Starry,
Starry Night
Erwin
Smith si sposa. La
notizia aveva fatto il giro del quartiere a tempo zero, complici le
chiacchiere della madre della sposa e la buona reputazione che il
giovane poliziotto aveva tra gli abitanti. Ora capitava sempre più
spesso che gli avventori del The Styx si fermassero per dare una
pacca sulla spalla a Levi e rivolgergli una parola di
incoraggiamento, cose di cui lui non sentiva il bisogno. Le domande
erano sempre le stesse, le risposte altrettanto. Sei
nervoso all'idea di essere il testimone del tuo migliore amico?
No. Hai già
pronto un discorso? Sì.
(Bugia palese, ma loro non avevano bisogno di saperlo).
E
poi c'era Hanji – Hanji, a conoscenza di tutto ciò che
riguardava entrambi; l'amica che era stata testimone del loro
cambiamento e giudice imparziale della disfatta della loro relazioni,
ed era rimasta ad annodare pazientemente il filo che si era spezzato,
riavvicinandoli.
-
Secondo me è proprio da stronzi. - annunciò una sera,
battendo i pugni sul bancone e voltandosi verso i due ragazzi seduti
al suo fianco. - È da stronzi o non è da stronzi?
Insomma, sono stati assieme per cinque anni e lui gli chiede di
fargli da testimone assieme a te, Mike. È da stronzi! -
Levi
asciugò la birra che era volata via dal boccale di Hanji
mentre l'interpellato, un ragazzo alto e biondo, si massaggiava il
pizzetto sul mento, pensieroso. - Non saprei, Hanji. Credo che Erwin
avrebbe lasciato perdere se Levi gli avesse detto che non voleva. Ho
torto? -
Levi
scosse la testa. La cosa non lo tangeva minimamente – si
sentiva apatico circa tutta la situazione. Conosceva il pensiero di
Erwin circa il matrimonio: era qualcosa che tendeva a prendere fin
troppo seriamente, come tutto ciò che faceva. La riteneva una
responsabilità enorme, e l'essersi proposto a Irene dopo
solamente tre anni di relazione indicava solamente quanto Erwin
facesse sul serio. - Non mi importa. - rispose, riponendo il panno e
appoggiandosi al bancone. - Devo solo stare in piedi accanto a lui
ingessato in una stupida giacca e leggere quattro parole su quanto
siamo amici e quanto sono felice per lui. E stare attento a non
lasciarmi scappare che abbiamo scopato per cinque anni all'insaputa
di tutti. Niente di troppo problematico. -
Mike
affondò il proprio sorriso nella birra, ma Hanji non sembrò
convinta. Naturale che non lo fosse – sapeva quanto amaro fosse
il suo sarcasmo e quanto dolore represso vi fosse nascosto dietro;
forse lo sapeva più di Levi stesso, che per sfuggire al suo
sguardo pietoso si voltò a sistemare le bottiglie di alcolici.
Fu Nanaba a distrarla da quei pensieri, domandandole cosa avrebbe
indossato all'evento e lasciando che la tensione del momento si
sciogliesse in chiacchiere inutili. Ad ogni sillaba Levi si
convinceva sempre di più che non era importante – la sua
relazione con Erwin era arrivata e passata, l'avevano vissuta appieno
per cinque lunghi, stupidi anni. Se avessero chiesto ad entrambi cosa
ci fosse stato tra di loro, nessuno dei due avrebbe risposto “siamo
stati assieme”. Sarebbe stata un'esagerazione e un eufemismo al
tempo stesso, un termine che non descriveva niente di ciò che
erano stati. Loro erano un fuoco debole, facile da nascondere alla
vista di chiunque, capace di aizzarsi e donare calore solo quando
entrambi decidevano che era arrivato il momento di nutrirlo. La loro
relazione consisteva in momenti di instabilità in cui a
nessuno dei due era possibile separarsi dall'altro, intensi e rari;
per il resto del tempo, a chiunque che non fosse loro amico intimo
sarebbero sembrati solo due amici intenti a battibeccare su ogni
argomento, estremamente diversi. Il mondo non conosceva il modo in
cui le loro mani si cercavano impazienti nei giorni in cui per uno
esisteva solamente l'altro, non poteva avvertire l'intensità
di quel fuoco nascosto.
Eventualmente,
anche l'ultimo tizzone era stato spento dal cinismo di Levi. Era
stato lui a insistere che Erwin non meritava nulla del genere –
che le strade che avevano deciso di intraprendere erano troppo
diverse, che un rapporto del genere era qualcosa che sarebbe dovuto
morire negli anni dell'adolescenza. Nel dolore sul volto di Erwin a
Levi era sembrato di vedere l'ultima fiammella cercare di rimanere
viva e poi spegnersi piano. Non si erano urlati contro. Era stata una
decisione di comune d'accordo. Non c'erano rimorsi, né
rimpianti.
Ricostruire
un rapporto con nient'altro che cenere tra le mani si era rivelato
inutile.
-
Che mi dici del discorso? - la voce dolce di Nanaba interruppe i suoi
pensieri. La giovane donna bionda giocherellava con l'ombrellino del
cocktail tra le dita, fissandolo con quei suoi grandi occhi azzurri.
- Perché se davvero hai intenzione di dire che sei l'ex di
Erwin, sappi che io ti appoggio. Renderesti la cerimonia
interessante.
