-Lo
chiamo o no?
-Chiamalo, Michael. Fallo e basta.
-Chiamalo o ti giuro che non rivedrai mai più i tuoi cd
degli All Time Low.
-Ma non so cosa dire.
-Te lo suggeriamo noi, cosa dire.
-E se poi ci faccio una figura? Ho già voglia di
sotterrarmi…
-È stato lui a darti il suo numero, non puoi farci una
figura.
-Vai tranquillo, forza.
-E se fosse etero?
-Per Dio, Michael!- sbottò Ashton, passandosi una mano tra i
capelli ricci; si
lasciò cadere sul letto, accanto all’amico, e lo
fulminò con un’occhiata. –Io
sono etero e ti assicuro che se un
ragazzo cerca di abbordarmi in discoteca non mi metto a ballare con
lui, non mi
struscio addosso a lui e soprattutto non gli lascio il mio numero di
telefono
dicendogli che può richiamarmi quando vuole.
Era domenica mattina e Michael era in camera sua insieme ad Ashton e
Calum, ai
quali aveva appena finito di raccontare nei dettagli cosa era successo
la sera
prima nel locale, con il ragazzo biondo di nome Luke. Passati gli
effetti del
doposbronza, dopo aver scolato una bottiglia di acqua fresca per
allontanare il
mal di testa, Michael si era ritrovato ad arrossire nel ricordare
tutto; in
vita sua non ci aveva mai provato con qualcuno, tantomeno con un
ragazzo.
Ti va di ballare?, aveva chiesto a
Luke, e lui aveva accettato subito, avevano ballato insieme per quello
che era
sembrato un tempo interminabile; Luke gli aveva persino lasciato il suo
numero,
quindi di sicuro voleva rivederlo. Magari si sarebbero dati
appuntamento, si
sarebbero incontrati, avrebbero iniziato a frequentarsi e conoscersi.
Pian
piano si sarebbero innamorati e alla fine si sarebbero messi
insieme…
-Allora, lo chiami o no?- disse Calum, risvegliandolo dalle sue
fantasticherie;
il ragazzo era seduto sul pavimento a gambe incrociate e lo fissava con
uno
sguardo impaziente.
-Io… sì, giuro che lo faccio.
Michael abbassò lo sguardo sul cellulare che teneva in mano,
sulla schermata
dove aveva segnato il numero di Luke. Doveva solo premere il tasto per
avviare
la chiamata ed era fatta, pensò.
Ricordò gli occhi azzurri del ragazzo, il suo sorriso, il
piercing che gli
brillava sul labbro. Ripensò a quelle mani sulle sue spalle
e sui suoi fianchi
e si sentì le guance andare a fuoco. Non sapeva come
comportarsi, cosa dirgli.
In fondo non sapeva nulla di lui, se non il suo nome. E se avesse detto
qualcosa di stupido e imbarazzante?
-Hai dieci secondi prima che i tuoi cd facciano una brutta fine.- disse
Ashton,
incrociando le braccia al petto. Calum inarcò le
sopracciglia e aggiunse: -Forza.
Non pensare a quello che fai, fallo e basta, altrimenti poi ti pentirai
di non
averci neanche provato.
Aveva ragione. Fallo e basta, non pensare. In un scatto di coraggio,
Michael
premette il tasto della chiamata e si portò il cellulare
all’orecchio. Prese un
respiro profondo; il cuore gli batteva all’impazzata nel
petto, così forte che
sembrava rimbombargli nella testa insieme agli squilli del telefono.
Rispondi, ti prego, rispondi. pensò,
stringendo forte la mano libera intorno a un lembo di coperta del
letto. Rispondi.
Non aveva idea di cosa dire se Luke avesse risposto alla
telefonata ma non
importava.
Ormai era fatta.
Quella domenica Luke Hemmings si era svegliato verso le undici, con
ancora
tanto sonno addosso e nessuna voglia di alzarsi dal letto.
Così aveva chiuso
gli occhi e si era raggomitolato di nuovo tra le coperte; era rimasto
così per
circa un’ora, in uno stato di beata dormiveglia,
finché non aveva iniziato a
sentire il sonno che scivolava lentamente via.
Si rigirò su un fianco e aprì piano gli occhi;
sbatté un po’ le palpebre prima
di mettere a fuoco l’orologio da parete a forma di chitarra
che, davanti a lui,
segnava mezzogiorno e un quarto. Tra poco sua madre sarebbe arrivata ad
urlargli contro che era quasi pronto il pranzo, solo per farlo alzare,
come
faceva ogni volta che Luke rimaneva a letto fino a mezzogiorno, e
avrebbe
iniziato ad aprire armadi e cassetti per tirare fuori i suoi vestiti
mentre
continuava a parlare, rendendogli impossibile continuare a dormire in
santa
pace.
Adesso mi alzo., pensò
Luke, trattenendo
uno sbadiglio. Chiuse gli occhi e si preparò mentalmente,
ripetendosi di
scostare la coperta e alzarsi prima che sua madre arrivasse spalancando
la
porta.
-Hard days made me, hard nights shaped me,
I don’t know they somehow saved me…
Luke spalancò gli occhi e si tirò su a
sedere mentre il suo telefono,
poggiato sul comodino accanto al letto, iniziava a squillare; lo
afferrò e si
concesse qualche secondo per continuare ad ascoltare la suoneria di The Young and the Hopeless, poi
lanciò
un’occhiata al display; non conosceva il numero che lo stava
chiamando. Chi
poteva essere? Forse qualcuno della sua scuola, qualcuno che aveva
sbagliato
numero oppure…
Il ragazzo di ieri.
