contest metal 2
IV Atto
Wake up
Rumore di passi, ticchettio di stivali nuovi sul parquet lucido.
Kankuro mormorò un verso sconnesso, rotolando sul lenzuolo
sudato.
Aveva sentito il portone aprirsi e la voce roca e famigliare della
ragazza infilarsi noiosamente per le stanze vuote.
Se c’era una cosa che Kankuro conosceva bene era la routine
delle sue mattine.
E l’entrata in scena di Temari, tacchi alti e costoso vestito
di Armani indosso, era scontata come il sorgere del sole.
Sapeva dove aveva lasciato le chiavi, rubate e copiate
chissà quando, e, saltellando allegramente,
perché era sempre stata la più brava a mentire,
aveva lanciato il sacchetto della colazione sul tavolino, accendendo la
tv.
Probabilmente aveva messo a bollire il caffè, alzando il
volume.
Quasi sicuramente aveva urlato un – buongiorno fratellone
–, ignorando di essere la maggiore, e aveva iniziato a
parlare di cose assurdamente banali.
Spesso Kankuro la sentiva urlare del tempo, della moda che tornava e
ritornava negli anni o delle mezze stagioni che non c’erano
più.
Ogni tanto, invece, si limitava a borbottare riguardo la sua
complessata storia d’amore con il solito ragazzo, ed a
versare con più veemenza il latte nella tazza.
Talvolta, ma solo quando la roba era stata buona e il cervello di
Kankuro aveva ripreso a funzionare, lui si univa a lei.
Rubava un biscotto e lo masticava lentamente, facendosi sfuggire
qualche battuta tirata per i denti.
Era allora che Temari riprendeva a ridere sincera e i suoi occhi verdi
smettevano di fissare le braccia nascoste del fratello.
Si illudeva fosse tutto normale e continuava a fare colazione con lui,
lamentandosi dei suoi assurdi turni in banca.
Poi, dopo essersi raccomandata su tutto e nulla, lo lasciava con un
bacio sulla fronte, chiedendogli di richiamare Kiba, che aveva ripreso
ad assillarla da quando Kankuro era sparito dal solito giro.
Lui annuiva, sempre,
e le prometteva che la mattina dopo si sarebbe fatto trovare sveglio e
attivo.
Lei, allora, si passava una mano tra i capelli e borbottava un
– è tardissimo, chiamami a pranzo – e
usciva, lanciandogli quell’ultima occhiata che sapeva tanto
di – so che non lo farai-.
Ma questo accadeva sempre più raramente e Temari, da qualche
mese a questa parte, si limitava a lasciargli i cornetti sul tavolino e
a sistemargli la cucina.
Kankuro aggiustò il cuscino sotto la testa, pregando che la
sorella se ne andasse in fretta. Doveva andare in bagno, ma non se la
sentiva di incontrarla.
E, soprattutto, non se la sentiva di farsi vedere in quello stato
pietoso.
La sentì aprire il rubinetto della cucina, il rumore della
televisione sempre più alto, e gli sembrò,
persino, di sentirla canticchiare..
Se c’era una
cosa che lui e Temari sapevano fare bene era fingere di vivere
normalmente, mentre tutto il resto andava a puttane.
V Atto
I don't think you trust
In, my, self righteous
suicide
I, cry, when angels
deserve to die
DIE
Temari gli
passò il pezzo di cioccolata, gli occhi arrossati e asciutti.
La poliziotta che li sorvegliava lanciò loro
un’occhiata dispiaciuta, per poi riprendere a fissare la
finestra chiusa.
Il nastro giallo passava attorno la maniglia, attorcigliandosi lungo la
lampada.
Kankuro tirò su col nasino, le guance infantili piegate
verso il basso, molli.
- ma la mamma dove è andata?-
chiese poi, nuovamente, guardando verso la poliziotta, ora
più decisa che mai a continuare a fissare la porta.
Lui grugnì, storcendo la labbra nella sua classica smorfia
che Karura definiva “semplicemente adorabile”.
Tutto quello che aveva capito era stato che la mamma non stava bene e
che la depressione post
qualcosa l’aveva portata via.
Ma per Kankuro era difficile capire perché la mamma, quella
mattina, lo avesse infilato nel lettone accanto a Temari, e avesse
ignorato il pianto di Gaara, nella culla.
E quello non lo faceva
mai.
Lei urlava, di solito, e
si teneva la testa tra le mani, piangendo.
Kankuro, la manina ancora ancorata a quella della madre, si era
limitato ad obbedire, chiedendole solo di avere il pupazzo che zio
Sasori aveva regalato a Gaara.
