Pray to God
Disclaimer: Albert
Wesker, Alex Wesker e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji
Mikami, alla Capcom e a chi
detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta
per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine
lucrativo. I
personaggi di Elaine, Isaac, Nadia Yance, Cora Korn, Vincent
Simmons sono invece un'idea dell'autrice stessa. Nessun
copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto
rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne
è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia
autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
"A first sign of the beginning of understanding is the wish to die."
- Franz Kafka -
Pray
to God
Uno strappo.
Tutto era iniziato con uno strappo all'altezza dell'ombelico, uno snap per nulla
rassicurante.
La voce della Regina Rossa Alpha ripeteva monotona la sua litania, i
vetri del laboratorio scheggiarsi e poi esplodere.
Cosa...?
Quando la carne dell'addome aveva cominciato a squarciarsi le tue grida
si erano unite a quelle degli infetti.
"Non temo la vecchiaia."
Una risata sinceramente
divertita.
"Una donna vanitosa come
te?"
"Non temo di vedere i
miei capelli diventare grigi o la pelle scivolare via dalle mie ossa."
Mani forti tra i
capelli, sulle spalle.
"No?"
"No."
Occhi rossi come
l'inferno, pupilla dilatata.
"Allora cosa temi,
Alexandra?"
Le confessioni sono
veleno per l'orgoglio.
La sala comandi sta collassando, il mondo si sta rimpicciolendo.
Lo strappo è diventato adesso una lunga scissura, un taglio
che slabbra la pelle come un guanto rivoltato.
Le urla sono così forti che nemmeno riconosci la tua voce,
un insieme contorto di maledizioni e preghiere.
NonononononoNO.
Capisci che il peggio deve ancora venire quando scorgi le tue stessa
interiora sul pavimento.
"Il Progenitore ci sta
uccidendo."
"Lo so."
"L'Uroboros non
è la risposta."
Silenzio.
"Questa vita stessa non
lo è."
"Non c'è mai
stata alcuna speranza, Alexandra."
Un sorriso triste,
lineamenti durissimi e che non si piegano a nulla.
"Non per noi."
Sputi sangue e vomito, tra i denti il sapore amaro della bile.
Ti trascini sui gomiti, una patetica caricatura della
divinità che avresti dovuto voluto essere.
Non hai il coraggio di guardarti indietro, perché se lo
facessi scorgeresti solo una pozza scura di sangue e merda, le tue
gambe grottescamente staccate (eppure così pervicacemente
attaccate) dal resto del corpo.
Perché?
Le lacrime sono inarrestabili.
"Raccontamelo ancora."
Occhi da predatore,
curiosità da ragazzina.
"Sarebbe la terza volta."
Fianchi spigolosi, dita
pallide e nervose.
"Il tempo non
è a nostro favore."
Labbra che lo sfiorano,
braccia che gli cingono la vita - due serpenti che cercano il calore di
una mattina ormai morta.
"Neppure la storia,
Albert."
Sotto la roccia, due
bambini che non hanno mai avuto altro destino se non quello
già scritto.
Un suono umido, appiccicoso.
Uno risucchio acquoso, rivoltante.
La struttura si accartoccia su se stessa, imprigionandoti nella tua
miseria.
Le palpebre si sono fatte pesanti, il cuore un ritmo asimmetrico e
convulso.
Respiri, ed è polvere quella che ti brucia i polmoni.
Trovi la forza d'inclinare la testa, scorgendo i tuoi piedi a qualche
metro di distanza.
Ridi, e l'ironia di un corpo immortale è amara come il
veleno.
Quindi è
così che finisce.
Il tuo DNA mormora una risposta completamente diversa.
Non era amore; o forse
lo era ed entrambi erano stati troppo stupidi per capirlo.
Lo spiegavano come una
forma di conforto, una reciproca comprensione; un richiamo tra simili,
un gesto dettato dal sangue e da un legame condiviso.
"Gli dèi non
cercano null'altro che la perfezione." le mormora sul collo "A niente
di meno possono devono ambire."
"E io sarei perfetta,
Albert?"
Io? In questo
involucro che sta morendo un po' alla volta, ogni giorno di
più.
Io? Una donna
vissuta all'ombra di un vecchio delirante e che ha sempre giocato con
un mazzo di carte truccato e perdente.