-
-
Il padre di Erwin potrebbe avere un infarto. - constatò Mike.
Levi intravide alle sue spalle due clienti, e si diresse alla cassa
per il conto. - E la madre di Irene tenterebbe di ucciderlo. Come te
la cavi nel corpo a corpo, Lev? La signora è cintura verde di
karate. -
-
Irene arriverebbe prima. - rise Nanaba. Levi si allontanò
dalle loro chiacchiere; sentiva onnipresente lo sguardo di Hanji su
di sé, e poco dopo la voce della donna rimbombò nella
sua testa, come quando erano bambini e le loro capacità
sovrannaturali sembravano semplici giochi.
Non
sei onesto con te stesso.
Levi
consegnò lo scontrino alla coppia e li salutò con un
cenno della testa, per poi portare lo sguardo su Hanji.
Quando
mai lo sono stato?
*
* *
C'era
qualcosa nei matrimoni che la agitava estremamente. Se c'era da
divertirsi era la prima a buttarsi nella mischia, ma il modo in cui
la madre di Irene aveva architettato tutto e lo orchestrava
perfettamente innervosiva Hanji in maniera incredibile. Quando fece
irruzione nella stanza di Erwin nessuno dei due uomini presenti batté
ciglio, nemmeno vedendola sollevare una bottiglia di vodka liscia e
portarsela alle labbra. Lo sguardo perso nel vuoto, Mike le fece
cenno di passargli la bottiglia.
-
Che diavolo stai facendo? - borbottò Hanji. Si passò
una mano tra i capelli, rovinando l'acconciatura elaborata, e si
gettò nella poltrona accanto a quella di Mike. - CHE
DIAVOLO STAI FACENDO?!
-
L'abito
grigio scuro stringeva il corpo di Erwin in maniera perfetta. Mike
aveva insistito che si lasciasse ingelatinare i capelli all'indietro,
e gli occhi dell'azzurro intenso più intenso che si potesse
immaginare facevano impallidire gli zaffiri incastonati nei gemelli
che stava sistemando sul polso. Era l'uomo più attraente che
Hanji avesse mai visto, e non aveva dubbi sul perché Irene non
avesse esitato un momento nel dirgli di sì. Era bello, gentile
e pronto a sacrificare ogni parte di sé per la persona che
amava – in maniere e con conseguenze che lei non avrebbe mai
nemmeno immaginato. Era uscito dall'accademia di polizia con il
favore di tutti i superiori e gli istruttori, che ammiravano la sua
tenacia e competenza; un partito perfetto sotto ogni punti di vista.
Hanji ci avrebbe quasi creduto, non fosse che l'unica persona per cui
Erwin aveva mai mostrato il minimo interesse di natura sessuale era
il grande assente del momento.
-
Lui dov'è? - domandò Mike ignorando le sue urla
isteriche. Hanji vide che Erwin stava sudando, mostrando almeno ai
suoi amici più intimi quanto la situazione lo agitasse. -
Posso capire non si sia presentato alle prove, ma a quest'ora avrebbe
dovuto essere qui. -
-
È solo in ritardo. - sorrise Erwin, terminando di allacciarsi
i gemelli e guardandosi allo specchio. Lo sguardo di Hanji quasi gli
perforava la schiena, innervosendolo quasi più dell'assenza di
Levi. Qualcuno bussò alla porta, e l'attimo dopo una testa
bionda si affacciò alla stanza, cacciò un urlo e si
coprì gli occhi.
-
Marie, quella che non deve vedermi è Irene, non la sua
testimone di nozze. - rise Erwin. La donna abbassò la mano
esitante.
-
Veramente mi coprivo perché non voglio Nile si ingelosisca. -
sorrise lei. Alle sue spalle, il marito protestò e lei si
voltò a posargli un bacio leggero sulle labbra. - Come va?
Possiamo entrare? Ooooh,
quella è vodka?
-
Si
intrufolò nella stanza trascinando Nile con sé e
richiudendosi la porta alle spalle. L'attimo dopo rubava la bottiglia
dalle mani di Mike, sedendosi sul comò con un balzo agile e
stando attenta a non spiegazzare troppo l'abito rosato che le
stringeva i fianchi. - La signora suocera gira per la chiesa come uno
squalo. Brindo ai tuoi prossimi cenoni di Natale! -
-
Il primo testimone di nozze dov'è? - domandò Nile,
posando una mano sulla spalla di Erwin e facendolo voltare. - Questa
cravatta è un disastro... - borbottò.
-
In ritardo. - rimarcò Erwin, evitando di cacciare via Nile.
Nessuno gli avrebbe rimproverato un gesto nervoso vista la pressione
psicologica, ma non voleva allontanare da sé l'amico. - E la
cravatta va benissimo. -
Mike
aveva gettato la testa all'indietro, sullo schienale della poltrona.
- Levi non è mai in ritardo. - borbottò, gesticolando
in direzione di Marie per farsi restituire la bottiglia.
-
C'è sempre una prima volta per tutti. Io mi sposo, lui fa
ritardo. -
Nile
strinse la cravatta e lo fissò un'ultima volta, prima di
sospirare. Era un sospiro esasperato, che rifletteva bene il pensiero
di tutti i presenti.
-
Quindici minuti. - mormorò Erwin, più a sé
stesso che agli altri.
