Ricordo perfettamente il giorno
in cui
arrivai.
Ricordo quando vidi per la prima volta i visi sconosciuti di
quelli che ora chiamo amici, ricordo la prima volta che mangiai con
loro, la
prima volta in cui vidi il giardino, il dojo, la casa.
Ricordo perfettamente che c'era una stanza vuota, che
apparteneva a “qualcuno
che non si sarebbe fatto vedere per un po'”.
E ricordo perfettamente il giorno in cui quel qualcuno fece
il suo ritorno.
***
L'udito è un senso
pigro,
va costantemente tenuto in
allenamento, altrimenti si abitua a certi suoni e non sembra nemmeno
captarli
più.
Le macchine che suonano il clacson, la gente che urla per
strada, un aereo che passa.
Questo è quello che succede quando si vive per tanto tempo
in
una casa: i rumori intorno a noi
diventano normali, ci si abitua e non ci si fa più caso.
La televisione che dà un film in prima serata, la musica a
tutto volume, lo scrosciare dell'acqua nella doccia.
Casa Tendo, come la mia casa materna e l'appartamento nel
college che divido con le mie coinquiline, aveva dei rumori tutti suoi,
come
dei tratti distintivi e particolari, confortevoli e familiari, suoni di
casa.
Kasumi che canticchia mentre cucina con la sua voce dolce e
melodiosa, il ticchettio delle pedine dei giochi da tavolo di Soun e
Genma,
Nabiki che sgranocchia un biscotto al cacao, il dottor Tofu che suona
il
campanello alle sette di ogni sera, Ranma e Akane che litigano.
I suoni più bizzarri di quella casa, poi, provenivano sempre
dal dojo.
Dopo un po' avevo persino imparato a riconoscerli.
Verso metà mattina, di solito, si udivano rumori fragorosi,
come di corpi che si scontravano l'uno contro l'altro, e delle potenti
grida di
incitamento: gli allievi senior che combattevano fra di loro.
Il primo pomeriggio invece si sentivano come dei tonfi sordi
-gli allievi junior che cadevano rovinosamente- e delle risate sguaiate
-i due
maestri, Soun e Genma, che li prendevano in giro-.
Subito dopo cena, poi, avevo imparato a
distinguere i rumori che accompagnavano l'allenamento quotidiano di Ranma. Era facile capire
che si trattava di
lui perché i colpi secchi e cadenzati, la musica rock e i
kiai andavano avanti
per ore e ore allo stesso ritmo ed intensità, e solo lui era
capace di fare una
cosa del genere.
La mattina presto invece, prima ancora che la casa si
svegliasse, se si sentiva del trambusto provenire dal dojo, era
sicuramente
Akane che faceva i suoi esercizi.
Altre volte, un gran fracasso misto a frasi come “preparati a
morire”, che poteva giungere a tutte le ore del giorno e
della notte, era
indice che Ryoga era arrivato e che aveva trovato Ranma.
Se invece i rumori erano forti, come di teste di legno e
paglia che volavano via dal manichino, anche queste a qualunque ora,
allora
sicuramente Ranma aveva fatto arrabbiare Akane e lei si stava sfogando.
Ma
quella mattina non riuscii a riconoscere i suoni che
arrivavano vigorosi e ben distinti dal dojo.
Era come se qualcuno stesse... rompendo qualcosa?
Soun mi aveva raccontato che avevano ristrutturato la
palestra proprio pochi mesi prima del mio arrivo. Che stessero dando
gli ultimi
ritocchi? O forse stavano aggiustando qualche trave di legno che si era
rotta
in uno scontro?
Quei rumori strampalati, che ad un orecchio poco avvezzo
avrebbero sicuramente dato fastidio, erano diventati confortanti per
me.
Riconoscendoli, avevo la sensazione di essere più vicina ai
miei amici, sapevo
se Ryoga era in casa, riuscivo a capire l'umore di Akane, avvertivo la
presenza
di Ranma durante la notte, e sapere che lui era sveglio mi faceva
addormentare
tranquilla.
Ma quella mattina quei suoni non mi parlavano, non riuscivo a
comprenderne l'origine, così decisi di andare a vedere.
La sera prima, memore delle ultime incursioni notturne di
Kodachi, che mi aveva sorpresa con una camicetta da notte corta e
troppo
trasparente, avevo indossato dei pantaloncini di cotone verdi e una
canottiera
bianca e, vestita così, attraversai il vialetto coperto che
collegava la casa
al dojo.
Bussai con delicatezza alla porta senza ottenere nessuna
risposta, così la spinsi leggermente e ciò che
vidi mi lasciò a bocca aperta.
Nell'interno caldo della palestra, proprio al centro
dell'enorme stanza di legno chiaro, c'era Akane.
Concentrata, determinata, sudata e bellissima, stava rompendo
delle tegole di pietra con una mano sola.
Mi incantai ad osservarla.
La tecnica era la stessa per ogni blocco massiccio e grigio:
prima lo fissava, come se fosse un nemico in carne ed ossa, con gli
occhi
socchiusi e lo sguardo severo, quasi volesse comunicargli qualcosa, ed
infine
ci appoggiava lentamente la mano, come a sfiorarlo, per poi risalire
altrettanto lentamente, prendere fiato e scagliargli contro tutta la
potenza
che aveva in corpo con un movimento fulmineo e preciso.
Quando la sua piccola mano destra scattò, riducendo in mille
pezzi il suo avversario, sussultai.
Akane era una ragazza minuta, quasi tenera agli occhi altrui,
sembrava aver bisogno di protezione. In realtà
però, chi la conosceva bene,
sapeva che era tanto forte dentro quanto fuori. La forza che animava i
suoi
intenti aveva lo stesso vigore di quella che muoveva le sue braccia.
Era
piccola ma le scorreva il fuoco dentro.
Continuava a spaccare, una dopo l'altra, durissime tegole con
una precisione quasi chirurgica e una potenza che di sicuro non le
arrivava da
quelle belle braccia esili e delicate.
Ogni volta che la sua mano toccava un pezzo di pietra -e
quello ovviamente si spaccava come se fosse stato colpito da una bomba-
Akane,
da rigida e composta che era, sembrava tirare fuori la tensione assieme
al suo
respiro, e si rilassava visibilmente. Sorrideva quasi.
