Jaspar
Era
stata una giornata terribile. La ragazza l'aveva lasciato, aveva
litigato con un paio di amici e sua madre gli aveva ripetuto, per
l'ennesima volta, il fatto che il suo lavoro, con il quale lui si
procurava i viveri, non fosse un vero lavoro,
ma un hobby. Un hobby retributivo, certo, ma anche vendere collanine e
braccialettini era retributivo, ma era pur sempre un maledetto hobby da
checce. Ed eccolo, finalmente era tornato a casa, finalmente poteva
buttarsi a letto e soffocare un urlo nel cuscino, e magari qualche
lacrima. Cercava di prendere la giornata alla leggera. Magari il giorno
dopo la sua ragazza gli avrebbe chiesto di tornare insieme, avrebbe
fatto pace coi suoi amici e sua madre avrebbe smesso di rinfacciargli
di essersi messo a fare lo youtuber. Sì, come no, magari
quest'ultima cosa non sarebbe mai accaduta. Ed era così
dannatamente stanco, che semplicemente non vedeva l'ora di tuffarsi sul
materasso, di coprirsi con quattro strati di coperte e dormire.
Girò la chiave nella toppa, e davanti a lui vi era il buio
più totale. Non pensò a nulla, non
riusciva a
pensare ad altro che alla giornata di merda. Automaticamente
appoggiò la mano sul muro accanto a lui, tentennando alla
ricerca dell'interruttore. Schiacciò ed in un batter
d'occhio la
stanza s'illuminò del tutto. La cucina, il piccolo salottino
all'entrata: tutto era in perfetto ordine. Nemmeno ciò gli
procurò un pensiero, un qualche dubbio che potesse essere
accaduto qualcosa. All'improvviso però, vide un'ombra
sfrecciare
dal bancone della cucina fin sotto le scale. Cosa diavolo era stato?
L'ansia iniziò a salirgli su per la colonna vertebrale.
Sentiva
ogni muscolo, già doloranti dallo stress, irrigidirsi uno ad
uno, e la pelle elettrizzarsi dalla paura. Tremante, scese
giù
per le scale, gradino per gradino, con la paura addirittura di
afferrarsi al corrimano, per il timore di qualcosa che avrebbe potuto
toccarlo. Si tenne perciò quasi appoggiato al muro, mentre
scivolava lentamente fino all'ultimo gradino.
«Joe...»
mormorò, «spero
che questo non sia uno dei tuoi stupidissimi...» non
terminò la frase, perché l'ombra gli sfreccio
nuovamente
davanti andando proprio a finire sulla porta di camera sua.
Respirò profondamente ed avvicinò la mano alla
maniglia.
Sospinse la porta verso l'interno e saltò all'indietro,
urlando.
Un mostro dalla faccia tremenda gli era appena saltato addosso,
ruggendo ancor più forte di lui, e scuotendo la testa,
muovendosi in una cadenza animalesca, bestiale.
«PORCA PUTTANA, JOE!»
esclamò, dandogli uno spintone contro il muro. Il suo
coinquilino si sorprese un attimo per il gesto, ma nonostante
ciò non riusciva a smettere di ridere. Si tolse la maschera
e la
gettò a terra. Caspar era tremendamente infuriato, voleva
solo
picchiarlo, farlo soffrire. «Dove cazzo hai messo la
videocamera,
eh?! Dove cazzo è?» si guardò intorno e
la
trovò, sopra un comodino, che lo stava filmando.
L'afferrò con entrambe le mani ed istintivamente fece per
buttarla sul pavimento con tutte le sue forze, ma si trattenne. Sapeva
quanto un oggetto del genere valesse in denaro. La diede in mano al
coinquilino, con un gesto rapido e incazzato. Joe l'afferrò,
un
po' incredulo. Sicuramente non si aspettava una reazione del genere.
«Ascoltami bene,
Joe» gli disse allora
Caspar, pungolandolo con un dito, mentre il suo petto saliva su e
giù, a respiri brevi e spezzettati dalla rabbia,
«Sei un
coinquilino di merda,
una testa di cazzo.
I tuoi scherzi non fanno ridere un cazzo
di nessuno, ed io soprattutto mi sono rotto i cazzo di coglioni a
stare qui con te, a sopportare i tuoi momenti di noia, che sfoghi su, indovina chi?, me.
Adesso, caro Joe, te ne torni nella tua stanza e non mi rompi
più le palle fino a quando io non decido di
riprendere a parlarti. Niente mi trattiene dal tirarti un pugno in
faccia e mandarti a
fare in culo per il resto delle nostre vite» lo
avvertì, sospingendolo ancora di più verso il
muro.
«Ma, Caspar...»
tentò lui.
«Non rivolgermi la parola.
È l'ultima
volta che ti avverto» entrò in camera sua e si
richiuse la
porta alle spalle, con un tonfo. Se prima pensava che quella giornata
non sarebbe potuta andare peggio, be', si dovette ricredere.
Joe era muto, di fronte alla porta
dell'amico.