-
Non sei pronto. - constatò Hanji. Si alzò e prima che
Erwin potesse rendersene conto lo stava abbracciando. - Brutto scemo,
non sei affatto pronto. -
Erwin
le carezzò i capelli in silenzio. A nessuno degli occupanti
della stanza sfuggì il fatto che non avesse risposto
all'accusa di Hanji, e nessuno glielo fece notare. Si avviarono fuori
dalla stanza uno ad uno; Marie raggiunse Irene, e gli altri seguirono
Erwin fuori dall'hotel e verso la macchina che li avrebbe portati in
chiesa. Mike e Nile non potevano avvertirlo, ma l'agitazione di Erwin
si rifletteva nei pensieri di Hanji quasi involontariamente. Erano
pensieri confusi, immagini e parole che dipingevano un quadro
irruento all'interno della mente della donna.
È
semplicemente in ritardo.
È
in chiesa. È in ritardo, e ha deciso di andare direttamente in
chiesa.
È
così da lui, farmi penare tanto prima di farsi vedere. Neanche
fosse lui la sposa.
Quest'ultimo
pensiero fece sobbalzare Hanji, che si voltò verso Erwin.
Stava sorridendo mestamente, fissando il paesaggio scorrere rapido
accanto a loro.
Fu
l'ultima cosa che le disse prima di arrivare in chiesa. Non appena
ebbe messo piede nella navata principale e gli invitati si furono
voltati verso di lui, fu come se avesse innalzato una barriera
d'acciaio tra i suoi pensieri e quelli di Hanji, e lei non poté
più comunicargli le proprie ansie. Sfilò a braccetto di
una zia sotto lo sguardo dei colleghi e le loro famiglie, gli amici
più cari, i pochi parenti, il padre che già piangeva,
scostandosi gli occhiali dal volto e asciugandosi gli occhi,
tremando, aiutato da Nile alla sua sinistra.
Non
c'era traccia di Levi.
Hanji
si sedette alla destra del padre di Erwin e, rigida, ascoltò
l'organo suonare a festa e accompagnare l'ingresso della sposa e suo
padre. Irene era una donna bellissima, e non riusciva a nascondere un
sorriso a trentadue denti mentre raggiungeva l'uomo che amava senza
dubbi da tre anni. Hanji la vide rivolgere piccoli saluti ai parenti
e gli amici, tentata di sistemare le ciocche di capelli rossi che
erano sfuggite al cerchietto di perle bianche sotto il velo.
Raggiunse Erwin e lui le prese la mano tra le sue, senza distogliere
lo sguardo dal suo volto per un solo momento mentre il prete dava
inizio alla cerimonia.
Fu
solo al momento dello scambio delle promesse che Erwin abbatté
le barriere che aveva innalzato, e Hanji dovette soffocare un urlo
mentre l'onda della sua pensieri si abbatteva sulla sua mente con la
forza di uno tsunami.
Non
è qui perché non è qui
credevo
sarebbe stato felice
cosa
ho fatto? Cosa sto facendo?
Credevo
sarebbe stato felice, sorrideva, sai quanto raramente sorride
non
verrà
non
verrà
-
Prometto di amarti e onorarti ogni giorno della mia vita. - sorrise a
Irene.
Irene
è incinta di due mesi. Non potevo fare altrimenti. Non potevo.
-
Finché morte non ci separi. -
Non
lo vedrò mai più.
*
* *
Hanji
aveva le chiavi del locale, Levi lo sapeva. Non si sorprese quando
sentì la porta del retro aprirsi e passi veloci raggiungerlo
nel salone principale, vuoto a causa della chiusura. Aveva appeso un
cartello quella stessa mattina sulla vetrina. Chiuso
per festa. Oh, il
dolce sapore dell'ironia.
La
testa premuta contro il legno di uno dei tavolini, la vide con la
coda dell'occhio fermarsi accanto a lui e constatare il danno. - Oh
mio dio. Ti hanno fatto mettere i tacchi, Zoe. I tacchi. -
-
Hai fatto piangere Erwin. - dichiarò lei, una nota irata nella
voce. Levi premette la fronte contro il legno, sperando di cancellare
il mal di testa causato dalla sbronza e il senso di colpa che non lo
aveva abbandonato fin da quando, quella mattina, aveva deciso di non
presentarsi al matrimonio.
-
Oh, dire il perché a Irene e i suoi sarà stato
divertentissimo. -
Ci
fu un attimo di silenzio; quello dopo, sulla schiena di Levi si
abbatté tutta la furia di Hanji, sotto forma della sua borsa.
- SEI! UN! MALEDETTO! STRONZO! - urlò lei, rovesciando le
bottiglie accumulate sul tavolo a terra. - Sai quando è stata
l'ultima volta che ho visto Erwin piangere? Quando lo hai mollato
senza nemmeno avere abbastanza palle da dirgli davvero il perché!
-
-
Che cazzo fai? - strillò Levi, alzando un braccio per
allontanare la borsa. La afferrò al volo e scaraventò
lontano, alzandosi su gambe tremanti per fissare Hanji in volto. Gli
occhiali affondavano nei capelli scuri in disordine, e le sue
sopracciglia erano tanto corrucciate da sembrare una linea unica. Lei
gli afferrò il bavero della camicia e lui fece lo stesso con
quello del suo tailleur; si fissarono in cagnesco per qualche
secondo, prima che lei lo lasciasse andare e si voltasse per sedersi
sullo sgabello lì a fianco. Si portò le mani alle
tempie e le massaggiò con violenza, emettendo un lungo
lamento.