Quando ormai le mancava solo l'ultima tegola si accorse di
me.
<< Ciao Jude! Vieni, entra, ti ho svegliata?
>>
<< No, no, ero già sveglia... cosa fai?
>> chiesi
e, anche se la domanda poteva sembrare ovvia, lei mi capì al
volo.
<< Si chiama tecnica di rottura di potenza
>>
cominciò a spiegare << È una
tecnica piuttosto difficile, la può
praticare solo chi ha abbastanza esperienza. Ci vuole un'ottima
preparazione,
forza fisica, una notevole capacità di concentrazione, una
buona tecnica di
respirazione e un pizzico di coraggio. Bisogna riuscire a raggiungere
una
concentrazione totale, così profonda da non sentire
più quello che si ha
intorno >>
A quelle parole ricordai come appariva assorto il suo sguardo
solo pochi minuti prima, mentre rompeva le tegole, tanto fisso ed
intento da
sembrare quasi assente. Non sbatteva neanche le palpebre, guardava un
unico
punto con gli occhi tanto carichi di quello che aveva dentro che
riuscivano a
comunicare senza parlare.
<< E come si fa a raggiungere questo livello di
concentrazione? >> chiesi io sempre più
affascinata e curiosa.
<< Respirando. Bisogna respirare lentamente e
profondamente, l'aria deve circolare in tutto il corpo. La devi
sentire, perché
l'aria è energia. Deve affluire dal basso ventre e giungere
fino alla mano per
darti la forza necessaria... >>
Mentre parlava continuava ad accarezzare la ruvida tegola
grigia: << … E non forza fisica. Sai, romperla
è un'eccellente prova con
se stessi. Per farlo bisogna imparare ad essere determinati, lucidi,
concentrati, sicuri di sé. Bisogna saper gestire le
emozioni, eliminare le
paure, le insicurezze, le esitazioni... >>
<< Ci vuole un gran fegato! >> dissi io con
ammirazione.
<< Forse sì, ma riuscirci è la
sensazione più bella del
mondo. Ti senti così potente, soddisfatto, libero.
È meraviglioso! E poi hai la
possibilità di sfogarti, sfogare tutta la tua rabbia e le
tue emozioni
attraverso l'energia >>
Ad Akane brillavano gli occhi.
<< È doloroso? >> domandai.
<< Farlo no, arrivarci sì. Prima di poterci
anche solo
provare bisogna irrobustire le mani con degli esercizi e quelli
sì che sono
dolorosi >> disse lei porgendomi una mano
<< Quando questa parte,
che si chiama “taglio”, è completamente
ricoperta da calli duri, allora sei
pronto. Tocca >> mi incitò.
Quel giorno in palestra per la prima volta toccai la mano di
Akane.
All'apparenza, proprio come lei, era una bella mano, bianca,
delicata, con le dita lunghe e affusolate.
Ma in realtà, proprio come lei, era ricoperta da una
corazza,
uno strato più duro che le conferiva protezione e forza.
La mano di Akane non era liscia e morbida come quella delle
altre ragazze, la mano di Akane era ruvida.
Improvvisamente ricordai che anche le mani di Ranma, così
grandi e calde, erano ruvide e anche quelle gentili di Ryoga.
Le mani degli artisti marziali sono ruvide.
Sono ruvide perché per essere potenti bisogna essere solidi,
senza mai lasciarsi scalfire.
Sono ruvide perché devono essere resistenti al dolore e alla
paura.
Sono ruvide perché per colpire prima bisogna essere stati
colpiti.
Le mani degli artisti marziali sono come loro: ruvide
all'esterno, dure, impenetrabili, pronte al dolore, alla sofferenza,
forti e
instancabili.
Lasciai andare la sua mano e lei tornò immediatamente a
concentrarsi e a respirare, poi, con un altro colpo secco,
spezzò in due parti
l'ultima tegola rimasta.
Proprio in quel momento notai che quello che lei aveva
chiamato “taglio della mano” era pieno di lividi e
le stava sanguinando.
<< Ti fa male? >> le chiesi leggermente
preoccupata.
<< Solo un po', ma non sai quanto sto bene dentro
>> mi rispose lei massaggiandosela.
<< Dà qui >> disse una voce alle
mie spalle.
Era Ranma che, dopo essere rimasto sulla porta ad ascoltare
l'appassionante spiegazione di Akane, si era mosso verso di noi con in
mano una
boccetta scura e una piccola scatola rossa.
<< Ranma, sto bene, non preoccuparti >>
<< Non fare la scema e dammi la mano >>
replicò
prendendogliela con ferma delicatezza e costringendola a sedersi per
terra
accanto a lui.
Quando tutti e tre fummo sul pavimento tiepido, con una
pazienza ed una dedizione che non credevo gli appartenessero, o che
forse
riservava a poche cose speciali, Ranma cominciò a
massaggiarle la mano con un
olio dal profumo buonissimo.
I movimenti erano lenti e delicati, come una coccola, ma
Akane, ad ogni passata, stringeva un po' gli occhi.
<< Quante volte te l'ho detto, se vuoi farlo va bene ma
poi devi lasciarti curare >> disse Ranma teneramente
mentre la piccola mano
di Akane si perdeva nelle sue e lui continuava a strofinare,
stropicciare,
sfregare.
Akane arrossì vistosamente smettendo di opporre resistenza e
lasciandosi finalmente andare.
Io portai le ginocchia al petto e cercai di farmi piccola
piccola mentre assistevo a quella scena affettuosa e intima.
<< Ti faccio male? >> le chiese lui mentre,
le
dita ricoperte di olio, scivolava lungo i palmi delle due mani.
<< No... >> sussurrò Akane
chiudendo gli occhi.
Ranma continuò a massaggiarle la mano con le sue
finché i
lividi che aveva sul taglio non si furono completamente riassorbiti,
poi le
mise qualche cerotto e la fasciò con una benda bianca.
<< Così va meglio >> disse lui.
<< Grazie >> sorrise lei dolcemente.
Quando
improvvisamente Kasumi fece il suo ingresso nel dojo, l'atmosfera
magica svanì
del tutto.
Le
immagini, fino a quel momento calme, placide, quasi a rallentatore,
divennero
vivide e reali, tanto che Ranma e Akane si staccarono fulmineamente
l'uno
dall'altra.
