CAPITOLO PRIMO- GENESI
Vi fu un tempo, in cui il tempo ancora non esisteva. Prima dei grandi
Kaiohshin, prima di Bills, Bibidy e Majin Bu e di ogni essere vivente
che anche solo con un respiro ha scritto la storia
dell’universo che ospita la sua esistenza. Una storia che, in
un futuro ancora tutto da scrivere, racconterà di battaglie
epiche, eroi leggendari e creature mostruose, e che emise i suoi primi
vagiti quando i Creatori sorsero dalla scissione dell’Antica
Energia, per poter plasmare con il loro potere il palcoscenico per lo
spettacolo della vita.
Con loro vennero le galassie, i pianeti e le prime antiche
civiltà. Essi ammiravano il proprio creato. Ma poterono
subito intuire la loro creazione avrebbe avuto un’esistenza
travagliata e purtroppo fu, indirettamente, per causa loro.
L’Antica Energia, ciò dal quale tutto deriva,
colei che c’era ma non c’era, era ciò
che teneva insieme l’incompatibile. I Creatori erano
portatori dell’Aura Bianca, quella parte
dell’Antica Energia volta alla creazione, allo sviluppo, alla
pace, valori dei quali ora erano portatori e protettori.
Protettori, poiché ora non c’era più
confinamento per ciò che all’Aura Bianca si
opponeva: la Nera Energia ora era libera di scatenarsi attraverso
ciò che l’universo ricorderà come i
Grandi Demoni, esseri dalla potenza immensa, capaci di disintegrare un
intero pianeta con la forza del puro pensiero. Ma sarebbe stato troppo
noioso per loro, sadici e malvagi nella forma più pura.
Ognuno di essi differiva dall’altro per come portava per
tutto il neonato universo la distruzione, la desolazione, la morte che
la Nera Energia brama: Ungrushy era in grado di desertificare un intero
pianeta rendendolo arido e sterile; Lap poteva causare glaciazioni
permanenti, Nekro portava intere razze alla follia. Ma tra essi uno era
forse il più malvagio, il più sadico, il
più potente: Doomshiku, il cui nome è rimasto
impresso nella memoria di molte razze, al contrario di quello di molti
altri Demoni.
Doomshiku era come l’incarnazione della Nera Energia:
spietato, crudele con un’irrefrenabile sete di sangue. La sua
potenza gli permetteva di distruggere intere galassie in un battito di
ciglio, ma preferiva godere dell’angoscia che generava negli
animi delle prime, primitive civiltà che avevano la sfortuna
di popolare i pianeti sui quali posava lo sguardo. Per Doomshiku ogni
uccisione era un momento di gioia: si divertiva nell’uccidere
ogni singolo essere vivente, trovando nelle grida e nelle lacrime di
disperazione cibo per il suo animo affamato di distruzione. La forza di
Doomshiku stava nella sua capacità di manipolare
l’energia vitale, propria ed altrui, e
nell’affinare questa sua abilità, così
da trovare modi sempre più vari per soddisfare la propria
brama di devastazione. Quando fu in grado di concentrare
l’energia vitale di un intero pianeta in un’onda da
scagliare contro il pianeta stesso, in grado di eliminare ogni essere
vivente, e perfino le loro stesse anime, il suo dominio poté
considerarsi incontrastato. Il rispetto e il timore che gli altri
Demoni avevano per lui, nonostante anch’essi fossero
portatori di poteri immensi, e il suo estremo sadismo lo portarono ad
essere definito come “Il Demone
dell’apocalisse”.
I Creatori non potevano rimanere impassibili di fronte a questa
situazione: molti Demoni furono uccisi in diversi scontri che avvennero
tra essi e i singoli Creatori, che si prodigavano nel fare adeguata
guardia sul loro operato. Ma il numero di Demoni restava elevatissimo,
così come continua era la loro opera di distruzione: lo
scontro era inevitabile. Si arrivò, così alla
Grande Guerra delle Entità. Le due fazioni si diedero
ferocemente battaglia per mille anni, senza sosta, per tutto
l’universo, portandolo sull’orlo del collasso,
trascinando involontariamente con loro grande caos e devastazione.
Per quanto inferiori di numero, i Creatori riuscirono faticosamente a
sconfiggere i Demoni e con essi la Nera Energia, che priva di emissari
si disperse nel vuoto dello spazio, iniziando la sua continua missione
di ricerca di nuovi agenti. Solo uno di loro riuscì a
perdurare: Doomshiku, con il suo potere immenso, riuscì da
solo a tenere testa ai Creatori, che tentarono di ucciderlo in ogni
modo, invano.
