SBAGLIANDO S’IMPARA, MA E’ SEMPRE TROPPO TARDI
La prima volta che ci eravamo visti mi avevi aiutato quando
tre ragazzi mi stavano picchiando.
Ero a terra con un labbro spezzato e un occhi nero.
Tu eri di fronte a me con le mani in tasca, mi guardavi
dall’alto in basso
- Si può sapere perché non ti sei difeso? - mi avevi
chiesto.
A quelle parole avevo sorriso
- Semplice: non ne avevo voglia -
- Sei proprio un idiota - avevi detto - come hai potuto
lasciarti ridurre in questo modo? -
Avevo sbuffato
- Che ti importa? -
A quel punto mi avevi allungato una mano per aiutarmi ad
alzarmi
- M’importa - avevi risposto semplicemente.
Avevo afferrato la tua mano e solo in quel momento mi ero
accorto che indossavi la divisa della mia scuola; già, la scuola, erano settimane
ormai che non la frequentavo più. Sul colletto c’era scritta la classe, era la
mia, mi ero stupito, ma poi avevo capito
- Sei il nuovo studente che si è trasferito da noi la
settimana scorsa? - ti avevo chiesto - Sebastian, se non sbaglio -
Avevi annuito
- E tu sei Raphael -
- Come lo sai? -
- Perché ti osservo da quando mi sono trasferito qui e mi
sono informato sul tuo conto -
- Se non vengo mai a scuola come puoi avermi visto? -
- Abito nella casa vicino alla tua -
Ero rimasto sorpreso. Com’era possibile che non ti avessi
mai visto prima? Ma poi avevo ripensato a quello che mi avevi detto poco prima
- Ti sei informato su di me? - non capivo, perché avresti
dovuto farlo?
- Mi sembri una persona interessante, più di tutti gli altri
a scuola -
Da quel giorno avevamo iniziato a passare insieme diverso
tempo, io avevo addirittura ricominciato a frequentare le lezioni e tu mi
aiutavi nelle risse. Non che avessi bisogno di aiuto, ma continuavo a non
difendermi; tu non riuscivi a capire perché e io non ti davo spiegazioni, mai,
nemmeno un accenno sul motivo, semplicemente sorridevo e dicevo ‘non ne avevo
voglia’.
Avevamo continuato questa vita per qualche mese, non un solo
cambiamento. Io non ti permettevo di avvicinarti troppo a me e sembrava che tu
avessi rinunciato a farlo. Era mancanza di fiducia? Probabile, ma non ne sono
certo nemmeno ora.
- Ti amo - avevi detto, un giorno, all’improvviso.
Non un’esitazione, non un tremore nella voce. Eri stato
schietto e diretto, come tuo solito, ma io non volevo quello da te
- Non è vero - ti avevo risposto e me n’ero andato.
Da quel momento, ogni volta che ci vedevamo, me lo ripetevi
sempre, in continuazione e io negavo; ma una volta guardandomi negli occhi mi
avevi chiesto spiegazioni
- Come puoi dire che non è vero? Nonostante ti abbia detto
quello che provo non è cambiato niente. Non mi allontani, ma nemmeno mi
permetti di avvicinarmi di più a te -
- Tu non puoi essere innamorato di me -
- Perché? -
- Perché non mi conosci, non sai niente di me, non sai cosa
faccio… - avevo interrotto così la frase, non avevo il coraggio di continuare,
tu non dovevi sapere com’era realmente la mia esistenza, esistenza in cui eri
riuscito a riportare un po’ di luce.
Mi avevi abbracciato
- Allora dimmi tutto quello che non so. Voglio conoscere
ogni tuo segreto -
Mi ero liberato dalla morsa delle tue braccia. Chissà come
sarebbe andata per noi se io, in quel momento, ti avessi detto ogni cosa.
Io mi facevo picchiare perché il dolore che sentivo provava
che ero ancora vivo. Avevo bisogno di quel dolore, avevo bisogno di quella
prova. Era da un anno che avevo smesso di sentirmi vivo, da quando avevo
iniziato a vendere il mio corpo, dopo la morte della mia famiglia.
Come potevo dirti questo?
I miei genitori erano m orti a causa mia. Avevo insistito
tanto per farli venire a vedere una partita di basket alla quale dovevo
partecipare, era la finale di un torneo tra le scuole della città e si sarebbe
tenuta nella palestra della nostra scuola. Avevano preso un pomeriggio di
permesso dal lavoro per accontentarmi, ma non raggiunsero mai l’edificio.
Avevano avuto un incidente, una macchina sulla corsia opposta si era buttata in
sorpasso andando dritta addosso a quella dei miei genitori.