Con le guance rosse e accaldate cercarono di guardare altrove
e di far sfumare l'imbarazzo dalle loro espressioni come vino sul fuoco.
In quel preciso momento notai che Ranma e Akane si
comportavano in modo diverso quando erano con le altre persone. Se
intuivano
che qualcuno li stava guardando, mutavano subito atteggiamento, invece
da soli,
o comunque nascosti ad occhi indiscreti, si concedevano quelle piccole
tenerezze che facevano di loro quello che erano. Il
“cosa” fossero ancora non
lo sapevo, ma poter apprezzare quei dolci momenti intimi, nascosti agli
occhi
dei più ma mostrati senza alcuna vergogna ai miei, era
abbastanza per farmi
sentire speciale.
<< Eccoti, cara Judith, non ti trovavo! >>
disse
Kasumi con voce trafelata interrompendo i miei pensieri mentre Ranma si
era
alzato e si stava dirigendo a passi svelti fuori dal dojo
<< Ti vogliono
al telefono >>
Corsi
verso il
mobiletto basso e scuro vicino alla porta,
dove tenevano il telefono, sicura di aver indovinato chi fosse, e non
appena
sentii la sua voce un moto di gioia mi pervase il cuore.
<< Ciao piccola, che fine ha fatto il tuo telefono?
>> disse lui e la nostalgia di
casa si impadronì di me.
Dall'altra parte della cornetta bianca, dall'altra parte del
mondo, c'era Derek, mio fratello.
Derek era per me tutto ciò che una sorella può
desiderare da
un fratello.
Era più grande di me di quattro anni e avevamo sempre avuto
un bellissimo rapporto.
Da bambini giocavamo a fare la lotta, oppure a pallacanestro
visto che entrambi siamo molto alti -anche se lui mi supera di
più di una
spanna-, e poi escogitavamo insieme dei piani assurdi per saltare i
pranzi
della domenica a casa della zia Beth, con quei suoi cani che non ci
andavano
proprio giù e quella strana mania di non farci mangiare le
caramelle.
Diventati più grandi, saltavamo insieme le lezioni per
nasconderci dentro Central Park, rubavamo il fuori strada di
papà per imparare
a guidare, scappavamo insieme per fumarci una sigaretta, lui mi
raccontava
delle sue ragazze, mentre io -ovviamente- non potevo dirgli niente sui
miei
dato che era geloso marcio.
Derek era quello che mi capiva di più nella mia famiglia,
senza bisogno di tante parole mi comprendeva e sapeva come tirarmi su
il
morale, con un cioccolatino alla menta il più delle volte.
Derek era quello che mi mancava di più, più della
mia New
York, più delle mie amiche, più del mio letto.
Derek era forse l'unica cosa che
mi mancava davvero, l'unica in grado di farmi venire nostalgia di casa.
<< Ciao piccola >> ripeté di
nuovo.
<< Ciao scemo >>
<< Che fai? Piangi? >>
<< Non ci penso nemmeno >> era la prima
volta che ci sentivamo a voce da quando ero partita.
<< Ah ecco, credevo che il Giappone ti avesse
rammollita. A proposito, come va lì? >>
Derek era esattamente così, tutto il mio opposto. I miei
capelli erano biondi mentre i suoi quasi neri, i miei occhi erano
castani
mentre i suoi grigi, io ero la persona più timida sulla
faccia della terra
mentre lui era uno sbruffone patentato. Mentalmente trovai parecchie
affinità
con Ranma.
Bello, bellissimo, tanto che tutte le mie amiche ne erano
follemente innamorate, era simpatico e socievole, bravo negli sport e
un po'
meno nello studio, aveva tanto successo con le ragazze ma non riusciva
mai a tenersene una per più di un mese.
<< Bene, è tutto bellissimo... ho un sacco di
cose da
raccontarti! >>
<< Beh allora comincia, ho tempo >> disse
lui e
lo sentii aspirare una boccata di fumo.
Così mi misi a raccontargli del mio arrivo, della mia prima
giornata a casa Tendo, della mia nuova famiglia, di Akane e Ranma,
delle arti
marziali e delle lezioni che loro mi davano.
Di tutte le strampalate e meravigliose persone che avevo
imparato a chiamare amici: Kuno, Kodachi, Hiroshi, Daisuke, Yuka,
Sayuri,
Ryoga, Ukyo, Shan-Pu, Mousse, Nabiki, Kasumi, il dottor Tofu e
Alexander,
ognuno con i suoi difetti e i suoi pregi, ognuno con le sue
particolarità che
lo rendevano tanto speciale e caro ai miei occhi.
Gli raccontai di tutte le avventure, del primo giorno di
università, delle lezioni, dei pranzi e delle cene, delle
feste, dei pigiama
party, delle giornate al mare...
Rimasi al telefono a parlare a raffica e con tanta passione
che persino lui ne restò incantato e anche un po' innamorato.
Improvvisamente, mentre gli stavo spiegando quello che avevo
capito dei giochi da tavolo giapponesi, avvertii una sensazione strana,
di
calore, avvolgermi il fondoschiena come un guanto.
Lentamente mi voltai e ciò che vidi mi lasciò
completamente
senza parole.
Un vecchietto, con i corti capelli bianchi e cespugliosi e
due piccoli baffetti sul viso rugoso, se ne stava comodamente
appollaiato sul
mio didietro strofinandoci contro le guance avvizzite e mormorando
frasi in
giapponese con tono godereccio.
Cercai di mantenere la calma mentre all'altro capo del filo
Derek continuava a ripetere incessantemente il mio nome:
<< Derek, devo andare, ti richiamo dopo...
>>
cercai di dire mantenendo la voce più naturale possibile.
<< Tutto a posto? >>
<< Sì, sì... è che mi
chiamano per il pranzo, dopo ti
scrivo fratellone, ok? >>
<< Va bene piccola, a presto >>
<< Saluta tutti >> conclusi con un sibilo.
Quando riattaccai però urlai con quanto fiato avevo in corpo.
Il vecchietto non fece una piega, anzi, mi arpionò di
più con
le piccole mani raggrinzite continuando a dire qualcosa che io non
capivo.
Così urlai ancora e ancora, cercando di scrollarmi di dosso
quella specie di bambolotto incartapecorito e depravato.