Una decisione drastica dovette esser presa: intrappolato il demone in
un angolo remoto e vuoto dello spazio, i Creatori si unirono e
sfruttarono tutto il loro potere per isolare Doomshiku, costruendo
attorno a lui un intero pianeta, il quale avrebbe sfruttato
l’immenso potere sviluppato dal demone per svilupparsi,
convertendolo in energia vitale portatrice di Aura Bianca: pianeta che
verrà ricordato con il nome di Hamon. Il Demone
dell’Apocalisse era furibondo, ma non vi era modo di
liberarsi da quella prigione. Per i Creatori il prezzo da pagare per
questo successo fu comunque elevatissimo: lo sforzo compiuto per
isolare Doomshiku li portò a consumare tutta la loro
energia, e ciò pose fine alla loro esistenza fisica. Come la
Nera Energia, anche l’Aura Bianca che fuoriuscì
dai loro corpi si diffuse in tutto l’universo.
Intrappolato in Hamon, Doomshiku all’inizio fece di tutto per
impedire al pianeta di sfruttare la sua energia. Ma i suoi sforzi erano
vani, il legame con cui i Creatori li avevano uniti era un
imprescindibile mutualismo: Hamon traeva l’energia necessaria
a renderlo un pianeta fertile e ospitale dal demone, che permettendogli
di farlo evitava che il pianeta finisse per morire, trascinandolo di
conseguenza assieme a lui nell’oblio. Alla fine il demone si
rassegnò, e Hamon cominciò a prosperare: la vita
poté finalmente iniziare il suo corso.
Sorsero le prime montagne, e con esse i ghiacciai che generarono lunghi
fiumi e grandi laghi, finché non giunsero i primi esseri
viventi: l’acqua permise alle prime piante di crescere e alle
prime minuscole forme di vita animale di svilupparsi. Le piante
crebbero e si trasformarono in rigogliose foreste, e quelle
microscopiche forme di vita si svilupparono generando una ricchissima
varietà di specie animali, tra le quali una sola
riuscì ad elevarsi al dì sopra delle altre,
sviluppando un intelletto e una capacità di adattamento
superiore: gli Hatwa, umanoidi dotati di grandi doti fisiche e
intellettuali, che li portò presto alla formazione di una
società avanzata e complessa.
Gli Hatwa erano molto legati alla natura e alla terra: ogni loro
tecnologia era sviluppata in armonia con l’ecosistema che li
ospitava e in funzione di esso. Non erano un popolo guerriero, in pochi
potevano definirsi guerrieri, ma la loro grande armonia con il pianeta
li aveva resi maestri nelle arti meditative: erano in grado di
connettersi all’ambiente circostante in un battito di ciglio
e da esso trarne l’energia necessaria ad affrontare qualunque
tipo di scontro. Gli Hatwa divennero in poco tempo una delle razze
più avanzate dell’universo. E nonostante fossero
un popolo pacifico, al centro del pianeta, lo spirito di Doomshiku, il
cui animo era comunque rimasto corrotto e malvagio, era compiaciuto di
ciò che si era sviluppato su Hamon, del quale ora non si
sentiva più prigioniero, ma ingranaggio fondamentale per il
suo perdurare.
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ANNO 575- Pianeta Hamon
Un piccolo convoglio di navi si avvicina speditamente ad Hamon.
«Signore, le navi della delegazione da Plant sono appena
entrate nella nostra atmosfera» si apprestò a
riferire al suo superiore uno dei tecnici relegati
all’interno della torre di controllo, non appena il radar gli
inviò la nuova segnalazione.
«Trasmetti l’ordine di illuminare la piattaforma di
atterraggio, dopodiché allerta il comitato di
benvenuto.»
Nel buio quasi totale della notte di Hamon, quattro veicoli militari si
misero in moto, e si avviarono lungo un’interminabile strada
asfaltata, ai cui lati si estendeva una folta vegetazione. Tra essi un
veicolo più imponente, e dall’aspetto decisamente
meno bellicoso, con un’elegante verniciatura nera. Dopo
qualche minuto raggiunsero la salita che li avrebbe condotti nella
vasta area illuminata, sopraelevata rispetto alla foresta, dove le navi
stavano completando la procedura di atterraggio.
Le macchine si arrestarono, e i soldati si schierarono in
fretta attorno al veicolo nero. Da esso scese un uomo
dall’aspetto autorevole, una folta barba nera che compensava
l’assenza di capelli, vestito con un abito completamente nero
che gli arrivava fino agli stinchi, con spalline molto pronunciate, e
cucito sul petto lo stemma reale di Hamon.
Un soldato gli si accostò: «Mio sire, se vuole
seguirci, le navi stanno per spegnere i motori, possiamo
avvicinarci» Il sovrano fece un cenno con la testa e con
passo spedito il comitato si avvicinò alla nave. Con il re
era scesa anche un’altra figura, che ora camminava al suo
fianco: un uomo dai folti capelli rossi, che pareva ancora nel fiore
degli anni, vestito con un abito simile a quello del sovrano, ma di
colore bianco e che a malapena gli raggiungeva le ginocchia.
Il gruppo si avvicinò alla nave più grande delle
tre che, quella sera, erano atterrate su Hamon nel momento esatto in
cui il portellone si aprì, e da esso, accompagnato da alcuni
soldati, uscì un'altra figura, piccola di statura ma
dall’aspetto autorevole, la cui espressione faceva comunque
intendere una grande astuzia, il cui vestito dall’aria comune
era accompagnato da un imponente mantello che avrebbe potuto ricoprirlo
completamente.