Perché era
geloso di quel fratellino piccolo e pelato, dagli occhi grandi e dal
pianto facile.
La mamma allora gli aveva detto di fare il bravo e aveva sussurrato a
Temari di tenerlo stretto.
Poi si era voltata, il viso nascosto sotto al solito sorriso delle foto.
Li aveva salutati, aprendo la finestra.
Poi era saltata.
Kankuro si era irrigidito, afferrando poi la manina di Temari e
chiedendole – dove va la mamma? –
Lei non aveva risposto, e il labbro aveva iniziato a tremarle.
Non si erano mossi dal letto, confortati solo dall’ultima
frase di Karura, quel “tienilo stretto” che
continuava a sbattere nelle loro teste.
Qualche minuto dopo la poliziotta era entrata in camera, sul volto
un’espressione preoccupata e Gaara tra le braccia.
E tutti avevano iniziato a parlare di depressione post partum.
- era strana
ultimamente, diceva che Gaara fosse il demonio, e se me lo sta per
chiedere eravamo prossimi al divorzio –
Kankuro sollevò lo sguardo sul padre, seduto tranquillamente
ai piedi del letto.
L’uomo in divisa guardò con preoccupazione i
bambini, chiedendogli poi se volesse cambiare stanza.
- loro madre è una suicida,
dovranno abituarsi al pensiero – li fissò glaciale
– devono essere pronti a quello che li aspetta, da oggi in
poi, la gente farà delle domande – si interruppe
– lo fa sempre -
Kankuro rispose allo sguardo del padre, gli occhi verdi, ma che tutti
scambiavano per castani, spalancati.
- c’è altro che
potrebbe esserci utile? – chiese ancora il sergente,
osservando altri agenti dalle tute bianche rilevare impronte
sull’imposta della finestra
- Karura non accettava le mie frequenti
assenze per lavoro e la sua angoscia ricadeva sui bambini, su Gaara in
particolare. Non voleva altri figli, ma io ho sempre voluto una
famiglia numerosa – il dottor Sabaku smise di parlare, gli
occhi castani duri – sono solo sollevato che si sia uccisa.
Temevo facesse del male ai miei figli –
Si alzò, il lenzuolo che frusciava sotto i pantaloni costosi
– ora devo tornare al lavoro, se non le dispiace –
sibilò, raccattando la giacca dalla sedia.
La stessa dove Karura si era poggiata un attimo prima di tuffarsi,
sorridendo.
Ma solo Kankuro e Temari
potevano saperlo.
La bambina smise di giocherellare con le dita sporche di cioccolata,
fissando il padre stringere la mano al poliziotto.
- vai via? – sussurrò, agitando i codini sfatti.
Il padre si voltò verso di lei, osservandola distrattamente
– verrà a prendervi nonna Chiyo, fate i bravi
–
Temari si avvicinò a Kankuro e lo abbracciò,
mozzandogli il fiato, almeno per un istante.
- devo tenerti stretto –
spiegò poi, voltandosi verso l’altra stanza, dove
Gaara dormiva placido.
Kankuro si agitò tra la sue braccia, irritato – ma
mi fai male!- si lagnò, gli occhi gonfi di pianto
– e io da nonna Chiyo non ci voglio andare –
VI Atto
Wake up
Tum Tum Tum.
Se c’era qualcosa di sicuro, oltre Temari e le sue visite (
anche se temeva che un giorno all’altro sarebbe
inesorabilmente cessate, vittima del suo menefreghismo, o di sua una
sniffata letale ) era quel fottuto mal di testa che gli dava il vero
buongiorno.
Puntuale quasi quanto la sua radiosveglia ( ormai fedelmente ancorata
alle undici e tre quarti) iniziava come un fruscio nella testa.
Un’interferenza fastidiosa nei suoi sogni.
Un dolore soffuso alle tempie.
Era allora che Kankuro capiva che la notte era finita e che era tempo
di far finta davvero di vivere.
Si alzò, tirando via le coperte dall’ampio torace,
chiedendosi da quanto indossasse quella canotta scura.
Sembrava ricordare di esserci nato dentro.
Cercò di mettere a fuoco le immagini sbiadite della stanza,
per niente aiutato dalla vista offuscata e dal martellare nel cranio.
Tum Tum Tum
Avesse avuto il suo vecchio senso dell’umorismo ( quello che
gli faceva fare sguaiate risate con Kiba Inuzuka, dividendo una birra
nel retro del bar della madre ) avrebbe persino composto un piccolo rap.
Tum Sono un
cretino che la sera si fa lo shottino
Tum Sono un
coglione e come me ce n’è uno su un milione
Tum sono un
demente e mi distinguo tra le gente.
