Liberté, Égalité,
Fraternité.
Douze.
-Ace!
Ace!-
Thatch,
imbacuccato di stracci e coperto fin sopra i capelli con scialli
dai colori sgargianti e tre borse di stoffa rattoppate per braccio,
riempite
con carote, patate, e un polletto vivo,
seguiva il giovane davanti a lui agghindato alla stessa maniera,
completo di
sottogonna e parrucca.
-Moccioso,
aspettami!- ripeté, alzando un poco la voce e ottenendo
l’attenzione dell’amico, il quale si
voltò verso di lui con il solo scopo di
scoccargli un’occhiataccia. Gli aveva intimato di non urlare
e di comportarsi
come una vecchietta per non attirare l’attenzione e lui che
faceva? Si
lamentava e lo rallentava.
-Muoviti,
razza di idiota, così li perdiamo!- lo incitò,
afferrandolo
per un gomito e trascinandosi dietro l’uomo più
grande che, a causa della sua
stazza, era fonte di curiosità per molti passanti. Non si
vedevano tutti i
giorni due anziane signore andare così di fretta, tutte
indaffarate a
agghindate.
E
con un pollo in una borsa.
-Non
riesco a camminare con tutta questa roba!- si lamentò
Thatch,
bisbigliando irritato per non farsi sentire da orecchie indiscrete,
sollevando
stizzito l’orlo della gonna per evitare di pestarlo e
mostrando così uno
stivaletto che gli stringeva in modo doloroso il piede e la gamba con
una
peluria abbondante e poco curata.
Ace
roteò gli occhi al cielo, schiaffeggiandogli il dorso e
obbligandolo
a lasciare la stoffa. -Non metterti in mostra, depravato!- lo riprese,
guardandosi attorno e non perdendo di vista la coppia di guardie che
stavano
pedinando in maniera da avere una mappa precisa del giro di ronda per
le strade
effettuato dagli ufficiali.
Thatch
sbuffò, facendosi aria sul viso. Quel giorno il sole
spiccava
alto nel cielo e scaldava tantissimo, soprattutto se si indossavano
abiti come
quelli che aveva lui. Quando Ace gli aveva proposto di andare in
missione
ricognitiva non aveva immaginato che avrebbero dovuto vestirsi da
donna.
Gliel’avrebbe fatta pagare, poco ma sicuro, perciò
tanto valeva iniziare subito
nel modo che meglio conosceva.
-Dimmi,
moccioso, come mai sei così a tuo agio con questi vestiti?-
domandò, continuando a seguire il ragazzo e sorridendo
ironico. Di certo
avrebbe tenuto l’informazione per sé in modo da
usarla negli anni a venire per
sfottere quel piccolo bastardo francese.
Il
corvino si strinse nelle spalle, camminando a passo svelto e tenendo
sollevato il bastone da passeggio senza nemmeno poggiarlo a terra per
andare
più veloce. -Facciamo sempre così.-
spiegò con disinteresse.
-E
vestirvi da mendicanti?- insistette l’altro. Che diamine,
quello
delle vecchiette non poteva essere l’unico travestimento
disponibile.
-Di
solito le guardie li picchiano.-
Thatch
sbatté le palpebre, scioccato.
Oh,
ecco perché,
pensò dispiaciuto, non per i barboni, ma per non aver
trovato abbastanza
materiale interessante da poter usare a suo piacimento. Aveva sperato
in una
confessione del tipo ‘mi vesto
spesso
così’, o qualcosa di simile, roba
scottante, ecco.
Seguirono
indisturbati la pattuglia lungo le viuzze di Parigi, evitando
accuratamente distinti signori di età avanzata che avevano
dato segno di
interesse verso di loro, scambiandoli giustamente per signore, e
ritornando al
punto di partenza da dove era partito il giro, ovvero alla caserma.
Lì si
diedero il cambio con altri due Rivoluzionari, altrettanto camuffati,
completi
persino di ombrellini e rossetto davanti ai quali l’inglese
scosse il capo,
dovendo però ammettere che quei parigini prendevano sul
serio i pedinamenti.
Ace,
invece, ritenendosi soddisfatto, puntò verso il Quartiere
Latino
con l’intento di andare a fare rapporto e riferire a Shanks
l’ennesimo giro di
pattuglia con Thatch rigorosamente al suo fianco, impegnato a levarsi
di dosso
la camicia rosa, ficcandola in malo modo dentro un borsone dopo aver
abbandonato il ruspante animale in un cortile li vicino.
-Abbiamo
finito per oggi?- gli chiese poi, passandosi una mano tra i
capelli folti e respirando a pieni polmoni, ringraziando il Cielo per
essersi
tolto quegli strati in eccesso di merletti e pizzi.
Ace
annuì, calcandosi il cappello sulla testa con fare sapiente.
Quell’affare, di un assurdo colore arancione, ricamato con
due pezze di cuoio
sul frontale e un laccetto con un pendaglio piumato appeso alle
estremità, se
lo era ritrovato il giovane nella sua camera alla locanda dopo la prima
notte
che avevano passato assieme a Montmartre, probabilmente un souvenir che
aveva
portato con sé inconsciamente. Inutile dire che ci si era
affezionato molto e
che non se lo toglieva mai, a volte nemmeno per dormire, cosa strana,
ma che
nessuno aveva commentato, pensando che di stranezze, al mondo, ce
n’erano di
peggiori. Nemmeno Thatch aveva detto nulla, anzi, quel cappello dava ad
Ace un
tocco di personalità in più, rendendolo
ulteriormente particolare.
-Ehi,
stamattina Curiel e Blenheim sono andati a caccia e hanno preso
due cinghiali.- si ricordò il castano, battendo le mani
sulle spalle di Ace e
facendogli fare un lungo passo in avanti per non perdere
l’equilibrio, -Vieni a
cena da noi? Abbiamo pure trovato della birra!-
-Uh?
Birra? E cos’è?-
A
quella domanda, l’uomo si fece serio e sbatté le
palpebre perplesso.
Quei buongustai in fatto di vino e donne non sapevano cos’era
la birra? Assurdo, doveva
assolutamente
rimediare.
-Ah,
ragazzo mio,- iniziò a dire, passandogli un braccio attorno
alla
schiena e trascinandoselo addosso tanto da schiacciarlo contro il suo
petto
ampio, incurante delle lamentele di Ace che non riusciva a respirare.
-Stasera
vedrai come festeggiamo noi inglesi. Chiama pure il biondino, Sabo, o
chi vuoi.
Ci divertiremo.-
Ace
si divincolò dalla presa, allontanandosi di qualche passo
per
evitare un altro degli assalti del castano, molto frequenti, dato che
aveva a
che fare con una persona tanto, forse troppo, espansiva.
-Glielo
farò sapere, ma non so se ne avrà voglia. Si sta
occupando
dell’Assemblea alla Cattedrale di
Saint
Paul-Saint Louis. Sai, per via della chiusura della sala
della pallacorda.-
fece sbrigativo e un po’ nervoso. La situazione si stava
facendo sempre più
complessa e a Palazzo sembrava che il Re non volesse proprio cedere.
Lurido
zoticone pomposo che non era altro.
-Mhm,
capisco. Beh, ma tu non puoi mancare!- sdrammatizzò Thatch,
volendo distrarre un pochino Ace dai suoi pensieri. Avevano lavorato in
incognito tutti il giorno, dato che da poche settimane Barbabianca
aveva messo
a disposizione di Shanks alcuni dei suoi uomini, lui compreso, e da
allora avevano
preso a lavorare assieme. A volte c’era anche Sabo, quando
non era impegnato in
affari burocratici assieme al Rosso che, dopo una baruffa con i fiocchi
della
quale Ace gli aveva solo accennato, lo aveva assunto sotto la sua ala e
lo
faceva partecipare a molte riunioni stressanti e noiose, come ripeteva
costantemente il corvino, ma che a suo fratello piacevano,
perché molto più
intellettuale e portato alle chiacchiere.