Allora mi sembrò di aver urlato per ore e di aver tirato
fuori tutta l'aria che avevo nei polmoni ma in realtà Ranma
mi raggiunse in un
baleno.
Appena misi a fuoco che era la sua l'ombra che si avvicinava
a passo sicuro il mio cuore rallentò.
Mi mise una mano sulla spalla, spingendomi verso di sé, e
contemporaneamente staccò via da me il vecchietto,
strattonandolo per il retro
del colletto di un'orrida tutina color prugna e lanciandolo con un
sonoro
calcio fuori di casa.
Quando smisi di sentire quella fastidiosa pressione sul
fondoschiena mi rilassai visibilmente e, non sapendo cosa fare, mi
appoggiai
alla persona che mi era più vicina sospirando sonoramente e
coprendomi il viso
con le mani.
Nel frattempo anche tutto il resto della casa era accorso
alle mie grida.
<< Jude!! >> gridò Akane e, non
appena la vidi,
corsi ad abbracciarla.
<< Che cos'era? >> chiesi rivolta al mio
salvatore.
Ranma e Soun si scambiarono un cenno d'intesa.
<< Uh, ma non è nulla di grave, figliola, su
su! È più
innocuo di quel che sembra. Vieni, ti spiego >>
iniziò a giustificarsi il
capofamiglia accompagnandomi nel salone.
***
Ricordo perfettamente il giorno
in cui
arrivai.
Ricordo quando vidi per la prima volta i visi sconosciuti di
quelli che ora chiamo amici, ricordo la prima volta che mangiai con
loro, la
prima volta in cui vidi il giardino, il dojo, la casa.
Ricordo perfettamente che c'era una stanza vuota, che
apparteneva a “qualcuno
che non si sarebbe fatto vedere per un po'”.
E ricordo perfettamente
il giorno in cui quel qualcuno fece
il suo ritorno.
Happosai era il maestro di Soun e Genma fin da quando erano
poco più che bambini.
Aveva insegnato loro praticamente tutto ciò che sapevano
sulle arti marziali, li aveva addestrati, aveva forgiato la loro
tempra, gli
aveva impartito lezioni di vita.
Insomma, era un vero e proprio sensei.
Il padrone di casa e il papà di Ranma avevano per lui un
rispetto fuori dal comune, che andava al di là della
semplice ammirazione,
pareva quasi che lo osannassero.
In realtà Ranma, che non era solito prostrarsi davanti a
nessuno, tanto meno al “vecchiaccio maniaco” come
lo definì lui -ed io mi
trovai immediatamente d'accordo-, mi spiegò che non era
venerazione quella di
suo padre e del signor Tendo, bensì paura.
Happosai infatti, dall'alto dei suoi anni -che non erano
stati precisati, a quanto pare avevano tutti perso il conto-, conosceva
delle
tecniche micidiali e potentissime, con cui minacciava i suoi due
sottoposti
ogni volta che osavano contraddirlo.
In realtà minacciava anche Ranma, ma lui era caparbio e
coraggioso di natura e lo sfidava in continuazione, cogliendo
l'occasione per
imparare sempre qualcosa di nuovo e migliorarsi, e arrivando talvolta
persino a
sconfiggerlo.
<< Sono due pappamolli >> concluse il
ragazzo
noncurante del fatto che entrambi potevano sentirlo.
<< Figlio degenere, non è vero, non parlare
così di tuo
padre! Jude cara non dargli retta, siamo solo molto rispettosi nei
confronti
del nostro maestro, cosa che questo zoticone invece non è
affatto! >>
Il ragazzo, per tutta risposta, tirò fuori la lingua.
Il suo comportamento era bizzarro ai miei occhi. Ranma era un
ragazzo estremamente disciplinato, almeno quando si parlava di arti
marziali.
Era sempre puntuale e praticava i suoi allenamenti senza risparmiarsi,
partecipava ai tornei, cercava sempre di apprendere tecniche nuove e di
imparare da chi ne sapeva più di lui, si metteva tenacemente
alla prova con
costanza e diligenza, non temeva la fatica, non si fermava di fronte al
dolore.
Era l'allievo perfetto.
Ma allora, mi chiedevo, perché si faceva beffa dei suoi
maestri?
La risposta mi arrivò da Akane, seppur qualche tempo dopo.
Mi
spiegò che non dovevo vedere questo atteggiamento come una
prova di superbia o
di arroganza da parte sua, né di orgoglio o di poca
umiltà. Semplicemente Ranma
era arrivato al punto in cui l'allievo supera il maestro, ormai era lui
il più
forte e sconfiggeva praticamente sempre sia suo padre sia Happosai.
Per questo motivo, quel rispetto che ogni alunno prova per il
proprio Sensei si era ridimensionato; viceversa aumentava sempre di
più quello
che i suoi maestri provavano nei suoi confronti. Genma non lo avrebbe
mai
ammesso, impegnato com'era a litigarci ogni giorno, ma era estremamente
orgoglioso della forza e della bravura del figlio.
Tornando
ad
Happosai, dopo aver capito che ruolo aveva in
quella strampalata famiglia, chiesi con curiosità il
perché non si fosse fatto
mai vedere da quando io ero arrivata, in fondo viveva con loro
stabilmente da
anni ormai ed era uno di famiglia.
<< Ecco, bambina... ehm... noi,noi... abbiamo cercato
di... come dire... di allontanarlo! Il maestro ha delle inclinazioni un
po'...
particolari, te ne sarai accorta, e noi non volevamo che ti desse
fastidio...
>> mi spiego Soun imbarazzato, mentre si torturava le
mani dall'altro
capo della tavola, nel grande salone illuminato.
Il mio viso assunse evidentemente un'espressione disgustata
al ricordo di quell'esserino piccolo e godereccio che si strusciava
contro il
mio sedere.
<< Ma non è pericoloso! >>
aggiunse in fretta il
mio buon padrone di casa << Non ha mai fatto del male a
nessuno...
semplicemente... beh... gli piacciono le donne... >>
aggiunse poco
convinto.