-
Urgh, siete così patetici...
- borbottò. Levi si risedette e la fissò fino a quando
lei non appoggiò le braccia sul tavolino e vi poggiò la
testa sopra, ricambiando il suo sguardo. - Perché sono finita
in quella maledetta stanza d'ospedale con voi? -
-
Quando si è messo a piangere? - domandò Levi, ignorando
quell'ultima sua domanda.
-
Durante il primo ballo, quando ci eravamo già spostati al
ristorante e tutti avevano capito che sei un figlio di puttana e che
non saresti venuto. - afferrò una lattina di birra per il
collo e la agitò, controllando se era rimasta qualche goccia.
- Ha detto che era l'emozione nel vedere Irene ballare con suo padre.
Ha tappato la testa e non ha lasciato che cercassi di confortarlo.
Credo l'esser scoppiato durante il rito lo avesse traumatizzato
abbastanza. -
Rimasero
in silenzio per un po', Levi con la testa gettata all'indietro e gli
occhi fissi nelle travi di legno del soffitto, Hanji con la testa
sulle braccia e gli occhi chiusi. - Sei davvero un pezzo di merda. -
-
Ripetilo un'altra volta e ti butto fuori. -
-
Pezzo di merda. - cantilenò lei. Lui le tirò un calcio
da sotto il tavolo, mancandola soltanto a causa dell'alcool in corpo;
dopodiché scivolarono in un silenzio colpevole.
-
Non potevo andare lì e fare finta che andasse tutto bene. -
mormorò Levi. Hanji alzò il capo, interessata. - Lo hai
letto il mio discorso del cazzo? Buona fortuna, divertitevi, passate
una vita amandovi. -
Si
portò una mano sugli occhi, e per un momento Hanji temette che
sarebbe scoppiato a piangere anche lui. L'unica volta in cui l'aveva
visto piangere era stato quando aveva solamente nove anni, e i
dottori l'avevano costretto a rimanere a letto e a sopportare il
dolore di una malattia a cui non potevano dare un nome; la stessa che
aveva intrappolato lei ed Erwin in quella quarantena che li aveva
portati a conoscersi. Ma Levi non stava piangendo: solo la sua voce
suonava distrutta dal dolore. Era peggio che vederlo singhiozzare.
-
Cosa dovevo fare, starmene lì e sentirgli dire quanto la ama?
- domandò. Vide le sue labbra incurvarsi in un sorriso amaro.
- A me non l'ha mai detto. -
-
Levi... - iniziò lei, ma lui la interruppe. Tolse la mano
dagli occhi e la fissò, improvvisamente più sobrio.
Aveva negli occhi una rabbia disumana.
-
Fuori dal mio locale. - sibilò. - FUORI! -
-
Sei ubriaco, Levi! - urlò lei, tenendogli testa. Lui si alzò
e la afferrò per un braccio, ignorando le sue proteste. -
Cerca di capire cosa vuoi dalla tua cazzo di vita! Non ci hai nemmeno
mai provato, a fermarlo! -
-
Non ho bisogno delle tue lezioncine da insegnante fallita, Zoe! -
aprì la porta del retro, ma nel farlo dovette mollarla. Fu
allora che lei ne approfittò per mollargli un cazzotto sul
volto; Levi cadde per terra nel vicolo del retro, e si rialzò
dopo un attimo di stordimento totale, gettandosi addosso ad Hanji e
tirandole un pugno che la mancò di striscio. Colpì il
muro e si fermò a guardare le nocche graffiate, puntellate da
piccole gocce di sangue.
-
Lasciami in pace! - urlò, voltandosi; ma Hanji non lo stava
guardando. Fissava il fondo del vicolo in silenzio, sconvolta. Levi
seguì piano la direzione in cui lei stava guardando e sentì
le gambe cedergli nel vedere la sagoma alta di Erwin, a pochi metri
da loro.
-
Io... - iniziò lui. Indossava ancora l'abito del matrimonio,
ma si era tolto la giacca e arrotolato le maniche fino al gomito, e
ogni traccia di gel era scomparsa dai capelli, che ora premevano
contro la fronte. A giudicare dal modo in cui ansimava, sembrava
fosse corso fino a lì. - I...io...posso ripassare, se volete.
-
-
Che cazzo dici?! - strillò Hanji. Levi si sentì
spingere in avanti e crollò verso Erwin, che lo fissava
sconvolto. - Io vado dentro a riordinare. Voi due...uh. Parlate. Ci
vediamo dopo. -
Aprì
la porta del retro e si infilò nel locale, lasciandoli a
fissarsi in silenzio. Fu Erwin a prendere parola per primo.
-
Non sono arrabbiato perché non ti sei presentato. - mormorò.
- Non avrei dovuto invitarti, tanto per cominciare. O chiederti di
farmi da testimone. -
Levi
non poté che annuire. La mano gli pulsava dolorosamente. - No,
non avresti dovuto. - Ignorò il modo in cui Erwin aveva alzato
il capo alla sua risposta, e il dolore nei suoi occhi. - E io avrei
dovuto avvisarti in tempo. Fine del discorso. -
Erwin
annuì, stropicciandosi gli occhi. - N...no. Non è la
fine del discorso. Levi, è così egoista volerti come
amico? Sto cercando di rispettare la tua decisione. L'ho rispettata
per tre anni. - sospirò. - Dove ho sbagliato? -
Un
pensiero colpì Levi all'improvviso: la dolorosa consapevolezza
che Erwin non aveva sbagliato, nemmeno una volta. Lui gli aveva
chiesto di smetterla di essere qualunque cosa fossero – ed era
inutile ripetersi che lo aveva fatto per Erwin: lo aveva fatto perché
aveva paura. Lui gli aveva chiesto di non sentirsi, e Erwin l'aveva
fatto fino a quando Hanji non li aveva costretti a tornare a
parlarsi.
