È
questo che fanno gli Hunger Games
Alla
luce soffusa della toelette, una
donna, circondata da innumerevoli boccette di unguenti e creme dai nomi
impronunciabili, si stava passando una salviettina struccante sul viso.
Il
suo volto, allo specchio, le appariva
sempre meno degno di nota, sempre meno bello, con
l’assottigliarsi dello strato
di cipria, ombretto e chissà cos’altro.
Il
suo occhi le parvero piccoli,
insignificanti e sbiaditi, le sue labbra sottili e spente, a nessuno
sarebbe
mai venuta voglia di baciarla. Per non parlare di quella pelle che non
era né
diafana e perfetta né liscia e bronzea, ma di un colore
palliduccio e seconda
della luce anche giallastro, inframmezzata da nei e piccole cicatrici
dovute a
cerniere o spilli. Si chiese perché ancora non se le fosse
fatte togliere
chirurgicamente.
Lanciò
un’occhiata alla parrucca dorata
che stava su un mobile, accanto alle altre, calcata sulla testa di un
manichino.
Anche
i suoi capelli non avevano niente
di speciale, erano di un biondo scontato, sbiadito.
Si
passò la salvietta sul collo,
togliendo anche da lì l’eccessivo trucco.
Lavò via i residui con l’acqua,
sciacquando via le strisce di polvere colorata dal marmo bianchissimo e
venato
d’ambra, per poi passarsi un asciugamano di spugna morbida
sul viso.
Si
guardò allo specchio.
La
donna del riflesso, che la guardava,
non poteva assolutamente essere Effie Trinket. Lei non aveva due
occhiaie scure
sotto gli occhi, non aveva un accenno di rughe d’espressione
sulle guance, né
la pelle così poco luminosa, i suoi capelli non ricadevano
flosci ai lati del
viso, le sue guance non erano scarne.
Distolse
lo sguardo dalla sua gemella
nello specchio, così diversa e così simile a lei
allo stesso tempo, e lo posò
di nuovo sulla parrucca che brillava di paillettes dorate sotto la luce
aranciata e poco intensa del faretto che puntava proprio sul mobile
color panna
arricchito da ghirigori artistici in argento sintetico.
Le
ricordava ogni
istante di quello che sarebbe successo di lì a poche ore.
I
suoi vincitori, i suoi
ragazzi, sarebbero finiti di nuovo
nell’arena e né lei né Haymitch
avrebbero potuto fare niente. Non sapeva
nemmeno quando aveva iniziato ad affezionarsi a loro, ma adesso la sola
idea di
perderli, di perdere anche solo uno dei due, le faceva venire voglia di
piangere, di abbandonarsi completamente alla tristezza. Eppure, Effie
non lo
faceva. Faceva finta che andasse tutto bene, che quello che Capitol
faceva
andasse bene. Le sembrava ingiusto piangere, ingiusto nei confronti di
Katniss
e Peeta, i quali stavano andando per la seconda volta incontro alla
morte, a
testa alta. Era davvero orgogliosa di quello che erano diventati,
nonostante
tutto quello che non avevano e non avrebbero mai avuto. Per questo lei
non
aveva il diritto di essere triste, lei sarebbe rimasta in vita, lei e
quelli
come lei.
Si
strinse nella
vestaglia leggera, colta da un brivido improvviso, perfettamente
consapevole
che non si trattava di una reazione al freddo della stanza, in
verità
piacevolmente tiepida.
Diede
un’ultima
occhiata alla Effie dello specchio, rivedendosi di più in
lei, quella seconda
volta. Vide le notti passate in bianco nelle ombre sotto gli occhi,
vide lo
sforzo di sorridere sempre, nelle quasi impercettibili rughe.
Si
inumidì le labbra,
sentendo il bisogno di un bicchiere d’acqua e prese ad
incamminarsi verso il
salotto, dove sapeva che l’avrebbe trovata.
I
corridoi erano bui, e
le sembrarono spettrali al pensiero che dall’indomani,
né Katniss, con la sua
ingenua forza, né Peeta, con la sua disarmante
sensibilità, li avrebbero più
percorsi.
Le
pizzicarono gli
occhi, e fu finalmente libera di strofinarli con vigore, senza paura di
far
sbavare il trucco.
Dal
salotto la luce
arrivava, bassa e calda, e l’ombra di qualcuno si muoveva
all’interno.
Effie
sapeva benissimo
chi avrebbe trovato lì dentro: l’unica persona che
potesse essere sveglia a
quell’ora, come lei; non si stupì, infatti, di
trovare Haymitch sprofondato in
una poltrona, con un bicchiere di cristallo lavorato colmo di liquido
ambrato.
Si
nascose nella veste
leggera che le cadeva addosso, nascondendo il colorito pallido della
pelle, e
per un attimo le venne voglia di aver un cappuccio da tirare sulla
testa per
nascondere i capelli sfibrati a causa del continuo uso delle parrucche.
