Oltre le stelle - scene 2
NdA
dell'Agosto 2010:
ho revisionato anche questa scena, sistemando pesantemente lo stile e i
punti di vista e aggiungendo qualche piccolo particolare alla
narrazione.
Oltre
le stelle - scene
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Note:
Per capire al meglio questa scena, è meglio leggere il
capitolo cinque di "Oltre le stelle" (anche se non è
totalmente indispensabile).
La storia dell'infanzia di Mamoru l'ho inventata, non so se sia andata
effettivamente così.
Nella storia tengo conto del sistema scolastico giapponese, nel caso vi
venissero dei dubbi in merito (sei anni di elementari, tre di medie,
tre di superiori e inizio anno scolastico in Aprile).
Grazie a chiunque vorrà lasciare un commento;
risponderò aggiornando questo stesso capitolo, in fondo.
In questa raccolta inserirò un'ultima scena, prima di
chiuderla (riguarderà i primi tentativi di allenamento di
Sailor Moon col proprio potere senza il cristallo, aiutata appunto da
Tuxedo Kamen).
2 - Una cena in famiglia
«Cosa gli piace mangiare?»
«Un po' di tutto... aspetta, le zucchine no.»
Ikuko annuì e rimase a contemplare sua figlia: davanti al
proprio
armadio, Usagi era impegnata alla ricerca di qualcosa da indossare.
Ikuko la osservò valutare attentamente un
completino rosa solo per rimetterlo al proprio posto, in fondo a
diversi altri capi che non le aveva più visto indossare
da... molto?
Un tempo sua figlia aveva adorato il rosa. «Perché
non quello?»
Usagi si voltò verso sua madre, sorpresa: era già
insolito
averla in camera sua, ma non l'aveva mai sentita
commentare il suo guardaroba. «Ahh... non so, non
mi sembra adatto. È carino, ma un po' infantile.»
Le
sorrise,
girandosi e
rimettendosi a cercare. Quella maglietta azzurra doveva essere da
qualche parte...
«Usagi. È da un po' di tempo che voglio
parlarti.»
Quando sua madre sceglieva quel tono, in genere non si
trattava mai di nulla di buono. Eppure, non le sembrava di aver fatto
nulla di male
durante le vacanze. Sfoderò un sorriso.
«Cosa c'è mamma, perché quell'aria
seria?»
Prima di iniziare, Ikuko sospirò, cercando le parole giuste.
«Usagi... va tutto bene? Mi sei sembrata
diversa
negli
ultimi tempi. Non in senso cattivo, però...»
Scosse la
testa. «È successo qualcosa?»
Nel viso di Usagi si dipinse un'espressione tra il sollievo e la...
tenerezza? Ikuko ricevette un sorriso tranquillo e un sereno diniego
col capo. «Mamma, ti
preoccupi troppo: io sto bene. Non mi è
successo nulla di particolare. Ecco,
forse... credo di sentire
un po' la mancanza di Chibiusa, tutto qui.»
Chibiusa? Oh, già!
«È vero, dobbiamo chiamarla, è da tanto
che
non la sentiamo. Lo facciamo più tardi tutti
insieme.»
Usagi arricciò le labbra. «Uhh, meglio domani. Tra
poco devo uscire con Mamoru, ricordi?»
«Giusto, che testa che ho.» Doveva mettersi a
preparare la cena. Si alzò. «Allora ricordate di
essere puntuali, per le sette e
mezza.»
«Nessun problema!»
ridacchiò Usagi.
Uscendo dalla stanza, Ikuko rimase a riflettere, poco lontano dalla
porta.
Già. Chibiusa poteva essere una spiegazione: lei e Usagi
erano sempre state molto legate e sua figlia aveva cambiato
atteggiamento più o meno da quando la piccola era tornata a
casa.
Sospirò: quella bambina mancava tanto anche a lei.
Però aveva la sensazione che non fosse stata solo la sua
partenza a cambiare la vita di Usagi. Era successo qualcos'altro,
qualcosa che le sembrava di poter afferrare fino al momento stesso in
cui il pensiero spariva. La sensazione era frustrante, destabilizzante.
