That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Habarcat - I.018
- Ricatti e Promesse
Sirius
Black
Herrengton Hill, Highlands - giov. 5 agosto 1971
La settimana che ci separava dalla partita del
Puddlemere passò tranquilla: con Rigel, e a volte Mirzam,
giocavamo con le scope da Quidditch nel cortile, praticamente tutto il
giorno. Certo non avevo raggiunto le abilità innate di mio
fratello, ma con il tempo stavo diventando meno imbranato di quanto mi
ero sembrato all’inizio e il gioco mi stava entrando nel
sangue. Rigel non prendeva le cose solo come un gioco, vedevo che mi
osservava attento, come a soppesare le capacità che potevo
celare: su questi argomenti sembrava più grande della sua
età, se di solito era un allegro adolescente, un
po’ sbruffone e senza dubbio piantagrane, quando si trattava
di Quidditch diventava anche troppo serio per i miei gusti. Aveva preso
a cuore mio fratello fin dal primo giorno e tra i due c’era
oramai un’intesa tale che soffrivo per Reg, al pensiero di
quanto si sarebbe sentito solo una volta tornati a casa. Mio fratello
era sempre stato distaccato e razionale, molto maturo per la sua
età, ma con Rigel, per la prima volta, era pieno
d’entusiasmo, vitale, lasciava libera la parte più
istintiva del suo essere, assomigliandomi più di quanto
fossi disposto ad ammettere. Il giorno della partita fu preceduta da
una notte insonne, durante la quale io e Regulus recitammo come una
preghiera, per ore, la formazione del Puddlemere, soffermandoci a
litigare su considerazioni riguardanti i singoli elementi della
squadra, facendo confronti con altri campioni del passato
più o meno recente, infervorandoci e azzuffandoci, liberi di
farlo senza rischiare, per una volta, gli strali di nostra madre,
disturbata dai nostri strepiti. Finimmo con l’addormentarci
entrambi nel mio letto, con le figurine dei campioni disperse tra
lenzuola e coperte, una marea di calzini blu e gialli tirati un
po’ ovunque durante la nostra battaglia per la supremazia,
sereni e contenti; alle prime luci del giorno, come animati da una
volontà superiore, ci svegliammo di colpo, con il cuore in
gola e i gagliardetti della squadra subito in mano. Alshain e Rigel ci
aspettavano nel salone già vestiti per
l’occasione: Alshain era stupendo con i colori della sua ex
squadra, ci disse subito che saremmo partiti presto e saremmo entrati
nello stadio molto prima della partita, era stato invitato, infatti,
dal padrone della società e aveva strappato per noi la
promessa di fare un giro negli spogliatoi, per poter parlare con i
giocatori e ottenere in esclusiva degli autografi. Lo vedevo
particolarmente eccitato e nervoso, troppo per una semplice partita
amichevole della sua ex squadra e il mistero aumentò quando
ci lasciò soli con Rigel per sparire lungo la scalinata. Il
ragazzino ci confermò che era davvero agitato il padrone
della società, infatti, non aveva semplicemente invitato
tutti noi solo per cortesia, ma perché doveva parlare con
Sherton e il suo figlio più grande del futuro di Mirzam
nella squadra.
“A quanto pare ci siamo
davvero, il caro fratellino a giorni entrerà nel Puddlemere
ufficialmente…”
“È stupendo,
anch’io spero di entrare un giorno in una squadra di
Quidditch e diventare un vero professionista!”
Non avevo mai visto Regulus così deciso e determinato, per
un attimo lo invidiai, al contrario di lui io non avevo le idee
così chiare sul mio futuro, a parte quanto avevo confessato
ad Alshain: vivevo anche quel preciso istante come una specie di sogno,
una parentesi all’interno di quella disperazione senza scampo
che era la mia vita a Grimmauld Place, anche se ormai, in quelle
settimane, avevo appreso tante cose nuove che potevano gettare una luce
completamente diversa su quanto potevo aspettarmi da me stesso e dalla
mia vita. Poco dopo Mirzam e suo padre ridiscesero, Deidra e Meissa
vennero a salutarci e ci augurarono di divertirci, io rimasi un
po’ deluso dal fatto che Mei non sarebbe stata dei nostri,
quel giorno, ma appena Alshain ci ordinò di afferrare tutti
il lembo di un plaid sdrucito che Kreya ci aveva portato, tutti i miei
pensieri molesti si annullarono di fronte alla prospettiva che presto
avrei messo piede nello stadio da Quidditch. La partita si teneva sulla
costa settentrionale di Fair, un’isola del Nord al largo di
Herrengton: ci materializzammo ai piedi di un albero secolare mentre
accanto a noi numerosi maghi e streghe apparivano continuamente,
portati dagli oggetti più strani che avessi mai visto.
Alshain sembrava impaziente di arrivare, per cui stranamente rivolse
solo dei distratti saluti a quanti lo salutavano e non perse tempo in
convenevoli o presentazioni. Arrivati in prossimità dello
stadio, creato durante la notte precedente per l’occasione,
un mago di colore, elegantemente intabarrato in un suntuoso mantello
nero, si fece largo tra la folla e ci venne incontro, con gli occhi
solo per Alshain, accelerò il passo e gli si
fiondò addosso, prendendolo per i fianchi e sollevandolo in
aria.
“Ecco il mio Capitano, sei
sempre in forma perfetta!!”
“Emerson Sheppard!”
Si abbracciarono e baciarono le guance, il mago rivolse delle parole in
una lingua pressoché incomprensibile a un gruppo dietro di
lui e altri tre energumeni accerchiarono e portarono in gloria il
nostro padrino. Mirzam rideva, a quanto pareva non era la prima volta
che assisteva a quello spettacolo nello spettacolo.
“Non fateci caso, finisce
sempre così con gli ex compagni di nostro padre, sono dei
pazzi!”
Ci accompagnò dentro, con Rigel che apriva il corteo e
Alshain che in breve si ripresentò con Sheppard, Johnatan
Fitzgerard e Digsy Cameron alle sue spalle e Rodney Stenton, il padrone
del Puddlemere al suo fianco, che gli parlava fitto fitto, come per
cercare di convincerlo: Sherton, dall’aria beffarda, lo
teneva sulle spine con i suoi soliti modi che avrebbero fatto impazzire
un santo.
