Lettera alle ragazze

di Stella_Del_Mattino
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La festa delle donne è un giorno particolare e questo è il mio modo di onorarla... con un giorno di ritardo, perché ci ho messo più di 24 ore a decidere che questa piccola lettera lasciata solo nel mio blog o nel cassetto sarebbe stata inutile. E' una lettera, quindi deve avere l'opportunità di avere dei destinatari.
 

Lettera alle ragazze


Care ragazze... No, ma che dico, è ridicolo iniziare in modo così formale, perché sono una ragazza anch’io e intendo rivolgermi alle mie simili, da pari a pari, senza inibizioni.
Oggi è un giorno un po’particolare per noi, è la festa della donna, e ciò di cui vi voglio parlare è molto legato a questo avvenimento, ma non si tratta della storia della pianta della mimosa, che tutte, bene o male, conosciamo, bensì di quel che davvero si festeggia oggi. Un attimo, forse mi sto contraddicendo? Potrebbe sembrare, perché, appena qualche riga fa, ho specificato che oggi è il giorno delle donne, quindi individuare l’oggetto dei festeggiamenti parrebbe elementare, ma cosa significa sul serio essere donna? E quand’è che una bambina, o una ragazzina, diventa donna?
Sono due domande all’apparenza non complesse, che rivolgo a tutte voi e alle quali io stessa ho provato a dare una risposta, partendo dalla seconda, visto che mi sembrava più semplice. Il mio percorso a ritroso, però, non ha funzionato: non potevo decidere quando si diventa donne senza prima capire cosa significa per me esserlo. Allora mi sono concentrata e ho tentato di risolvere la prima domanda, tuttavia ciò si è dimostrato fin da subito più arduo del previsto, poiché troppi cliché si mischiavano ai miei pensieri, così ho dovuto cambiare strategia e ho iniziato a definire l’essere donna nell’unico modo in cui ero capace di farlo: escludendo ciò che, al contrario, non ritenevo ne facesse parte.
Il primo spunto me l’ha offerto un talent show, nel quale un’insegnante di danza incitava l’allieva ad essere più sexy e aggressiva in una coreografia. Ad essere “più donna”, così ha detto la maestra. Questa osservazione mi ha lasciato basita: dunque è questo che, per le donne stesse, vuol dire “essere donna”? Essere necessariamente sensuale e, diciamolo, anche un po’volgare? Ballare, o, per noi che non siamo tanto leggiadre nella danza, camminare con i tacchi anziché con le Converse? Queste caratteristiche concorrono davvero all’ essere donna? Per molti, anczi molte, probabilmente sì (ed ecco svelato il mistero che attrae le adolescenti verso i tacchi, oppure i cosmetici: usandoli si sentono più donne), ma per me no. Io non ci credo. Una donna è donna anche se porta le ballerine e non i tacchi, i jeans e non una minigonna, solo il burrocacao invece di rossetto, gloss, fard, matita, eyeliner, mascara, illuminante, cipria, fondotinta, ombretto, correttore e chi più ne ha più ne metta.
A questo punto mi viene spontaneo chiamare in causa un filosofo, un tale chiamato Aristotele, il quale sosteneva che tutto ciò che ci circonda sia fatto di sostanza e accidenti, dove per “sostanza” si intende l’essenza ultima della cosa in questione, quella che la identifica e che non può venir meno, e con “accidenti”, invece, si indicano quelle caratteristiche superflue, la cui presenza o assenza non intacca la sostanza. Ecco, alla luce di questa distinzione, non sembrano anche a voi soltanto elementi accidentali quelli elencati sopra? Le donne, quelle vere (sì, perché più ci penso più mi convinco che non basti la natura, che di per sè ha diviso in modo piuttosto evidente le femmine dai maschi, per essere davvero donne), sono belle comunque, anche al mattino, senza trucco, o in casa, scalze, perché hanno un’eleganza innata e sono sicure di sè. Se ne fregano dei canoni, dei pettegolezzi e delle lingue biforcute delle femmine, quelle che non sarebbero nessuno senza il loro make up artist o il loro chirurgo estetico.