Fissò il legno bianco della porta.
A Usagi era accaduto qualcosa di importante. E lei voleva saperlo,
perché sua figlia l'aveva appena guardata come faceva un
genitore col proprio figlio, quando si rendeva conto di averlo fatto
preoccupare per cose più grandi di lui, per cose
che erano una sua esclusiva responsabilità.
La sua Usagi-chan aveva appena sedici anni.
Non era più
piccola, ma era ancora giovane e niente avrebbe dovuto farla crescere
in quel modo.
Seduta sulla panchina e appoggiata alla spalla a Mamoru, Usagi
continuò col suo racconto. «Ieri
pomeriggio sono andata con Minako a fare compere
e ho preso dei pantaloncini
davvero carini. Di jeans, forse un po' attillati, però per
una
volta mi andava di provare qualcosa di diverso. Ah, sempre ieri Makoto
mi ha
detto che per il compleanno di Ami vuole organizzare un'uscita fuori e
naturalmente sei invitato
anche tu. Ami come al solito si sta preparando per una delle sue
simulazioni di ingresso all'università, non si stanca mai.
Sapessi che
ridere, ha detto che
magari
un giorno dovrei provarci anche io. Mi ha visto con un po'
più
di voglia di studiare e già mi vede accanto a lei a questo
esame.» Rise. «E
poi Rei-» Si
interruppe.
Mamoru fissava con occhi vacui un cestino della spazzatura che stava
dall'altra
parte del sentiero.
Non la stava ascoltando.
Usagi si morse la lingua: se avesse sbraitato, sarebbe sembrata una
ragazzina. E va bene, vada per il silenzio: gli avrebbe trapassato il
cranio col solo sguardo.
«Ah.»
Mamoru si voltò di
colpo. «Scusa.»
Lei si voltò con uno sbuffo platealmente offeso:
fece finta solo per metà.
«Non ti stavo
prestando attenzione, lo so. Perdonami.»
Usagi persistette nel guardare dall'altra parte.
«Stavo pensando
alla cena coi tuoi di stasera.»
Come? «Perché?»
«Non mi sento tanto sicuro
di me.»
Oh, che sciocchezza. Però... «Detto
da te, è
un'affermazione leggendaria.»
Sorridendo, gli accarezzò una guancia. «E
carina.» Tanto
carina.
«Carina?»
Sì, perché doveva ripeterglielo con questo tono
perplesso? «Sai
che ti trovo tenero quando sei insicuro.»
Mamoru trattenne un sospiro. Da qualche
settimana lui e Usagi erano entrati molto più in
confidenza e, se già da prima Usagi aveva manifestato la
tendenza a dirgli sempre quasi tutto quello
che
pensava, ora finiva col riferirgli anche commenti che
probabilmente prima aveva riservato solo alle sue amiche.
Era divertente, ma
anche imbarazzante a volte: lui non era una ragazza e non poteva
comportarsi come tale, specie nei momenti in cui parlavano proprio di
lui.
«Mamo-chan, non
fare quella faccia! Ho detto che sei tenero, non mostruoso.»
Sarebbe stata quasi meglio la seconda. «Al
mio posto, preferiresti altri aggettivi.»
Lei rimuginò con gli occhi al cielo, le labbra
arricciate. «No,
a me piacerebbe se tu dicessi che mi trovi tenera.»
Solo perché aveva sbagliato esempio. «Per
fare un buon paragone devi usare una parola
diversa. Ad esempio... caruccia.
Sei caruccia, Usagi.»
Lei fece una smorfia. «Così
sembra che parli di una
bambina di cinque anni.»
Ecco. «Esatto.
Per me 'tenero' non è così
diverso.»
Usagi sembrò finalmente capirlo. «Hmm,
allora... dolce?»
Appena meglio, ma sempre- Scosse la testa.
«Carino?»
Ah, ma questo lo sapeva già. Sorrise. «Puoi
fare di più.» Da lei aveva
ricevuto
complimenti migliori.