«Salute a voi Uhn, re di tutti gli Hatwa, signore di Hamon.
Siete venuto ad accogliermi di persona, è per me un
onore» disse, inchinandosi al sovrano.
«È la vostra visita che ci onora, Lord
Bleeko.» rispose re Uhn «Mi permetta di presentarle
il prof. Rayhun, il responsabile per lo sviluppo tecnologico del
regno.»
«Sono onorato di poter fare la sua conoscenza, Lord
Bleeko»
«Il piacere è tutto mio, professore. Ora, credo
sia il caso di trovare un luogo più consono per continuare
la nostra conversazione, non credete anche voi, vostra
maestà?» disse Lord Bleeko, rivolgendosi
nuovamente al sovrano. «Concordo. Mi segua, là
c’è la macchina che ci porterà a
palazzo, dove finalmente potremo approfondire i motivi di questa sua
visita», e gli fece cenno di seguirlo.
Accompagnati dalle rispettive scorte, il convoglio che trasportava le
tre importanti personalità percorse a ritroso la strada che
li aveva condotti alla pista, proseguendo dopo la lunga strada
asfaltata fino a raggiungere una larga strada che si ergeva sopra la
foresta, dalla quale si poteva perfettamente ammirare lo spettacolo
della capitale di Hamon.
Grattacieli altissimi illuminati a giorno che sembravano in armonia
perfetta con gli altissimi alberi che crescevano anche
all’interno della città stessa. Entrato nel centro
urbano, il convoglio si districò tra strade asfaltate e
lunghe gallerie, scavate all’interno della corteccia degli
alberi più robusti che permettevano l’accesso a
più livelli della città, fino a raggiungere un
enorme albero secolare, circondato da una recinzione, nel quale era
stato costruito il palazzo reale.
Nella corteccia era stato intagliata una labirintica serie di stanze,
che avrebbe creato diversi problemi di orientamento a molti, ma non al
re, che in poco tempo riuscì ad accompagnare il suo ospite
ed il prof Rayhun nella sala adibita alle riunioni, dove era
già stato tutto predisposto: su un enorme tappeto rosso si
trovava un piccolo tavolo sul quale erano posati alcune cartelle, e
attorno ad esso tre poltrone ben imbottite.
«Prenda posto Lord Bleeko» lo invitò il
sovrano, invitò che fu immediatamente accettato. Dopo
essersi messo comodo, Bleeko cominciò: «Vostra
maestà re Uhn, signore di Hamon, come già sa
vengo per conto del nostro re e dell’intera razza degli
Tsufuru. Entrambe le nostre razze hanno raggiunto un grande livello di
sviluppo tecnologico, senza mai attuare azioni bellicose nei confronti
di nessun’altro popolo. Sono qui, quest’oggi,
perché dalla nostra parte riteniamo controproducente che tra
i nostri popoli non si sviluppi una reciproca
collaborazione.»
Il sovrano rimase in silenzio per un attimo, poi chiese, semplicemente:
«Perché?»
«Le ragioni sono quelle che le ho appena illustrato, mio
signore.»
«Non mi prenda per stupido, Lord Bleeko. Non credo che il
sovrano di Plant si sarebbe mai mosso di persona, ma nemmeno che si
sarebbe giocato il suo diplomatico migliore per una mera trattazione
commerciale» disse con fermezza re Uhn.
Bleeko era rimasto impietrito.
«Allora credo sia il caso di uscire dalle nuvole della
retorica: le risorse di Plant vanno verso l’esaurimento, e il
timore del nostro sovrano e di tutta la nostra comunità
scientifica non è solo di quella di
un’interruzione del progresso tecnologico, ma di una
regressione inevitabile. I Saiyan, poi, sono un peso che non pensiamo
di poter sostenere a lungo. Per questo sono qua, mio signore Uhn:
dovete concederci di accedere alle vostre risorse naturali. Il vostro
pianeta ne è ricchissimo, credo che entrambe le nostre razze
possano trarne giovamento».
«Questo non è possibile», rispose
seccamente il re, lasciando impietrito lo tsufuru.
«Lascerò che questa volta sia il professor Rayhun
a spiegarle il perché.»
Come risvegliato improvvisamente da un sonno profondo, il giovane
scienziato scattò sulla sua poltrona, allungandosi verso il
tavolo e afferrando le cartelle che vi erano state posate sopra, e
cominciò, un po’ titubante: «Certamente,
mio signore. Vede, Lord Bleeko, dalle cartelle che lei ci ha richiesto
di mostrarle, relative all’utilizzo delle risorse del nostro
pianeta per lo sviluppo della nostra tecnologia, quelle relative alla
loro quantità e i dati relativi al nostro grande ecosistema
le possono chiaramente mostrare, senza alcuna ombra di dubbio, che
ciò che noi Hatwa abbiamo sviluppato su Hamon si fonda sul
mantenimento di un determinato equilibrio.»
