Il sesto continente
Il fiato di Tremotino condensa in nuvolette di fumo. Nell'aria umida di pioggia si mescolano particelle di hot
dog, gasolio e centinaia di altri respiri.
Si ferma presso un lampione e appoggia il bastone al muro, tenendosi fuori tiro dalla fiumana di pedoni mentre
distende la mappa fra le mani e studia il percorso che ha tracciato a penna rossa sulla carta. Qualche centinaio
di metri ancora per pescare il pesce grosso. Bastone alla mano, claudicante come mai, si immette di nuovo nella
corrente.
Svoltato l'angolo sulla Fifth Avenue, il flusso umano accelera e si fa più compatto, il miscuglio di smog e oli
di frittura più denso e nauseabondo. Un tizio con berretto e giubbotto di pelle nera suona una campanella dietro
al suo banco di souvenir. Qualcun altro vende occhiali. Nessuna tra le gocce di folla sembra intenzionata ad
aprire il portafoglio.
Qualcosa gli urta il braccio sorretto dal bastone. Tremotino sbanda di lato e sbatte contro il fianco di un
passante.
«Mi scusi!» Un giovane dai capelli ispidi e pizzetto nero si volge appena verso di lui, levando un palmo a mo'
di venia, prima di svicolare e confondersi tra la folla.
“Città che non dorme mai”: un appellativo quanto mai appropriato.
Poco più avanti, l'atmosfera si incupisce. Tremotino si fa di nuovo da parte e alza il viso. L'Empire State
Building buca il cielo, incombendo sulla città e tagliando, con l'ombra del suo profilo, il viale sottostante e
parte delle costruzioni sul fronte opposto della carreggiata.
All'entrata dell'edificio, a pochi metri di distanza dai suoi occhi, una colonna di visitatori s'estende come
una lingua di domino lungo un ampio tratto di marciapiede. Non si può intuire dove finisca. Tremotino si ritrova
a sbuffare. Mentre arranca in quella direzione, fendendo gli umani e nuotando controcorrente, scorre le facce in
attesa di salire all'osservatorio.
Qualcuno parla tedesco. Altri, lingue sconosciute. Un bambino strattona la borsetta di una donna,
presumibilmente la madre, gridando che è stufo di aspettare. Una comitiva di un tour organizzato beve i racconti
della guida turistica e inquadra l'architettura negli obbiettivi oblunghi di macchine fotografiche a tracolla.
Europei, asiatici, africani, americani, australiani: i volti di cinque continenti.
Ma la coppietta che chiude la fila è come il mescolarsi di ghiaccio e sale sulla cute. Tremotino indugia un
secondo di troppo sulle loro facce e il dolore del rimorso gli si irradia sottopelle. Il presente si fa passato,
e il passato si fa futuro.
Avrebbero dovuto esserci anche loro, il sesto continente.
~fin~