«Beh, ma certo.»
Usagi gli circondò la testa con le
braccia. «Potrei
dire che sei bellissimo, che baci molto bene, che mi
fai impazzire quando-»
Mamoru le tappò la bocca: non era il caso di completare
quella frase nel bel mezzo di un parco.
Usagi si ritrasse. «Quando
mi prendi in giro»
finì. Ma cosa aveva creduto lui? Ah. Gli si
avvicinò con un sorriso malizioso.
«Però
poi sai così bene come...»
Terminò la frase bisbigliandogliela
all'orecchio. «Ecco,
era questo che non volevi che dicessi ad alta voce?»
Si
scostò e lo
colpì sul petto. «Anche io so essere
discreta!» Il movimento del braccio le fece scorgere il
quadrante del suo
nuovo orologio: glielo aveva comprato proprio Mamoru come regalo di
compleanno, quello
che non aveva avuto occasione di darle.
Erano le sette.
«È ora,
dobbiamo
andare.»
Mamoru guardò il cielo ancora chiaro: era
arrivata l'ora della fine. Era peggio di un colloquio di lavoro, peggio
di... ma chi stava prendendo in giro? Era peggio di tutto, non era mai
stato così nervoso.
Si sentì tirare per un braccio e incontrò la
risata di Usagi. «Sai,
credo che se
continui così potrei divertirmi molto
stasera. Però ci tengo ad averti tutto intero per
la
fine. Riprenditi, su!»
Di malavoglia, Mamoru si lasciò trascinare verso
la macchina.
«Oh, benvenuto
Mamoru» lo salutò la madre
di Usagi, sulla porta.
Il sollievo gli uscì come fumo dalle
orecchie. «Grazie
signora.»
Ikuko Tsukino si fece benevolmente da parte, invitandolo a entrare.
Mamoru mise cautamente piede nell'ingresso, fino ad entrarci
completamente. Tolse le scarpe con calma circospetta: del
padre di
Usagi
ancora nessuna
traccia.
... forse aveva avuto un impegno di lavoro improvviso?
Un'intervista dell'ultimo minuto. Forse-
La madre di Usagi si dileguò in
cucina. «Andate pure in salotto, sono
di là.»
Sono? Shingo e-
Usagi lo aveva già trascinato nell'altra stanza.
Mamoru inspirò profondamente. «Buonasera
signore.» Riuscì a
non balbettare.
Seduto minacciosamente sul divano, simile ad un re che riceveva il
più umile dei sottoposti, Kenji Tsukino lo fissò
senza tradire alcuna emozione. «'sera.»
Spezzettò la parola come avrebbe voluto fare con lui, Mamoru
non ebbe dubbi in merito.
«Ehilà!»
Abbassò lo sguardo. «Ehi,
Shingo.»
Il fratellino di Usagi era cresciuto un po' dall'ultima volta
che lo aveva visto, ma non aveva ancora cambiato voce. Negli occhi gli
brillò una luce furba. «Sai, se ti fossi scelto
una ragazza
più carina e
intelligente ora non saresti qui a dover parlare con mio
padre.»
«Shingo!»
Usagi lo colpì alla testa.
La signora Ikuko entrò in salotto.
«Sarà pronto tra dieci
minuti.» Si pulì le mani
nel grembiule. «Mamoru, mettiti pure comodo nel
frattempo.» Gli indicò il
divano e, contemporaneamente, lanciò uno sguardo di
avvertimento a suo marito.
Per fortuna aveva un'alleata. Peccato che dieci minuti
dentro quella stanza stessero cominciando a sembrargli un'etern-
«Usagi, vieni a darmi una
mano di là.»
Cosa?
Fu sul punto di afferrare la mano di Usagi, ma si trattenne prima di
iniziare il movimento. Lei lanciò un'occhiata perplessa
prima a lui e poi a suo padre, quindi si diresse in cucina.
Regnò un momento di calma apparente.
«Puoi
sederti»
esordì Kenji Tsukino.