Un’ulteriore occasione di riflessione l’ho trovata, successivamente, guardando il tribunale televisivo di Barbara Palombelli. Nella causa del giorno, una donna disoccupata citava in giudizio l’ex marito, anch’egli senza lavoro, per ottenere gli alimenti (per sè, la coppia non aveva alcun figlio insieme). Niente di bislacco, insomma, anzi questa è una delle procedure che quotidianamente approdano anche nei tribunali reali, ma non vi siete mai chieste perché? Perché diverse donne, avendo intrapreso l’iter della separazione, vogliono farsi mantenere dall’ex? “Per necessità” risponderebbero molte, ma io credo che mentirebbero. La necessità è innegabile nel momento in cui i due ex coniugi hanno dei figli da crescere ed è giusto che le spese non siano solo a carico di uno dei due, ma una donna senza prole (e a questo proposito vorrei specificare che una donna non è obbligatoriamente vincolata alla maternità, giusto per sfatare uno dei clichè che ancora persistono) non ha “bisogno” del denaro dell’ex, può (e dovrebbe) rifarsi una vita ed essere indipendente. Se poi intende accaparrarsi un bell’assegno per vendetta, è un altro conto, ma le donne possono (e dovrebbero) uscire a testa alta e dignitosamente da tutte le situazioni, anche dalle storie di corna. Questo sì che, secondo me, fa parte dell’essere donna: il rialzarsi sempre, il guardare avanti e il camminare a testa alta per la propria strada.
Le donne di cui parlo si tutelano da sole, sono consapevoli dei loro diritti e li impugnano ogni giorno per aggiungere un nuovo tassello alla strada verso l’uguaglianza dei sessi, un traguardo complicato che in Italia, e in Europa in generale, viene considerato di fatto raggiunto, ma che ha ancora della strada da fare e non tanto nelle leggi quanto nella mentalità della gente. Non si tratta più di cambiare le regole, bensì le idee, quelle bigotte che ancora considerano le donne come esseri deboli, subordinate agli uomini, emblema di frivolezza e inaffidabilità. Decisamente servirebbero più Giovanna D’Arco, più Cleopatra, più Maria Antonietta D’Asburgo, più Caterina De Medici per ricordare a tutti che le donne non hanno nulla in meno degli uomini, ma per convincere serve una nostra reazione, delle ragazze di oggi, ovvero delle donne di domani. Basta confondere la sostanza con gli accidenti e fomentare le suddette, ottuse convinzioni. L’uguaglianza dei sessi è qualcosa che nessuna legge potrà imporre dall’alto, è un diritto che va affermato con ostinazione e caparbietà, che si ottiene rispettandosi per essere rispettate, che si fa con i pantaloni e il cervello. E ritrovando un po’di solidarietà femminile: se siamo noi le prime a darci a vicenda delle “troie” (offesa sciocca, oltre tutto, perché ognuna è libera di vivere come crede la propria sessualità, senza dover dare spiegazioni alle “amiche”), perché i ragazzi non dovrebbero chiamarci allo stesso modo? Dobbiamo essere noi le prime ad essere assolutamente convinte delle nostre libertà, visto che, fortunatamente, sono passati gli anni Cinquanta, quando, specialmente nei piccoli paesi di campagna, una ragazza era quasi obbligata a sposare il primo fidanzato, pena l’irreversibile compromissione della reputazione.
Arrivata a questo punto, però, posso dire la differenza che c’è tra una ragazzina e una donna e che ho finalmente compreso: una donna si rispetta e si accetta, senza affannarsi per modificare il proprio aspetto o la propria personalità per piacere agli altri. È un passo lungo, dunque, quello da ragazza, adolescente, bambina a donna e per fare il “salto di qualità” non basta avere le prime mestruazioni, o fare sesso o qualsiasi altra cosa che, scioccamente, può essere reputata un “rito di passaggio”: è qualcosa che cambierà dentro di noi e potrebbe accedere a sedici anni, a diciotto, ventiquattro, a trentacinque o anche mai. Io di anni ne ho nemmeno diciassette e magari ho parlato di un genere di donne che non esiste, è anacronistico, ma io vorrei diventare così. E voi?

Stella

 




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