«Anche solo un vostro minimo intervento»,
continuò lo scienziato con maggiore sicurezza,
«potrebbe portare l’intero sistema al collasso. Non
c’è molto altro da dire» concluse con un
tono quasi scherzoso, per rimarcare quella che per lui era
un’ovvietà.
«Questa è solo mera filosofia!»
sbraitò lo tsufuru «Interrompere il progresso per
qualche albero o pezzo di terra è pura follia!»
«Non è nella posizione per giudicare, Lord
Bleeko», lo interruppe molto freddamente il sovrano,
«è lei quello che, secondo la sua logica, sta
chiedendo aiuto a dei folli. Aiuto che non possiamo darvi. La nostra
razza è nata e si è sviluppata su Hamon e siamo
sempre stati in grado di garantirci un continuo sviluppo senza
compromettere il nostro pianeta. E di certo non lo faremo adesso,
nonostante ci dispiaccia per la vostra situazione: non vogliamo
rischiare di comprometterci anche noi», concluse il re, che
si mostrò comunque maggiormente ben disposto nei confronti
del suo ospite.
Comprendeva perfettamente la richiesta dello tsufuru, e non per egoismo
si vide costretto a deluderlo profondamente, come si poté
evincere dall’espressione che il diplomatico aveva assunto.
«Vedo che siamo riusciti a fare in fretta»,
esordì Bleeko dopo qualche istante di silenzio,
«se riparto adesso potrò essere su Plant per
domani mattina».
«È sicuro di non volersi fermare per la notte?
Abbiamo predisposto una stanza per il suo arrivo», propose il
sovrano di Hamon.
«No, è il caso che io riparta immediatamente, mio
signore, non si preoccupi. Le faccio ancora i miei più
sentiti omaggi, mio signore, e le auguro una serena notte. Anche a lei,
professore, buonanotte», e si congedò con molta
fretta, tradendo un’evidente frustrazione.
Ripercorrendo gli intricati corridoi del palazzo tornò
all’ingresso, e assieme alla sua scorta ripartì
alla volta della pista di atterraggio. Una volta sulla nave, mentre
cominciavano le procedure di decollo, Lord Bleeko si sedette nella sua
cabina, fece un profondo respiro, dopodiché premette un
pulsante e ordinò: «Mettetemi immediatamente in
comunicazione con il palazzo reale».
Quasi simultaneamente sul muro della cabina si formò un
monitor, e dopo qualche secondo, su di esso apparve la torva figura del
re degli tsufuru.
«Mio signore» esordì Bleeko
«la via della diplomazia non è
percorribile.»
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UNA SETTIMANA DOPO
Un giovane soldato Hatwa, delegato alla lettura del radar, sedeva di
fronte ad un monitor, cercando di eliminare quel terribile senso di
noia, al quale il suo lavoro lo sottoponeva ogni istante nella sua
continua monotonia e la quasi totale assenza di azione. Al che
saltò letteralmente sulla poltrona quando il radar
cominciò ad emettere, con forza e in continuazione,
fortissimi segnali acustici, che poco avevano di rassicurante.
Ripresosi dallo shock iniziale, dovette confrontarsi con
un’inquietante realizzazione: una flotta immensa era
schierata alla soglie dell’atmosfera di Hamon. Si
affrettò a correre nell’ufficio del suo capitano,
entrando improvvisamente e cogliendolo visibilmente di sorpresa:
«Signore! SIGNORE!» Il capitano lo
afferrò per le spalle: «Calmati, soldato! Cosa
è successo?»
«Una… una…» disse ora il
soldato balbettando, nel quale ora la paura aveva preso il sopravvento.
«Cosa? “Una” cosa? PARLA
SOLDATO!>>
“Una… Una flotta d’invasione
è schierata ai margini della nostra atmosfera”
disse, scosso, il giovane soldato. Il capitano si
rabbuiò improvvisamente. «Sei riuscito a capire
che bandiera battono?»
«Le trasmissioni sono inequivocabili, signore.»
disse il soldato, ora più spaventato che mai:
«Sono navi Tsufuru.»
Il risveglio fu quasi traumatico. Non era più abituato a
nessun tipo di sensazione fisica, si era quasi dimenticato di avere un
corpo. Ora una scossa proveniente dal pianeta lo aveva risvegliato
dall’apatia. Doomshiku si accorse che qualcosa non andava:
per anni aveva potuto osservare come gli Hatwa avevano sviluppato una
società avanzata, senza mai compiere alcuna azione
bellicosa. Ora, dalla superficie arrivavano sensazioni che non provava
da moltissimo tempo, ma che non poteva dimenticare: tristezza,
angoscia, disperazione.
Per quanto fossero per lui ancora fonte di piacere fisico, non appena
si accorse che provenivano dagli Hatwa poté percepire una
nuova sensazione: qualcosa che poté identificare come
rabbia.