“Rod, conosci già
Rigel, questi invece sono Sirius e Regulus, i figli di Orion
Black!”
“Ma che bello rivedervi,
finalmente! Ci siamo conosciuti anni fa, eravate in fasce, abbiamo
festeggiato la vittoria della Coppa in occasione della nascita di
ognuno di voi due, vostro padre era un pazzo scatenato, tifoso di
Alshain prima ancora che della squadra, naturalmente, ma ci ha lasciato
fare di voi due le nostre mascotte per ben tre anni di
seguito!”
Io e Reg ci guardammo, questa era un’altra informazione, un
altro tassello delle nostre vite che c’eravamo persi e che
nessuno, prima d’ora, ci aveva rivelato: mi risultava davvero
difficile credere a una cosa del genere, iniziai a pensare che sul
serio non conoscevamo per niente nostro padre.
“Certo, vostra madre non era
esattamente contenta, anzi… diciamo pure che ha fatto fuoco
e fiamme per mesi, quando l’ha saputo… ma
…”
Aveva la stessa espressione carica di complicità, e una
certa malizia, che a volte Sherton scambiava con i propri figli.
“Su questo ci avrei
giurato…”
Mi sfuggì, in un soffio, e tutti quanti, a confermare
l’idea di mia madre che stava impressa nella mia mente, non
poterono fare a meno di ridere sguaiatamente. Vidi persino in Regulus
un sorprendente principio di risata e in quel momento non potei fare a
meno di essere fiero di mio fratello.
“Ragazzi, so che siete rimasti
accesi tifosi, anche se ormai la passione di vostro padre si
è stemperata parecchio, per cui ho dato disposizioni
affinché possiate girare con comodo per lo stadio, parlare
con i miei ragazzi e fare anche una partitella di allenamento con loro
se volete, sono sicuro che vi divertirete! Rigel per favore, occupatene
tu, io ora rapisco tuo fratello e tuo padre per un discorsetto un poco
impegnativo…”
Rigel sorrise e fece un cenno d’assenso, era ben felice di
farci da tata se significava avere quel bellissimo stadio tutto per noi
per le successive tre ore, così ci allontanammo dagli altri,
diretti verso il cuore dello stadio, mentre Stenton prendeva
sottobraccio Sherton padre e figlio e si avviava con loro negli uffici,
con l’aria di un lupo che ha appena messo gli occhi su un
succulento agnellino. Tra di me pensai che probabilmente in quel
momento non c’era al mondo un lupo meglio travestito da
pecora di Sherton e risi tra me. Fu una delle giornate più
belle della mia vita. C’era un sole stupendo e
un’aria di primavera impregnata dell’odore dei
prati fioriti che circondavano lo stadio e della salsedine del mare che
rumoreggiava ai piedi dell’altura su cui ci trovavamo: la
Scozia e le sue terre del profondo Nord ci rivelavano per
l’ennesima volta il loro animo deciso e selvaggio. Per un
po’ mi estraniai dalle meraviglie che stavo vivendo, per
godermi quella monumentale spazialità che poco aveva a che
vedere con il mondo fatto di scorci rubati, che era la mia vita a
Londra. Una morsa mi prese allo stomaco e quasi mi venne da piangere,
pensando che mi restavano appena dieci giorni prima di tornare a casa,
allora mi ridestai, e cercai di adeguarmi alle risate liberatorie di
mio fratello, che stava discutendo con Ketty Fulltown, il vecchio
cercatore del Puddlemere, convincendolo a farsi prendere con lui sulla
scopa per un giro. Rigel mi mise un braccio attorno alla spalla e mi
accompagnò un po’ in giro, aveva la stessa
capacità di comprendermi che aveva suo padre e doveva aver
percepito che qualcosa mi aveva turbato, si adoperò pertanto
per distrarmi, presentandomi il cacciatore McCrown e mettendomi sulla
sua scopa per fare un giro dello stadio dall’alto. Ero
così elettrizzato ed euforico da sembrare ubriaco, in volo
incrociai mio fratello e vidi che era preso dalla mia stessa
esaltazione. Era l’ennesima giornata stupenda, che non avrei
dimenticato mai, mi sentivo a casa, in pace con me stesso e desideroso
che quel periodo della mia vita non finisse più. A
mezzogiorno, trascinati via praticamente a forza, lasciammo in pace i
giocatori e, stanchi ed elettrizzati, ritornammo con Rigel da Alshain e
Mirzam, per affrontare un pranzo degno di un re: Mirzam sembrava la
felicità incarnata, era appena stato deciso che da settembre
il posto da cercatore era ufficialmente suo. A pranzo il signor Stenton
ci raccontò alcuni aneddoti degli anni passati da Sherton
nella squadra: per tanto tempo avevo pensato che Alshain avesse giocato
solo a scuola, solo per caso avevo capito, a casa, che era stato un
vero giocatore professionista, scoprendo qualcosa di più,
però, soltanto in quelle settimane a Herrengton, visto
quanto mio padre fosse restio a parlarci di lui. Facendo i conti,
Alshain aveva lasciato la carriera a circa trent’anni, quando
era ancora giovane e in piena forma, il che faceva presumere che
qualcosa d’importante l’avesse costretto al ritiro,
eppure osservandolo, vedevo che non c’era ombra di rimpianto
sul suo viso, anzi era straordinariamente affascinante e solare come al
solito, tutti quanti pendevano dalle sue labbra quando parlava e
appariva decisamente felice per l’avventura di Mirzam, quasi
fosse un prolungamento di se stesso. Proprio durante quel pranzo venni
a capo del mistero della sua rinuncia: l’amore per Deidra
aveva vinto anche quello per il Quidditch, Alshain aveva interrotto il
suo sodalizio col Puddlemere all’apice della carriera proprio
per passare più tempo con la sua famiglia, e con sua moglie
in particolare.
“E voi ragazzi? Siete portati
per il Quidditch o siete solo tifosi?”
Rigel s’affrettò a fare le lodi di Regulus,
dicendo che nel giro di pochi anni probabilmente sarebbe diventato il
più giovane cercatore ingaggiato dal Puddlemere, Reg si
scherniva, ma io ero felice per lui, felice che finalmente fosse
entusiasta sul serio per qualcosa, invece di agire solo per compiacere
i nostri genitori come sempre faceva… speravo solo che, il
giorno in cui avesse dovuto sul serio prendere la sua strada, non si
sarebbe lasciato influenzare dalla volontà di nostra madre,
capace di annientare qualsiasi nostro sogno, almeno fino a quel momento.