Cercò
di non guardare
nella direzione dell’uomo che tuttavia non dava segno
d’averla vista.
«Sto
ancora cercando di
decidere se bere o non bere questo bicchiere di Whiskey.»
Disse ad un tratto
Haymitch, la voce leggermente alterata, facendola sussultare.
Effie
strinse le labbra
nel tentativo di trattenersi dal dire ciò che pensava
realmente. Non era
dell’umore giusto per litigare con lui.
«Voglio
dire, non sono
ancora abbastanza sbronzo da non capire più quello che sta
succedendo.»
Continuò, e con la mano prese a far roteare il contenuto del
bicchiere.
Lei
continuò a non
guardarlo, né rispose.
«Vorrei
ubriacarmi, e
dimenticarmi anche il mio nome, ma non penso di poterlo fare,
vero?» Chiese,
posando definitivamente e con poca grazia il bicchiere sul tavolino di
vetro.
A
quel rumore
tintinnante e tuttavia sordo, Effie si riscosse. «No, non
puoi ubriacarti
Haymitch.» gli rispose, secca, la mano stretta sul manico
della brocca d’acqua.
«E
perché?»
Effie
sospirò nel
sentire quella richiesta, e dovette usare molta forza di
volontà, più di quella
che credeva di possedere, per non zittire Haymitch con i suoi soliti
modi
“isterici e capitolini”, così li
chiamava lui.
«Devi
farlo per Katniss
e Peeta, perché almeno uno di loro due deve tornare vivo
dall’arena.» Da quel
folle massacro avrebbe voluto
dire, ma non lo fece, per paura che qualcuno potesse sentirla.
«Come
io cerco di
essere forte per loro, tu cercherai di essere sobrio. Perché
se lo meritano,
tutti e due.»
Haymitch
si alzò,
barcollando leggermente e si portò al fianco di Effie, lo
sguardo puntato sulle
mani della donna che versavano l’acqua.
Effie
era a disagio.
Non era imbarazzata: non voleva che la si vedesse in quel modo, poco
appariscente, brutta. Non si piaceva, non si era mai piaciuta.
Haymitch
emanava un
sentore di alcol, ma era tanto lieve che poteva essere quasi piacevole.
Effie
non se lo aspettava.
«I
vincitori sono
egoisti.» Disse.
Effie,
stupita da
quell’affermazione, si girò a guardarlo, salvo poi
voltarsi immediatamente dopo
essersi ricordata delle condizioni in cui era. «E questo cosa
c’entra?» Chiese,
la voce più acuta di poco prima, segno che i suoi modi
esuberanti cercavano un
varco per uscire.
«Nessuno,
lì dentro, ti
regala nulla. Tutto va conquistato: cibo, acqua, un posto dove passare
la
notte, un’arma. Tutto si ottiene con il sangue, ma non il
tuo, mai il tuo.
Questo rende egoisti, pensare che la tua sopravvivenza valga
più di quella
degli altri. È questo che fanno gli Hunger Games: ti privano
pezzo per pezzo di
ogni briciolo di umanità, e quando di te non rimane che un
assassino, ti
premiano per ciò che sei diventato.»
Si
bloccò, Effie, il
bicchiere in mano, gli occhi spalancati. Mai, a sua memoria, Haymitch
si era
lasciato andare a commenti sui giochi che non fossero frecciatine, o
battute,
mai a lei aveva rivolto parole tanto piene di rabbia e amarezza.
Si
voltò verso di lui,
per la seconda volta, incontrando i suoi occhi; non aveva mai pensato
di
guardarlo negli occhi, non le era mai importato, e in quel momento se
ne pentì.
Quanti incubi, quanti sensi di colpa nascondevano? Effie non lo sapeva.
«Non
Katniss e Peeta,
loro sarebbero stati pronti a dare la vita per
l’altro.» Disse allora. Tentava
di distogliere lo sguardo da quello di Haymitch, per paura di scorgervi
qualcosa che lui non voleva condividere, ma che i fumi
dell’alcol rendevano
chiaro.
L’uomo
non rispose, ma
chiuse gli occhi e tornò a sedersi sulla sedia. Si
portò una mano alla fronte,
come se stesse pensando.
«Infatti
non sono stati
premiati, Effie.» Le fece notare, la vena di sarcasmo di
nuovo presente nel
tono di voce. Ridacchiò.
Lei
bevve l’acqua, per
evitare di rispondere. Sapeva che Haymitch aveva ragione, su tutto, ma
non
voleva ammetterlo apertamente. Si limitò a posare il
bicchiere, con il solito
tintinnio di vetro contro vetro. Strinse le mani tra loro: parlare di
Katniss e
Peeta in quel modo le faceva venire i conati di vomito, non voleva
pensare a
quello che sarebbe potuto accadere, non voleva pensare che avrebbe
dovuto dire
addio ad uno di loro, se non a tutti e due.