Vide come gli Hatwa stessero perendo per mano di questa razza, a lui
ancora sconosciuta. Poté leggere nella memoria del pianeta
che si chiamavano “tsufuru”. Vide come stavano
saccheggiando senza pietà tutto ciò che era nato
dalla sua energia e che lentamente si era sviluppato: ora a crescere
era la rabbia nel suo animo.
Ma non poteva fare nulla: percepiva la sofferenza del pianeta,
devastato dalla brama di risorse degli tsufuru, e la sua rabbia
cresceva sempre di più. Era il momento di compiere una
decisione drastica, come lo fu quella di chi lo aveva unito a questo
pianeta, al quale lui ora era legato da qualcosa di più
forte del loro legame simbiotico.
Raccogliendo le sue energie residue, interruppe il flusso verso il
pianeta. L’interruzione fu così netta che i suoi
effetti si poterono vedere immediatamente: la terra si
inaridì, diversi alberi seccarono, i fiumi si asciugarono, i
minerali si deperirono. Sapeva che ciò avrebbe portato alla
distruzione del pianeta stesso, ma preferiva fosse così,
piuttosto che vedersi sfruttato da un parassita invasore.
Non appena resosi conto di essere vicino alla fine, percepì
una piccola nave con alcuni sopravvissuti Hatwa che lasciava il
pianeta, verso destinazione ignota.
Decise allora di fare una promessa: in nome del legame che li univa, il
suo spirito sarebbe ritornato nel corpo di un meritevole discendente di
quei sopravvissuti, in grado di poter controllare il suo immenso
potere, il cui destino sarebbe stato quello di vendicare la razza Hatwa
e di riportarla alla sua gloria.
Il Demone dell’apocalisse sarebbe tornato, per poter guidare
la razza che dal suo potere era nata, riportando la distruzione a
chiunque si sarebbe messo sulla sua strada. Quando la prima fuoriuscita
di energia, accolse la sua fine con piacere. Sapeva che la sua storia
non sarebbe terminata così.
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ANNO 750- PIANETA TERRA
«Grazie mille Sara! Sarei potuto morire congelato
là fuori! E grazie mille anche a lei signora!»
disse un ragazzino dall’aria vispa, con folti capelli neri
che si dividevano in tante ciocche appuntite, mentre si liberava di un
pesante plaid che lo avvolgeva.
«Ma figurati, caro… Goku, giusto? Comunque, per me
e mia figlia è un piacere darti una mano, ma non posso farti
partire subito… perché non fai un bel bagno
caldo? Intanto mia figlia ti procurerà degli indumenti
adatti per affrontare il freddo!» Goku non
obbiettò.
Intanto, la piccola Sara, con l’aiuto della madre,
riuscì a radunare qualche indumento che sicuramente avrebbe
aiutato il piccolo guerriero a raggiungere la Muscle Tower senza
congelare dopo pochi passi. Ma non fece in tempo a raggiungere il bagno
dove il loro ospite si stava rilassando nell’acqua bollente,
che qualcuno bussò violentemente alla porta della loro casa.
Poi si sentì urlare: «Esercito del Fiocco Rosso!
Aprite immediatamente o buttiamo giù la porta!»
Sara era come paralizzata. Si girò verso la madre che le
disse di rimanere in silenzio, poi si rivolse verso la porta:
«Posso sapere cosa vi porta qui?»
«Siamo sulle tracce di…» THUD! Un colpo
che si poté sentire anche all’interno della
piccola abitazione, evidentemente giunto sulla testa di chi stava
parlando.
«Zitto idiota! Rischi di compromettere la
missione!» disse una nuova voce con un tono più
moderato, che poi urlò a sua volta: «Signora, o ci
apre adesso o sfondiamo la porta!»
A quel punto la madre fece segno a Sara di trovarsi immediatamente un
nascondiglio, che la piccola trovò all’istante in
una baule.
«Ok signora, lo ha voluto lei!»
E con un colpo secco, quelli che si confermarono essere due soldati del
Fiocco Rosso abbatterono la porta ed entrarono in casa.
«Le tracce conducevano qua, dobbiamo ispezionare questo posto
per bene. Io tengo d’occhio la signora,» disse uno,
puntando il suo fucile verso la madre di Sara «tu ispeziona a
fondo questa topaia”. Il secondo soldato annuì, ma
non fece in tempo ad uscire dalla stanza che davanti a lui si
palesò una visone assai bizzarra.
«Hey bruttoni, state cercando me?» davanti al
soldato c’era un bambino nudo e completamente bagnato, in una
posa da combattimento.
La cosa avrebbe potuto farlo divertire molto se non si fosse reso conto
che quello era il ragazzino che gli era stato ordinato di cercare.
«Ti consiglio di venire con noi senza opporre
resistenza» disse il primo soldato, avvicinando il mitra al
corpo del suo ostaggio «o la vecchia muore.»
Goku rimase impietrito, per un attimo non seppe cosa fare. Sara,
nascosta nel baule, osservava con grande angoscia la scena da un
piccolo buco nel legno, sperando in qualche miracolo.