“E tu Sirius? Non sei portato
per il Quidditch?”
“Io? Mi piace, certo, ma le
levatacce non sono adatte alla mia indole…”
Tutti risero, Alshain mi guardò intensamente, consapevole di
quanto la mia non fosse solo una battuta, ma non ribatté,
poi portò il discorso su aspetti più seri che, di
fatto, tagliarono fuori dalla conversazione sia noi sia i suoi figli,
sia l’atmosfera goliardica che c’era stata fino a
quel momento. Mirzam e Rigel si guardarono, esterrefatti, per lo strano
comportamento di Alshain, finchè questi e Stenton non si
alzarono e andarono a proseguire in privato la conversazione, parlando
nella lingua del Nord.
“Cosa pensi gli sia
preso?”
“Non lo so Rigel…
lo sai, ogni tanto papà si stranisce e segue delle strade
tutte sue…”
“Perché?”
Mirzam mi rispose con una semplice alzata di spalle.
“Nostro padre è
fatto così, con noi non racconta di certo quello che davvero
gli passa per la testa…”
Non sembrava l’Alshain che conoscevo, ma era evidente che, in
appena due mesi, non potevo aver appreso che gli aspetti più
superficiali di quella famiglia: già mi ero reso conto che
c’erano dei momenti in cui serpeggiava una certa inquietudine
in quella casa, soprattutto quando Alshain tornava da Londra o
raccontava di eventuali incontri con amici e parenti. E ora avevo anche
capito il perché di quelle inquietudini, il
perché delle strane occhiate che moglie e figli si
scambiavano quando Alshain parlava di suo cugino o di altri come
Lestrange e Avery. Anche Mey non sembrava molto felice quando si
parlava di alcuni di loro, soprattutto dei Malfoy, ma ero ancora troppo
giovane e ingenuo per comprendere la natura di quei malumori, anche
perché Alshain faceva di tutto per alleggerire subito le
atmosfere, in genere invitandoci tutti attorno al fuoco e iniziando a
raccontare una storia. A metà del pomeriggio ci sistemammo
ai nostri posti in tribuna, ospiti del signor Stenton, che
continuò a confabulare con Alshain tutto il tempo: avevo il
sospetto che avesse organizzato lì quella partita
soprattutto per attirare Alshain e averlo per sé tutto il
giorno. Io e Reg eravamo tra Mirzam e Rigel, nella fila subito dietro,
e per tutta la partita non facemmo che ululare di gioia a ogni centro
del Puddlemere, incitando il cercatore alla caccia al boccino. La
partita fu densa di emozioni, con la squadra di casa che, nei primi
quindici minuti, riuscì a pescare in difficoltà
il Puddlemere più e più volte, rifilandogli
diversi centri, poi i “nostri” fecero il loro
dovere, vendicandosi senza pietà di quei primi minuti:
sembravano averli ipnotizzati, sfrecciavano in ogni direzione,
tramortendo l’avversario, e infine colpirono pesantemente,
quando il cercatore salì fino oltre le nuvole, inseguendo
quel tenue luccichio dorato, e scese col boccino a un palmo dalle sue
mani, fino a recuperarlo proprio di fronte al viso di mister Stenton, a
pochi centimetri dal nostro naso. L'incontro si concluse in nemmeno un
paio d’ore, l’euforia all’interno dello
stadio era massima, vincitori e vinti si festeggiarono e applaudirono a
vicenda, il pubblico cercò d’invadere il campo per
entrare in contatto con i giocatori e strappare loro magliette e
autografi.
Ero completamente preso da quell’aria di festa quando
all’improvviso sentii un brivido gelido sulla schiena e mi
voltai verso il mare: il tempo era cambiato mentre eravamo presi dalla
partita, oscurandosi sopra la vastità dell’oceano,
a Nord, con un fronte di nuvole arcigne che calarono velocemente verso
l’isola, come centinaia di cavalli selvaggi e imbizzarriti.
“Forse è meglio
tornare subito a Herrengton, padre, quelle nubi sembrano
piuttosto… agguerrite!”
Mirzam sembrava preoccupato, anche se non capivo perché
temesse quelle che erano solo nuvole: in fondo, al massimo, ci sarebbe
stato l’ennesimo temporale.
“Già sembrano un
groviglio di dissennatori fuggiti da Azkaban!”
Rigel aveva un’espressione altrettanto preoccupata. Alshain,
fino ad allora impegnato a confabulare con Stenton, volse
l’attenzione a Nord, mentre già le prime correnti
iniziavano a sferzare l’isola, scompigliandoci i capelli e
sollevando turbini di foglie secche, arricciate dal sole: la sua
espressione s’incupì di colpo, quasi
meccanicamente portò la mano sinistra sull’anello
serpentesco e il suo viso si fece più pallido.
“Mirzam, prepara la coperta,
partiamo subito! Stenton, noi ci vediamo a Londra nelle prossime
settimane…”
“Stammi bene
Alshain…”
“Anche
tu…”
Si baciarono le guance e subito Alshain chiuse il cerchio, ghermendo un
lembo di coperta, mi sentii sollevato per aria, arpionato allo stomaco,
esattamente come le altre volte, ma il viaggio fu breve, raggiungemmo
subito il salone della villa, dove Deidra e Meissa stavano sedute a
leggere davanti al caminetto.
“Vi aspettavo non prima di
mezzanotte. Che cosa succede?”
Deidra era preoccupata, mentre si avvicinava al marito e lo baciava con
tenerezza, come li avevo visto fare mille volte.
“Dobbiamo chiudere la tenuta,
subito!”
“Che cosa?”
Gli occhi di tutti loro ormai erano allarmati, come se avesse
annunciato l’inizio di una guerra.
“Qualcosa sta scendendo da
Nord: è meglio che la famiglia si riunisca e che completiamo
subito i nuovi incantesimi del Sigillo…”
Alshain aveva già iniziato ad armeggiare con la testa di
serpente del suo bastone e stava srotolando un rotolo di lino preso da
una cassettina d’avorio, posta sulla mensola del caminetto.
“Ma chi sono
Alshain?”
Deidra aveva già materializzato la sua riserva di erbe
magiche per le pozioni e armeggiava accanto al marito, attorno al
caminetto.