A Mamoru non restò che sistemarsi sulla poltrona libera. Il
fratello di Usagi sprofondò allegramente accanto a suo
padre, proprio come se non vedesse l'ora di poter assistere alla scena.
Non ci sarebbe stata nessuna scena, lui non si sarebbe comportato male
e il signor Tsukino... Era meglio non fare ipotesi.
Optò per guardarlo solo nel momento in cui avesse avuto
qualcosa da dire e iniziò a pensare in silenzio.
Nel silenzio.
E in altro silenzio.
Un paio di scarpe iniziarono a battere ritmicamente sulla moquette.
Mamoru abbassò lo sguardo e si affrettò ad
immobilizzare i piedi.
Doveva dire qualcosa. Qualunque cosa, era sufficiente che non se ne
stesse lì, zitto come un'idiota, ad aspettare che fosse il
padre di Usagi a iniziare la conversazione.
Un argomento, un argomento...
Voltò la testa e aprì la bocca per parlare.
Fermò il movimento delle labbra nell'istante stesso in cui
incrociò gli
occhi di
Kenji Tsukino.
Il padre di Usagi lo stava annichilendo con lo sguardo.
Aveva pensato di non piacergli, ma era stato ottimista. Se solo il
signor Tsukino avesse avuto una qualche idea su tutto quello che c'era
stato tra lui e Usagi, su quello che ci sarebbe stato,
allora forse- Già. Non c'era nessun forse a riguardo: il
padre di Usagi avrebbe dovuto imparare ad andare d'accordo con lui,
volente o nolente.
La consapevolezza lo rese sicuro, perciò si
limitò ad appellarsi alle conoscenze ricavate da un'intera
vita passata a dialogare con successo con adulti di ogni tipo.
Sfoderò un sorriso cortese. «La ringrazio per
l'ospitalità di questa sera.» Fu
compìto e
formale, impeccabile.
Spiazzò Tsukino-san, che si ritrasse lievemente sul divano
prima di offrirgli un cenno dubbioso del capo. «È
stata mia
moglie a proporre
l'idea. Ed è stata Usagi ad insistere, però ora
sono
convinto anche io che fosse giunto il momento di parlarci.»
Mamoru si limitò ad annuire.
Kenji Tsukino si sporse in avanti, acquisendo l'attenzione di un falco.
«Tutto ciò che so di te lo so per interposta
persona,
perciò ho delle domande.»
Non stava richiedendo risposte, le pretendeva.
«Quanti anni hai di
preciso?»
Come? «Diciannove, compiuti da qualche giorno.» Non
glielo aveva detto
nessuno?
«Giorno? Non hai iniziato il terzo anno di
università?»
Sì e poteva sembrare un'incongruenza, ma la spiegazione era
semplice. «Quando avevo nove anni ho saltato un anno di
scuola.»
La risposta non ricevette l'accoglienza gradita che si era aspettato.
Ora era una
cosa negativa essere intelligenti?
«So che non hai i genitori. Come sei cresciuto?»
Era una domanda che nessuno aveva mai avuto il coraggio di porgli, a
parte Usagi. Troppo personale. «In una casa famiglia. Non
sono mai
stato adottato perché ho
sempre dimostrato di preferire quel luogo ad altri. Ho ottenuto
l'emancipazione legale a quindici anni. Da allora vivo da
solo.»
«Come ti sei mantenuto?»
Ancora troppo sul personale. «Perché vuole
saperlo?»
«So che hai una casa e una macchina. Queste cose non si
comprano con
poco e troppo denaro alla tua età può
rappresentare un
problema.»
Abbastanza logico, non poteva biasimarlo. «Mi sono mantenuto
con
l'eredità dei miei genitori, anche se l'ho usata
principalmente
per
comprare cose che avrei avuto comunque se avessi avuto una famiglia.
Per le altre spese, cerco di limitarmi a quello che guadagno col mio
lavoro. Conosco il valore del denaro.»
«Hai seriamente intenzione di diventare medico?»
Quello era un tasto dolente. «Ho deciso quest'anno di
cambiare
facoltà.»