«Lo sapevo che non eri poi così inarrestabile! Ah!
Lo dicevo che quelle voci erano esag-AHG!» il soldato
sì interruppe improvvisamente, rimanendo completamente
immobile, come paralizzato. Sulla sua spalla comparve una mano che,
esercitando una leggera pressione, lo fece cadere in preda a spasmi.
«Nessuno vi ha mai insegnato l’educazione? Mai
entrare in casa d’altri senza permesso» disse
sarcasticamente la figura che si trovava alle spalle del soldato, che
si rivelò essere un uomo sulla trentina, con dei lunghi
capelli neri raccolti in una coda e sul volto un folto pizzetto,
vestito con una pesante tuta bianca con piccoli dettagli in blu scuro,
e con addosso una giubbotto imbottito di colore viola.
Il suo compagno non fece in tempo ad imbracciare il fucile che si vide
scaraventato contro un muro da un calcio rotante ben indirizzato al
mento. «Sarà un caso, ma più ne
affronto e più mi sembrano stupidi.»
«Sig. Ryder!» urlò Sara uscendo dal suo
nascondiglio.
«Ehilà piccola! Tutto bene?» disse
allegramente l’uomo chinandosi per accogliere in un abbraccio
la bambina.
«Per fortuna che sei arrivato tu Damon, non credevo ne
saremmo usciti facilemente!» disse con un profondo sospiro la
madre di Sara, ancora visibilmente scossa. «Dovere, Mary. Ma
dimmi, chi è questo ragazzino per cui questi due scimmioni,
con tutto il Fiocco Rosso, si stanno dando così tanta
pena?» disse l’uomo, volgendo lo sguardo verso
Goku, che ne approfittò per presentarsi: «Io sono
Goku, sono arrivato qui alla ricerca della seconda sfera del drago, ma
mi sono schiantato sulla montagna, eh eh…» disse
con un po’ di imbarazzo, grattandosi il retro della testa.
«Loro mi hanno dato una mano a rimettermi in sesto per poter
riprendere il mio viaggio, devo raggiungere la Muscle Tower.»
concluse Goku.
«La Muscle Tower?! E pensavi di affrontare questa impresa da
solo?!»
«Si, suona così strano?» rispose Goku.
Damon Ryder era allibito. Aveva conosciuto molti uomini coraggiosi, e
per ciascuno di essi ciò che Goku voleva fare sarebbe parso
impossibile. Eppure, non riuscì a sopprimere la percezione
di qualcosa di particolare, di speciale in lui e che quel
“qualcosa” gli avrebbe permesso di farcela. Forse
avrebbe potuto dare una mano anche a lui. «Senti, Goku,
perché adesso non ti asciughi e ti vesti? Poi continueremo
la nostra conversazione.»
Dopo qualche minuto Goku tornò, indossando la sua tipica
tuta arancione, e non poté non stupirsi quando Damon
reagì con grande sorpresa di fronte al simbolo della
Tartaruga: anche lui, tempo fa, si era allenato con il maestro Muten.
«Poi decisi di rinunciare ai combattimenti per un
po’, per iniziare una carriera nel mondo scientifico. Iniziai
a lavorare per un brillante scienziato, un grande esperto di robotica e
biologia: il suo nome non è importante, non mi aspetto che
tu lo conosca. Sta di fatto che, scavando tra i suoi appunti, ne trovai
alcuni riguardanti la modificazione in cyborg di soggetti viventi: in
pratica, voleva applicare la potenza di un androide ad un corpo umano,
creando la macchina da guerra perfetta. E non fu l’unica cosa
orribile che trovai nel suo laboratorio: una sera, avendo dimenticato
delle cose sulla mia scrivania, lo vidi liberarsi di un cadavere
orrendamente mutilato, così che potei realizzare che quegli
appunti non erano solo semplici ipotesi di una mente deviata.»
«Riuscì a screditare quel folle davanti a tutta la
comunità scientifica,» continuò
«e decisi di chiuderla con la scienza, mi sono trovato un
lavoro onesto nel mio piccolo paese e mi sono fatto una famiglia: ho
una moglie e una splendida bambina, e stiamo aspettando la nascita del
mio secondogenito.»
«Mi trovo qui, comunque, perché ho scoperto che
quel folle, per qualche oscuro motivo, è stato assoldato dal
Fiocco Rosso e che il suo laboratorio si trova all’interno
della Muscle Tower. Giunto qui, ho fatto mie anche le ragioni di questa
gente, che ora vede il suo villaggio normalmente tranquillo occupato da
militari violenti e rozzi, e il cui sindaco si trova ora alla
mercé di quel verme del generale White. È da
ormai sei mesi che sono qua, e nonostante le mia grande
abilità nelle arti marziali, non sono ancora riuscito ad
avvicinarmi a quella maledetta torre. Quel luogo è
supersorvegliato.» concluse, mestamente, Damon.
«Possiamo andarci insieme! Alle guardie ci penserò
io, non credo sarà un grande problema!» rispose
Goku con un largo sorriso «Sarà
divertente!» e ancora una volta gli occhi di Damon uscirono
dalle loro orbite.