Lui
gli aveva chiesto di smetterla di provare ciò che provava per
lui, ed Erwin lo aveva fatto. Ma ecco il punto cruciale, l'errore:
Erwin non aveva mai chiesto a Levi di fare lo stesso.
Non
riuscì a pronunciare quell'accusa ad alta voce. Erwin non lo
meritava. Erwin non meritava niente di ciò che Levi gli aveva
fatto, e gli stava facendo.
-
Tu non hai mai fatto niente di male. - sussurrò. - Sei sempre
stato soltanto quello più fortunato dei due. Quello con un
padre e una madre, quello con più amici. Se fallivi in
qualcosa, io cercavo di farmi carico di quel fallimento, ed è
sempre andata bene. -
-
Levi. - il modo in cui pronunciava il suo nome – lo amava, lo
odiava a morte. Avrebbe voluto tacesse per sempre, e lo ripetesse
fino a perdere l'uso della voce. Erwin – no, lui
ed Erwin erano pura
contraddizione. Non sarebbero mai potuti essere nulla di nulla –
amici, amanti, anime gemelle. Non era il loro destino.
Sentì
il proprio cuore tremare e si rese conto che non era solo una
sensazione – Erwin stava sfiorandolo, carezzando il suo petto.
Quando si era avvicinato? Perché si era avvicinato?
-
È troppo tardi per tutto quanto, vero? - domandò. Levi
annuì – ecco, così era perfetto. Voleva bearsi
della sensazione di essere la causa dei problemi dell'altro uomo
un'ultima volta, essere al centro delle sue preoccupazioni. Voleva
essere, e voleva essere per Erwin ed Erwin solamente.
-
Tu non hai mai fatto niente di male. - ripeté, allontanandosi
da quel tocco gentile. - È sempre stata colpa mia. -
Qualcosa
mutò nei lineamenti di Erwin. Lo aveva già visto
accadere – il giorno in cui era morta sua madre, il giorno in
cui aveva deciso che la pittura era solamente un hobby infantile, e
quello in cui lo avevano gettato fuori dal corso di medicina. Sotto
la pioggia di un cielo da funerale, di fronte al fuoco che bruciava i
quadri dipinti fino a quel giorno e immerso nel buio della sua stanza
mentre Levi lo abbracciava e cercava di riportarlo in sé
dall'apatia in cui era caduto, era come se in tutte quelle occasioni
sul volto di Erwin fosse calato un velo; come se qualcuno avesse
lasciato colare nelle crepe del suo cuore del cemento. Ad ogni nuova
crepa il cemento lo rendeva più forte ma meno bello, meno
umano, più distante da lui e dal mondo.
-
Molto bene. - mormorò. - Allora...ti saluto. -
Levi
annuì, senza smettere di guardarlo negli occhi. Aveva baciato
quelle palpebre, quegli zigomi e quelle labbra decine, centinaia di
volte, e ora non gli appartenevano più in ogni senso. Si voltò
e poggiò la mano sulla maniglia della porta del retro,
prendendosi solo un momento per considerare l'idea di dire
qualcos'altro.
Forse
avrebbe potuto dirgli quelle due maledette parole, quelle che non
aveva mai pronunciato. Fissò la schiena di Erwin, che già
si allontanava, e non aprì bocca fino a quando lui non fu
scomparso nella strada principale. Regalò quelle stupide
parole all'aria, chiedendosi se davvero c'era bisogno di pronunciarle
per dimostrare a Erwin cosa provava nei suoi confronti.
Non
se lo meritava.
*
* *
Non
fu Hanji ad informarlo della gravidanza di Irene, ma il
chiacchiericcio dei clienti. Nei mesi che seguirono quasi nessuno
menzionò il fatto che non si fosse presentato alla cerimonia –
forse non lo avevano saputo, o più probabilmente non volevano
offenderlo. Le uniche volte in cui vedeva Erwin era quando lui si
presentava al locale per arrestare un cliente, e le uniche parole che
si scambiavano riguardavano la brutta abitudine di Levi di lasciare
che ogni genere di persona, avvocato o malvivente, frequentasse il
The Styx. Non c'era mai segno di tristezza sul volto di Erwin, mai
Levi ebbe l'impressione che volesse dire qualcosa di più; la
fede al dito brillava fastidiosa ogni volta che gli allungava un
mandato di perquisizione.
-
Ti faranno chiudere. - commentò Hanji, un giorno. Erano
passati sette mesi dal matrimonio, e le loro vite sembravano tornate
alla loro distruttiva normalità.
-
Il minimo che può fare è incantare il suo capo e
mettere una buona parola per me. - replicò lui.