Ace
sorrise, pregustando già una cena con i fiocchi a base di
carne vera
e non solo di verdure o stufati. Non che Makino non fosse una brava
cuoca, ma
le prelibatezze scarseggiavano per tutti, se non si contavano i
regalini che
Sanji, di tanto in tanto, passava a portargli.
-Ci
puoi scommettere!-
*
Ace
non aveva mai visto le paludi conciate in quel modo.
Certo,
a causa delle ronde gli inglesi non potevano permettersi di
esagerare con le illuminazioni e con le fiaccole, ma avevano ideato
abbastanza
bene il modo giusto per far si che nulla fosse completamente avvolto
dal buio.
Appese
agli alberi c’erano una serie di lanterne per la maggior
parte
bianche, in modo da rischiarare l’ambiente, mentre sopra di
esse erano stati
posti strategicamente dei fasci di rami e foglie uniti tra loro, in
modo da
creare quasi dei tettucci bassi e sospesi, impedendo così
alle luci di attirare
l’attenzione dalla città. Per quanto riguardava la
carne, invece, era stata
arrostita nei pressi di uno dei ponti situati sulla Senna giusto
all’uscita
fuori dalle mura, dove la vegetazione era più fitta e dove
l’atmosfera era
fresca. Inoltre, essendo vicino al rivolo d’acqua, estinguere
il fuoco non era
stato un problema, mentre il fumo era finito tutto verso la boscaglia.
Il buon
profumo che era aleggiato da quelle parti era stato un po’ un
problema, ma alla
fine nessuna guardia era passata da quelle parti ed era bastato donare
una
parte di quella carne a qualche curioso per comprare il suo silenzio.
Tutto
riuscito e non un’anima aveva visto nulla.
-Allora?
Cosa te ne pare?- gli stava chiedendo Thatch a bocca piena,
ingoiando un boccone intero e rischiando quasi di strozzarsi, costretto
poi a
bere una generosa sorsata di birra.
Birra!
Ace non avrebbe mai detto che esisteva qualcosa di più buono
del
suo cognac o del poiré,
ma si era dovuto ricrede dopo aver assaggiato quella bevanda
tanto decantata dai suoi amici che scendeva lungo la gola fino allo
stomaco
tanto velocemente quanto dava alla testa. Era più pesante
del vino e gli dava
un senso di sazietà, ma la carne era ancora tanta e lui non
aveva intenzione di
sprecarla lasciandola sul piatto. Perciò, rispondendo al
castano che era tutto
una meraviglia, addentò il suo pasto e non
proferì più parola per un pezzo,
lasciando che fosse Sabo, arrivato da poco più di cinque
minuti, a intrattenere
una conversazione con gli altri seduti accanto a lui.
Il
biondo aveva passato una giornata infernale, ma alla fine, anche se
il Re non aveva dato segno di cedimento e la questione non era ancora
stata
chiusa, i Rivoluzionari avevano guadagnato altri alleati nei loro
ranghi e ottenuto
parecchi favori da parte del Clero, quindi poteva ritenersi soddisfatto
e
prendersi una pausa, riempiendosi lo stomaco e bevendo fino a
dissetarsi. Anche
a lui sembrava piacere la birra.
-E
quindi ho sollevato la gonna e gli ho fatto vedere il ben di Dio che
nascondevo!- concluse Thatch, scatenando le risate generali e facendo
andare di
traverso l’alcool a Marco, il quale stava partecipando alla
festicciola
improvvisata giusto perché quei momenti spensierati con i
suoi fratelli gli
erano mancati immensamente e pensava che una rimpatriata avrebbe
giovato
all’umore teso di tutti. Aveva storto il naso quando il
fratello gli aveva
comunicato che aveva invitato anche qualche francese, ma non aveva
fatto
storie, vedendo come suo padre, presente a quella scena, avesse sorriso
entusiasta, felice di vedere che andavano tutti d’accordo
come una famiglia.
Non aveva avuto cuore di dargli un dispiacere, perciò aveva
sospirato e aveva
annuito, garantendo che ci sarebbe stato e che per lui andava bene.
Anche se,
in verità, non gli piaceva per niente quell’idea.
Quelli non c’entravano nulla
con la loro vita, ma non poteva lamentarsi perché
l’unico ad avere delle
riserve nei loro confronti era lui, mentre tutti gli altri parevano non
vedere
l’ora di passare il tempo con i parigini. Cosa avessero di
speciale, lui
proprio non lo capiva, ma era abbastanza grande e intelligente per fare
finta
che non esistessero e provare a godersi la cena con quelli che amava
davvero.
-E
poi cos’è successo?- si intromise Namiur, alzando
un bicchiere verso
Thatch, il quale, camminando davanti a loro sopra ad una tavola
improvvisata,
si scopriva una gamba fino al ginocchio, tirando su i pantaloni.
Afferrò
il boccale e bevve una generosa sorsata di schiena,
restituendolo poi al fratello e, dopo aver deliziato i presenti con un
rutto,
finì il suo racconto. -Niente, mi hanno consigliato di
depilarmi e mi hanno
palpato il culo!-
Marco
nascose parte del volto tra le mani, voltando il capo per non
guardare oltre quella scena penosa in cui suo fratello si rendeva
ridicolo come
al solito. Quella storia l’aveva sentita mille volte ma,
puntualmente, ad ogni
festa doveva saltare fuori in modo da renderla nota anche agli ultimi
arrivati.
Sospirando
senza speranza, aprì gli occhi, guardandosi attorno con
l’intento
di estraniarsi per non ascoltare per l’ennesima volta il
finale assurdo che
quel cretino si divertiva a raccontare, adocchiando una figura intenta
a
divorare tranquillamente buona parte della sua cena, scroccando di
tanto in
tanto qualche pietanza dal piatto dei vicini ignari, i quali prestavano
tutta
la loro attenzione a Thatch senza accorgersi di nulla.
Fissò
a lungo come Ace ingurgitava una quantità assurda di cibo
senza
quasi prendere fiato, alternando carne, verdure, birra, pane, ancora
birra e
poi di nuovo carne. Sembrava che non mangiasse da giorni e, quando lo
vide
afferrare una stracciata borsa a tracolla verde e nera e ficcarci
dentro parte
degli avanzi, non poté fare a meno di sorridere, tornando
immediatamente freddo
quando si rese conto di quella reazione sciocca e inutile. Era solo un
classico
comportamento da mocciosi quello che aveva visto, nulla di
più. Lo facevano
tutti, quindi perché perdere tempo?
Indurendo
lo sguardo, riportò gli occhi davanti a lui, scoprendo con
sollievo che Thatch aveva finito la sua esibizione e si prodigava in
inchini,
accogliendo di buon grato le risate e gli applausi che gli venivano
fatti.
Come
Marco, anche Sabo aveva notato quello che stava facendo Ace e, dopo
essersi scambiato un’occhiata eloquente con il fratello, gli
passò lui stesso
il suo piatto con il cibo che era rimasto in modo che lo mettesse nel
sacco per
portarlo a casa. Il giorno dopo lo avrebbero dato alle famiglie che
soffrivano
di più il peso delle tasse sul pane e sugli alimenti.
Sembrava
che Ace fosse sempre al centro dell’attenzione di tutti,
perché
anche Koala stava da un po’ fissando quello che stava
combinando, incuriosita e
con un sorriso dolce sulle labbra. Era accanto a Sabo e, se si sporgeva
un
pochino, riusciva a vedere il ragazzo moro che, incurante di quello che
gli
stava accadendo attorno, ripuliva tutti i piatti senza nemmeno chiedere
il
permesso. Le scappò una risata sommessa quando lo vide
alzarsi per andare a
chiedere a Blamenco se avesse intenzione di finire la sua parte o se
poteva
prenderla lui.
Sabo,
sentendola, si voltò verso di lei con un sopracciglio
inarcato,
domandandole tacitamente cosa ci fosse, oltre a Thatch, di
così divertente.
