso sia dettato da una crisi isterica, la stessa che mi sta facendo
venire voglia di saltellare e correre.
Torno a muovermi.
Cammino veloce. Più veloce. Quasi corro verso di lui.
Eccolo. Lo vedo. È lui. È Mark.
Ho il cuore in gola, nelle tempie, nello stomaco. Ovunque.
Sono
davanti a lui.
«Hi», diciamo
contemporaneamente.
Ridiamo.
Quando
mi chiede come mi sento gli rispondo sincera.
«Felice».
N.d.A.
Ringrazio in anticipo quanti saranno riusciti ad arrivare fino in fondo
a questa storia, la prima che ho deciso di pubblicare qui.
La storia di questo racconto ha radici nella mia ammirazione nei
confronti di Mark Gatiss. Questi sette capitoli non hanno la pretesa di
essere una grande storia, vogliono essere soltanto una storia. Forse un
sogno nel cassetto.
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