Come potevo dirti di come mi sentivo colpevole?
- Addio Sebastian - quelle erano state le mie ultime parole.
Pochi giorni dopo la scuola era finita e tu avevi lasciato
la casa dei tuoi genitori andando a vivere in un’altra città senza dirmi nulla.
Ogni giorno pregavo per poter tornare indietro a quei
giorni, ma non succedeva mai.
Dopo la scuola avevo continuato a vendermi, ma i soldi non
bastavano mai perché avevo iniziato a fare uso di droghe. Mi avevano sfrattato,
non pagavo l’affitto da diversi mesi.
Il dolore che mi provocavo tagliandomi non era sufficiente
per sentirmi vivo e le droghe non bastavano per farmi stare meglio. Avevo anche
pensato di uccidermi, ma infondo a che scopo? Ero già morto dentro.
Ogni notte pensavo a te, immaginavo che fossi tu a
possedermi e non quegli sconosciuti. Questo mi aiutava a tirare avanti.
In quel periodo desideravo solo poterti rivedere per
chiederti perdono, non ti avrei mai dichiarato il mio amore, non potevo, ormai
era tardi, ormai avevi sicuramente qualcun altro al tuo fianco, ma dentro di me
avrei continuato ad urlare tutto il mio amore per te.
Era questo quello che pensavo quando mi coricavo.
Poi, un giorno, ti avevo visto in televisione. Eri diventato
un attore; non avrei mai creduto che potessi fare un lavoro del genere. Avevo
sorriso al pensiero di te, che non amavi parlare, circondato da fotografi che
ti riempivano di domande.
Avevo iniziato a fare ricerche in internet e a seguire le
notizie sui giornali che ti riguardavano per cercare di tenermi informato. Come
tu avevi fatto con me anni prima, anch’io avevo intenzione di informarmi sul
tuo conto.
In un’intervista ti avevano chiesto se era vera la notizia
della tua relazione con un’altra attrice, avevi negato
- Non ho nessuna relazione - avevi detto - sono innamorato,
ma quando mi sono dichiarato sono stato rifiutato - non avevi aggiunto altro e
te n’eri andato.
Mi ero domandato di chi stessi parlando, avrei voluto
chiedertelo.
D’improvviso, qualche mese dopo, ti eri ritirato dal mondo
dello spettacolo. Da allora era sempre più difficile ottenere informazioni
sulla tua vita.
Da quando ti avevo rivisto in tv dopo anni dal nostro addio,
avevo smesso di tagliarmi, ma ancora non riuscivo a smettere con la droga e
continuavo a vendere il mio corpo.
Una sera al locale dove lavoravo entrò un ragazzo moro
proprio come te, ti somigliava molto; ero andato io da lui e mi ero occupato io
del suo piacere per tutta la notte. Mi piaceva sentire il mio nome pronunciato
dalle sue labbra.
Tornò anche la notte successiva e quella dopo ancora, per
circa una settimana chiedendo sempre di me, ma poi era sparito, non si era più
presentato. Un po’ mi dispiaceva, ma poi mi ero reso conto che mi sentivo così
perché in lui rivedevo te.
Alla fine ne ero uscito. Avevo smesso di drogarmi grazie ad
una ragazza che avevo conosciuto per caso e, sempre grazie a lei, avevo trovato
un lavoro nuovo.
Ci eravamo messi insieme, io per non pensare a te e lei per
dimenticare un altro ragazzo. Eravamo d’accordo che sarebbe durata solo fino a
quando uno dei due si sarebbe innamorato di qualcun altro.
La storia era andata avanti tre mesi circa, poi aveva
conosciuto un ragazzo con cui aveva iniziato ad uscire per poi andare a vivere
con lui.
Era un giorno come tanti altri quello in cui la mia vita
aveva avuto una svolta. Erano le otto del mattino, stavo chiudendo a chiave la
porta quando due braccia mi avevano afferrato da dietro. Avrei dovuto
spaventarmi e girarmi per vedere chi avevo alle spalle, almeno era la reazione
che di norma si ha, ma per qualche motivo in quell’abbraccio mi ero sentito
bene, mi aveva fatto provare nostalgia.
Avevo afferrato le mani dell’altro appoggiando la testa sul
suo petto
- Ce ne hai messo di tempo, Sebastian - e mi ero girato
nell’abbraccio per portare le mie braccia attorno al tuo collo.
Eravamo rimasti così per diversi minuti poi eri stato tu a
rompere il silenzio
- Sembri più sollevato ora - avevi sorriso dicendo quelle
parole.