Sì, perché nonostante Caspar l'avesse chiamato
solo
"coinquilino", lui lo considerava ancora uno dei suoi migliori amici,
se non proprio il migliore. Teneva la videocamera in mano, e guardava
verso il basso, con gli occhi sbarrati, come se stesse cercando
qualcosa. Deglutì. Si sentiva un nodo alla gola e, anche se
capiva di cosa si trattasse, si rifiutava, internamente, di star per
piangere. Il suo era stato uno scherzo innocente, dannazione! Per
continuare la loro Prank
War,
non per altro. Voleva solo dargli altro pane per i suoi denti,
alimentare il desiderio di guerra e di vendetta. Ed invece l'aveva
fatto incazzare. Stava tremando. Strofinò il dorso del
braccio
sul viso, asciugando qualche lacrima che era sfuggita dal suo volere.
«Porca puttana...» imprecò a bassa voce.
Si sentiva
umiliato e colpevole. Non era ciò che voleva, farlo
incazzare
non era il suo obiettivo. Infine si decise di recarsi nella propria
camera da letto, amareggiato più che mai da se stesso.
«Joe» una voce quasi
sussurrata gli
arrivò alle orecchie. Presto percepì anche il
tocco di
una mano sul suo braccio. «Joe?». Aprì
gli occhi,
strofinandoseli. Ci mise qualche secondo a capire che la figura di
fronte a lui fosse quella di Caspar, leggermente chinato verso la sua
persona, in piedi, davanti al suo letto.
«Che ore sono?»
mormorò, lentamente.
«Le quattro e
qualcosa...» rispose,
«Senti, volevo parlarti». Al sentire quella frase,
Joe si
fece un po' più indietro, lasciandogli lo spazio sul
materasso.
«Siediti». Caspar
prima si sedette, e
poi si sdraiò di lato, con il volto verso di lui. Erano
faccia a
faccia. Joe era sotto un paio di coperte, mentre Caspar si era sdraiato
sopra di esse. D'inverno a Londra a volte c'era un freddo pungente. Il
biondino cominciò a tremare.
«Gelo» sorrise.
«Non come quando abbiamo
giocato a Brain Freeze»
Joe fece un sorriso malizioso.
«No! Perché mi fai
venire in mente queste cose proprio in questo momento?»
«Perché
così il congelamento non
è solo fisico, ma anche psicologico»
replicò
l'altro.
«Mi stai facendo pentire
dell'essere venuto qui a parlarti...».
«Mettiti sotto le coperte, se
questa chiacchierata dev'essere davvero così
lunga». Detto fatto, Caspar si sistemò velocemente
sotto
le coperte, continuando a tremare mentre si godeva il calore. Per
sbaglio gli sfiorò il piede: quello di Joe era tiepido,
mentre
il suo era freddo. Nessuno dei due si mosse.
«Allora, dimmi» lo
esortò Sugg.
«Bene.. Senti, io non pensavo
ciò che
ho detto. Ho avuto una brutta giornata ieri, sono stato mollato, ho
litigato con Oli, e mia madre mi ha rimproverato più
duramente
del solito. Non ce l'avevo con te, ero incazzato con la situazione. Lo
scherzo è stata la goccia che ha fatto traboccare il
vaso.» si strinse nelle spalle e, facendolo, si toccarono le
mani. Nemmeno questa volta nessuno fece niente.
«Mi spiace, Caspar... Non lo
sapevo, non l'ho
fatto in cattiva fede...» il suo tono di voce era
più
dolce del solito. Gli accarezzò il braccio, amichevolmente,
in
modo quasi tenero. Caspar sorrise.
«Sei strano». E Joe
lo disse:
«Mi piaci». Fu
così naturale, che
nemmeno ci pensò due volte. Caspar, di rimando, non ebbe
alcuna
reazione in particolare. Il sorriso si affievolì, non
perché era deluso, ma in modo quasi dolce.
«Lo so»
scrollò le spalle.
Rimasero in silenzio, e questa volta non
fu forzato.
Non si sentivano strani, si sentivano a proprio agio con se stessi. Il
biondino gli accarezzava il viso, ripercorrendo la mascella, il mento e
le labbra, mentre Joe continuava a sfiorargli il braccio, salendo sulle
spalle, e poi sul collo, sulla nuca, e riscendeva. I loro respiri
rapidi smascheravano l'apparente tranquillità e, facendo
particolare attenzione, si potevano sentire i loro battiti correre
all'impazzata. Si avvicinarono, spontaneamente, l'uno verso l'altro, e
le loro labbra si scontrarono, all'inizio timidamente, e poi con
decisione. Proprio in quel momento, Joe ebbe un dubbio. Lo respinse ed
allontanò il viso.
«E se rovinassimo la nostra
amicizia?» domandò.
«Possiamo rovinare la nostra
amicizia con un bacio?» replicò Caspar.
«Non lo possiamo
sapere».
«È solo un bacio.
Che male fa?»
lo attirò a sé, e lo strinse, inspirando il suo
profumo,
quel tipo di odore che si sente solo di notte, quando ci si sveglia
dopo aver dormito. Odore di caldo, di morbido terpore. Joe non lo
respinse più. D'altronde era stato lui a dichiararsi.
«Ehi Joe»
sussurrò, con le labbra a baciare le sue spalle asciutte.
«Sì?»
«Come hai fatto l'effetto
dell'ombra?»
«Di che ombra parli?»
All'improvviso, una luce luminosissima
irruppe nella
stanza, accecando i due ragazzi all'interno. Infine, tornò
il
buio. «Ma cosa cazzo...»
«Basta con la Prank War»
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