<< La realtà è che è un
maiale! >> disse con la
sua tipica schiettezza Nabiki, in piedi accanto alla porta scorrevole,
<<
È un maniaco depravato! Cerca continuamente di rubarci la
biancheria, ci
palpeggia, ci spia sotto la doccia, combina un mucchio di casini e nel
quartiere tutte le donne sono arrabbiate con lui! >>
Venni a sapere, dai racconti della mezzana che si faceva
pochi problemi ad elencare le “qualità”
del “maestro”, che Happosai aveva una
preziosissima collezione di mutandine da donna e reggiseni -da lui
definiti
“zuccherini”- che teneva chiusa a chiave nella sua
stanza e che cercava
continuamente di arricchire, rubando nottetempo, con la sua
“pesca grossa”, i
preziosi capi alle donne del quartiere.
In più, mi raccontò Ranma non senza una smorfia
di fastidio,
Happosai aveva una passione smodata nei confronti di Akane -e chi non
l'aveva
del resto?- e cercava di fidanzarsi con lei o di sposarla ogni tre per
due.
<< Io volevo rinchiuderlo in una cassa e spedirlo a
Timbuctù >> disse Ranma con fare rassegnato,
<< Ma non hanno
voluto! Ed ora è anche piuttosto arrabbiato
perché lo avete escluso dalla conoscenza
del nuovo zuccherino
>> aggiunse indicandomi con un cenno della mano
mentre io arrossivo a sentirmi chiamare così e Soun e Genma
deglutivano
rumorosamente al pensiero della collera del vecchio maestro.
<< Troveremo un modo >> concluse alla fine
il capofamiglia.
<< È davvero così terribile come
sembra? >>
sussurrai ad Akane, la mia più grande amica e confidente in
quella casa.
<< Mmm... >> mugugnò lei pensosa
<< Le
volte in cui si è arrabbiato davvero ha ricoperto la casa di
muffa e ha fatto
perdere a Ranma tutta la sua forza... senza contare le mutandine e i
reggiseni
spariti che ogni tanto riaffiorano in mani improbabili >>
aggiunse
arrossendo lievemente << Ma non è cattivo! A
volte, quando fa la persona
seria, sa dare ottimi consigli, è un po' come un nonno!
>>
E con queste premesse, che non saprei se definire
incoraggianti o terrificanti, cominciò la mia ennesima
avventura in Giappone, a
casa Tendo.
***
La settimana passò
fra gli
agguati del vecchio Happosai.
Sistematicamente il vecchio maestro spiava Nabiki sotto la
doccia, cercava di entrare nella camera di Akane mentre lei dormiva
-ricevendo,
nemmeno a dirlo, pesanti scariche di pugni sia dalla diretta
interessata, sia
da Ranma che accorreva sempre- e si nascondeva nei mobili della cucina
per
guardare di nascosto sotto la gonna di Kasumi.
Il mercoledì, uno di questi “innocenti
scherzetti” come li
definiva lui, riguardò anche me.
Era
mattina e
Kasumi, Nabiki, Akane ed io stavamo sedute
intorno al tavolo del salone intente a scegliere i vestiti per le
damigelle.
Ognuna di noi (ebbene sì, Kasumi, la dolcezza fatta persona,
aveva chiesto anche a me di farle da damigella) avrebbe avuto il
modello che
più le piaceva e meglio si adattava al suo corpo, ma il
colore doveva essere lo
stesso per tutte e ovviamente ciascuna aveva una sua opinione in merito.
Nabiki li voleva di qualche colore acceso, rosso o amaranto
magari, forte e sexy; Akane invece propendeva per qualcosa di tenue, un
giallo
pastello o un turchese chiaro ad esempio, ed io, dal canto mio,
preferivo i
colori eleganti e adatti alle cerimonie, come il grigio perla o un
color
champagne.
Kasumi, accomodante e gentile per natura, non sapeva
scegliere fra le nostre proposte.
<< Ma dai Akane, lei sarà vestita di bianco,
noi
dovremmo farle da contrasto! Un bel verde bottiglia? O blu elettrico?
Che ne
dite? Io non mi vesto color canarino! >> disse Nabiki
<< E per di
più i colori pastello
non vanno affatto di moda quest'anno! >>
sentenziò
poi con tono esperto.
<< Il verde è un bel colore...
>> provò a dire
Kasumi.
<< Sì, allora perché non nero e con
tutta la schiena
scoperta? Nabiki dobbiamo essere discrete... >>
<< Ma tu i film americani non li guardi proprio mai? Da
quando in qua le damigelle sono discrete? La sposa sarà la
più bella, ma visto
che sarà già impegnata (povera lei) anche noi
dovremmo farci notare! >>
<< E da chi, di grazia? >> chiese la
sorella
minore con voce ironica.
<< Non ti viene in mente proprio nessuno a cui
piacerebbe vederti con uno sconvolgente abito rosso scarlatto?
>>
L'unica cosa rosso scarlatto che ci fu data di vedere in quel
momento fu la sfumatura che assunse il volto di Akane al tono
insinuante della
sorella.
<< Io... veramente... non credo che... ecco...
>>
balbettò lei mentre il sopracciglio destro della mezzana si
alzava in
un'espressione ironica e maliziosa.
Per fortuna un “Ehm-ehm” tossicchiato dalla porta
richiamò la
nostra attenzione.
Ranma se ne stava in piedi con l'espressione più imbarazzata
che gli avessi mai visto in viso e per un momento pensai davvero che
fosse
perché aveva ascoltato il nostro discorso e si era sentito
chiamato in causa in
qualche modo, ma poi avanzò con passo incerto, cercando di
dirci qualcosa, con
un tono talmente sommesso e confuso che alle nostre orecchie
risultò del tutto
incompresibile.
<< Happosai... notte... trovato... queste...
>>
furono le uniche parole che riuscimmo a capire e Ranma le
bofonchiò tirando
fuori dalla tasca un paio di mutandine.
Se le appese al dito indice, tenendole a vista per
mostrarcele, ed io riconobbi la stoffa semi trasparente e bordata di
pizzo
delle mie culotte.
<< Sono... sono di qualcuna di voi? >>
riuscì
infine a dire lui.
Al pensiero che Ranma avesse visto le mie mutandine e che le
stesse reggendo in mano in quel momento, avvampai per la vergogna e mi
coprii
il viso con entrambe le mani.
Mi alzai velocemente, sempre con una mano sul volto per
nascondermi dal suo sguardo blu, e gliele sfilai con
rapidità dal dito, come si
fa mentre si gioca a “ruba bandiera”, per poi
correre a passi svelti nella mia
stanza.