“Magari non è
nulla, anzi, di sicuro non è nulla, ma facciamolo per
sicurezza, Herrengton si è sempre protetta da sé,
ma sai… c’è un’alta
concentrazione di prezioso sangue Slytherins qui, in questi giorni, con
tutte queste giovani promesse del mondo magico…”
Ci sorrise, forse perché percepiva la nostra paura, ci fece
cenno d’avvicinarci, e ci descrisse tutto quanto stava
facendo, per rassicurarci e renderci partecipi, così che ci
distraessimo dall’idea di quel magma oscuro che stava calando
da nord e imparassimo qualcosa. Una volta preparato un calderone di
pozione magica, lo fecero levitare e lo portarono al centro del
chiostro; qui, lasciati noi due al riparo sotto le volte di pietra che
collegavano il maniero al chiostro, i cinque Sherton si presero per
mano e recitarono una strana litania nella lingua del Nord, rimanendo
immobili attorno al calderone. Sherton prese il bastone col serpente,
ne immerse la testa nella pozione, la risollevò e parve
quasi che del sangue stillasse dai denti del serpente
d’argento. Alshain si rivolse a est e disegnò a
terra la runa che portava al colo, a sud dove disegnò la
runa che aveva sul petto, quindi a ovest dove tracciò la
runa che gli avevo visto al centro delle spalle e infine a nord, dove
tracciò la runa che portava sulle gambe: le nuvole che
scendevano dal Nord ormai lambivano le coste di Herrengton e iniziavano
a sovrastare il maniero, ma appena le quattro rune furono disegnate a
terra, la tempesta scivolò come su una superficie non
visibile che correva al largo della tenuta, ricomprendo tutti noi e la
terra degli Sherton sotto una specie di campana invisibile. Sentimmo
solo parzialmente gli effetti della tempesta, il cielo era diventato
color della notte e fulmini lo straziavano dallo zenit fino a lambire
il mare, il vento sembrava volerci strappare le vesti di dosso e, se
non ci fossimo ancorati bene alle pietre del chiostro, avrebbe potuto
sollevarci e trascinarci via. Alshain aveva dato le spalle a tutti noi,
aveva sollevato il bastone del serpente in alto, sopra la propria
testa, in orizzontale, stava con gli occhi chiusi, concentrato,
pronunciando una litania a fior di labbra, immobile, mentre la tempesta
gli scompigliava i capelli e le vesti. Poi tutto finì,
com’era iniziato, e Alshain tornò nel cerchio dei
suoi familiari.
“Appena in tempo, abbiamo
evitato un’altra notte di pioggia!”
Rigel era sollevato, ma Mirzam si era staccato dagli altri, aveva
attraversato la cintura esterna del chiostro e si era diretto verso lo
strapiombo che avevo sperimentato la mattina dopo il nostro arrivo:
indagava ancora la nube fluida che ora continuava la sua folle corsa
verso sud e si dimenava ai margini della tenuta, come se volesse
stringerci d’assedio con le sue ultime retroguardie.
All’improvviso il giovane estrasse il pugnale che portava
sempre alla cintola, si prese la lunga coda di capelli che gli arrivava
a metà schiena e con un colpo secco la tagliò,
lasciandola cadere di sotto nel burrone. Alshain assentiva: aveva
incrociato le braccia al petto, le gambe leggermente divaricate, con la
mano sinistra si teneva il mento, giochicchiando con la barba, col
pollice destro accarezzava l’anello serpentesco mentre
continuava a non staccare gli occhi dalla nube, come a scrutare
qualcosa a tutti noi invisibile.
“Perché
sospettavate dei dissennatori?”
Regulus riprese la parola, dopo quella che mi parve
un’eternità, dando voce ai dubbi che erano anche i
miei.
“Mmm, come dire…
non siamo molto simpatici a qualcuno al Ministero…”
Ci guardò e sorrise ma si capiva che non era affatto
tranquillo, faceva battute solo per noi. Deidra rimise a posto la
bacchetta, che di solito teneva infilata nelle ampie maniche della sua
veste e che aveva tirato fuori nel momento in cui la cupola invisibile
aveva intercettato la nube, si accostò a suo figlio sullo
strapiombò, osservandola ancora, quasi volesse sincerarsi
che era tutto finito. Dopo pochi minuti il sole riemerse dietro agli
ultimi lembi di quella tempesta fittizia e gli Sherton tornarono a
chiudersi a cerchio al centro del chiostro.
“Possiamo andare a darci una
sistemata e prepararci per la cena…”
Alshain cinse col braccio il fianco di Deidra, che gli porse una
lettera, e insieme salirono di sopra, parlottando fitto fitto tra loro,
Mirzam, i suoi fratelli e noi rimanemmo al centro del chiostro, un
po’ confusi.
“Andiamo su anche
noi…”
Mirzam prese per mano Meissa, che era rimasta silenziosa e attenta per
tutto il tempo, e rientrò in casa, noi e Rigel rimanemmo
lì ancora un po’, incerti se rientrare a nostra
volta, quando sentii la mano di Reg che mi arpionava
l’avambraccio.
“Diceva sul serio? Qualcuno al
Ministero sarebbe capace di attaccare sua moglie e la figlia in sua
assenza? Ma è da vigliacchi…”
Rigel ci guardò con un sorriso triste e rassegnato.
“La storia della mia famiglia
è tutta così, da quando Salazar ha fatto di noi i
suoi prediletti: un grande potere attira odio e invidia, per questo mio
padre ci tiene tanto al vostro, perché Orion Black
è l’unico che gli sia stato sempre vicino per
amicizia, e per nient’altro. Venite dentro, si sta facendo
freddo…”
Lo seguimmo, poi ci separammo per tornare nella nostra camera.
“Stai bene Regulus?”
“Sì, Sirius, non ti
preoccupare…”
Si spogliava lentamente, come se ogni gesto gli costasse una grande
fatica.
“Credi che nostra madre ci
lascerà tornare dagli Sherton dopo che avrà
saputo questo?”
“Questo cosa? Nostra madre, da
noi, non saprà nulla di questo
“equivoco”, hai capito? Giuramelo Reg! O ci
chiuderà nelle nostre stanze e butterà via la
chiave… è questo quello che farà, se
mostriamo di esserci spaventati per un rischio…
inesistente…”
“Lo saprà comunque,
Sirius, saprà che qui… e noi resteremo per sempre
a Grimmauld Place!”