Lei
si strinse nelle spalle, inclinando il capo di lato. -Ace.- disse
solamente, come se bastasse a spiegare il suo umore. Allora anche Sabo,
dopo
aver rivolto un’altra occhiata all’apparenza
esasperata, ma anche di profondo
affetto al fratello, sorrise, poggiando un gomito sul tavolo per
appoggiarci il
mento, girandosi completamente verso la ragazza per accertarsi di
escludere
tutti gli altri dalla conversazione.
-Lo
fa per non sprecare nulla.- chiarì, prima che iniziasse a
pensare
che era solo un ladruncolo, ma Koala riuscì a stupirlo con
la sua bontà
un’altra volta.
-Lo
avevo immaginato. Anche lui non era riuscito a finire tutto.
Inoltre, pure Haruta ed io, di tanto in tanto, lo facciamo.- concluse
sussurrando, facendosi più vicina al volto
dell’amico e mettendosi una mano al
lato della bocca per parlargli vicino all’orecchio. -Ma non
dirlo al babbo, lui
non lo sa.-
Sul
viso di Sabo si aprì un sorriso che sfociò in una
risata sonora,
tanto che reclinò il capo all’indietro, mentre
Koala si mordicchiava il labbro,
ridacchiando in maniera più contenuta per non attirare
troppo l’attenzione, colpendolo
intanto al braccio o sul petto nella speranza di farlo smettere.
Sembravano
due bambini che giocavano, avrebbe pensato qualcuno, ma a
notarli fu l’acuta vista di Thatch e, ovviamente, la sua
immaginazione fervida
e maliziosa iniziò subito a mettersi in moto.
Poggiò il boccale appena riempito
sul legno, schiarendosi la voce per lasciare uscire dalle labbra una
battutina
sarcastica e decisamente poco elegante, quando accanto a Koala vide
materializzarsi la figura minuta di Haruta, dovendo così
zittirsi all’istante e
perdendo parte del buonumore che aveva acquistato con
l’alcool.
La
guardò parlare con la compagna, salutando allegramente Sabo,
il quale
rispose educatamente, domandandole qualcosa che il castano non
riuscì a
sentire, vedendola poi allontanarsi agitando la mano verso quei due,
diretta
forse nella sua tenda a dormire.
Il
suo stomaco si chiuse e tutto l’interesse per la birra e per
la festa
che aveva atteso con impazienza dall’ora di pranzo
scomparirono a causa della
consapevolezza che Haruta, da un mese a quella parte, aveva smesso di
passare
il tempo in famiglia. La sera, solitamente, si trovavano tutti attorno
ad uno
dei focolari per chiacchierare, oppure andavano dal babbo, o
addirittura
passeggiavano per le paludi in compagnia, mentre, da quando gli aveva
urlato di
volerlo evitare, non la vedeva più. Inizialmente aveva
creduto impossibile non
riuscire a beccarla in qualche momento della giornata
all’accampamento, ma la
ragazza si stava rivelando più brava e furba del previsto.
Lo ignorava e
spariva l’attimo prima che lui arrivasse.
Quella
sera non si era nemmeno accorto del momento in cui era spuntata e
solo in quell’istante si era reso conto che ciò
era stato l’intento di Haruta
fin dal principio. Si comportava come se non vivesse
all’accampamento, non
mangiava più con i fratelli e non si allenava nemmeno
più dove era solita
farlo. Era praticamente scomparsa dalla sua vita.
E
lui non sapeva ancora perché.
Quando
Vista gli chiese dove era diretto quando si alzò da tavola
con
un’espressione dura e senza l’ombra di un sorriso
sulla faccia, gli rispose
semplicemente che andava a vomitare, in modo da tenersi tutti lontani e
avere
l’occasione di chiarire una volta per tutte quel problema che
Haruta sembrava
avere con lui. E se non voleva ascoltarlo allora l’avrebbe
obbligata.
-Lei
come sta?- stava chiedendo intanto Sabo a Koala, facendo un cenno
in direzione della ragazza che era appena passata a dare loro la
buonanotte.
-Insomma.-
sospirò lei, -E’ davvero tanto triste. Io cerco di
starle
vicina e anche Marco e gli altri che hanno capito la situazione, ma
credo si
senta ugualmente tanto sola.- gli confessò, scuotendo il
capo, tanto che una ciocca
ramata e ribelle le sfuggì dal cerchietto rosso che portava
per tenere in
ordine i capelli.
Senza
riflettere, Sabo la catturò tra le dita, giocherellandoci
distratto, ignorando il baccano che avveniva attorno a loro. A quanto
pareva, Curiel
aveva sostenuto di aver catturato da solo i cinghiali, mentre Blenheim
insisteva nel dire che era stato tutto merito suo, scatenando
così una salutare
rissa tra amici e fratelli alla quale si erano unite più
persone del previsto.
Si udì pure il timido suono di una chitarra e di un
tamburello rallegrare quel
momento.
-Potresti
portarla in città.- mormorò pensieroso Sabo,
fissando i
capelli morbidi di Koala che aveva ancora tra le mani. -Le farebbe bene
distrarsi.- decretò con sicurezza, rimettendo a posto la
ciocca e sorridendo
convinto alla ragazza di fronte a lui, il cui sguardo si illuminava per
la
bella idea che le aveva consigliato.
-Non
ci avevo pensato, ma hai ragione! Posso proporglielo e sono certa
che non dirà di no.-
-Sarà
entusiasta, credimi. Parigi sa conquistare chiunque.-
scherzò lui,
coinvolgendo pure la giovane.
-Come
te, insomma.-
Nell’esatto
momento in cui quella frase prese vita, Koala si sentì
andare a fuoco le guance, mentre, davanti a lei, Sabo si grattava la
nuca
imbarazzato, sorridendo appena. Accidenti, doveva imparare a smetterla
di dire
sempre quello che le passava per la mente.
-Cioè…
io volevo solo dire che, beh, sei… ehm, bravo c-con le
parole.
Uh, sai farti ascoltare, come nelle assemblee. Questo intendevo io,
ecco.-
balbettò insicura, guardando ovunque, tranne che verso di
lui e sperando che
qualcosa, qualsiasi cosa interrompesse quella tortura, mettendo fine
alla
figuraccia che stava facendo.
Il
miracolo arrivò dall’alto, cadendo rumorosamente
sotto al loro naso e
battendo sul tavolo, facendolo sussultare. Un qualche idiota aveva
bevuto
troppo ed era caduto dall’albero sul quale si era arrampicato
e, a giudicare
dal divertimento generale, non si era fatto gran ché, ma
aveva dato l’occasione
a Koala per scattare in piedi e battere in ritirata.
-Si
è fatto tardi, meglio che vada a dormire pure io.- disse di
fretta,
indietreggiando impacciata e con lo sguardo di Sabo addosso che, per
l’appunto,
sembrava avere una paralisi facciale dato che quel sorriso non voleva
saperne
di sparire.
-Buonanotte!-
sbottò infine, affrettandosi a voltarsi per scomparire
nella speranza che il ragazzo si ubriacasse e dimenticasse quella
sparata
colossale che il suo cervello non aveva censurato.
-Sei
molto bella, Koala.- si sentì dire e fu come se le venisse
tolta
tutta l’aria. Si bloccò all’istante, non
sapendo cosa fare o come reagire.
Qual’era la regola da rispettare in quelle circostanze?
C’era un elenco da
seguire o qualche frase da pronunciare? Ed era possibile che sentisse
le guance
in fiamme in quella maniera?
Si
abbracciò il petto con le braccia, stringendosi nelle
camicetta rosa
antico che aveva indossato.
