Amorino

di Ornyl
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Le stringeva la mano con forza, quasi non voleva lasciarla scappare. Ella intanto procedeva a testa bassa, con i capelli bruni e lunghi come drappi sulle spalle e sul suo piccolo seno pallido, quasi grata e felice per il contatto con quella mano grande e robusta: non aveva mai stretto la mano ad alcuno in vita sua, e ora quel contatto le pareva speciale e salvifico come un miracolo.
Egli si voltò nuovamente e i loro sguardi si incrociarono, ed ella riuscì ad ammirarlo meglio: era bello, sì, decisamente, con quel volto fermo e i grandi occhi neri, neri come i suoi corti e folti capelli, come le belle sopracciglia che rendevano più virili i suoi occhi da bambino, come la pesante giacca. E oh, la portava per mano! Un uomo così affascinante che le teneva la mano e quasi il polso, tanto erano robuste le sue belle dita morbide! E la portava per mano in mezzo a due ali di folla, oh! Che la invidiassero, maledetti! Che desiderassero quelle mani che adesso lei stringeva, che si rodessero il fegato!
La piazza sarebbe stato il loro tempio e il boia avrebbe portato la fiaccola nuziale.
-Sali- le disse, e fu la prima volta che udì la sua voce, ferma e virile come il proprietario. I suoi occhi erano tizzoni ardenti che le parlavano, che le ordinavano di eseguire ciò che avrebbe detto, che piegavano lei, sì, proprio lei che non aveva mai ricevuto ordini da alcuno. 
Un piede calcò il primo gradino, l'altro il secondo e si arrivò al terzo.
Quello, sì, quello sarebbe stato l'altare presso cui l'avrebbe amato per sempre! Poco importa se avesse la forma di un patibolo su cui l'avrebbero arsa viva: ella già ardeva, e le fiamme non sarebbero state che l'abito da sposa di una strega maledetta.
Miserere mei, Domine.




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