Si buttò sul letto, semi nudo, si tirò le coperte
sopra la testa e sparì alla mia vista: intuivo che stava
singhiozzando dai tremiti del plaid e capivo quanto fosse preoccupato e
spaventato, perché lo ero anch’io. Come lui, avrei
preferito dover affrontare la morte di persona, quel preciso istante,
piuttosto che tornare a casa. E mai e poi mai avrei messo fine al
nostro periodo di libertà per delle stupide nuvole! Quella
sera, complice la paura, la stanchezza e il pasto abbondante assunto a
pranzo, non scendemmo a cena nessuno dei due. Verso le dieci, Alshain
venne in camera nostra a verificare come stessimo, appurato che Reg
stava dormendo sereno, m’invitò a seguirlo nel
patio, per parlare e nuotare un po’: Sherton si
spogliò rimanendo in pantaloncini e si tuffò con
maestria, percorse rapidamente con ampie bracciate la vasca e riemerse
dopo averla percorsa alcune volte, prima di riemergere accanto alla
scaletta da cui lo stavo ammirando.
“Che cosa fai ancora
lì? Tuffati!”
Mi tuffai al meglio delle mie capacità, sapendo che mi stava
osservando come io avevo fatto con lui, ma non nuotai a lungo, subito
mi riavvicinai a lui.
“Non vorrai farmi credere che
dopo quasi due mesi di allenamenti continui, questo è il
massimo della tua resistenza!?”
Sorrisi, scostandomi i capelli bagnati dalla faccia.
“Preferirei parlare con
te…”
“Salazar, Sirius, sei proprio
il figlio di tuo padre, uomo di mille chiacchiere e pochi fatti! E
terribilmente pigro come lui!”
Rise, poi s’issò con le braccia muscolose fuori
dalla vasca, rimanendo a grondare sul bordo, mentre mi dava la mano per
aiutarmi a uscire.
“Ora parliamo, mi sta bene, ma
poi, caro mio, mi dimostrerai di sapermi stare dietro, altrimenti ti
trascinerò fino alla spiaggia a forza tutti i restanti
giorni che ti fermerai qui…”
Sapevo che l’avrebbe fatto davvero, quindi feci un segno
d’intesa, mi sedetti accanto a lui, mentre si allungava a
prendere un asciugamano con cui mi avvolse e un altro con cui avvolse
se stesso.
“Che cosa
c’è che non va?”
Gli dissi le nostre preoccupazioni e Alshain cercò di
infondermi coraggio, ma si capiva benissimo che era dispiaciuto per lo
stato di prostrazione in cui ci aveva trovato.
“Non vi farei mai correre
rischi, Sirius, state tranquilli, e quello che è successo, o
meglio, non è successo, nel pomeriggio, non
impedirà che continueremo la nostra vacanza qui e che ci
vedremo anche ad Amesbury, vedrai, vi divertirete anche
laggiù, in fondo c’è ancora del tempo
prima della scuola, posso invitarvi… ci sono parchi e
boschi, anche lì, come ben sai…”
“Quando mia madre
saprà… Non ci lascerà più
venire da te, è questa la verità, ed è
per questo che oggi Regulus è crollato… non
l’avevo mai visto così entusiasta in vita sua,
sono sicuro che si dispererà anche più di me se
non riuscirà più a starti vicino… E
quest’anno io partirò per la scuola e lui
resterà solo con la mamma…”
“Non lo lascerò
solo, Sirius, non temere!”
Alshain sospirava, conosceva abbastanza mia madre da sapere che quelle
settimane erano state una concessione pazzesca che eravamo riusciti a
strapparle, e che non sarebbe stato altrettanto facile convincerla in
seguito, soprattutto se avesse avuto motivi reali per dirci di no.
“Per quale motivo credi che
non volesse lasciarvi partire? I tuoi lo sanno che esiste questa
eventualità, è remota, ma esiste… Ma
io ho dato precise garanzie a tuo padre, l’ho rassicurato, a
voi non capiterà mai nulla… Su, non fare quel
musetto afflitto, lo sai che mantengo sempre le promesse, se ti dico
che verrete ad Amesbury, lo farete… Hai sentito il signor
Stenton: tu non lo ricordi, ma io e tuo padre vi abbiamo fatti mascotte
della squadra, anche se Walby non ne era
entusiasta…”
Mi sorrise.
“Eravate davvero buffi sai?
Eravate piccoli così e vestivate delle minuscole divise blu
e gialle, le divise del Puddlemere…”
Si guardò le mani mentre faceva il segno di due esserini
minuscoli.
“Tu non ti rendi conto quanto
mi manca tuo padre, quanto mi manca quel tempo della nostra
vita… E quanto sia stato felice di avervi qui da me
quest’estate…. Non permetterò mai a
nessuno di mettersi in mezzo, di rendere per voi pericolosa la mia
presenza. Di questo puoi essere certo, Sirius…”
Aprì le braccia verso di me ed io mi avvicinai, appoggiando
la testa sul suo petto, era quel tipo di abbraccio che sognavo sempre,
a casa, e che non riuscivo a ottenere mai. Mi scese una lacrima, forse
per la tensione, o per la tristezza, perché ogni giorno che
passava, mi riavvicinava a Londra.
“Già mi
accontenterei di sentirti promettere che non sparirai di nuovo, come
hai fatto negli ultimi anni…”
Ricacciai altre lacrime e lo guardai diritto negli occhi, cercando di
mantenere tesa la voce.
“Non sparirò
più, Sirius, te lo prometto…”
“Ma cosa vogliono quelli del
Ministero da te?”
“Non credo c’entrino
quelli del Ministero, Sirius, e comunque, anche loro, come tutti,
vogliono Herrengton, ma vedi, sono quasi mille anni che tutti ci
provano, eppure non sono mai riusciti in nulla: se la mia famiglia
è stata chiamata a questo compito, qualcosa per difendersi
l’avrà pure… non credi? E, infatti,
abbiamo dei trucchi, che ci siamo guardati bene dal rendere noti, come
quel piccolo gioco che abbiamo fatto nel chiostro stasera. Difenderemo
con i denti e il sangue Herrengton, come abbiamo sempre fatto, e la
passeremo ai nostri discendenti, com’è sempre
avvenuto. Ma ora basta, mi farai vedere come nuoti un’altra
sera, ho paura che prendi freddo… Poi chi la sente tua
madre, se ti rimando a casa col naso rosso?”