«Cambiare? Al terzo anno?»
Si era atteso sia l'incredulità che la velata
disapprovazione. «Ho chiesto il trasferimento al dipartimento
di
Economia Politica.»
«Perché?»
Perché non mi
serve sapere come operare su un corpo umano per fare il re. Peccato
che non potesse dare una simile risposta. «Perché
medicina
richiede impegno e dedizione totali da parte di una
persona. Per gli anni di studio, ma soprattutto per gli anni di
pratica, fino al termine della carriera. In particolare per chirurgia,
l'unica branca che interessava a
me. Ho capito che non è più questo che voglio per
la mia
vita. Non aver incontrato difficoltà negli studi non mi ha
aiutato a capirlo prima.»
La risposta l'aveva preparata, ma in effetti aveva scelto medicina
prima di incontrare Usagi. Prima di immaginare che la sua vita potesse
essere riempita da qualcosa di diverso dallo studio e dal lavoro. Anche
se, se la situazione fosse stata diversa, non avrebbe certo abbandonato
il sogno di diventare medico. Guardò il pavimento,
pensieroso. «Comunque non avrò problemi a
recuperare i due
anni persi.» Probabilmente era l'unica cosa che interessava
al padre di
Usagi.
Kenji Tsukino rimuginò tra sé prima di squadrarlo
di nuovo da capo a piedi, col preciso intento di intimidirlo.
«Per ora
è tutto quello che volevo sapere.»
Per ora?
L'interrogatorio avrebbe avuto un seguito quindi. Le obiezioni del
padre di Usagi erano tutt'altro che esaurite ovviamente; forse si stava
solo prendendo il tempo di elaborare quel che aveva sentito.
Mamoru si permise un sorriso: comunque andasse, si era aggiudicato quel
primo round.
Cercò di non palesare troppa soddisfazione.
Facendo attenzione a non rompere niente, Usagi posò
rapidamente sul tavolo la pila di piatti che sua madre le aveva chiesto
di tirare fuori dalla parte alta della credenza.
«Perché vuoi che ti aiuti proprio adesso? Sai che
dovrei
essere di là ora.»
«No, vuoi
essere
di là» chiarì sua madre, spegnendo il
fuoco della
cucina. «Ti ho chiamata perché è meglio
che si parlino un po' da
soli.»
Usagi tese un orecchio: insomma. Non aveva udito ancora nessuno alzare
la voce, ma questo la innervosiva quasi più di urla vere e
proprie.
«E poi con loro c'è Shingo.»
Come se questo fosse d'aiuto! «Mamma, Shingo ha tredici anni
e in tutti
i suoi videogiochi preferiti
scorre sangue.»
Sua madre rifletté per un momento di troppo. «Non
arriveranno a tanto.»
Non ne era convinta nemmeno lei. «È il meno di
tanto che mi
preoccupa.»
«Non stare in ansia, Usagi-chan. Conosci tuo padre, sai che
alla fine
è innocuo.»
Di solito sì, ma quell giorno le era sembrato pronto a dar
battaglia fin dal primo mattino.
Sospirò. Fortuna che in casa non sapevano nulla del periodo
in cui lei e
Mamoru si erano lasciati, altrimenti... No, non voleva immaginare l'altrimenti.
Sospirò di nuovo.
Kenji lanciò uno sguardo a Shingo, che gli sorrise furbo di
rimando.
Con suo figlio lì non poteva parlare liberamente.
«A
quest'ora c'è il telegiornale» disse e, preso il
telecomando, accese la tv.
Fece finta di concentrarsi sulle notizie.
... e così non c'erano neanche tre anni di differenza tra
quel ragazzo e Usagi. Lui aveva
pensato a quasi quattro, piuttosto. Non che l'età in
sé contasse qualcosa: a
guardarlo quello gli sembrava più adulto dei suoi anni; non
tanto di aspetto, ma di... carattere. In altre circostanze avrebbe
potuto quasi apprezzarlo, supponeva, però lì
c'era in ballo sua figlia.
