La donna che non
voleva uscire di casa.
C’è un mondo freddo, là fuori.
Lo vedo nel vento, nelle persone.
Volti grigi, sempre uguali, che si alternano alla finestra
da cui guardo questo mondo.
Mi fa paura.
Troppo lontano, diverso.
La grandezza di questo mondo mi porta a perdermi ad
abbandonare ogni scoglio sicuro ad aver paura.
Quando sono fuori, tra quelle facce grigie, tutte uguali,
tutte distanti, ho paura.
Ho paura che quella massa di grigiume d’inghiotta
e mi trascini con lei, ho paura che la notte cali senza che io trovi la via di
casa.
Ho paura che da quella massa grigia emerga una lama, che
luccicherà solo per un istante prima di sparire dentro di me.
Ho paura di cadere nel buio, ho paura di annegare anche dove
non c’è acqua.
Mi dicono che non c’è nulla di cui aver paura
al mondo, ma io non sono stupida e non credo in simili stupide storie.
Mi basta guardare il telegiornale per capire che ci sono
miriadi di cose di cui aver paura.
E lo spazio si contrae, si contorce e quello che loro vedono
come piano per me diventa uno scivolo per l’oblio.
Quando esco di casa ho la sensazione che il cielo mi cada
addosso e una pressione pazzesca ,mi schiaccia al
suolo.
La maniglia, la maniglia, la maniglia della porta, solo
questo è il mio pensiero, e mi slancio verso essa.
Click. E sono
salva.
E la mia casa, il mio angolo di salvezza immutabile
nello scorrere del tempo, dove tutto è lì come l’ho
lasciato.
Gli amici e i parenti vogliono farmi uscire fuori.
Io li prego, gli dico che no, non voglio, che il mondo fuori non mi vuole e che io non voglio il mondo fuori.
Ma loro mi tirano, mi fanno uscire.
Clak.
La porta si chiude dietro di me.
E il cielo sembra farsi più vicino, sempre di
più.
Tap.
Uno scalino.
E la strada si allunga si stringe, diventa uno scivolo sul
cui fondo brillando fiamme e acque nere.
Tap.
Un altro scalino. Ci sono tre scalini tra la mia porta e il
mondo esterno.
Eppure la massa si unisce, si fonde, sempre più
grigia, sempre più spaventosa e mi sembra che ogni occhio di quella
massa mi squadri, mi studi, voglia uccidermi.
Tap.
Al terzo scalino decido che non posso.
Mi volto, corro.
Click.
Sbam.
E l’amico, il parete, il
dottore, chiunque sia, rimane sulla porta, chiamandomi, dicendo che non
c’è niente di cui aver paura.
Lo so che è amore questo, e ringrazio.
Ma non posso.
Non voglio uscire di casa.
A.Corner___
Pensavo all’agorafobia. Peggio della claustrofobia,
non trovate? Avere paura dell’immensità che ci circonda, di una
piazza aperta, di un centro commerciale…
La donna di questo racconto probabilmente è anche un
po’ antropofobica.