Rise.
“Vai in camera tua, Sirius, e
sveglia pure tuo fratello, così vi faccio portare qualcosa
da mangiare da Kreya, non va bene che due ragazzini della vostra
età digiunino…”
“Signore…”
“Ancora con signore, Sirius?
È tardi, dai, è stata una giornata intensa ed io
devo finire di leggere un vecchio libro sulle Antiche Rune…
Domani parleremo di tutto quello che vorrai…”
Mi spettinò un poco e mi diede un bacio sulla fronte, poi si
alzò e si allontanò, dandomi le spalle, riprese i
suoi vestiti da terra e se ne andò con
l’asciugamano annodato ai fianchi e i capelli che ancora
grondavano acqua.
“Anche Abraxas Malfoy
è uno dei maghi pericolosi, vero?”
Alshain si fermò sull’ingresso,
appoggiò la mano sullo stipite della porta, ma non si
voltò.
“Le solite facili domande dei
Black!”
Rise, una risata tirata e nervosa.
“Non lo so, Sirius, purtroppo
non lo so… Io sono un legilimens, ma mio cugino è
un abile occlumante…. Io posso solo sperare che non lo
sia… almeno che non sia pericoloso… per
me…”
Attraversò la porta, senza più voltarsi verso di
me. Non gli avevo mai sentito una voce così stanca e questo
mi convinse che, di nuovo, stesse mentendo, solo per farmi
coraggio… O forse, stavolta, per farne a se
stesso…
***
Alshain
Sherton
Godric's Hollow, West Country - giov. 12 agosto
1971
Era da molti anni che non andavo a Godric Hollow,
da quando, appena adolescente, avevo accompagnato mio padre per
visitare la tomba di Ignotus Peverell: con tutti quei matrimoni
celebrati per secoli solo tra Purosangue, la mia famiglia era rimasta
legata anche a loro, ma oramai non ricordavo più in che
secolo, né quale fosse l’attuale grado di
parentela esistente, almeno non senza consultare gli arazzi di
Herrengton. Ricordavo invece che secondo la leggenda, l’uomo
che era stato sepolto lì era il più giovane dei
tre fratelli che avevano ricevuto i tre Doni della Morte. Non avevo mai
capito quanto ci fosse di vero in quella leggenda, ma il fascino dei
tre doni era notevole e per alcuni anni, durante la mia giovinezza,
avevo pensato di dedicarmi a quella ricerca: chiunque avesse riunito
quelle tre meraviglie sarebbe stato il più potente tra tutti
i maghi, anche senza servirsi della Magia Oscura. La bacchetta
più potente, un mantello
dell’invisibilità e una pietra capace di riportare
in vita i morti: non riuscivo nemmeno a immaginare quanto potere
nascesse dall’avere in mano tutto questo. La mia vita,
però, aveva poi preso una piega diversa: quando avevo
compreso di amare la ragazza che sarebbe diventata mia moglie, i famosi
Doni della Morte erano scomparsi dal mio immaginario, il sogno del
potere era diventato un nulla, in confronto alla conquista di quegli
occhi, verdi come smeraldi. Mi riscossi da quei pensieri e mi guardai
intorno: ero di nuovo lì, in quel cimitero, in una notte di
metà estate. Avevo detto a tutti che sarei stato tutta la
notte nel mio studio a leggere le Antiche Rune, avevo anche parlato con
i giovani Black di Quidditch, per rassicurarli, come avevo fatto tutte
le sere, dopo quel pomeriggio sfortunato. Avevo mostrato un volto
tranquillo, in quegli ultimi giorni, come mio solito, avevo rincuorato
mia moglie e i miei figli, ero stato nel Wiltshire, dove avevo
minacciato mio cugino, perché la smettesse di forzarmi la
mano in quel modo. Ero convinto che ci fosse lui dietro a tutto questo,
sapevo che stava facendo di tutto perché provassi con mano
cosa poteva succedere se non mi fossi mostrato più accorto:
ormai avevo recepito il messaggio, era inutile continuare su quella
strada.
Voglio
incontrare faccia a faccia Tom Riddle, finirla una volta per tutte con
questo stillicidio.
Mi sistemai meglio il cappuccio sul viso e mi avvolsi nel mantello, non
perché temessi di essere riconosciuto, ma perché
non sopportavo quello strano vento gelido che mi sferzava il viso e mi
asciugava gli occhi, non volevo apparire in qualche modo debole quando
lui sarebbe arrivato. Ero in collera con me stesso, in fondo
all’anima poco convinto di quello che stavo per fare, avevo
una strana ansia nel corpo, che mi portava a riflettere
sull’opportunità di smaterializzarmi di nuovo,
prima che lui arrivasse; alla fine, nonostante quei mesi
d’insistenza e di velate minacce, era stata la lettera di
Orion Black a farmi decidere, mi ero lasciato convincere, visto quanto
gli argomenti di Voldemort erano stati convincenti con i Duncan. Ora
l’avrei avuto davanti a me, l’avrei affrontato di
persona. Volevo vedere con i miei occhi quale bastardo arrivasse a
colpire con una maledizione senza perdono un bambino appena nato per
ottenere la collaborazione di suo padre: era questo che quello schifoso
Mezzosangue aveva fatto a Hernie Duncan, questo c’era scritto
nella lettera di Orion che Deidra mi consegnò al termine di
quel dannato pomeriggio. E il timore di mettere a rischio la vita dei
miei figli allo stesso modo con la mia ostinazione, mi aveva tolto il
sonno, nei giorni seguenti, finché non avevo
ceduto… E avevo invitato per un incontro quel maledetto.
Mi sforzai di riappropriarmi della mia classica calma, e soprattutto mi
concentrai, perché non fosse possibile leggermi
nell’anima, dovevo recitare al meglio la mia parte, fingere
di aver ripensato alle teorie di Riddle, di aver capito che erano
identiche alle mie, di aver deciso di fondere le nostre forze per
ottenere prima gli obiettivi che entrambi avevamo a cuore. Avrei
solamente ribadito il mio no alla mia partecipazione attiva a certe
pratiche, se avessi accettato anche quelle non sarei stato
più credibile... E non sarei più riuscito a
guardarmi allo specchio, a baciare mia moglie, o accarezzare il viso di
mia figlia. In fondo non era un problema, era noto a tutti che la mia
famiglia teorizzava a tal punto l’inferiorità
della razza Babbana da pensare che perfino dar loro la morte comportava
una macchia sulla nostra purezza. Quindi sarebbe stato semplice far
passare per puro disgusto verso i Babbani quello che invece era ben
altro.