- ma vaffanculo, Kankuro –
grugnì, tirandosi forzatamente a sedere – prendi
la tua fottuta aspirina e smetti di pensare, stronzo –
Insultarsi di prima mattina era di buon auspicio.
Già.
Poggiò il piede a terra, facendo frusciare il tappeto
colorato.
Alzò lo sguardo, osservandosi allo specchio.
Occhi nocciola ( aveva rinunciato a ricordare a tutti fossero
verdi) e naso schiacciato.
Un sorriso gli increspò le labbra, quando lo
accarezzò.
Quella forma schiacciata era anche merito di quel cretino
dell’Inuzuka.
Con buona pace di Madre Natura.
VII Atto
Grab a brush and put a little
(makeup)
Grab a brush and put a
little
Hide the scars to fade
away the (shakeup)
Tre tempi:
Primo tempo:
-
se credi che questa la passi liscia Sabaku, te lo scordi
–
Kankuro sollevò lo sguardo dal sedere di Kurenai Yuhi,
professoressa della sezione B, incrociando gli occhi dorati di Kiba
Inuzuka.
Matricola e promettente testa di cazzo.
- credevo che la Yuhi si facesse fottere
da Sarutobi, non da un pivello come te - rispose Kankuro,
riprendendo a masticare la chewing gum.
Kiba gli si avvicinò, gli occhi ridotti a fessure
– Ino Yamanaka. – scandì – ti
dice qualcosa? –
L’altro sollevò gli occhi al cielo, infastidito
– no – mentì
– dovrebbe? – chiese ancora, le labbra feline
distese in un sorriso soddisfatto.
Kiba scrollò le spalle nel giubbotto di pelle, inquieto
– ieri l’hai portata a fare un giro in moto
–
Il Sabaku schioccò le dita – ora ricordo! -
l’interruppe – ma sbagli su un particolare: ieri me
la sono scopata
sulla moto –
Il grugno dell’altro si piegò in una smorfia
nervosa e i pugni si chiusero a scatto lungo i fianchi.
Kankuro deglutì silenziosamente, cercando di non distogliere
lo sguardo dall’altro.
Ok, forse non era quella la versione esatta del giorno prima.
Quella bastarda della
Yamanaka gli si era effettivamente buttata addosso, chiedendogli un
passaggio.
Kankuro
all’inizio aveva cercato di tergiversare, evitando di buttare
lo sguardo nella scollatura della matricola.
Ma poi aveva ceduto e,
maledetti ormoni, si era ritrovato nel viale alberato di un ricco
villino.
Che non aveva
l’aria di essere casa Yamanaka.
- Grazie, Sasuke mi starà
aspettando da ore! –
aveva squittito Ino, lasciandoli un buffetto sulla guancia –
sei stato un tesoro –
Nessuna scopata.
Nessun bacio.
Niente di niente.
Ma la soddisfazione di
vedere Kiba incazzato non gliela avrebbe tolta nessuno.
Kiba sollevò gli occhi ad incrociare quelli
dell’altro, lo sguardo feroce.
- tu me la paghi!- aveva urlato,
poggiando il peso sulla gamba destra e roteando sui fianchi.
Kankuro ghignò di rimando, cercando di spostarsi verso
destra.
Troppo lento.
Il pugno gli colpì lo zigomo, e un dente crocchiò
sinistramente nelle orecchie.
- Bene Inuzuka, vediamo che altro sai
fare – biascicò dopo qualche secondo,
impiastricciando le parole col sangue.
Secondo tempo:
- Kankuro, puoi passarmi il burro?
–
Il ragazzo sussultò, seduto tra la vecchia nonna e la
sorella maggiore.
- certo, padre –
Temari gli lanciò un’occhiata tra il risentito e
il preoccupato.
Il grosso ematoma sulla guancia era lì, fresco e targato
Inuzuka, inutile il tentativo di coprire lo spacco sul labbro e la
ferita alla mano.
- come va la scuola? – il padre
riprese a tagliare la carne, lanciando un’occhiata furtiva a
Gaara, seduto ben lontano da lui.
Kankuro provò ad aprire bocca, interrotto però
dalla voce di Temari.
- come sempre padre. I voti di Kankuro
sono migliorati e, nonostante
l’aspetto, anche quello in condotta –
Il dottor Sabaku incurvò le sopracciglia – mi fa
piacere – incurante del tremore delle mani di Kankuro,
saldate attorno alla forchetta.
- Gaara, tu hai niente da aggiungere?