Più ci pensava e meno
capiva come facessero quei due a stare assieme: cos'avevano in comune?
Quello lì era serio, impegnato nello studio e... calmo.
Usagi
invece era allegra, iperattiva, sbadata e - senza voler fare un torto
a sua figlia - molto poco seria. Forse negli ultimi tempi era un po'
cambiata, ma non così
tanto da assomigliare a quel ragazzo.
Kenji non aveva mai creduto che gli opposti si attraessero,
né che
grosse differenze di carattere potessero essere la base
per una buona relazione, se
non ad un livello puramente temporaneo e probabilmente solo... fisico.
«È pronto! Venite pure!»
gridò sua
moglie dalla
cucina.
Kenji spense la tv e si diresse in cucina, seguito da Shingo e... Mamoru. Gli
risultava difficile persino pensare al nome dell'essere che avrebbe
voluto
schiacciare come uno scarafaggio.
A tavola, durante la cena, non fece nulla per nascondere il suo
pensiero su di lui.
Il ragazzo poteva pure starsene seduto, perfettamente composto, a
mangiare con ottime maniere, ma se pensava di ingannarlo si sbagliava
di grosso.
«È molto buono, signora.»
Lo fulminò con lo sguardo. Ruffiano.
«Ah, grazie mille.»
Ikuko non sapeva neanche riconoscere quando veniva adulata con secondi
fini.
«Io invece
preferirei un po' più di sale» si
intromise
Usagi. «Papà, è vicino a te, me lo
passi?»
Kenji afferrò la saliera e si sporse in avanti, allungandosi
verso l'altro capo del tavolo per passarla.
Mamoru Chiba si alzò per prendergliela dalle mani. Si
trovava più vicino rispetto ad Usagi e Kenji fu costretto a
cedergli il sale, ma non riuscì a
trattenersi dal tirare un po' prima di lasciare la presa.
Alla sua sinistra, Shingo sghignazzò. Kenji lo
zittì con un'occhiata ben assestata.
Ikuko tossicchiò. «Ah Mamoru, vorrei
ringraziarti per aver preso a dare una mano tutti i giorni ad Usagi con
i compiti.»
Kenji si strozzò col boccone di cibo. Co-Co-Co-?!? Si
batté il petto.
«Caro, stai bene?»
Un colpo più violento lo aiutò a deglutire. Compiti?!?
Afferrò un bicchiere d'acqua, mandandola giù. Tutti i giorni?! Con i compiti?
In tutti quei giorni Usagi era uscita per andare da Chiba?
Sua figlia lanciò un'occhiata felice verso la propria
destra. «Grazie a Mamoru finalmente capisco bene cose che
prima proprio
non mi entravano.»
L'acqua gli andò di traverso.
«Caro, insomma!»
Lui tossì e scattò in piedi. «Ho
bisogno di un
attimo.» Si diresse di corsa in bagno.
Non poteva ammazzare quel verme a tavola, doveva calmarsi, calmarsi!
Fu raggiunto da Ikuko. «Kenji!» Lo spinse dentro il
bagno,
chiudendo la
porta dietro di loro. «Si può sapere che
cos'hai?»
«Io? Cos'hai tu!»
Lo bisbigliò più forte che
poteva. «Sapevi che Usagi stava andando tutti i giorni a casa
sua e
non hai detto nulla? Hai creduto alla frottola dei compiti?»
Gli occhi di sua moglie si fecero sottili. «Sì, ci
ho
creduto. Usagi mi fa vedere tutti i giorni quaderni pieni di
esercizi risolti di matematica e inglese. Sei pieno di pregiudizi verso
quel
ragazzo, ma non lo conosci come me. Come madre io
mi
fido del fatto che rispetterà i tempi di Usagi, ne sono
assolutamente sicura.»
Come madre? Quando Ikuko la metteva giù così, non
si poteva discutere: scoppiava un litigio alla minima critica.
«Kenji, calmati e dà loro una
possibilità. Credo
che
sia davvero importante che tu almeno ci provi.»