Mi lasciai cadere contro la porta e tolsi finalmente la mano
dagli occhi, continuando a scuotere la testa incredula mentre le risate
per la
figuraccia appena fatta già mi facevano sobbalzare le spalle.
Non ebbi il coraggio di guardare in faccia Ranma per tutta
quella giornata e buona parte di quella dopo.
Ma non potevo sapere che il peggio doveva ancora arrivare.
***
Il sabato di quell'assurda
settimana,
per lasciarci dietro
imboscate, trappole e furti di biancheria intima almeno per un giorno,
Ranma,
Akane e Nabiki decisero di portarmi alle onsen, le
tipiche sorgenti
termali giapponesi all'aperto.
Io ne fui subito entusiasta. Quelle enormi vasche di acqua
bollente e fumante che avevo spesso visto negli anime alle
sette di sera
sulla tv americana avevano per me tutto il fascino della tradizione.
I ragazzi chiesero a Ryoga, Ukyo ed Alexander di
accompagnarci e, ovviamente, non appena lo seppero, anche Kuno, Shan-pu
e
Mousse si unirono al gruppo.
Così partimmo all'insegna di un week-end senza nuvole
all'orizzonte.
L'albergo che ci ospitava era
piccolo
e caratteristico, tutto
di legno scuro e profumato, con due anziani proprietari gentili e molto
rispettosi delle tradizioni.
Appena arrivati si prodigarono in profondi inchini, tutti ricambiati
ossequiosamente, e permisero anche ai due “yankee”,
come definirono Alexander e
me, di accedere alle terme, anche se non eravamo giapponesi. Sospetto
ancora
fortemente che una lauta mancia da parte di Nabiki -estorta a Kuno si
intende-
sia stato il motivo per cui abbiano cambiato idea così di
buon grado.
Ci offrirono il tè e, seduti intorno ad un tavolo di vecchio
noce, ci spiegarono tutte le regole.
Prima di immergerci nelle acque termali avremmo dovuto farci
una doccia, le vasche degli uomini e delle donne erano ovviamente
separate e,
regola più importante di tutte ma che mi gettò in
una profonda inquietudine, i
vestiti non erano ammessi, nemmeno i costumi da bagno.
L'anziana proprietaria, capendo forse il mio sgomento o
scambiandolo per timidezza, sentimento molto caro ai giapponesi,
tentò di
spiegarmi che per loro la nudità comune è molto
importante, perché serve ad
abbattere le barriere e a conoscersi più intimamente in
un'atmosfera rilassata
e familiare.
Le altre ragazze erano estremamente tranquille, abituate
forse, ma il pensiero di non avere niente a coprirmi, anche se solo di
fronte a
loro, tutte donne e tutte amiche, non mi lasciava comunque tranquilla.
<< Porterete con voi un asciugamano >>
aggiunse
la signora << Che vi servirà per spostarvi dai
lavatoi ai bagni. Piccola
yankee,
questo ti tranquillizza? >> chiese lei in giapponese,
prontamente
tradotta da Nabiki.
<< Sì, un po', grazie >> risposi.
<< Dopo il bagno indosserete questi, >>
proseguì
la proprietaria dai capelli d'argento indicando dei vestiti posti in un
baule
di legno scuro, << e verrete a cena. Tutto chiaro? Quando
siete pronti
potete andare >> aggiunse e sparì oltre la
soglia con il marito.
Shan-pu e Ukyo corsero immediatamente verso la cassapanca e
ne estrassero dei vestiti con stoffe sgargianti.
<< Cosa sono? >> chiesi ad Akane che mi era
seduta di fianco.
<< Quelli sono yukata, una specie di kimono
informale. Sono abiti tradizionali giapponesi che si usano in occasione
delle
nostre feste oppure nei ryokan dopo il bagno.
Yukata infatti vuol dire
proprio “abito da bagno” >>
spiegò lei con la solita pazienza <<
Sono di cotone, freschi e comodi, ti insegnerò a metterli,
non è difficile.
Vieni, andiamo a sceglierli >> e, così
dicendo, mi condusse per mano vicino
alle altre ragazze e all'enorme baule aperto che straripava di colori.
Istintivamente ne presi uno molto lungo -ché Akane mi aveva
spiegato che avrebbe dovuto quasi toccare a terra- bianco con dei
bellissimi
disegni rosa che parevano rami ricoperti da fiori di pesco, e con
abbinata una
larga cintura rossa, che si chiama obi. Akane
scelse il suo gemello, con
la stessa fantasia ma lo sfondo nero come la notte.
Shan-pu ne prese uno molto vivace, con ricami che sfumavano
dal verde acqua al rosa scuro e al viola chiaro, mentre quello di Ukyo
era blu
scuro con disegnate rose lilla e indaco, in abbinamento ad una cintura
color
glicine.
Kasumi lo scelse più serioso, celeste tenue con dei
minuscoli
fiorellini gialli e la cintura bianca, mentre la frizzante Nabiki lo
prese
rosso lacca, con dei bellissimi disegni bianchi e verdi e delle
farfalle
marroni e la cintura ricoperta della stessa fantasia.
Quelli degli uomini invece erano tutti monocolore: neri, blu
scuri o grigio ardesia.
<< Allora ragazze, ci vediamo dopo >> disse
Ryoga
non appena tutti ebbero il proprio yukata in mano << Fate
le brave
>> aggiunse poi guardando con i suoi begli occhi verdi
sia me che Ukyo.
<< A dopo mia amata, rilassati e divertiti!
>>
gridò Mousse con tono aulico ad una sedia, beccandosi un
sonoro pugno sulla
testa accompagnato da un “sono qui, scemo!”.
Infine, mentre Kuno sproloquiava sulla “bellezza incantevole
del luogo ove sono custodite le più antiche origini del
paese” e non riusciva a
capire il perché di vasche separate per uomini e donne,
Ranma fece un gesto
della mano in segno di saluto trascinandoselo via e Alexander ci
sorrise.
Così ci separammo.
Finita
la doccia, coperte solo da striminziti -seppur morbidi
e profumati- asciugamani bianchi, percorremmo il corridoio che dal
lavatoio
portava ai bagni, affacciandosi sulle terme.
Quello che il piccolo porticato di legno scuro nascondeva era
uno spettacolo da togliere il fiato.
