Ore 03:32

di Crateide
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Tra i dati positivi della mia eredità abruzzese metto anche la tolleranza, la pietà cristiana (nelle campagne un uomo è ancora 'nu cristiane?), la benevolenza dell'umore, la semplicità, la franchezza nelle amicizie [...]. Quel senso ospitale che è in noi, un po' dovuto alla conformazione di una terra isolata […]. Amico, dell'Abruzzo conosco poco, quel poco che ho nel sangue.
- Ennio Flaiano -

 

 

 

 

 

Alle 03:32 le montagne hanno ululato il loro dolore ad un cielo senza stelle.
La terra si è sconquassata, la Natura ha dato prova della sua forza, della sua supremazia; ha ribadito quanto siamo insignificanti di fronte a Lei, quanto le basti poco per spezzarci.

 
Boati, urla, pianti.
La terra d’Abruzzo – terra di forti alture e caparbie genti – si è spaccata, ha sanguinato. Alle 03:32, la sua Aquila si è spezzata le ali e ha perduto i suoi piccoli.
Il grido si è levato alto, in una notte di disperazione; è volato via insieme a sogni e speranze, insieme a vite ormai scomparse fra polvere e macerie.

 
Il Sole illumina i pulviscoli che ancora danzano nell’aria. Sembrano quasi voler fuggire.
E adesso, con la luce, si vede ciò che resta dopo l’ora fatale, dopo la ferita e il sangue: il dolore di madri e padri che hanno perduto i propri figli; gli occhi spauriti e forse inconsapevoli di bambini orfani; il silenzio lasciato della gioventù ormai svanita, la tristezza di una vecchiaia non più serena.

Stride ancora, L’Aquila, e volge di nuovo il capo verso la Bella Addormentata1, la Signora che ancora una volta veglierà su di lei. L’alba ne trafigge l’irraggiungibile volto candido, rischiarandolo: pare pianga.

 

 

 

 

1 La Bella Addormentata è il Gran Sasso d’Italia. In Abruzzo lo chiamiamo così, perché il suo profilo ricorda quello di una donna che dorme.

 

 

Angolino dell’autrice:

Ciao a tutti!
Voglio essere breve: sono abruzzese e, anche se non sono aquilana, ricordo ancora le pareti di casa che ondeggiavano impazzite. Ricordo la mobilitazione, il dolore, le lacrime; ho ancora impressi gli occhi lucidi dei miei coetanei aquilani, ospitati nel mio liceo sulla costa.
Ricordo anche L’Aquila prima e dopo il terremoto. Ora non c’è più vita, è una città fantasma, davvero triste: rammento che si faceva fatica a passare nel centro storico, per quante persone – studenti, soprattutto – lo affollavano. Fa male, adesso, saperla ridotta così. L’Abruzzo è sempre stato chiuso in se stesso e, forse, è per questo che la ferita non si rimargina...
Avevo bisogno di buttare giù questi pensieri, niente di più. Ringrazio chi avrà voglia di leggere!





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