«A-Allora quando vuoi m-metterti in cammino?»
chiese il guerriero più anziano, la voce tremolante dallo
shock causato dalla sicurezza con cui quel ragazzino fronteggiava la
prospettiva di un pericolo estremo. «Domattina!»
rispose eccitato Goku.
Damon avrebbe avuto da ridire sull’avventatezza ostentata dal
giovane, ma di fronte a questo suo entusiasmo non poté che
acconsentire: «Vada per domattina.» rispose, alla
fine contagiato dall’entusiasmo di Goku, soffocando quel
pensiero martellante che gli intimava di agire con molta prudenza.
La mattina seguente, liberatisi dei due soldati ancora privi di sensi,
si diressero nella direzione della Muscle Tower. Damon
raccomandò discrezione, almeno finchè la torre
non fosse stata visibile.
Entrambi riuscirono a passare completamente inosservati per il
villaggio Jingle, eliminando ogni tipo di sorveglianza. Arrivati nei
pressi della torre notarono la massiccia sorveglianza attorno alla
torre: c’era perfino un carro armato.
«E ora? Come pensi di eliminarle tutte?» disse,
volgendo lo sguardo al piccolo guerriero.
«Così!» disse Goku, e si
lanciò in una corsa sfrenata verso la torre. Damon lo vide
sfidare spudoratamente le guardie, lo vide dimostrare una forza fuori
dal comune, lo vide sconfiggerle tutte nel giro di un minuto. Dopo un
momento di giustificato shock, resosi conto che la via era libera,
corse in fretta e furia verso la torre.
«Ragazzino, sei fenomenale! Ma credo che ora le nostre strade
si separino: dalle mie informazioni il laboratorio che sto cercando si
trova nei sotterranei della torre, mentre per arrivare da White devi
salire ai piani superiori. Buona fortuna.»
«Anche a te Damon, se alla fine di tutto questo non dovessimo
ritrovarci, spero comunque di rivederti, un giorno.» Si
scambiarono una stretta d’intesa, poi il bastone di Goku si
allungò, e il piccolo guerriero si portò subito
al primo piano.
«Porta i miei saluti al tuo maestro!»
urlò Damon, sperando lo avesse sentito. Lo
osservò ancora per qualche secondo: dentro di sé
sentiva che, in qualche modo, quel ragazzino avrebbe completamente
cambiato la sua vita. Poi gli tornò in mente dove si
trovava, e che non c’era tempo da perdere. Non appena vide il
portone principale constatò che per sfondarlo sarebbe
servita una forza sovrumana, e non riuscì ad elaborare una
soluzione.
“Iniziamo bene, Damon” si disse. Poi, come un
flash, anche a causa del recente incontro con Goku, gli tornarono alla
mente gli insegnamenti di Muten, e da quanto tempo non li mettesse in
pratica. Sperando di non essere troppo fuori allenamento, fece un paio
di salti all’indietro, assunse una posa di combattimento,
unì i polsi e li portò dietro a sé,
cercando di concentrare nei palmi delle mani più energia
possibile.
«Ka-me…»
Sentì l’energia concentrarsi in un piccolo globo
tra le sue mani.
«Ha-me…»
L’energia del globo era pronta per essere liberata. Damon si
sentì soddisfatto: nonostante fossero passati anni
dall’ultima volta, la sua padronanza della tecnica
più nota dell’eremita della tartaruga era ancora
ottima.
«HA!»
Distese allora le braccia, aprendo i palmi delle mani, scatenando
l’energia del piccolo globo in un’onda
violentissima che sfondò il portone in un batter di ciglio.
Damon Ryder sogghignò: in quel momento si sentì
potentissimo.
Entrando nella torre, si accorse che la sua onda aveva tramortito anche
quei soldati che si trovavano dietro ad essa, colpiti
dall’onda d’urto o dalla stessa onda di energia.
Non se ne curò particolarmente. Vide le indicazioni per i
livelli inferiori, quelli sotterranei, della Muscle Tower.
Le scale che discese lo condussero in una labirintica serie di corridoi
dove le indicazioni erano rare. Perse quasi la pazienza tra tutte
quelle porte, delle quali nessuna era quella che stava cercando.
Dovette stendere qualche guardia e qualche scienziato
dall’aria spaventata e disorientata, rischiando
più volte di essere trovato dalle squadre di sorveglianza
allertate dal loro arrivo. Alla fine, dopo quella che parve
un’eternità, trovò la porta che
cercava. La targhetta portava, in lettere finemente incise, la scritta
che fece crescere in lui una furia inaudita:
LABORATORIO
DEL DR. GELO- ROBOTICA
“Folle, bastardo, criminale. Solo dei vermi come il Fiocco
Rosso ti avrebbero potuto assumere. Cane.” pensò
Damon in preda all’ira. Non si curò di niente,
neppure di quella voce nella sua mente che gli suggeriva di agire
sempre con prudenza, né di ciò che avrebbe
trovato al di là della soglia. Spalancò con
violenza la porta.