Portò una
mano
sotto il getto del rubinetto appena aperto e gli bagnò
delicatamente la
fronte. «Su, torniamo di là.»
Mamoru era stufo di sentirsi come un criminale dentro una stazione di
polizia: per tutta la durata della cena il padre di Usagi era
parso pronto a portarlo in una stanza buia, puntargli in faccia una
lampada e gridargli 'Confessa!'
Lui non aveva fatto niente di male! E non aveva dato ragione a nessuno
di venire a intromettersi tra-
... intromettersi? Il padre di Usagi aveva il diritto di preoccuparsi e
sapere.
Sospirò: senza aver mai avuto genitori, non era abituato a
sentirsi valutato e tenuto d'occhio tanto da vicino.
Riusciva anche a comprendere perché a metà cena
il padre di Usagi si fosse alterato tanto, ma non gli andava comunque
di sentirsi... accusato.
«Ehi, che ne dite di uscire in giardino?»
suggerì
Usagi,
dopo avergli lanciato un'occhiata. «È rimasto
qualche fuoco
d'artificio dalla festa di Tanabata, sarebbe un peccato aspettare il
prossimo anno per sfruttarli.»
«È una bella idea» commentò
la signora
Ikuko,
alzandosi. «È rimasta qualche bacchetta luminosa e
mi pare
anche un razzo, non
è vero caro?»
Kenji Tsukino annuì di malavoglia, ma sua moglie lo
ignorò. «Vado di sopra a prendere quel che ci
serve. Voi
uscite pure intanto.»
«Ah, aspetta mamma!» Usagi la raggiunse sulle
scale,
superandola. «Le
bacchette luminose sono in camera mia, le prendo io.»
Sparì
al piano di sopra.
A tavola rimasero in tre.
Si alzarono, uscendo dal salotto ed entrando nel corridoio. Mamoru
infilò le scarpe in silenzio. Non fu il solo.
Shingo iniziò a scalpitare. «Non ce la faccio
più, devo andare in bagno!
Torno subito, voi due aspettatemi!» Schizzò via.
Il padre di Usagi aprì con decisione la porta di casa,
dirigendosi fuori.
Mamoru lo seguì a ruota. O adesso o mai
più. «Lei vuole rompermi una gamba.»
Kenji Tsukino si voltò, sorpreso. L'attimo di confusione
svanì
immediatamente. «È così.»
Già. «Me la romperei io stesso piuttosto che fare
del
male ad Usagi in un qualunque
modo.»
Il sorriso beffardo non sembrava convinto. «Non credo che
'male'
significhi la stessa cosa
per me e per te.»
Forse no, però poteva esserci un punto d'incontro tra le
loro due visioni. «Nemmeno la costringerei a fare nulla che
non
volesse, né la
spingerei mai a fare qualcosa per cui non fosse pronta.» Fece
una
pausa. «Mi
riferisco esattamente a quello a cui stava pensando.» Era
vero: non aveva mai costretto
Usagi a fare nulla, lei era stata pronta a ciò che avevano
condiviso,
lo aveva desiderato almeno quanto lui.
La bocca di Kenji Tsukino rimase immobile, ferma in una
linea unita.
Mamoru proseguì. «Per la verità,
arriverei
persino a lasciarla se pensassi che
è la cosa migliore per lei.» Lo aveva fatto in
passato, non
stava mentendo. In ogni caso, ormai era fermo su punto.
«Però, finché Usagi mi
amerà
quanto la amo io, non
andrò da nessuna parte.»
Il padre di lei sbuffò pesantemente, voltandosi. Per un po',
rimase in silenzio.
«Perché proprio mia figlia? Siete completamente
diversi.»
Quell'affermazione si basava sull'apparenza. «Non lo siamo
poi
così tanto. E dove siamo diversi... ci aiutiamo,
completandoci.» Già. «Usagi mi completa.
E io
faccio lo
stesso per lei. Usagi è...»