Davvero
Sabo pensava che fosse bella? Insomma, lui viveva in città,
aveva una casa, dei vestiti puliti ed era sempre così
attento e gentile, mentre
lei cosa aveva? Aveva si e no tre paia di abiti, giusto il necessario
per
poterli indossare e lavare allo stesso tempo, viveva in mezzo al nulla
e
l’unica cosa che sapeva fare era il medico quando serviva e
leggere. Di certo,
nessuno le aveva mai detto che era bella per quelle poche cose che la
riguardavano.
Però
sentirselo dire le fece piacere, qualcosa doveva pur valere e detto
da Sabo, il quale, lo sapeva, era incapace di mentire, doveva essere
per forza
vero, quindi un pizzico di bellezza in lei c’era.
Così
si voltò, regalandogli un sorriso timido e mimando un grazie
con le
labbra, salutandolo prima di andarsene e perdendosi il sospiro
dall’aria
vagamente sognante che il ragazzo si lasciò sfuggire.
*
-M-marco…-
provò a dire un balbettante e nervoso Ace, immobilizzato
contro il tronco di un grosso albero senza vie di fuga da poter
prendere per
fuggire da quella situazione imbarazzante e sorprendente in cui mai
avrebbe
pensato di ritrovarsi.
Per
tutta risposta, il biondo si avvicinò ulteriormente a lui
fino a far
aderire il suo corpo accaldato a quello impietrito del ragazzo,
continuando a
lasciare una scia di baci sul collo del più piccolo che
sapevano di vino e
birra, ma anche di dolce e meringhe, giusto quelle che Sabo aveva
portato dalla
città per festeggiare, mordicchiandolo di tanto in tanto.
-Marco.-
riprovò allora Ace, con un po’ più di
fermezza nella voce con
la speranza di riuscire a farsi valere e a cavarsi da
quell’impiccio,
trattenendo però il respiro quando i denti
dell’uomo gli sfiorarono la gola.
Era
tutto così assurdo, lui non avrebbe dovuto trovarsi
lì, con il suo
nemico giurato mezzo ubriaco, anzi, totalmente ubriaco marcio,
spalmatogli
addosso, quasi come il formaggio che metteva Makino sul pane la
mattina,
intento a divorarlo lentamente.
-Non
credo c-che sia una b-buona idea.- Riuscì a dire tutto
d’un fiato.
Oh no, non lo era affatto, anzi, se li avessero beccati in quel
frangente, come
minimo lo avrebbero legato ad una delle postazioni delle sentinelle,
quelle
situate più in alto sugli alberi, senza cibo ne acqua.
-Ah
no?- sussurrò Marco, depositandogli l’ennesimo
bacio sulla pelle e
facendogli scorrere un brivido lungo la schiena.
Ma
che diavolo…?
Era
malizia quella che Ace sentì nella sua voce? E da quando
quel
bastardo si rivolgeva a lui in quel
modo e con quel tono? Di solito lo
guardava con disprezzo o lo ignorava bellamente. Di sicuro non lo
avvicinava in
quella maniera! Ancora non si capacitava di come se lo era ritrovato
tra i
piedi quella sera, sapeva solo che prima stava camminando con la sua
sacca
piena di cibo e quello dopo si era ritrovato sbattuto addosso a un
albero con
quell’inglese che senza troppe cerimonie gli si era avventato
contro.
Marco
approfittò di quel momento di silenzio per schiacciarlo
contro il
tronco e afferrargli saldamente un fianco per non permettergli di
muoversi,
scorrendo con le dita sotto al tessuto giallo della camicia e sentendo
come i
nervi di Ace si tendessero al suo passaggio.
Il
ragazzo si morse le labbra per non tremare a quel tocco, mentre
dentro di lui si muovevano sensazioni strane mai provate prima,
facendogli
quasi percepire il sangue che gli scorreva nelle vene e il cuore che
accelerava
il ritmo, svegliandolo completamente e rendendolo lucido. Aveva
l’impulso di
rispondere a quelle attenzioni, di aggrapparsi alle spalle di Marco e
di
affondare le dita tra quei capelli improbabili con il desiderio di
strapparglieli
per obbligarlo finalmente a prestargli attenzione. Voleva restituirgli
il gesto
e morderlo fino a fargli male, fino a fargli vedere che lui
c’era, che esisteva
e che non avrebbe smesso di comportarsi come era solito solo
perché a lui dava
fastidio.
Fottuto
inglese.
Ma,
quando le labbra di Marco risalirono la linea del collo fino alla
sua guancia, si rese conto che qualcosa non andava bene, che quello non
era il
principio di una rissa e nemmeno una casta discussione, no, quello era
tutto un
casino che gli stava facendo scoppiare la testa per la confusione.
Doveva
reagire, sapeva che il braccio destro di Barbabianca non era
lucido e voleva evitare fraintendimenti e casini irreversibili dato che
aveva
già perso troppo il sonno a causa sua. Non gli occorreva di
certo essere
additato come seduttore, figuriamoci. Lui, poi, che in
quell’ambito non ci
capiva niente!
Peccato
che quella inesperienza, però, giocasse a suo sfavore, visto
e
considerato che le attenzioni che Marco gli stava rivolgendo, sotto,
sotto, a
una parte di lui non dispiacevano affatto. Era un qualcosa di nuovo e
di
piacevole, tanto che avrebbe quasi voluto scoprire fino a che punto si
sarebbe
spinto quel fastidioso essere che gli aveva fatto capire che lo odiava,
ma la
paura di finire nei guai e l’antipatia che provava verso di
lui ebbero la
meglio.
Così,
con un sospiro stanco, posò entrambe le mani sul petto del
biondo,
facendo leva per staccarselo di dosso e allontanarlo, per sua fortuna
riuscendoci.
-Hai
bevuto troppo.- gli fece notare con sarcasmo, sorreggendolo quando
lo vide traballare incerto sulle sue gambe. -Meglio se vai a dormire.-
-Gneh,
io sto benis-simo!- contestò l’altro, colpito
nell’orgoglio e
desideroso di dimostrare la sua ormai perduta lucidità
mentale che, se fosse stata
presente, non gli avrebbe mai permesso di avvicinare Ace in quel modo.
Non
voleva comunque ammettere che tutto ciò di cui aveva bisogno
era un letto e un
secchio dove vomitare l’anima.
Ciò
Ace l’aveva capito dal colore pallido che aveva assunto il
volto di
Marco e dalle palpebre pesanti, così, ingoiando improperi e
giurando vendetta,
lo trascinò verso uno dei focolari poco lontani dove era
sicuro di aver visto
delle panche e qualche coperta. Non era certo di riuscire a portarlo
fino alla
sua tenda, la stessa che condivideva con Thatch, perciò
avrebbe dovuto
accontentarsi di dormire per terra e guai a lui se avesse avuto il
coraggio di
lamentarsi.
La
distanza era poca, circa una decina di metri, ma furono infinite tra
imprecazioni, risate sguaiate e senza motivo, battute insensate,
colorite e
ingegnose verso la madre di ignoti.
-Ecco!-
esalò il ragazzo, lasciando scivolare il più
grande su una delle
due panche disposte attorno al fuoco quasi al limite e gettandogli
addosso una
coperta raccattata da terra con poca grazia. -Bene, ora dormi, ne hai
bisogno.-
concluse scocciato e con una buona dose di acidità che non
si preoccupò di
nascondere, anche se vedere le condizioni pietose in cui Marco si era
ridotto
gli dava un senso di soddisfazione immenso.
Farlo
fuori in quel momento sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Il
pensiero colpì Ace all’improvviso e fu talmente
sconvolgente che si
vergognò di se stesso. Aveva dovuto imparare troppo presto
ad uccidere per
salvarsi la vita e, ogni volta che sparava a qualcuno, doveva per forza
estraniarsi dal mondo e non pensare per non venire sopraffatto dalle
emozioni e
dall’ansia. Le domande erano la parte peggiore, si chiedeva
spesso se fosse
giusto o sbagliato, ma alla fine Shanks gli aveva spiegato che, a
volte, era solamente
necessario. Lui arrivava ad uccidere unicamente se non aveva altra
scelta o se
una persona a cui teneva era in pericolo. Per la sua famiglia, ad
esempio,
avrebbe raso al suolo un intero battaglione, ma uccidere
così, per puro piacere
o ripicca gli faceva rivoltare lo stomaco. Persino l’odio non
gli pareva un
buon motivo per arrivare a tanto.