Del buon dottore non c’era traccia: evidentemente era stato
fatto evacuare insieme alla maggioranza del personale.
Ma Damon trovò comunque ragioni per infuriarsi. E per
sentirsi male. Lungo le pareti della stanza erano appesi svariati
cadaveri, mutilati nei modi più diversi, il cui sangue aveva
formato svariate pozze sul pavimento. Al centro della stanza, due ampi
tavoli muniti di tutto il materiale necessario per le operazioni
chirurgiche; in una piccola frazione di parete, dove non era appeso
alcun corpo sfigurato, una scrivania sommersa dai fogli di carta: gli
appunti dello scienziato.
Damon gli diede una rapida occhiata, che gli bastò per
capire che il folle stava facendo progressi, ma molto lentamente. Poi
il suo sguardo cadde sul fondo della stanza, dove dietro due grossi
contenitori, che ricordavano delle incubatrici, erano ammassate diverse
carcasse robotiche, più o meno incomplete, a dimostrazione
che non aveva abbandonato la progettazione di androidi veri e propri.
Evidentemente lo scienziato aveva abbandonato tutto
all’interno del laboratorio, forse per la fretta o per la
convinzione che nessuno avrebbe potuto conquistare la Muscle Tower.
“Povero illuso” pensò Damon.
Tornato verso la soglia del laboratorio, alimentato dalla furia e dalla
rinata consapevolezza delle sue potenzialità ,
concentrò la propria energia nella mano destra e con pochi,
mirati ki-blasts distrusse quello scenario orripilante che era il
laboratorio del dottor Gelo. Sentì una potente scossa, che
fece tremare tutto attorno a lui: pensò, un po’
ingenuamente, che derivasse dalla distruzione che aveva appena causato.
Per evitare di essere scoperto decise di tornare indietro: aveva
raggiunto il suo obbiettivo, e non voleva correre il rischio
di essere catturato.
“Dovrai cavartela da solo, ragazzo, sempre che tu possa aver
avuto bisogno di me” pensò, ricordandosi di Goku
che probabilmente se la stava vedendo con il peggio del peggio del
Fiocco Rosso.
Con la stessa discrezione di prima, ripercorse il tortuoso labirinto
che erano i sotterranei della torre, e ritornò
all’ingresso, per ritrovarsi in mezzo ad un cumulo di
macerie. La torre era stata abbattuta e, a parte l’enorme
numero di macerie alla sua sinistra, attornò a sé
vedeva solo un’immensa distesa di neve, ed in
lontananza si potevano distinguere i tetti di qualche
casupola: il villaggio Jingle. Attorno a lui non c’era anima
viva.
“Ben fatto, ragazzino. Però sarebbe stato gentile
aspettarmi”.
Lasciò che quest’ultimo, acido pensiero svanisse
all’istante. Ora si sentiva in pace: non solo
l’opera indegna di Gelo era stata fermata, forse per sempre,
ma con lui tutto il Fiocco rosso aveva abbandonato quelle terre, e la
gente di Jingle poteva, finalmente, tornare a vivere in pace. Con
questi pensieri gli parve di volare mentre correva sulla neve, felice
di poter tornare ai climi decisamente più temperati
dell’ovest, pronto a riabbracciare sua moglie e sua figlia, e
di potersi preparare con loro ad accogliere nel mondo il suo
secondogenito.
NOTE DELL'AUTORE
Salve a tutti popolo di Efp! Ne approfitto per presentarmi senza
fronzoli: sono uno studente universitario, aspirante giornalista, che
ha finalemente deciso di scrivere i suoi deliri. Scherzi a parte,
quello che avete letto è solo il primo capitolo di una
storia che ho deciso di scrivere solamente ora, ma che mi ha
accompagnato tanto tempo, da quando, anni fa, ho visto Dragon Ball per
la prima volta.
A molti sarà capitato di immaginarsi a fianco dei nostri
eroi a combattere i malvagi: ecco come ho deciso di scrivere una storia
proprio con un protagonista che rifletta quelli che erano i miei sogni
di ragazzino, mettendoli su un piano più maturo. In questo
capitolo avete assistito alla genesi dell'universo: guardando diverse
timeline in giro per la rete ho notato che la datazione di manga e
anime si ferma a "qualche milione di anni fa". Mi sono chiesto cosa ci
fosse stato prima. Il titolo è comunque anche una metafora,
che vi invito a cogliere senza darvi ulteriori info (sono portatore
sano di spoiler!). Ribadisco che ogni recensione è ben
gradita, soprattutto se vedete qualcosa che non va, sono alle prime
armi e ogni consiglio/critica è ben accetto/a,
purchè siate educati (è pur sempre la mia prima
storia!).
Dragon Ball e tutto ciò che è ad esso legato
è proprietà di Akira Toriyama.
P.S. si, gli Tsufuru mi stanno altamente sul cazzo. E si, proprio per
colpa di Baby.
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