–
Il rosso incrociò lo sguardo del padre, vagamente risentito
– no – scandì lento, allontanando il
piatto con un gesto piccato – torno a casa di zio, non vuole
che torni troppo tardi –
Kankuro gli rivolse la stessa occhiata atona di Temari quando lo vide
alzarsi da tavola, il vestito della domenica largo sulle spalle magre.
Gaara era stato il primo
pezzo della famiglia a cedere, chiedendo di andare a vivere con lo zio
materno ad appena otto anni.
Il padre ingoiò il boccone con estrema lentezza, per poi
tornare con lo sguardo sulla figlia.
- riparto per Londra domani, fatemi
sapere se avete bisogno di denaro –
Kankuro afferrò il bicchiere stringendolo nervosamente tra
le dita.
Non è dei
tuoi soldi che ho bisogno.
Guardami
papà, guarda la mia faccia.
Non mi chiedi che
è successo?
- certo – biascicò, intromettendosi –
come sempre, padre -
Terzo tempo:
Kankuro gettò i
pantaloni nell’armadio, infilandoli, con strana ed
inaspettata precisione, tra un maglione nero e due paia di calzini
sporchi.
Se lo avesse visto la nonna come minino avrebbe urlato tanto da
riesumare i morti.
-
Kankuro, sto entrando –
Il castano roteò gli occhi, infastidito.
Temari non avrebbe mai imparato a chiedere qualcosa.
Temari faceva, che tu
fossi volente o nolente.
- che onore averti qui sorellona
– mormorò il ragazzo, guardandosi imbronciato allo
specchio – che cazzo, l’Inuzuka mi ha aperto la
faccia come una noce – sbottò poi, portandosi due
dita al labbro pulsante.
La bionda chiuse la porta alle spalle, camminando scalza sulla moquette
colorata – devi piantarla di fare a cazzotti con il primo che
passa – sibilò, gli occhi ridotti a fessure
– e poi non avevi detto che Kiba ti stava simpatico?
–
Il fratello si gettò sul letto, un ghigno famigliare sul
volto ammaccato
– che c’entra in tutto questo la simpatia?
– disse, reprimendo una risata.
Temari incrociò le braccia sotto al seno, facendo frusciare
la stoffa della camicia da uomo che indossava come pigiama.
Le lettere S.N. tuonavano, ricamate sul taschino, ricordando a Kankuro
che per la sorella il suo periodo nero era appena finito.
E che un altro, nero
solo per lui, era appena iniziato.
- se vuoi attirare la nostra attenzione
non è così che la avrai –
mormorò poi Temari, sedendosi accanto all’altro ed
accavallando le gambe nude – non puoi ridurti così
per Lui,
Kankuro. E nemmeno per Gaara –
Il fratello abbassò lo sguardo, mentre la guancia tornava a
dolergli.
Temari gli afferrò una mano, fissandolo con i grandi occhi
chiari – domani vuoi farti vedere così a scuola?
– disse poi, improvvisamente leggera.
Kankuro la fissò sbigottito, negando poi con la testa
– mi stai dicendo che nonna mi lascia dormire domani mattina?
– chiese, negli occhi la vaga speranza di bigiare la scuola.
La bionda si imbronciò, colpendogli la testa con uno
schiaffo – ti piacerebbe! – rise poi – ti
trucco un po’, così i lividi si vedranno di meno
– concluse, il sorrisetto furbo sulle labbra.
Kankuro si imbronciò – io truccato come una
femminuccia non vado da nessuna parte! –
L’altra rise, saltellando fino al suo viso – su,
non sarà così traumatico, mio viril fratello
– gli lasciò un buffetto sul naso, rotolando sul
copriletto – ci metto un minuto a farti diventare
più bella
di Charlize Theron, fratellone -
Lui fece scattare il mento – stronza – per poi
vederla ondeggiare fino alla porta – a domani, allora
– rise lei, facendogli l’occhiolino.
Kankuro l’osservò distratto, mentre lei reclinava
il viso, il ghigno divertito che ancora non se ne era andato dalle
labbra.
E quando la porta si chiuse, nascondendola alla vista, Kankuro si
chiese quanto trucco dovesse servire per mascherare davvero quello che
stava diventando.
Forse solo Temari ( quella stessa Temari che si era nascosta dietro
rimmel e un’altra acconciatura, prima di incontrare signor
– quel
ragazzino di - S.N ) poteva davvero saperlo.
Seconda parte...ce ne saranno forse altre due.
Ringrazio coloro che hanno letto e lasciato una recensione alla prima
parte, i primi atti ^^
Vi lascerò i dovuti ringraziamenti all'ultimo capitolo ^_^
Un bacio!
Roberta
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