Fu
per quello che si ripromise di chiarire i conti con Marco. Dovevano
trovare un modo per andare d’accordo e per non desiderare
costantemente di
scannarsi a vicenda. Certo, non sarebbe stato facile, lui per primo lo
ammetteva, ma continuare in quella maniera non avrebbe portato da
nessuna parte
e, se fosse servito a qualcosa, avrebbe fatto lui il primo passo quando
ne
avrebbe avuto l’occasione.
Presa
quella decisione, Ace mandò giù
l’ennesimo boccone amaro e si
avviò con la sua sacca piena di avanzi verso casa,
desideroso di buttarsi a
letto e cadere in un sonno profondo. Avrebbe lasciato il divertimento
agli
altri, lui, per quella notte, ne aveva avuto abbastanza.
Marco,
ormai, dormiva della grossa nel suo giaciglio improvvisato in
modo scomposto e, russando rumorosamente, si sarebbe svegliato al
mattino con
la sensazione di avere le ossa fracassate e di aver fatto qualche
cazzata
ridotta solo ad un vago ricordo riguardante la gola di qualcuno.
*
Era
il 27 di giugno e per le strade correvano un sacco di voci, tutte
diverse, ma tutte, fortunatamente, vere.
Gli
schiamazzi arrivavano persino alle orecchie disinteressate di Law
che, dalla sua stanza, non aveva la minima intenzione di uscire da
sotto le
lenzuola e scendere dal letto. Dopo la notte precedente non se ne
parlava
proprio.
Se
avesse saputo che Corazòn avrebbe fatto tutto quel casino,
di sicuro
non avrebbe mai permesso che quella cosa accadesse. Pazienza
l’arrivo di un
cucciolo, quello il suo tutore lo aveva accettato di buon grado,
affezionandosi
subito all’animale, un batuffolo di pelo tutto bianco e con
dei particolari e,
a detta di Law, interessanti occhi rossi. Nel giro di un mese il
cucciolo era
cresciuto notevolmente e di certo sarebbe cresciuto ancora, ma quella
non era
affatto una preoccupazione. Avevano spazio in casa e il giardinetto sul
retro
andava benissimo, purché non scappasse in strada. Law
dubitava che le guardie
avrebbero lasciato vivere a lungo un cane lupo una volta adulto.
Dove
lo avesse trovato quella testaccia rossa proprio non lo sapeva,
glielo aveva piazzato tra le braccia una sera nella sala dove operava,
tutto
sporco e con una zampa rotta, ordinandogli di curarlo e, non contento,
obbligandolo
a tenerlo perché non poteva vivere da solo. Alla domanda
sulla ragione per la
quale non potesse stare con Kidd, quello aveva risposto con una
semplicità
spiazzante, e con un po’ di sarcasmo che Law aveva mal
digerito, dicendogli che
non aveva una casa e che viveva a scrocco, solitamente da Ace senza
nemmeno
pagare l’affitto perché ci pensava il ragazzino.
Su
quella confessione, il dottore ci aveva riflettuto a lungo e, alla
fine, dato che quel ladruncolo dei sobborghi della Costa Azzurra aveva
preso
l’abitudine di fargli visita ad ore improponibili della notte
per elemosinare
qualcosa da mangiare, anche se inventava sempre un sacco di scuse per
non fare
la parte del mendicante, il ragazzo aveva deciso di tentare
l’impossibile.
Così, senza sapere nemmeno lui il perché di quel
comportamento, ne aveva prima
parlato col diretto interessato, rigirando la frittata in modo che non
sembrasse un invito e, una volta ottenuto il suo consenso,
l’aveva introdotto
in casa sue e, beh, presentato inevitabilmente a Corazòn.
Il
quale, per la precisione, si era chiuso nel suo classico mutismo e
non aveva più proferito parola.
Se
la ricordava benissimo la scena e difficilmente l’avrebbe
dimenticata, ne era certo.
Nel
bel mezzo della cena, lui si era alzato e, senza dire nulla, era
andato sul retro per raggiungere Eustass-ya che, indispettito per
l’attesa, era
entrato e si era fatto accompagnare, stranamente in maniera molto
composta e
docile, fino alla sala da pranzo dove, dopo che Law si era schiarito la
voce
per attirare su di sé lo sguardo del mentore, aveva fatto il
suo ingresso con i
suoi stracci, i suoi capelli disastrati, nemmeno l’ombra di
un sorriso e il suo
muso da schiaffi.
Corazòn
aveva sbattuto più volte le palpebre e, alla fine, aveva
spostato lo sguardo su Law che, in piedi accanto alla porta e con le
braccia
conserte, lo aveva guardato di rimando, intrattenendo una lunga ed
estenuante
gara di sguardi. Talmente lunga che, dopo un po’, Kidd si era
seduto a tavola e
aveva iniziato a sgraffignare qualcosa da mangiare. Alla fine, dopo
aver notato
con la coda dell’occhio l’uomo seduto davanti a lui
alzare le braccia al cielo
e scuotere il capo con esasperazione, stringendo le labbra truccate in
maniera
da allungarle quasi fino a coprire anche le guance e facendo dondolare
i
laccetti neri appesi al cappuccio della giacca che indossava terminanti
in due
cuori neri, Law era entrato al centro del suo campo visivo e si era
seduto a
capotavola, riprendendo il suo pasto e rendendo noto che lui sarebbe
stato loro
ospite fino a tempo debito. La cena si era consumata silenziosamente e
Law non
si era perso l’occhiata truce che Corazòn aveva
rivolto più volte al loro nuovo
coinquilino, ma aveva deciso di ignorare quel suo comportamento
protettivo
facendo di testa sua.
Ecco
come si era ritrovato a dividere il letto con Bepo, il suo nuovo
cane, e con quell’idiota che in quell’esatto
istante stava russando come una
locomotiva.
Si,
era stato costretto a far entrare Eustass-ya nel suo letto dopo che
Corazòn aveva chiuso a chiave tutte le stanze degli ospiti
per fargli un
dispetto, sapendo quanto lui amasse starsene tranquillo
all’interno della sua
stanza, il suo angolo di paradiso.
Sentì
Bepo muoversi a pochi centimetri dal suo viso e bastò una
carezza
all’animale per dargli il permesso di andare a leccare la
faccia addormentata
di Kidd che, sentendosi inumidire le guance, si svegliò
intontito e leggermente
preoccupato di essere finito a letto con una delle ragazze di Dadan.
Donne di
cui, per la precisione, aveva una paura fottuta perché aveva
sentito dire che
svuotavano le tasche dei poveri allocchi e li sciupavano fino allo
stremo. E
lui preferiva non restare traumatizzato da una notte di sesso, grazie
tante.
Quando
si rese conto che si trattava solo del cagnaccio, Law udì
una
sonora bestemmia e un tonfo sordo che doveva essere stato Bepo che
finiva con
un balzo giù dal letto. In un altro momento avrebbe
provveduto e soffocare Kidd
con un cuscino per aver colpito il suo cane, ma sapeva che
l’animale era
guarito dalla piccola storta che aveva preso, altro che frattura,
perciò lasciò
momentaneamente perdere la questione, preferendo sorridere sotto i
baffi per lo
strano risveglio che aveva avuto.
-Buongiorno
Eustass-ya.-
-Dannata
bestiaccia.- grugnì il rosso, ributtandosi sotto le coperte
con
la speranza di prendere nuovamente sonno, ignorando bellamente il
ragazzo
accanto a lui che, ridacchiando e conscio che il tempo di poltrire era
finito,
si levava di dosso le lenzuola per alzarsi e andare ad aprire la
finestra per
scoprire cosa metteva tutti così di buonumore.