La
mia totale incapacità di fare del male a un essere vivente.
Il sangue mi si gelò al pensiero di cosa poteva capitare se
mio cugino o quel mostro avessero scoperto questa verità.
Per fortuna le nubi stavano coprendo la luna, rendevano la notte
completamente oscura, come la mia anima. Sentii uno schiocco dietro di
me, poi un altro: Voldemort era arrivato con Malfoy, ma non mi voltai,
non ero certo lì per omaggiarlo.
“Passano gli anni ma sei
sempre lo stesso, sempre straordinariamente puntuale,
Sherton…”
La voce odiata parlò sibilando in serventese: dovevo
immaginarlo, voleva ribadire la sua parentela con Salazar, ma anche gli
Sherton conoscevano quella lingua oscura, era stato un dono dato con il
bacio di Salazar Slytherin al discepolo prediletto.
“Sì, Riddle, sono
puntuale come la morte…”
Mi voltai parlando la lingua del rettile a mia volta e lo vidi in tutta
la sua magnificenza. Alto e nero come la notte più oscura,
pallido, con occhi che quasi fiammeggiavano dell’odio e del
sangue di cui si nutriva, proprio come l’orrenda visione che
mi aveva quasi strappato Meissa: alla fine le avevo fatto dire tutta la
verità, avevo scoperto cosa era accaduto a Spinner's End, e
cosa aveva sentito la sua mente quel giorno a casa di Cygnus. Per
fortuna l’avevo scoperto tardi, o mi sarei piegato a quel
verme il giorno stesso, svelando quale fosse l’unica cosa
davvero importante nella mia vita.
“Questa notte non
morirà nessuno, Sherton, anzi, siamo qui per
festeggiare…”
Mi sorrideva viscido, sembrava un serpente anche lui. Mi sfilai il
cappuccio, mostrando alla luna che, ridotta a un quarto calante,
occhieggiava tra le nubi che correvano rapide nel cielo estivo, i
capelli corvini, il volto fiero e gli occhi di ghiaccio. Sul viso non
avevo alcuna espressione, la bocca era atteggiata a un sorriso di
circostanza, mentre nel mio cuore un senso di timore e di disgusto
lottavano per non emergere. Ero grato a mio padre per essere stato un
ottimo maestro in Occlumanzia e di avermi trasmesso con il sangue e la
disciplina tale abilità.
“Non siamo ancora al punto di
poter festeggiare, Riddle, ho detto chiaramente a mio cugino che avrei
gradito vederti solo per capire meglio alcune cose: sulla carta ci sono
alcune condizioni per celebrare questo patto, ma sai, sono una persona
prudente, non amo sbilanciarmi se non sono più che convinto
che sarà garantita sempre e comunque discrezione e
incolumità per me e per la mia famiglia, nel caso qualcosa
non andasse nel verso giusto… oltre che, naturalmente, il
mio tornaconto…”
“Naturalmente Sherton,
naturalmente… Come sai, sono mesi che ti chiedevo di
incontrarci proprio per parlare, sono convinto che quello che ho da
dirti ti piacerà. E’ indubbio che nessuno tra i
maghi sia un abile affarista come te, e che il tuo aiuto,
così importante per noi, ha un valore davvero non
indifferente, insomma... Riconosco che sei molto importante per la
causa, tanto che se mi sostenessi, non potrei negarti mai alcuna
richiesta. So che t’interessa una certa area delle
attività del Ministero e soprattutto la scuola di Hogwarts:
se ti unirai a noi, puoi considerarle già tue, non potrei
immaginare un miglior direttore di te per quella scuola, una volta che
fosse istituito il nuovo regime nel mondo magico… ma
naturalmente se avessi progetti diversi per te e la tua famiglia, avrai
tutta la mia disponibilità e il mio
sostegno…”
Finsi di essere compiaciuto e feci un cenno di assenso, guardai mio
cugino Malfoy con occhi fintamente avidi e Abraxas mi rispose con un
sorriso pieno: Voldemort percepì quello scambio di parole
non dette e una smorfia compiaciuta gli apparve sul viso viscido, forse
pensava di aver fatto centro al primo colpo, immaginava che anche un
uomo tutto d’un pezzo come me avesse un prezzo e sicuramente
gli stavo mostrando un conto contenuto, rispetto ai benefici che
avrebbe apportato, alla sua causa, il mio ingresso nella sua cerchia.
Così decise che non era ancora sufficiente, voleva
sollecitare ancora di più la mia cupidigia.
“In attesa che
l’impresa si compia ed io possa offrirti concretamente quanto
ti ho appena promesso, vorrei dimostrarti la mia gratitudine per aver
ripensato la tua posizione iniziale, una specie di ringraziamento per
avermi fatto dono della tua compagnia e attenzione questa sera. Come
saprai, da giovane, ho lavorato presso Sinister, quel lavoro mi ha
permesso di fare molte ricerche interessanti, durante le quali ho
scoperto dove si trova qualcosa che appartiene a te, alla tua famiglia,
qualcosa di utile e prezioso, qualcosa di storicamente
importante…”
Finsi di cedere alla curiosità: buona parte dei cimeli della
mia famiglia era stata dispersa ai quattro angoli del mondo durante le
guerre magiche e le cacce ai maghi avvenute a Herrengton Hill prima del
Trattato di Segretezza, ma negli ultimi anni avevo riportato a casa
buona parte di quei tesori. Avevo anche un’idea piuttosto
chiara di dove fossero gli altri, ma finsi di essere colpito e
interessato da quanto aveva da dirmi. Voldemort si avvicinò,
sussurrandomi all’orecchio il nome dell’antico
villaggio magico irlandese di Ffynnon Garw, che non era evidentemente
nella lista dei luoghi che tenevo d’occhio e questo mi
colpì più di quanto avrei voluto.