Ricordò il ragazzo che aveva incontrato la sera
prima in discoteca; doveva
essere stato abbastanza brillo quando si era avvicinato a lui per
chiedergli di
ballare, si capiva dal suo sguardo e dalla voce, ma Luke
l’aveva trovato
adorabile. Bello nei suoi jeans trasandati e coi capelli rosso fuoco
sparati da
tutte le parti. Non appena avevano iniziato a ballare, Luke aveva
deciso di
voler conoscere quel ragazzo. Non sapeva perché, in fondo di
lui non sapeva
niente, neanche il nome. Ma qualcosa gli aveva fatto venire voglia di
lasciargli il suo numero di telefono e invitarlo a chiamarlo quando
voleva.
Speriamo che sia lui., pensò
Luke e
premette il tasto per rispondere alla chiamata. Si portò il
cellulare
all’orecchio e, con la voce piena di aspettativa, disse:
-Pronto? Chi è?
Oddio, ha risposto, ha risposto.
Michael si sentì quasi morire quando
sentì la voce di Luke rispondere:
-Pronto? Chi è?
Si voltò verso Ashton e Calum e li guardò ad
occhi sgranati, implorando
silenziosamente aiuto. Calum cercò di soffocare una risata,
Ashton inarcò le
sopracciglia e mormorò un: -Sii sicuro di te.
-Pronto?
Di nuovo la voce di Luke. Michael tirò un respiro profondo e
decise di
buttarsi; magari, se avesse fatto finta di essere una persona sicura,
decisa e
disinvolta e dire cose che normalmente non avrebbe detto, tutto sarebbe
venuto
da sé.
-Ehi.- iniziò, nel suo tono più allegro.
–Sei Luke, vero? Io sono quel ragazzo
che ieri in discoteca ti ha chiesto di ballare e a cui hai lasciato il
tuo
numero di telefono. A proposito, mi chiamo Michael.
Ashton e Calum si scambiarono un’occhiata divertita e
trattennero un’altra
risata. Michael, con le mani sudate e il cuore ormai a mille, si chiese
come
avrebbe potuto uccidere i suoi migliori amici.
-Ehi, ciao, mi ricordo di te.- fu la risposta di Luke. Michael
sentì subito il
cuore alleggerirsi e decise di andare dritto al punto.
-Senti, non è che in questi giorni ti andrebbe di
vederci…
-Scusa, puoi… puoi aspettare un attimo? Ho mia madre alla
porta che urla, non
posso parlare. Ti scrivo io tra un minuto, va bene?
-Certo, va bene.- balbettò Michael.
-Ci sentiamo tra pochissimo, Michael.
Il click della chiamata che si chiudeva. Calum gli lanciò
un’occhiata
sconcertata e disse: -Allora? Perché ha attaccato subito?
-Mi ha detto che non poteva parlare perché c’era
sua madre e che mi scrive tra
un minuto.
-Ottimo.- disse allegramente Ashton, e passò un braccio
intorno alle spalle di
Michael. –Sono felice di vederti mentre ti frequenti con
qualcuno, finalmente.
Cioè, questa è la tua prima storia in quasi
diciassette anni di vita…
-Non è vero, ho avuto una ragazza in quarta elementare.-
rise Michael.
–Comunque non è che ci stiamo frequentando,
cioè, non lo conosco nemmeno…
-Ma lo farete presto.- disse Calum. –Sta per riscriverti,
quindi probabilmente
vi vedrete e…
Venne interrotto dallo squillo del telefono che segnava
l’arrivo di un
messaggio. Michael afferrò il cellulare e, col cuore in
gola, si affrettò a
visualizzarlo.
Ci sei oggi? Possiamo vederci davanti al
bar Looken alle cinque del pomeriggio.
-Allora, cosa dice?- lo incalzò Calum, e Ashton si
avvicinò di più a
Michael per lanciare un’occhiata allo schermo del cellulare.
-Mi ha… chiesto di uscire. Oggi. Alle cinque. Al bar
Looken.- rispose Michael,
senza riuscire a nascondere il sorriso che gli affiorava sulle labbra.
Digitò
velocemente un “Va benissimo,
allora a
oggi”, inviò il messaggio e mise da
parte il cellulare, sempre con il
sorriso stampato in faccia.
-Secondo voi va bene se ci vado con la maglia di un teschio e gli
stessi jeans
di ieri?
-Beh, considerato che non hai niente di meglio nell’armadio a
parte lo smoking
che hai dovuto comprare per il matrimonio di tua zia…- rise
Ashton.
-Allora vada per la maglia col teschio.- disse Michael. Non riusciva a
smettere
di tormentare nervosamente i lembi della coperta; ancora non riusciva a
credere
di avere un appuntamento, un vero
e
proprio appuntamento con qualcuno. –Tanto non credo che
farà troppo caso a come
sono vestito, siamo ragazzi. Però ai capelli cerco di dare
un’aggiustata. E
adesso che scendiamo a mangiare copritemi con mia madre, ok? Le dico
che oggi
pomeriggio vengo a studiare da voi per il compito di domani.
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