Mettendo
la testa fuori non riuscì a capire niente e di richiamare
l’attenzione quando era a torso nudo non se ne parlava
proprio. Anzi, avrebbe
dovuto sbrigarsi a vestirsi se voleva evitare che a Kidd venisse un
altro
infarto vedendolo senza abiti come quando era successo la notte che si
era
intrufolato in casa sua per rubare.
-Ehi,
chiudi quella cazzo di finestra.-
Troppo
tardi,
pensò Law sogghignando, approfittando
dell’occasione per voltarsi e vedere come
l’espressione assonnata di Kidd lasciasse posto ad una
più sveglia e attenta.
Il suo ghigno si allargò e si ritrovò ad
ammettere che si sentiva quasi
euforico quando vedeva quello sguardo negli occhi ambra del rosso. Se
fosse
stato un po’ più esperto, avrebbe definito
l’atmosfera tra loro come attrazione,
ma non ne era del tutto
certo. Poteva benissimo trattarsi di una fase pre-infarto,
oppure di una situazione di stallo prima di uno
scoppio di eresie che, puntualmente, arrivarono l’attimo dopo.
-Che
diavolo fai? Vuoi che tutti ti vedano mezzo nudo?- sbraitò
Kidd,
alzandosi a sua volta e andando con poche falcate a chiudere le ante
del
balcone.
Law
incrociò le braccia al petto senza spostarsi di un
millimetro. -Sei
geloso?- lo stuzzicò con fare innocente, beccandosi
un’occhiataccia assassina.
-Fottiti.
Vado a lavarmi.- fu l’unica risposta che ricevette dal nuovo
ospite, il quale lo superò per dirigersi nella stanza
adiacente con l’intento
di gettarsi in faccia molta acqua, preferibilmente fredda, per mettere
fine al
caldo asfissiante che sentiva in corpo.
Law
si appoggiò alla parete e chiuse gli occhi nel tentativo di
calmarsi. Aveva cantato vittoria troppo presto per non aver subito la
fase
degli ormoni instabili quando era adolescente, ma, a quanto pareva, la
stava
iniziando a vivere in quell’ultimo periodo e quel poveraccio
non lo aiutava di
certo, anzi.
Sospirò
stizzito, ancora si chiedeva perché diavolo gli avesse
proposto
di stabilirsi momentaneamente da lui. Doveva essere stato colto da un
momento
di follia.
Quando
scesero a colazione, trovarono Corazòn intento a dare da
mangiare
a Bepo, accarezzandogli amorevolmente il capo e sorridendo quando la
bestiola
scodinzolava e si alzava su due zampe per avere ancora qualche pezzetto
di
cibo.
Non
appena si accorse dell’ingresso dei due ragazzi,
l’uomo si imbronciò
e fece finta di nulla, facendo sbuffare Law, il quale si sedette al
solito
posto, mentre Kidd lo affiancava, attento e vigile. Non si azzardava
nemmeno ad
abboffarsi come faceva alla locanda di Makino. Insomma, lì
lo facevano tutti,
mentre in quella casa usavano una serie infinita di posate e numerose
tazze e
piattini. Se avesse bevuto direttamente dalla brocca si sarebbero
scandalizzati?
Era
ancora indeciso su come agire, quando Law venne in suo soccorso,
fingendo indifferenza e muovendosi con calma in modo che Kidd potesse
imitarlo
senza sbagliare. E, quando il rosso si rese conto che anche quel
perfettino di
Trafalgar mangiava il pane con la marmellata usando le mani, si
sentì a casa e
non ebbe più nessuna paura.
Nel
frattempo, Corazòn aveva sbattuto sul tavolo il giornale e
il
chirurgo lo aveva afferrato con curiosità mentre finiva il
suo latte. A quanto
pareva, il Re aveva abbassato la corona, per modo di dire, e aveva
invitato il
Clero e la Nobiltà ad unirsi all’Assemblea
Nazionale. Law era certo che, ormai,
il Clero non avrebbe avuto più niente da ridire, ma aveva
qualche perplessità
sui nobili. In ogni caso, il popolo poteva portare tranquillamente
avanti
l’idea di creare una Costituzione. Era innegabile che
avessero ottenuto un
punto a loro favore.
Sorrise,
un sorriso sinistro e sardonico, mentre pensava ad alta voce
che quello era stato proprio un colpo di fortuna.
-Cosa
dice?- si informò Kidd, stanco di starlo a guardare mentre
sghignazzava come faceva solitamente al Quartier Generale davanti ad un
cadavere.
Per
tutta risposta, il moro gli passò il giornale.
-Beh?-
lo interrogò allora il rosso, spiazzato e infastidito.
-Leggi.-
Merde.
-Tu
hai appena letto, cosa ti costa dirmelo?- si scaldò,
lanciando da
parte il quotidiano e beccandosi in quella maniera
un’occhiata glaciale da
parte di Corazòn che, anche se si era alzando in piedi e
sbirciava le strade da
una finestra, aveva seguito lo scambio di battute e non si era perso
quel gesto
maleducato.
Law
alzò gli occhi su di lui e lo studiò qualche
istante, notando il
respiro un po’ accelerato e le mani strette a pugno.
Espressione truce e
arrabbiata a parte, sembrava quasi preoccupato e teso.
Un’idea sul perché di
quella reazione se l’era fatta, ma preferì
metterla da parte per un’altra
occasione, posando con pazienza la tazza sul piatto e preparandosi a
spiegare
con calma quello che era successo.
Più
tardi avrebbe chiesto a Kidd se aveva voglia di imparare a leggere.
*
-Ehi,
aspetta. Fermo, aspetta!-
Perona
stava
camminando a passo svelto lungo il corridoio illuminato dalle decine di
candelabri spolverati e lucidati, posti ordinatamente e con cura lungo
le
pareti, cercando inutilmente di attirare l’attenzione di
Mihawk che, con
espressione dura e senza la minima intenzione di fermarsi ad
ascoltarla,
procedeva svelto verso l’uscita con l’intento di
scendere nei bassifondi della
città e scomparire.
Sapeva
quello che la ragazza aveva da dirgli, lo immaginava benissimo,
nonostante non avessero
più avuto modo di parlasi dopo l’annuncio
ufficiale del suo fidanzamento.
A quanto
pareva, quei piccoli momenti che si erano ritagliati senza nemmeno
averne
l’intenzione, quelle ore che avevano passato in compagnia
quando avrebbero
potuto impiegare i giorni diversamente, quel loro segreto, se
così lo si voleva
chiamare, non gli apparteneva più.
Qualcuno,
e
Mihawk una vaga idea su chi fosse stato il colpevole ce
l’aveva, era corso a
spifferare, o a mettere la pulce nell’orecchio, al Re di quei
loro ritrovi
nella vecchia armeria, il quale lo aveva convocato al suo cospetto per
chiedergli spiegazioni. Al momento della confessione, lo spadaccino
aveva
mantenuto la calma senza lasciar trapelare nulla dai suoi occhi freddi
e
inespressivi, spiegando che doveva essere stato un malinteso e che
l’incontro
con la Principessa era stato puramente casuale. Sua Maestà
aveva annuito e non
aveva insistito, ma gli aveva espressamente fatto intendere che non
avrebbe
ammesso altri sbagli. Gli aveva affidato una serie infinita di
incarichi, per
la maggior parte sciocchezze per occupargli tutte le giornate e, come a
volersi
assicurare che la cosa non si ripetesse, quando qualche giorno prima
era giunto
a Palazzo uno sconosciuto Marchese del Lussemburgo, aveva pubblicamente
annunciato davanti a tutta la Corte reale Corte Reale e qualche membro
della
Flotta dei Sette, lui compreso, l’imminente matrimonio di sua
figlia per
sancire così un’amicizia che sarebbe tornata
comodo solo a lui e alle sue casse
nei momenti critici come, ad esempio, una Rivoluzione.