Tutto il mio mondo. Ancora
una volta, non poteva dire una cosa del
genere. «La
ragazza migliore che abbia mai conosciuto. Da quando stiamo insieme,
sono felice solo quando lo
è lei.»
Sollevò lo sguardo. Non valeva forse la stessa cosa anche
per un padre?
Sì. Per questo dovevano tentare di trovare un punto
d'incontro. «Io non pretendo nulla da lei signore,
ma voglio che capisca che per me Usagi viene prima di me... prima di
qualunque altra cosa.»
... aveva esagerata, ma la frase gli era uscita di bocca prima che
riuscisse a fermarla.
Udì l'improvviso sospiro rassegnato di Kenji Tsukino,
pesante e non del tutto felice.
Si ritrovò a guardarlo in faccia.
«Allora, per me... per adesso... va bene
così.»
«Va bene cosa?» domandò Shingo,
arrivando di corsa
con una
frenata rapida.
Kenji ridacchiò. «Niente che ti
riguardi.»
Usagi e Ikuko uscirono in giardino.
Usagi sorrise nel notare la mancanza di tensione tra suo padre e
Mamoru. Finalmente.
«Uffa! E io che speravo almeno in una spintarella»
si
lamentò Shingo.
Usagi lo accontentò. «Eccola!» Con un
colpo dei
fianchi, lo
buttò a terra, scappando rapidamente dietro Mamoru.
Suo fratello sbatté un piede sul suolo e si diresse dai loro
genitori.
«Caro, tu sai come sistemare questo fuoco
d'artificio?»
Kenji annuì e si allontanò verso un
punto abbastanza pulito del terreno, col piccolo razzo in mano.
Con la coda dell'occhio, guardò dietro di sé:
Usagi stava accendendo una delle sue
bacchette. Ne aveva passato una anche al suo... fidanzato.
«Accendiamo la tua con la
mia» gli disse, sorridendo dolcemente. Poi, come la bambina
che era
stata, iniziò a far volteggiare
in aria il bastoncino che sprizzava luci.
Kenji spostò lo sguardo su Mamoru Chiba e
comprese ancora meglio perché Ikuko si
fidasse tanto di lui.
«Oh, andiamo Mamo-chan, non stare lì fermo!
Muovilo un po'
anche tu!» Usagi gli saltellò accanto.
«Okay, vediamo se riesci a riconoscere cosa faccio.»
Osservando i movimenti in aria del bastoncino di Chiba, Kenji
iniziò a notare una forma precisa. Era un...
kanji?
Il ragazzo di sua figlia completò il segno.
Amore.
Usagi lo guardò come poteva fare solo una
ragazza innamorata.
Kenji si voltò, ritrovandosi a guardare l'erba.
Aveva sempre pensato che avrebbe avuto ancora tempo per arrivare
ad una consapevolezza simile, ma quel momento era già
lì e lui non poteva più far finta di niente:
Usagi ormai grande, quasi adulta.
Sentì la mano di Ikuko sulla spalla e riprese a concentrarsi
sull'accensione del fuoco d'artificio.
Shingo si unì a lui, entusiasta. «Facciamolo
volare questo
razzo!»
Sì... lasciamolo volare.
Una cena in famiglia - FINE
Note finali: grazie a chichilina, luisina, bunny1987, USA1983, fasana,
m00nlight e romanticgirl per le recensioni. Grazie a luisina per la
particolarità delle sue recensioni. Per quanto riguarda la
tua
domanda, fasana, sì, ho intenzione di scrivere un giorno di
quando i genitori di Usagi scopriranno la verità sulla
doppia
vita della loro figlia. Però lo farò nel sequel
vero e
proprio di 'Oltre le stelle'. Penso che sia una scena che richiede una
buona trama dietro. Questo sequel comunque lo pubblicherò
dopo
la fine di questa breve raccolta e anche dopo aver completato una
one-shot su Ami, simile a quella che ho scritto su Rei (qui per Ami ho
scelto un personaggio originale, inventato da me).
Grazie a tutti per i complimenti e per aver letto le mie chiacchiere
finali. Ciao a tutti,
Ellephedre
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