La
loro litigata era morta e sepolta sotto gli anni di amicizia. Levi
non ce l'aveva neanche con lei per il pugno – anche se per
qualche motivo le aveva negato il caffè per almeno due mesi,
dopo quella scazzottata. Ma ora che Erwin non c'era lei era una
presenza confortante, una dei pochi amici che gli fossero rimasti
accanto dopo il matrimonio oltre a Mike, Nanaba e occasionalmente
Nile – di cui avrebbe fatto volentieri a meno – e sua
moglie. Fu proprio quest'ultima a tirare fuori l'argomento della
gravidanza un giorno, dando il grande annuncio.
-
Ooooh, Erwin mi ha mandato la foto della bambina! - Hanji e Mike si
precipitarono a guardare lo schermo del cellulare, mentre Levi si
irrigidiva sul posto. - È...è così paffuta! Oh
mio dio, Nile, guarda! È paffuta!
-
Mike
e Hanji alzarono lo sguardo su levi, che dava loro le spalle. - Come
l'hanno chiamata? - domandò lui, cercando di suonare il più
naturale possibile. La voce gli tremava appena.
-
Greta. - rispose Nanaba, leggendo dallo schermo. - Credete che
dovremmo andare a trovarli? Magari sarebbe meglio aspettare che Irene
esca dall'ospedale... -
Non
sapeva dove Erwin abitasse. Non sapeva come fosse la sua vita
quotidiana – se si svegliasse al mattino e le baciasse la
fronte come aveva fatto spesso con lui, facendola allontanare perché
se c'era un difetto era quanto potesse essere appiccicoso di prima
mattina. Per loro non c'erano mai state colazioni tranquille e
routine mattutine, solo saluti frettolosi e ultimi baci rubati prima
di correre giù per le scale nella speranza che il padre di
Erwin non fosse in piedi. Ma loro dovevano averla, una routine. Una
colazione perfetta, una vita perfetta, ora una bambina perfetta...
Come
poteva Erwin sopportare tutto quello?
-
Levi...Levi! - Hanji si era sporta sul bancone e gli stava stringendo
il braccio. Gli altri si erano allontanati e discutevano
animatamente, ma lei lo fissava preoccupata. - Se stringi un altro
po' quel bicchiere ti si spaccherà in mano. -
Levi
posò il bicchiere di cui parlava la donna e la guardò.
Lasciò che lei leggesse attraverso la sua espressione
impassibile, per una volta; e per ringraziarlo, Hanji non commentò
il caos emotivo che vi trovò.
Notizie
della bambina arrivavano con una scadenza quasi settimanale, di
solito da qualcuno del gruppo; ma mai da Erwin, le cui visite si
fecero ancora più rade, per poi smettere definitivamente. Fino
a quel maledetto giorno di dicembre, almeno.
Due
anni erano passati con una rapidità disarmante. La vita di
Levi ormai si concentrava nel suo locale e i pochi incontri con gli
amici rimasti, e quella sera non aveva avuto nulla di diverso dalle
altre. Stava servendo al bancone assieme alla ragazza che lo aiutava
nel week end quando il ragazzino entrò, spolverandosi la
grossa felpa nera dalla neve che vi si era depositata sopra. Si
avvicinò al bancone evidentemente nervoso; Levi realizzò
che doveva avere circa quindici anni, anche se era abbastanza gracile
da dimostrarne di meno.
-
Non serviamo alcolici ai minori. - dichiarò, vedendolo
appoggiarsi al bancone. Aveva corti capelli biondi rasati sui lati
alla moda dei ragazzini, e due occhiaie pesante sotto gli occhi.
-
U...una coca cola ce l'avete? - Levi annuì. Passò la
bottiglia di vetro stappata dal frigorifero al ragazzino,
indicandogli il prezzo. Il ragazzo pagò e rimase a rigirarsi
il vetro tra le dita, come se esitasse sul da farsi.
-
Ehm... - mormorò. - Tu...tu sei Levi? -
Oh
no. Aveva degli standard anche lui; quei maledetti potevano spacciare
nel suo locale, ma non a ragazzini tanto magri da poter essere stesi
da un soffio di vento. - Sì, sono Levi. E ora esci dal locale,
ragazzo. Non... -
Non
fece in tempo a terminare la frase; qualcosa nel volto del piccolo
stava mutando, ed era uno spettacolo affascinante. I lineamenti si
fecero più adulti e morbidi, gli occhi si addolcirono e
divennero più scuri, bruni anziché verdi. Quando parlò
di nuovo, la sua voce era acuta e femminile, diversa dai mormorii
bassi di poco prima. - Mi
dispiace. - sussurrò,
e Levi sgranò gli occhi; la voce aveva un che di familiare. -
Oh, mi dispiace così
tanto. Aiutali tu, ti prego, aiutali... -
Il
ragazzo chinò la testa verso il bancone e prese a tossire
violentemente. Levi lo afferrò la spalla e lo scosse,
preoccupato; quando rialzò il volto era tornato se stesso, e
sanguinava copiosamente dal naso. - D...devo andare. - sussurrò.
Levi non fece in tempo a fermarlo prima che questi scappasse fuori
dal locale, urtando un paio di persone nella sua fuga e lasciando la
bibita sul bancone. Hanji entrò mentre lui fuggiva fuori,
senza degnarlo di un'occhiata; si diresse verso Levi, il volto una
maschera di terrore.
-
L...Levi! - esclamò. Vide che tratteneva a stento le lacrime.