-Vi
ordino di
fermarvi!-
Mihawk
bloccò il suo passo, stringendo i pugni nascosti sotto al
mantello e indurendo
l’espressione già minacciosa presente sul suo
viso. Avevano lasciato perdere i
convenevoli, finendo per parlarsi con confidenza per molto tempo e quel
ritorno
di formalità lo aveva infastidito, ma doveva accettarlo e
farsela passare.
Quella ragazza era una principessa e avrebbe dovuto rivolgersi a lei
come tale.
Dopotutto, lei non si faceva problemi a dettare legge a destra e a
manca.
-Dobbiamo
parlare.- la sentì pronunciare alle sue spalle,
così decise di voltarsi per
fronteggiarla, trovandola a braccia conserte davanti a lui con gli
occhi che
lanciavano saette, infastidita dalla sua poca attenzione.
Sospirò
stancamente. -E di cosa?-
-Degli
allenamenti.- attaccò subito lei. -Non ti sei più
fatto vedere ed io…-
-Non ci
saranno più allenamenti, la questione è chiusa.-
dichiarò immediatamente, senza
permetterle di aggiungere altro. Non sarebbe servito a nulla perdere
tempo in
chiacchiere e lui andava di fretta. A quanto pareva,
l’Assemblea Nazionale
aveva riscosso più successo del previsto e a Corte
c’era un gran trambusto. In
quelle due ultime settimane erano cambiate talmente tante cose che
tutti
facevano fatica a rendersene conto veramente.
Circa due
settimane prima il Terzo Stato si era spostato nella chiesa di Saint Paul-Saint Louis dato che il Re
aveva fatto chiudere anche la sala della pallacorda, privandolo
così di un
luogo d’incontro. Peccato che quei poveracci non fossero del
tutto degli
zoticoni ignoranti, infatti non ci avevano messo molto a riprendersi e
a
passare al contrattacco, soprattutto perché la maggior parte
del Clero era
ufficialmente passata dalla loro parte. Ciò, Mihawk, lo
aveva previsto da molto
prima, anche se quando aveva esposto la sua idea al resto della Flotta
dei
Sette quelli non gli avevano dato retta, primo fra tutti Gekko Moria.
Inutile
dire che, quando i capricci del Monarca non avevano fatto altro che
accelerare
il corso della rivolta, lo spadaccino si era concesso di rivolgere
un’espressione
carica di superiorità e soddisfazione in direzione del suo
rivale,
innervosendolo e obbligandolo ad uscire adirato dalla stanza dove si
erano
riuniti. Dopo quell’avvenimento, Mihawk aveva creduto che
fosse finita, invece
il Re, non contento e troppo lontano dal popolo per poter capire il
loro
comportamento, aveva espresso la richiesta che l’Assemblea
rinunciasse a
continuare quella campagna, promettendo che egli avrebbe ugualmente
fatto il
bene della popolazione. Quella era stata, non solo secondo la Guardia
Reale, ma
anche a detta della maggior parte delle persone che avevano ancora
qualche
briciola di buon senso, l’azione più stupida e
incauta che un sovrano avesse
mai fatto. Ad onor del vero, nel giro di pochi giorni, i ranghi
dell’Assemblea
Nazionale erano aumentati, accogliendo nel giro un gran numero di
nobili.
Se
avessero
chiesto a Mihawk come si fosse sentito quando il Re aveva ammesso di
essersi
comportato in maniera azzardata e di aver fallito nel suo intento, lui
avrebbe
risposto che, a parte il divertimento iniziale, si era reso conto di
essere
stato uno stupido ad accettare di servire un buono a nulla come quello.
Ne
aveva avuto la prova un sacco di volte, ma aveva sempre finto di non
vedere
quella poca organizzazione, quell’ossessione per il denaro,
quel continuo
benestare che richiedeva ingenti somme ogni anno, soldi pubblici del
resto. Solo
in quell’ultimo periodo si era accorto
dell’assurdità della situazione ed era
ad un passo dal mollare tutto e andarsene. Chissà, magari
tra i Rivoluzionari
c’era posto anche per lui.
Qualche
giorno prima, inoltre, il popolo si era dichiarato Assemblea Nazionale
Costituente e sembrava più che intenzionato a mettere su
carta le basi per una
Costituzione, mentre la minaccia della caduta della monarchia assoluta
era
sempre più probabile. A discapito di tutto, il contraccolpo
militare che era
stato proposto tempo addietro durante una riunione con la Guardia
Cittadina e
tutto il corpo degli Ufficiali, aveva scaldato gli animi dei
Rivoluzionari e la
situazione stava per degenerare, mentre la minaccia di una rivolta era
nell’aria, lo sapevano tutti. L’aumento dei
gendarmi attorno a Versailles,
Parigi e Saint-Denis era stato coperto dall’arrivo di un
ospite del Lussemburgo
in visita a Corte, un certo Marchese di nome Cavendish, per
l’appunto il futuro
marito della Principessa Perona, sulla quale lui non poteva vantare
nessun
diritto.
Fece per
andarsene, muovendosi per darle di nuovo le spalle, ma Perona non era
dell’umore per affrontare la sua solita
scontrosità. Stava troppo male e aveva
passato gli ultimi giorni chiusa in camera a decidere cosa fare della
sua
misera vita, perciò non era affatto intenzionata a vedersi
sbattere un’altra
porta in faccia. Ne aveva passate troppe per vedersi mettere di nuovo
da parte.
Si mosse
veloce, nonostante l’abito lungo e quelle odiose e scomode
scarpette, e lo
afferrò per un braccio, sentendo subito il muscolo sotto
irrigidirsi, ma
ignorandolo.
-Stammi a
sentire.- sbottò, abbandonando le buone maniere che spesso
dimostrava di
detestare, -Non mi piace essere ignorata, quindi vedi di non voltarmi
mai più le
spalle!-
Non era
esattamente quello che avrebbe voluto dire, ma stava perdendo il
controllo e
non sapeva più se era la disperazione che la stava guidando
o la rabbia.
Mihawk le
si
parò di fronte, sovrastandola con la sua altezza e
fissandola con quei suoi
occhi inquietanti e severi, parlandole sottovoce quasi come se stesse
sibilando. -Vi chiedo perdono, Vostra Altezza, ma al momento sono di
fretta e
non posso perdere tempo dietro alle vostre lamentele.-
Per
Perona
fu l’ennesima pugnalata al petto.
Dopo che
suo
padre le aveva annunciato il suo già organizzato matrimonio,
dandole la notizia
davanti a tutta la Corte di nobili e sotto lo sguardo di Mihawk, aveva
passato
dei momenti infernali. Si era sentita tremendamente sbagliata, tutto le
era
parso soffocante, asfissiante e stretto. Dannatamente stretto da farla
quasi
soffocare. Anche in amore non le era stata concessa la
libertà di scelta e si
era ritrovata a dover incontrare uno sconosciuto proveniente da una
terra che
non aveva voglia di vedere e visitare. Figurarsi andarci a vivere.
Da
allora,
lui non le aveva più rivolto la parola e non si erano
più nemmeno visti. Lo
aveva cercato inizialmente, arrivando persino a bussare alla porta
della sua
stanza durante una notte in cui non era proprio riuscita a prendere
sonno, ma
non aveva ricevuto nessuna risposta, anche se era rimasta per un pezzo
a
bussare, prima sommessamente e dopo un pochino più forte,
quello che secondo le
bastava per svegliarlo, ma non era venuto nessuno ad aprire. In quel
momento
aveva capito che era rimasta di nuovo sola anche se, forse, visto il
comportamento di quello che era stato il suo maestro, lo era sempre
stata.