L'acqua bollente pareva tanto calda da diventare quasi densa,
si perdeva in spesse bolle, tanto che pareva di stare nella bocca di un
vulcano
e che ad attenderci per il bagno fosse una distesa densa e misteriosa
fatta di
lava incandescente.
Il fumo grigio e corposo che saliva conferiva al posto
un'atmosfera fantastica, come se il sole si fosse offuscato e una
tiepida sera
argentea fosse scesa su quel luogo umido.
Le polle d'acqua erano delimitate da grossi massi grigi che
ne disegnavano il contorno quasi fosse uno stagno naturale.
A sinistra, una piccola cascata sulla pietra e a destra una
canna di bambù, che versava altra acqua nel lago caldo e
accogliente, davano
l'impressione di trovarsi in un quadro.
Tutt'intorno la cornice erano foglie verdi e pesanti di gocce
di rugiada.
Era uno spettacolo per gli occhi.
Al di là del muro di sassi più lungo e massiccio
che faceva
da divisorio erano situate le vasche degli uomini ma le loro voci non
si
sentivano, si perdevano nella selvaggia tranquillità di
quella natura.
Rimasi estasiata a contemplare quel piccolo cuore di
Amazzonia giapponese mentre le mie compagne si toglievano gli
asciugamani e si
acconciavano i capelli con delle grandi fasce bianche.
Il caldo mi imperlò immediatamente la pelle e quell'acqua
cristallina e infuocata era così invitante che anche io
lasciai cadere l'unica
copertura che avevo sul bordo ed entrai nella vasca.
La sensazione di essere nudi sotto il cielo all'imbrunire,
con la brezza che rinfresca in viso bagnato, l'acqua calda agisce come
un
balsamo sui sensi e ristora i cuori, immersi nel bel mezzo di un
placido
paradiso, che pare riparato ma in realtà è
esposto a tutto e tutti, è
indescrivibile a parole.
La vista leggermente appannata dai tiepidi vapori, mi
soffermai un attimo a guardare le bellezze rilassate delle mie amiche.
Kasumi se ne stava in disparte, quasi coperta da una roccia,
giocando con la superficie trasparente dell'acqua; Nabiki nuotava qui e
lì,
toccando le pietre lisce del fondo e risalendo a respirare i vapori
alla
lavanda; Shan-pu, estranea a qualsiasi pudore, aveva spalle e braccia
allargate
appoggiate al bordo della grande vasca, con la testa inclinata
all'indietro e
gli occhi chiusi, in un gesto rilassato che metteva in evidenza il suo
generoso
petto; Akane, appoggiata anche lei al bordo, mostrava invece solo la
schiena,
mantenendo il peso sugli avambracci contro le pietre bagnate e Ukyo,
immersa
fino alle clavicole, guardava verso ovest dove stava nascendo la sera.
Improvvisamente, circondati dal tepore e dal silenzio, i
sensi delle artiste marziali si misero all'erta. Nabiki, furba e
scaltra al
pari di una combattente, notò subito i loro nervi tesi e
chiese:
<< Chi va là? >>
Non ci fu nessuna risposta se non un fruscio fra gli alberi.
Gli occhi allungati di Shan-pu, ridotti ad una fessura tanto
sottile che li faceva sembrare chiusi, saettavano di qua e di
là, mentre Akane
e Ukyo avevano assunto la posizione di difesa.
Kasumi si strinse di più alla sua roccia ed io guardai
preoccupata oltre il muro di cinta.
Veloce quanto un fulmine un'ombra corse nella nostra
direzione e l'unica cosa che riuscii a sentire fu un urlo, forse dato
proprio
da me, mentre chiudevo gli occhi e mi preparavo all'impatto.
Uno... due... tre... ma non accadde nulla.
Lentamente riaprii gli occhi.
Nabiki e Kasumi, prontamente uscite e coperte, erano già
oltre il porticato; Ukyo teneva le braccia attorno al busto,
così come Akane,
mentre Shan-pu, a suo agio con la propria nudità, si
limitava a guardare
trucemente qualcosa.
Davanti a me, in tutta la sua imponenza, si stagliava la
schiena cesellata di Ranma. Intarsiata da muscoli che parevano
disegnati al
carboncino, nascondeva ai miei occhi quel che teneva in mano.
<< E dai! Coraggio! Cosa vi ho fatto? Ranma, lascia che
questo povero vecchio allieti le sue ultime ore di vita con la visione
delle
prosperità di queste meravigliose sirene! >>
disse una voce lagnosa e
graffiante che -stranamente- intuii subito a chi apparteneva.
<< Schifoso, vecchio, maniaco! >> gridarono
in
coro i quattro combattenti, con un fortissimo pugno, lo tramortirono
mettendolo
K.O. per un bel pezzo.
Usciti dalla vasca, lo legarono ad una massiccia trave di
legno del porticato.
Chiusa
nella
stanza piccola e stretta che mi era stata
assegnata, mentre ripetevo a mente i passaggi per chiudere lo yukata
“lembo
sinistro su quello destro, chiudi, piega, stringi l'obi”,
ripensai a quanto
accaduto quello strano pomeriggio.
Ripensai a Ranma e al suo sguardo imbarazzato e
incentro, ma pur sempre da uomo, che voltandosi mi aveva rivolto; al
viso di
Akane, rossa per la vergogna e la rabbia mentre intimava al ragazzo di
“chiudere gli occhi, brutto idiota!”; ai quattro
bronzi di Riace che erano
accorsi preoccupati, con le spalle larghe, la vita stretta coperta solo
da un
minuscolo asciugamano e i capelli scuri bagnati, belli da mozzare il
fiato e
tremendamente allarmati.
Ripensai allo sguardo di Ryoga, protettivo e incantato su di
noi e sui nostri asciugamani bagnati e aderenti; a Mousse che correva
incontro
alla sua Shan-pu senza badare al resto, gridando “Shan-pu,
mia amata, ti salvo
io!!” e andando a sbattere contro il piede della piccola
cinese alzato in aria
con grazia per sferrargli un calcio.
Ripensai anche agli occhi di Alexander più scuri del solito,
come se la pupilla si fosse dilatata squagliando il nero su tutta
l'iride come
una macchia di inchiostro.
Ripensai infine all'assurdità della situazione e le mie
guance accaldate si tinsero dello stesso rosso del rossetto che stavo
mettendo.