- U...un'incidente. Irene...l'hanno investita. È morta mentre
la trasportavano in ospedale...Erwin mi ha telefonato, io non... -
Smise
di ascoltarla. Ora sapeva da dove provenisse quella voce, e perché
suonasse familiare; l'aveva già sentita, la prima volta un
giorno di più di cinque prima, quando Erwin era entrato da
quella stessa maledetta porta e aveva presentato a tutti la giovane
come un'amica, e lei aveva riso...
*
* *
Non
andò al funerale. Aveva i suoi dubbi sul fatto che i genitori
di Irene l'avrebbero voluto lì, lui che due anni e mezzo prima
era stato l'unica macchia scura nell'altrimenti immacolato matrimonio
della loro figliola. Hanji gli disse che era un'idea stupida, ma lui
la convinse che avrebbe parlato ad Erwin di ciò che era
successo a tempo debito.
Ed
eccolo lì, sulla porta di casa sua, a fissarlo sconcertato.
Aveva occhiaie che Levi non vedeva da anni sul suo volto, e i capelli
in disordine. Non pronunciò una parola fino a quando una
vocina alle sue spalle richiese la sua attenzione.
-
A...arrivo, tesoro! - urlò alle proprie spalle. - Io non...
non so cosa tu ci faccia qui, ma... Non è il momento più
adatto. -
Levi
lo fissò senza battere ciglio e si voltò per tornare da
dov'era venuto. Come aveva potuto pensare fosse una buona idea,
presentarsi a casa sua senza un minimo di preavviso a neanche una
settimana dalla morte di sua moglie? Era già sulle scale
quando Erwin lo chiamò; quando si voltò vide che aveva
in braccio una bimba con corti capelli biondi, intenta a mordersi il
pollice. - Levi, fermati. Puoi almeno dirmi se sei qui per...le
condoglianze? -
Levi
annuì e lo vide sospirare, indeciso sul da farsi. - Entra
dentro. Devo fare il latte a Greta, quindi dovrai aspettare. -
La
bimba annuì, felice di sapere che avrebbe ottenuto ciò
che desiderava; schioccò un bacio sulla guancia del padre
mentre i due uomini risalivano le scale. Levi si guardò
attorno mentre entravano nell'appartamento; era un luogo semplice, e
solo il tocco femminile di sua moglie lo aveva reso più vivo e
meno...Erwin.
Il pensiero che fotografie dalle cornici colorate e fiori sarebbero
scomparsi dalla casa col tempo, ricordi troppo dolorosi per
continuare a vivere, era quasi doloroso. Levi si sedette sul divano
scuro del salotto, ascoltando in silenzio il rumore del microonde che
riscaldava il biberon della piccola. La bimba in questione
trotterellò nel salotto e fissò Levi imbronciata per
qualche secondo, prima di chinarsi a raccogliere uno tra i tanti
giocattoli sparsi sul tappeto rosso scuro – una macchinina di
gomma blu – e portarlo a Levi senza troppe cerimonie.
-
Greta, vieni, è pronto il latte. - sospirò Erwin. La
bimba corse in grembo al padre mentre questi si sedeva sul divano,
lontano da Levi, e accettò di buon grado il biberon. Rimasero
a fissarla divorarne il contenuto in silenzio, entrambi incerti su
ciò che avrebbero dovuto dire.
E
ad essere onesti, cosa c'era da dire? Era andato lì su
insistenza di Hanji, ma più osservava Erwin più si
convinceva che niente di ciò che avrebbe potuto dire l'avrebbe
aiutato ad uscire dalla fossa in cui era crollato. Questa volta non
era un velo quello posatosi sul volto di Erwin, e non era cemento a
ricoprire le fessure del suo cuore; un drappo nero sarebbe stato più
adatto a descrivere il vuoto nei suoi occhi, e non esisteva un
materiale in grado di rimettere assieme i pezzi della sua anima
distrutti. Levi decise che se doveva odiarlo, almeno avrebbe fatto sì
che lo odiasse per bene.
-
Irene mi ha parlato la sera dell'incidente. - Cominciò,
accavallando le gambe e incrociando le braccia sul petto. - Sei
libero di non crederci. -
Erwin
non alzò lo sguardo. Chiuse lentamente gli occhi e lentamente
li riaprì. - Vi siete visti? - domandò. Levi scosse la
testa.
-
Un ragazzo stranissimo è venuto a parlarmi al bar e a un certo
punto aveva la faccia e la voce di tua moglie. - spiegò.
Qualcosa nel modo in cui le sopracciglia di Erwin si inarcarono gli
disse che era sulla strada giusta per farsi scaraventare fuori dalla
finestra. - Oh, piantala di fare quella faccia. Posso leggerti in
testa e ti fa strano pensare che sia tornata dal regno dei morti per
parlarmi? -
-
Non ripeterlo mai più. - Tenne i denti tanto stretti da far
assomigliare le proprie parole a un ringhio. - Mai più davanti
a lei. -
Gli
occhi della bimba si erano fatti più pesanti via via che il
latte terminava. Erwin prelevò il biberon dalle sua mani e
lasciò che lei poggiasse la testa sulle sue spalle,
abbracciandola. Levi aveva creduto che vederlo in quelle vesti lo
avrebbe disgustato – paradossalmente, si ritrovò a
chiedersi come avesse vissuto fino a quel giorno senza considerare
l'idea che Erwin potesse essere un magnifico genitore. Aveva tutti i
requisiti. Come sempre, era lui
che si sentiva
sbagliato.