Io? Che ti ho visto
morire e poi rinascere. Che ti ho pianto - ti ho invidiato.
Io?
Albert respira sulla sua
pelle ed è come essere avvolti dal ghiaccio più
freddo - più puro.
"Sì."
Alexandra sorride senza
alcuna vergogna.
Riassemblamento.
Così puoi chiamare quello che ti sta succedendo.
Il virus ruggisce e allunga i suoi tentacoli, striscia tra le macerie e
ricostruisce un corpo ormai distrutto - spezzato.
Chiudi gli occhi, rifiuti la verità.
La prima metamorfosi è appena avvenuta.
"La ucciderai?"
"Sì."
"Perché?"
Albert inclina il mento,
la fissa da sopra il bordo degli occhiali.
"Che domanda
è?"
Alex si riflette in
quelle lenti scure, una donna bianca come la neve - fredda come le sue
mani.
"Aheri è un
bel nome."
Il silenzio ha sempre
raccontato più delle parole.
Vertebre in titanio, interiora in acciaio.
Sorvegli un corpo non tuo, custodisci un viso rovinato dall'ambizione.
Seni svuotati, labbra bruciate.
Abiti un incubo che avevi chiamato
immortalità,
dimori tra ricordi pungenti e affamati.
Denti scoperti, inguine indefinibile.
Chissà cosa
direbbe se mi vedesse ora.
Copri quella mostruosità con un mantello pesante quanto la
tua stessa disperazione.
"Non hai mai avuto
paura, Albert?"
"No."
"Questo farebbe di te il
mio candidato perfetto."
"Vuoi forse occupare la
mia mente invece che quella della ragazzina?"
"L'ho già
fatto, Albert; l'ho già fatto."
Il cielo è sempre dello stesso colore, la terra ha sempre lo
stesso sapore.
Di te è rimasto solo uno spicchio candido, una falce di luna
in cui i tuoi lineamenti sono ancora riconoscibili - labbra piene,
occhi affilati, capelli biondissimi.
L'altra - il mostro - il fratello che hai perduto nel fuoco della
sconfitta.
Mi sento così
sola.
Mostro è solo come chiamiamo ciò che non possiamo
comprendere.
Sangue sulle mani,
sangue sulle lenzuola.
Sangue sulle loro
bocche, sangue sotto le unghie.
Sangue a raccontare una
storia già scritta, sangue a tracciare i loro profili.
Sangue a chiamare altro
sangue, sangue che ha lo stesso colore di quello degli altri - vittime,
infetti, nemici, eroi.
"Questa è quasi una sorpresa."
Sangue rosso come i suoi
occhi.
La torre è crollata e con lei la regina cattiva.
Sotto le macerie, tra i ricordi, una sola cosa è
sopravvissuta.
La morte è
stata la tua fuga; perché non ha potuto essere anche la mia?
Albert Wesker ti fissa da una foto nella quale stringeva ancora il
mondo nel pugno.
I laboratori della
Tricell sono quieti, polverosi riflessi di un vecchio fasto.
Alex li percorre
scandendo bene ogni passo, un incedere elegante e predatorio.
Esplodono le celle di
contenimento, si cancellano i filmati di sicurezza.
Si rincorrono le
immagini di Jill, una nebbia confusa di rumore bianco ed energia
elettrostatica.
Alexandra allarga le
braccia, i capelli una nube dorata attorno al viso e il corpo teso
verso l'alto, un arco perfetto e pallido.
Per un attimo il tempo
rallenta - si dilata.
Le immagini continuano a
scorrere - il desiderio di Excella, la rabbia di Sheva, lo sconforto di
Chris, il delirio di Albert - confessioni e segreti, torture ed
esperimenti, ordini e suppliche.
"Il Progetto Uroboros sarà rilasciato la prossima settimana."
Alex apre gli occhi e
osserva la sua una vita perduta.
Delle tue belle unghie sono rimaste solo schegge rovinate.
Della tua bocca, un ammasso di pelle cicatrizzata.
Del tuo corpo, una misera struttura organica in grado solo di
respirare.
Io non morirò
così. Io... non posso. Non voglio.
Kafka è stato un profeta un spietato.
Claire Redfield.
Un nome che scivola sulla lingua - che la impasta di vendetta e
malinconia.
Alex ne studia i lineamenti, cercando una qualche somiglianza con il
fratello, ma nota solo i fianchi un po' troppo larghi e gli occhi un
po' troppo azzurri - come il cielo.