- Lo sono -
Avrei voluto chiederti perché eri ricomparso, perché eri
tornato proprio quel giorno, ma alla fine avevo deciso di rimandare e di
godermi quel momento.
Eravamo rientrati in casa, avevo telefonato al lavoro
prendendomi la giornata libera, poi ci eravamo sistemati sul divano del salotto
- Ti amo, Raphael - avevi bisbigliato al mio orecchio.
Mi sembrava incredibile di poter sentire ancora quelle
parole pronunciate da te a distanza di così tanto tempo
- Non ho mai smesso di amarti - avevi aggiunto subito dopo.
- Davvero? -
Avevi avvicinato il tuo viso al mio fermandoti a un paio di
centimetri di distanza
- Non dici più che non è vero? -
Non avevo risposto, infondo cosa avrei dovuto risponderti?
- Ti amo - mi avevi ripetuto una, due, tante volte, come per
farmi capire che dicevi sul serio.
- Mi dispiace - era stata l’unica cosa che ero riuscito a
dire.
- Non è colpa tua - avevi iniziato - non mi amavi quando andavamo
a scuola quindi immaginavo che non avresti ricambiato nemmeno adesso, ma volevo
dirtelo ancora -
Ti avevo guardato per un attimo spiazzato, poi avevo capito:
avevi frainteso le mie parole
- Non è a quello che mi riferivo. A me dispiace di come ti ho
allontanato - avevo sussurrato - Non avrei dovuto risponderti in quel modo, ma
non avevo il coraggio di dirti la verità -
Mi avevi abbracciato più forte chiedendomi di continuare
- Io non potevo stare con te, non ero alla tua altezza -
sentendo quelle parole mi avevi fulminato con lo sguardo - ero sporco - avevo
finito con un sussurro appena udibile
- Ma cosa stai dicendo? - avevi chiesto, non capivi.
Allora avevo iniziato a raccontarti del mio passato, dai
miei genitori al mio lavoro. Ti avevo raccontato delle risse e di come tu avevi
riportato un briciolo di felicità nella mia vita.
Avevo paura che alla fine mi avresti disprezzato, ma avevi
il diritto di sapere. Ormai non ero più un ragazzino, non dovevo più essere
egoista cercando di proteggere me stesso a tuo discapito.
Avevo lo sguardo basso, ma con due dita sotto il mento mi
avevi sollevato il viso.
- Posso baciarti? - non avevi aspettato che ti rispondessi.
Quello era il nostro primo bacio.
Avevamo parlato tanto quel giorno, ti avevo raccontato tutta
la mia vita e tu avevi fatto lo stesso, o almeno credevo, come avrei potuto
sapere che mi stavi nascondendo la cosa più importante?
Abbiamo vissuto insieme per diversi mesi prima di scoprire
cosa non mi avevi detto. Eri malato, molto. Avevi abbandonato, più di un anno
prima, il mondo dello spettacolo per curarti, ma le cure non avevano avuto
l’effetto sperato e ti rimaneva poco da vivere, un anno al massimo. Era stato
dopo aver ricevuto questa notizia che eri venuto da me, ma questo l’ho saputo
pochi giorni fa quando tua madre era venuta a trovarmi per consegnarmi una
lettera che tu le avevi lasciato per me. Grazie a quella lettere molti tasselli
sono andati al loro posto: perché avevi lasciato la televisione, perché eri
tornato da me, ma soprattutto, perché mi hai lasciato un paio di mesi fa
lasciando solo un biglietto con scritto ‘Perdonami se me ne vado di nuovo senza
dirti nulla. Ti amerò per sempre’. Avevo provato rabbia, ma ora capisco, negli
ultimi giorni che avevamo passato insieme tu stavi sempre peggio (me n’ero
accorto ma tu negavi dicendo che era sempre stanchezza) non volevi che ti
vedessi così, vero?
Questa mattina sono stato al tuo funerale, ma non ho avuto
il coraggio di avvicinarmi troppo al tuo corpo, steso in quella cassa di legno
scuro, non ho avuto la forza di dirti addio per sempre, come avrei potuto
farlo?
Nonostante tutto, però, continuerò a vivere, vivrò anche per
te e sorriderò il più possibile perché dicevi di amare il mio sorriso.
Non ti dimenticherò e un giorno ti raggiungerò, ma non
ancora.
E piano sorrido mentre guardo una nostra foto
- Ti amerò per tutta la vita, Sebastian -.
FINE
Scusate per questa ‘cosa’, ma è nata in un momento di
depressione (colpa di una mia ‘amica’)… e scrivere è il modo migliore di
sfogarsi per me.
Comunque se mi lasciate un commentino sarei contenta ^^
Ciao ciao e grazie