Legai i capelli in uno chignon basso, come da tradizione, e
mi feci coraggio per uscire ed andare a cena. In fondo, pensai, venivo
da un
paese privo di tabù rispetto al loro, o forse no... Deglutii
sonoramente e
abbassai la maniglia con lentezza.
Nel corridoio, concentrata e intenta a camminare sui geta,
i sandali tradizionali, andai a sbattere contro Ranma, anche lui a
testa bassa.
<< Jude >> cominciò
<< Ehm... stai
benissimo con lo yukata! >>
<< Grazie... >> sussurrai sentendo il viso
avvampare e cercando velocemente con gli occhi una via di fuga.
<< Volevo dirti una cosa >> disse
abbassandosi
verso di me per cercare di intercettare il mio sguardo <<
Non... non
essere imbarazzata per oggi pomeriggio! Ecco loro... loro non ti hanno
vista,
c'ero io davanti a te e Akane >>
A quell'affermazione il mio respiro si regolarizzò, ma
l'agitazione non accennava nemmeno minimamente a scemare. Sapevo
già che non
potevano avermi vista, almeno non prima di essermi
“coperta” con quella specie
di salvietta, ma non significava nulla: era stato uno dei momenti
più
imbarazzanti della mia vita, forse persino più della prima
recita scolastica
dove avevo cantato da solista. E comunque era una magra consolazione:
Mousse
non mi avrebbe notata nemmeno se fossi stata fosforescente, Kuno
avrebbe dovuto
avere tre occhi per dedicare a ciascuna di noi le attenzioni che
avrebbe
voluto, Ryoga probabilmente avrebbe guardato solo Ukyo, oppure sarebbe
stato
troppo galante per alzare lo sguardo e Alexander... scossi la testa a
quegli
assurdi pensieri e mi decisi a rispondere:
<< Meno male... almeno loro... tu invece...
>>
sussurrai senza avere il coraggio di guardarlo ma lui mi
stupì, alzò la testa
velocemente scoppiando in una fragorosa risata e portandosi le braccia
dietro
la nuca: << Non devi preoccuparti di me! Io non ti ho...
ehm, non vi
ho
guardate! Stai tranquilla! Queste situazioni imbarazzanti capitano
praticamente
sempre in casa nostra! Pensa che il primo incontro fra me e Akane
è avvenuto in
bagno! >>
<< Davvero? >> chiesi io quasi sollevata.
<< Sì! Io facevo il bagno e lei è
entrata non sapendo
che ci fosse qualcuno dentro >>
<< E vi siete visti...? >>
<< Altroché! E Shan-pu si è
infilata tante di quelle
volte nella vasca mentre facevo il bagno che non ci faccio nemmeno
più caso!
>>
Arrossii lievemente, in effetti era proprio una cosa da
Shan-pu.
<< Quindi... faccenda dimenticata? >>
<< Quale faccenda? >> chiese lui facendomi
l'occhiolino << E poi >> aggiunse
<< Se Akane pensasse solo
minimamente che ho osato guardarvi anche per meno di un nanosecondo, mi
fracasserebbe la testa! >>
<< Oh sì, e ne sarebbe anche capace!
>> assentii
ripensando alla mattina di qualche giorno prima quando l'avevo vista
spaccare
in due e con una mano sola interi mattoni.
E così, ridendo
e
ripromettendomi di chiedere di più ad Akane su quel loro
primo incontro, mi
avviai con Ranma verso la sala della cena, dove tutti ci stavano
aspettando.
I miei
amici,
seduti intorno al tavolo della sala del piccolo
ryokan, che ci ospitava, erano bellissimi nei loro abiti tradizionali.
Le
ragazze, fra colori e fiori, sembravano delle fate dei boschi, mentre i
ragazzi, nei loro yukata scuri, erano tremendamente affascinanti.
Mi misi seduta al fianco di Akane, di fronte ad Alexander e
alle sue enormi spalle coperte dalla stoffa nera; mi sorrise con
dolcezza,
mimando un muto “sei bellissima” che fece sorridere
anche me.
Attaccato al palo del porticato, praticamente tutto avvolto
da una spessa corda, c'era ancora Happosai,
legato. Senza mai smettere di lamentarsi e
piagnucolare, il
vecchio
maestro continuò a gridare per tutta la durata della
cena “Slegatemi, faccio il
bravo lo giuro! Date un po' di cibo a questo povero vecchio! Akanuccia
dolce,
zuccherino mio, farfallina delicata, liberami tu!!!” e
ricevendo sempre in
risposa uno “Sta zitto, vecchiaccio” da Ranma.
Mi soffermai un secondo a guardare quel buffo vecchietto: di
certo aveva un'insana passione e una visitina da qualche psicologo non
gli
avrebbe fatto male, ma, alla fine, dopo averci fatto l'abitudine, era
anche
divertente. Le stravaganti e incredibili situazioni in cui ci cacciava,
passato
l'imbarazzo iniziale, si tramutavano presto in uno splendido
ricordo e tante
risate. E così fu per quella sera, e anche per numerosi
altri giorni di
quell'ultimo mese che mi restava da passare a Nerima, in casa Tendo.
Nel frattempo, con quella strana e imbarazzante giornata alle
terme, un nuovo piccolo amico era entrato a far parte della cerchia
delle
persone pazze, stravaganti ma assolutamente insostituibili che ebbi la
fortuna
di conoscere durante quel viaggio che mi cambiò la vita.
***
Buonasera
a tutti!!
Ed
eccomi qui, con il consueto ritardo (di cui mi scuso, come sempre!)
Non
ho molte cose da dire se non che spero che il capitolo vi piaccia e che
capiate la "battuta" del titolo!
Un
ringraziamento particolare va alla mia motivatrice/supportatrice/beta
Gretel85
e
alla sua pazienza, e ci tenevo anche tanto a ringraziare Bethan_ che mi
ha scritto una mail fantastica e dolcissima che, oltre ad avermi fatto
un immenso piacere, mi ha spronata tantissimo a scrivere questo
capitolo!
Grazie
anche a tutti voi, che mi aspettate, mi leggete e un grazie poco poco
più grande a chi trova il tempo di lasciarmi scritto il suo
parere.
Immancabilmente
grazie alle mie speciali Ladies.
Ci
vediamo al prossimo aggiornamento, che riguarderà....?
Vostra,
Aronoele (:
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