Sospira, e il nodo che ha nel petto arrotola un altro filo spinato sul
cuore.
Verde.
La paura non è ancora venuta a farle visita.
La solitudine non è silenzio.
Silenzio era quello che condividevi con Albert, raggomitolata contro il
suo fianco e tra lenzuola che sapevano di sangue e morte.
Silenzio era il suono del suo respiro tra i capelli, la consapevolezza
di non essere più sola - di non esserlo mai stata.
Plic, plic.
La creatura ti fissa e tu osservi lei, un gigante sventrato e senza
alcuna grazia.
L'occhio del passato affonda in tutto quel nero, quello del presente un
reticolo grottesco di capillari esplosi e bianco rappreso.
Plic, plic.
Uno scarafaggio ti corre sui piedi, attraversando dita ridicolmente
grandi.
Plic, plic.
La tua risata è un suono folle che graffia le pareti della
grotta.
La Morte è
causa, la Morte è conseguenza.
La presenza di Claire
Redfield qui
e ora
è conseguenza, la tua decisione sarà causa.
La fine di Albert
è stata una causa, la tua mutazione una terribile
conseguenza.
L'ascesa sarà
una conseguenza, il dolore è stato una causa.
Tud.
Cadi, e la
libertà non ti è mai sembrata così
vicina.
"Protocollo di
autodistruzione iniziato."
Rimani immobile, uno
straccio bianco e oro.
"Cinque minuti alla
detonazione."
La pistola è
pesante tra le tue dita e il mondo sta diventando sempre più
scuro - sempre più confuso.
"Quattro minuti alla
detonazione."
Abbassi le palpebre e...
No.
Adrenalina.
No.
Una corrente
sotterranea, una scossa metallica che risveglia istinti sopiti -
addormentati da anni passati ad ammaestrare la paura e il suo
corollario.
No.
Il Progenitore ruggisce
- urla - e
lo senti scorrere nel tuo cervello, tra le sinapsi divelte e i neuroni
necrotizzati.
No.
Il virus T - Phobos si
attiva, verde arancione rosso.
No.
Uno strappo.
Tutto inizia con uno
strappo.
"Non guardarmi."
"Alexandra."
"No." tremi
- supplichi.
"Alexandra."
Ti porti le mani al volto, soffocando un gemito.
"Sono un mostro."
Dita leggere, fredde.
"Mostro
è solo il nome che diamo a ciò che non
comprendiamo. A ciò che sfugge ai limiti della mente umana.
A qualcosa di così straordinario da non poter neppure essere
compreso."
Occhi artici, labbra sottili.
"Non me li ricordavo più." ammetti, sfiorandogli gli zigomi,
il naso, la linea dura della mandibola "Trasparenti come il ghiaccio." Bellissimi come lo erano i miei.
Un sorriso sincero - strano nella sua singolarità.
"Non è ancora finita."
Lacrime trattenute, vergogne nascoste.
"Natalia è viva."
Gli stringi più forte la mano, incidendoti il tuo stesso
palmo.
"Puoi ancora essere immortale."
Il cuore in gola e la tristezza una rabbia malcelata.
"Puoi ancora essere una dea."
"E tu?"
Un altro sorriso, denti bianchissimi e affilati.
"Io sono
già un dio, Alexandra."
Le sue labbra sfiorano le tue senza alcuna paura.
"Chi sei tu?"
"Puoi chiamarmi Overseer."
"Cosa vuoi?"
"Fuggire."
La libertà a volte ha lo stesso sapore di una sconfitta.
Note dell'autrice:
Albert Wesker e Alex Wesker non
sono fratello e sorella. Non hanno nessun legame di sangue e non sono
stati cresciuti nella stessa famiglia come tali (ne hanno avute due ben
diverse e distinte) per cui non ritengo che questa storia richieda
l'avvertimento incest. Appartengono allo stesso progetto scientifico di
selezione genetica (Project W.) e per questo si definiscono "fratello"
e "sorella" e possiedono lo stesso cognome (in onore del creatore del
progetto), ma nei fatti non lo sono e non hanno mai avuto l'occasione
di comportarsi come tali.
Secondo la legge
italiana non sono né discendenti né ascendenti, e
neppure affini in linea retta, per cui il reato d'incesto non sussiste.
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