“In questo luogo troverai
ciò che ti appartiene, la bacchetta d’argento e
smeraldi data da Salazar a Hifrig il giorno dell’investitura,
quella da cui è stato preso lo smeraldo che ora vi
tramandate di padre in figlio… Per quanto riguarda i nostri
affari, mi vedrò con Malfoy, Lestrange e gli altri il primo
di settembre, a Malfoy Manor, spero che ti unirai a noi, per
convincerti delle nostre buone intenzioni. Per te sarà un
incontro informale, ma se ti deciderai, in seguito comunicheremo con
questo…”
Prese il braccio sinistro di Abraxas e sollevò il mantello,
mostrando l’orrido marchio nero a forma d teschio che avevo
già intravisto sulla pelle bianca di mio cugino.
“Se sarai dei nostri lo avrai
anche tu, è rapido e discreto, e…”
“Non credo sia possibile per
me portare quel marchio…”
Voldemort mi guardò incredulo, pensava di avermi
assoggettato e già ponevo in dubbio la sua
autorità, strinse la mascella, per reprimere un evidente
attacco di rabbia, io a mia volta repressi a stento un ghigno ironico e
dissacrante, poi con la massima calma e razionalità espressi
meglio i miei dubbi.
“Certo saprai che noi maghi
del Nord abbiamo precisi doveri, a cui sono legati dei riti
particolari, che prevedono tra l’altro ogni cinque anni
l’esposizione in pubblico dei nostri corpi per
l’incisione dei tatuaggi. Tra meno di un anno devo farmi
incidere dei tatuaggi, se mi mostrassi in pubblico con quel marchio,
prima della nostra vittoria… Non credo riuscirei a
sostenerti molto, dalle segrete di Azkaban…”
Riddle annuì: non era ribellione quello che mi portava a
negargli quell’atto di fedeltà, ma raziocinio, una
delle capacità di noi Sherton che più ammirava e
di cui più aveva bisogno: si era già legato a
numerosi pazzi sanguinari, lui stesso non era altro che uno di loro,
aveva quindi bisogno di qualcuno che sapesse usare
l’autocontrollo, che non fosse drogato di sangue e di
perversione.
“Non c’è
problema, posso aspettare, non ti chiederei qualcosa
d’inutile e che mi priverebbe del tuo sostegno
indispensabile…”
Era di fronte a me, in silenzio, sembrava davvero un serpente,
così viscido, fluido e invitante, ricordai quando durante i
primi anni a Hogwarts l’avevo visto per la prima volta: era
un bel giovane, con, già da allora,
quell’espressione pericolosa nel viso. Mi aveva attratto
subito, avrei dato qualsiasi cosa per carpire la sua attenzione, per me
stesso, non per la mia famiglia… Poi seppi… Era
figlio di un Babbano, il disprezzo fin da allora superò ogni
cosa, tranne quello che avevo provato per me stesso, per aver
desiderato l’amicizia di un inferiore.
“Allora non avrò
problemi ad assumere quel marchio, a tempo debito…”
E quanto mi costava ancora oggi non vomitargli addosso il mio
disprezzo… Mi stava promettendo di tutto, quando
l’unica cosa che avrei preteso da lui sarebbe stata che
lasciasse in pace me e la mia famiglia, ma ero consapevole che ormai
questo non sarebbe mai potuto accadere, perché io,
l’erede di un discepolo, era un purosangue, mentre Tom,
l’erede del fondatore era solo un mezzosangue: per quanto
avesse parlato e promesso, quella era la realtà e prima o
poi su questo ci saremmo scontrati e combattuti. Una volta conclusa la
guerra ai Babbani e ai Mezzosangue, sarebbe arrivato il momento di far
fuori i rivali, per il potere personale, per il potere assoluto. Era
quello il momento atteso da Malfoy e da Lestrange. Sarebbe stato quello
il momento in cui Herrengton sarebbe caduta nelle loro mani. Sorrisi
tra me, avrei fatto credere a Voldemort di essere il suo più
fedele e avido alleato, avrei preso tempo e avrei atteso il momento
giusto per colpirlo: standogli accanto, conoscendolo, avrei scoperto i
suoi punti deboli e ne avrei approfittato, intanto avrei controllato i
miei nemici e messo al sicuro i miei cari. Potevo anche cadere, o
finire ad Azkaban, ma non prima di aver portato i miei piani a
compimento, Herrengton e i miei cari sarebbero stati al sicuro a quel
punto. Potevo farcela, dovevo solo mentire, e sporcarmi un poco le
mani: c’era stato un tempo in cui avevo imparato tutto
questo, poi gli occhi di Deidra mi avevano distolto dagli insegnamenti
di mio padre; ora dovevo allontanarmi dalla strada che aveva
intrapreso, tornare per un po’ indietro, mostrare i lati
più oscuri della mia anima, se volevo la salvezza di tutto
ciò che amavo. Presi per l’avambraccio Voldemort,
gli lasciai prendere il mio, ci abbracciammo e un bacio alla guancia
decretò quell’iniziale alleanza: Abraxas era
soddisfatto, aveva esaudito una richiesta del suo Oscuro Signore e per
questo sarebbe stato opportunamente ricompensato. Probabilmente Riddle
gli aveva promesso la mia testa per tutto questo. Sorrisi. Lord
Voldemort si staccò dall’abbraccio e mi
osservò.
“Finalmente riuniti Sherton,
il figlio del discepolo, e il figlio del maestro… Per la
gloria di Salazar Slytherin…”
“Per la
gloria…”
Voldemort e Malfoy si smaterializzarono in un vortice di foglie secche
frustate dal vento, io mi voltai sulla tomba di Ignotus Peverell,
ammirai il simbolo dei Doni della Morte e rimasi a riflettere per ore
sui fatti di quella notte, su quanto avevo percepito negli sguardi di
Riddle, sul ricordo di mio padre. L’ansia che mi accompagnava
dal mio arrivo era ancora lì, avevo una maggiore sicurezza,
certo, ma anche la convinzione che Riddle non sarebbe mai stato tanto
pazzo da fidarsi completamente di me. Oramai ero in campo, avrei
combattuto. Mentre all’orizzonte si profilava la prima luce
di un’altra alba estiva, mi dissolsi, diretto al bosco e al
capanno di Amesbury.
Orion Black, come sempre, mi aspettava.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010).
Valeria
Scheda
Immagine: non
ho ancora ritrovato la fonte di questa immagine
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