Non aveva
dimenticato l’occhiata che si erano scambiati non appena il
Re aveva annunciato
la schifosissima lieta notizia. Lei aveva immediatamente alzato gli
occhi e
l’aveva cercato, trovandolo in fondo alla sala intento a fare
altrettanto. Le
era venuto da piangere, ma si era trattenuta, sapendo che avrebbe solo
complicato le cose se si fosse messa a fare scenate in pubblico,
perciò aveva
incassato il colpo e drizzato le spalle, affrontando
quell’uragano di tristezza
che aveva provato quando lo aveva visto uscire a grandi falcate senza
più
voltarsi indietro. Non aveva capito perché aveva reagito in
quella maniera e
non se lo era nemmeno voluta chiedere per paura di darsi una risposta
che
l’avrebbe illusa e basta. Perché la
verità era che ci teneva troppo a quegli
allenamenti e a quelle ore di svago che l’avevano salvata dal
baratro della sua
esistenza in quei mesi. L’armeria era diventato il suo luogo
preferito in
assoluto dove poteva essere se stessa senza paure e senza maschere,
dove i
fantasmi del suo rango scomparivano, lasciandola libera. E si era,
inevitabilmente, affezionata a quell’uomo sempre
così controllato e distante
senza nemmeno rendersene conto, capendolo solo quando tutto era finito.
-Capisco.-
rispose sommessamente, anche se no, non capiva affatto, ma tanto a cosa
sarebbe
servito insistere? Cosa si era aspettata? Che disobbedisse agli ordini
per lei?
Che le desse qualche speranza? Che stesse male quanto lei per la piega
che
aveva preso la situazione?
Abbassò
lo
sguardo, celandogli i suoi occhi che si erano fatti lucidi, mollando la
presa e
indietreggiando di un passo.
-Andate
pure.- sussurrò, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
Mihawk
tentennò un istante, per la prima volta indeciso sul da
farsi. Perché la vedeva
così abbattuta? Perché sembrava che le decisioni
prese da Sua Maestà facessero
comodo solo a lui, mentre ad entrambi risultavano dannatamente ingiuste
e
insensate?
Era sul
punto di prendere una decisione importante, tentennando con una mano a
mezz’aria, quando vide Perona alzare la testa di scatto e
fulminarlo con quei
suoi occhioni scuri, profondi e lucidi, irrimediabilmente feriti.
-Andatevene
via!- gli urlò contro, dandogli una motivazione per
allontanarsi da quel
corridoio una volta per tutte.
Scappare
non
era esattamente quello che avrebbe voluto fare, ma aveva ricevuto
determinati
ordini a riguardo e non aveva il permesso di stare in compagnia della
Principessa,
non più, anche se i suoi desideri erano altri.
E, fino a
che non avesse deciso se continuare o meno a sottostare al servizio
della
Corona o passare dall’altra parte della sponda, non si
sarebbe azzardato a
compromettere la sua posizione e quella di Perona. Non voleva causarle
altri
guai perché, se si era trovata costretta a doversi sposare
prima del previsto,
la colpa era stata solo sua e della sua presenza accanto a lei.
Angolo
Autrice.
Buon
lunedì
a tutti! so che non è sabato ma, ehi, il fine settimana
diventa sempre più
incasinato, perciò scusatemi il silenzioso aggiornamento
dell’ultima settimana,
so che non è stato carino, ma la verità
è che ero in piena crisi, giuro, ma non
volevo farvi aspettare ancora, quindi ho lasciato il tutto a questo
capitolo.
Vi lascio
le
immagini dello scorso che spero vi sia piaciuto, per la maggior parte
ci sono
stati cuori ovunque con Bonney e Perona, ma vi prometto che le
battaglie e il
sangue stanno epr arrivare, LOL.
https://fbcdn-sphotos-a-a.akamaihd.net/hphotos-ak-xtf1/v/t1.0-9/11146308_1623899021162267_402847919391244699_n.jpg?oh=c49d76bffb9ef2351a789c55c643c049&oe=559AB8E7&__gda__=1436666556_db84d3e73c6c541a679347ca9e577508
https://fbcdn-sphotos-g-a.akamaihd.net/hphotos-ak-xpa1/v/t1.0-9/11078225_1623899014495601_3594890387658983955_n.jpg?oh=890c254db687498d58b53239ecb1d6c3&oe=55E2D26C&__gda__=1441129734_d489f0e41ce748781507003a188c1997
https://scontent-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-xaf1/v/t1.0-9/20488_1623899024495600_8046539231085380492_n.jpg?oh=b0dcadd7762836130268cf9e03799789&oe=55DBE7BB
Passiamo
ora
al capitolo di oggi.
Thatch,
Ace
e un pollo nella borsa che, quasi quasi, chiamerei Rosita; Sabo e Koala
che
fanno i ruffiani; Marco che vuole violentare Ace, mlmlml; Kidd, Law e
Corazòn
sotto lo stesso tetto, Bepo compreso; e, per finire, un bel
fraintendimento di
sentimenti per Perona e Mihawk.
Un bel
mazzo, direi.
Ma siamo
in
dirittura di arrivo, non per la fine della storia, ma per la
Rivoluzione ^^
https://scontent-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-xft1/v/t1.0-9/11148817_1623902971161872_7880381437572999838_n.png?oh=ca793c46e536a75a550c8d6afb9e0fcf&oe=559EAF4D
Penso sia
quello che molti aspettavano. Un passo dopo l’altro, insulti
e bestemmie,
qualcosa tra i due si smuove, peccato si tratti solo della birra! Cose
che
capitano, anche se da questo momento in poi, Ace le proverà
tutte per sistemare
le cose. Almeno, ci proverà.
https://fbcdn-sphotos-e-a.akamaihd.net/hphotos-ak-xft1/v/t1.0-9/10989113_1623903021161867_3011417808306949898_n.jpg?oh=633bbd416ad914b3b52c5bb89035265e&oe=55A0AAD6&__gda__=1440557495_918f3c48d20bddbf6ddf1fac82bcc570
E intanto
Sabo e Koala diventano sempre più amici. Sono
così carini che per loro riservo
solo romanticismo, dolci e zucchero in abbondanza da far venire il
diabete a
chiunque. Anche se Sabo continua a non capire niente.
https://fbcdn-sphotos-h-a.akamaihd.net/hphotos-ak-xfp1/v/t1.0-9/11148457_1623902801161889_1222714807869739144_n.jpg?oh=150c843c39f12277d3f99cb29f82c8f9&oe=55E27E3E&__gda__=1440977774_1fb9c9a9d251816043d06bb9ffe11701
Bepo
diventerà grande e bello proprio in questo modo ** per
averne un esempio
migliore, chi segue il Trono di Spade dovrà solo immaginarsi
Spettro, il
metalupo di Jon Snow :3 a quanto pare, Kidd ha trovato la bestiola in
giro e ha
pensato di fare un regalo darlo in affido a Law, il
quale, NON SI SA
PERCHE’, ha deciso di ospitarlo in casa. Con
Corazòn iper-protettivo. Bene,
andiamo proprio bene.
https://scontent-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-xtp1/v/t1.0-9/11159978_1623902767828559_2500802538062241887_n.jpg?oh=8f0a7e62672aada02626dae8e60bac11&oe=55A2B949
https://scontent-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-xfp1/v/t1.0-9/11061242_1623902814495221_748476397308544098_n.jpg?oh=61b9de82365a69dacb4a31ee9fecaac6&oe=55A71D9E
Questi
due
non saranno mai felici, punto. Troppi problemi, troppe regole, tutto
troppo
stretto per Perona e troppo impegnativo per Mihawk, ma staremo a
vedere. Dopotutto,
il 14 luglio si avvicina e servono altri uomini nei ranghi dei
Rivoluzionari.
Siamo
alla
fine, per oggi. La prossima settimana credo che aggiornerò
di nuovo di lunedì
perché il fine settimana sarà difficile, credo.
Come
sempre
grazie a tutti, vecchi e nuovi lettori ^^ vorrei solo essere
più presente,
scusate.
Un
abbraccione
a tutti!
See yaa,
Ace.
|