-
Come credi che abbia reagito quando Irene mi ha detto che aspettava
un bambino? - domandò. - Non sono andato nel panico, sapevo
esattamente cosa avrei dovuto fare. Quello che mi ha spaventato era
l'idea di vedere mio figlio legato a un letto d'ospedale mentre
un'equipe di medici cerca di capire cosa diavolo ha che non va e
discute di aprirle la scatola cranica. -
Levi
conosceva la visione che Erwin stava descrivendo. Nel suo caso non si
erano nemmeno posti il problema – il suo unico parente
conosciuto era un anziano che soffriva di demenza senile e marciva in
una casa di riposo, per cui chi avrebbe protestato se lo avessero
restituito ai servizi sociali con un taglietto nel cranio e un
biglietto di scuse? La cicatrice pulsava ancora, certi giorni, come
per ricordargli che l'incubo vissuto a nove anni era tremendamente
reale. Non c'era nessun ragionamento scientifico dietro a ciò
che erano ed erano in grado di fare. Era qualcosa di più. -
Hai paura sia...cosa, contagioso? Ereditario? -
Erwin
poggiò una mano sulla testa della bimba e la posò sul
divano, sistemandole la testa su un cuscino e carezzando le sue
guance. Dormiva profondamente, e Levi si ritrovò a guardarla –
gli somigliava così tanto. - Ho paura. - proseguì lui.
- Di aver accettato troppo tempo fa l'esistenza di sacrifici che sono
disposto a compiere. E per il suo bene posso sacrificare una vita di
prodigi. Posso sacrificare tutto. -
Levi
annuì piano. - Se è questa la tua decisione, allora ti
faccio le mie condoglianze e me ne vado. - Si alzò dal divano
e lanciò un altro sguardo alla piccola. Era arrivato convinto
che l'avrebbe odiata – e invece, vedendola così piccola
e indifesa, era stato solamente in grado di chiedersi se c'era stato
un periodo in cui lo era stato anche lui. Non porse la mano a Erwin e
non attese che lui lo seguisse all'ingresso.
-
Levi. - La sua voce lo fermò per la seconda volta in poco
tempo. Non si era alzato dal divano, e continuava a guardare la
piccola, perso nei propri pensieri. - Cosa ha detto Irene? - domandò.
-
Mi ha chiesto di prendermi cura di voi. - ammise. Non c'erano motivi
per nasconderlo, e non si era aspettato una risposta – ma
questa volta, mentre Erwin posava gli occhi azzurri su di lui e
silenziosamente intrappolava la sua anima a sé, decise piano
che per una volta, una volta soltanto, avrebbe potuto provare a non
scappare di fronte a una responsabilità che gli avevano
appioppato.
*
* *
Greta
faceva del suo meglio per superare la scalata che la divideva dallo
scivolo con lunghe falcate pesanti a causa del giubbotto in cui era
infagottata. Quando si metteva in testa qualcosa dimostrava la stessa
testardaggine di suo padre, se non di più.
-
Ce...l'ho...fatta! - esclamò, alzando entrambe le braccia in
aria e saltellando sul posto. - Papà! Levi! Zia Hanji! Ci sono
arrivata da sola! -
-
Bravissima, tesoro! - urlò Erwin, le mani a coppa attorno alla
bocca. Hanji lanciò un urlo vittorioso, e Levi – Levi la
fissò dritto negli occhi, e non tentò di soffocare un
sorriso soddisfatto quando la piccola allungò un pollice
alzato nella sua direzione. Ricambiò il gesto, sperando che
nessuno lo vedesse.
-
E ora che cosa facciamo? - domandò. Hanji si alzò per
raggiungere la piccola e lasciarli soli.
Greta
aveva quattro anni, ormai. Il loro mondo, quella parvenza di
normalità costruita in quei due anni, era stato appena
rovesciato da qualcuno che finalmente era stato in grado di
raccontare loro cosa e chi erano. Tra i compagni del ragazzino che li
aveva avvicinati Levi aveva riconosciuto il biondino che aveva
portato con sé il messaggio di Irene, l'inverno di due anni
prima; ma non ne aveva parlato ad Erwin.
La
mano dell'uomo si posò sulla sua e Levi si voltò a
guardarlo. Due anni erano un lungo periodo, e sul suo volto
iniziavano a spuntare le rughe di una stanchezza tipica della
vecchiaia, troppo in anticipo sui tempi. Non lo sorprese; Erwin era
sempre stato vecchio dentro, con la sua incapacità di
considerare tutto troppo seriamente e prendere sulle proprie spalle
la responsabilità del pianeta, se non dell'universo. Si scoprì
grato di averlo con sé, e grato di tutte le volte in cui, in
quegli anni, aveva pronunciato quelle due parole senza temere le
conseguenze. Timidamente, poi più sicuro, infine quasi come un
rituale mattutino, ma le aveva pronunciate.
E
anche lui.
-
E ora andiamo avanti. - Rispose, stringendo le sue dita tra le
proprie. E Levi non poté fare a meno di sorridere.
______________________________________
Non
sono riuscita ad aspettare di proseguire con la storia principale
prima di scrivere e postare questo extra che già progettavo/mi
è stato richiesto. Spero i personaggi non siano risultati
troppo OOC, e spero vi sia piaciuta quanto a me è piaciuto
scriverla.
Alla
prossima con HkN, e grazie per aver letto.
-Joice
|