Sentì
il sapore delle
lacrime e il leggero solletico sulle guance ancor prima di realizzare
di
essersi messa a piangere.
«Perché
piangi?» Le
chiese Haymitch, più vigile, con la voce meno alterata e
stridula. Più sobrio,
s’azzardò a pensare Effie.
«È
ingiusto, lo so. È
sbagliato: non sono io a dover entrare nell’arena, eppure ho
paura come se lo
fossi.»
«È
il senso di colpa
dei sopravvissuti, dolcezza. Dovrai imparare a conviverci, come ho
fatto io,
come hanno fatto Katniss e Peeta e quelli prima di loro. Loro sono vivi
perché
altri sono morti.»
Effie
rabbrividì a
quelle parole e soffocò un singhiozzo con il pugno chiuso
contro le labbra.
«Non
credo che
riuscirò, Haymitch, dopotutto sono solo
un’isterica e troppo sentimentale
Capitolina, no? Non sono capace di contenere le mie
emozioni.» Ridacchiò, amara,
mentre ripeteva le parole che lui aveva usato molte volte per
descriverla.
Alzò
gli occhi, velati
di lacrime, per guardarlo, sicura che avrebbe trovato un sorrisetto
ironico a
solcargli il viso. Invece Haymitch la fissava, serio. «Sei
più brava di quanto
credessi invece.» Sorrise, alla fine, con un non-so-che di
dolce nel tono di
voce e nel modo in cui stirò le labbra.
«Beh,
lo prenderò per
un complimento.» Concesse lei. «Grazie per la
compagnia e per le parole
confortanti. E buonanotte.» Cercò di congedarsi
con garbo, pregustando già di
poter piangere silenziosamente la durata della notte per potersi
mostrare
sorridente come sempre il giorno dopo, ma Haymitch, senza alcuna
logica, fece
una cosa che Effie non si sarebbe mai aspettata.
«Sei
sicura di voler
dormire da sola?» Le chiese, senza malizia, come se le stesse
chiedendo che ore
fossero.
«Ma
che domande sono!?
– strillò Effie, soffocando l’urletto
per timore di svegliare tutti – Certo che
sono sicura, perché non dovrei esserlo?»
Haymitch
fece uno
sbuffo e mosse la mano verso di lei, come se stessero parlando di
qualcosa di
ovvio. «Ho idea che inzupperesti il cuscino di
lacrime.» Le rivelò.
Effie
alzò le spalle, e
si girò fino a dargli la schiena tutta impettita. Non voleva
ammetterlo, ma quella
volta Haymitch aveva ragione. L’idea di rintanarsi nella sua
camera per piangere
da sola le due uniche persone a cui si era affezionata non le
sembrò più tanto
allettante come lo era stata pochi minuti prima. La solitudine che
l’aspettava
una volta varcata la soglia di quella lussuosa stanza d’un
tratto le fece paura
e si scoprì a pensare che le braccia di Haymitch avrebbero
potuto essere un
rifugio più caldo e confortante delle semplici lenzuola. E
poi era stanca di
essere forte da sola.
Si
voltò di nuovo e
sollevò le spalle, che si erano, senza che lei se ne
accorgesse, abbassate in
una posa abbattuta. Annuì, passandosi le mani sulle braccia
coperte dalla veste
da camera.
«Grazie,
Haymitch.»
Mormorò.
Haymitch
le sorrise, di
nuovo in quel modo tanto diverso dal solito. Le prese una mano, dove le
unghia
curate e laccate risaltavano contro la pelle bianca e ancora di
più a confronto
con quelle corte e spizzicate di Haymitch.
«Te
li riporterò vivi,
entrambi.» Le promise, portandosela sul cuore.
Effie, a quel tempo,
non sapeva quanto quella promessa fosse in realtà veritiera.
Si accontentò di
sapere che lui condivideva il suo dolore, si accontentò di
sapere che Haymitch
stava cercando di consolarla, di sapere che nel profondo lui teneva a
lei
almeno nella stessa misura di quanto lei teneva a lui.
Note
della pazza autrice:
Salve,
bella gente!
Sono di nuovo qui! A rompere con le mie solite idee balorde.
Volevo
dare un po’ di
spazio ad Effie ed Haymitch, e siete liberi di vederli come amici o
come
amanti. Io sono una grande sostenitrice della Haymitch/Effie, quindi la
considero una sorta di preludio ad un rapporto più stretto,
ma ripeto, non è
per forza così che deve essere intesa.
Ringrazio
chiunque abbia
letto fin qui, e spero che qualcuno di voi decida di lasciarmi un
parere, anche
critico (purché costruttivo), perché è
la prima volta che muovo questi personaggi
e non vorrei averli resi OOC, cosa che non riesco mai a valutare da
sola.
Alla
prossima!
LysL
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