Vittoriosa sconfitta

di chiara_raose
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Seguì lo sguardo della giovane verso il proprio fianco. Notando l'elsa della propria spada, non gli ci volle poi molto per comprendere cosa la Neo-Regina stesse pensando. Trattenne un sospiro, chiudendo gli occhi e staccando il fodero dalla cintura. Le mani parvero quasi sudare nel stringere quella spada, come ogni volta da quel momento che pareva ormai così lontano e, per i propri ricordi, ancora incredibilmente vicino. La sorresse, serrando le dita piuttosto che lasciarle rilassate, lottando contro qualcosa dentro il proprio petto.
«Sì...» confermò lui, leggendo lo stupore negli occhi di lei. «Mikoto Suoh è morto con questa»
Fece uno strano effetto chiamarlo per nome e per cognome; tremendamente strano, dopo tutto quel tempo. Dinanzi al delicato tocco della mano della giovane, il Re Blu non potè che pensare a quanto fosse piccola, a quanto fosse apparentemente gracile dinanzi ad un potere come quello del Terzo Re. Non potè non chiedersi, se davvero era ciò che Mikoto aveva desiderato e sperato.

«Suoh!!»
Lui si voltò e il placido sorriso che gli rivolse, dietro quelle macchie di sangue, lo trafissero come mille lame. Lo pietrificò e disarmò nell'animo, facendo crollare ogni tipo di protezione e minando definitivamente la solida corazza di determinazione che lo aiutava a reggersi in piedi. Le braccia altrui si aprirono, arrendevoli e placide; non ci fu tempo per pensare, per ragionare o per domandarsi se era davvero la cosa giusta da fare. Col senno di poi, si sarebbe iniziato a rendere conto del reale motivo per cui gli Scepter 4 venivano addestrati in un determinato modo piuttosto che unirsi come famiglia; avrebbe capito di esser caduto in quella trappola che, con quell'addestramento, cercava di evitare a tutti gli altri. Ci era cascato in pieno. Anche questa volta, Mikoto aveva vinto.
O lui o tutti loro.
La lama trafisse quel corpo, le dita tremarono e le spalle sobbalzarono a confronto dell'immobilità altrui. Un soffio di vento e le sue ultime parole, quell'ultimo alito di respiro che lo fece deglutire. Percepì le schegge della sua Spada precipitare come piccole meteore, mentre anche colui che aveva conosciuto come la persona più calda al mondo si spegneva, precipitando dal cielo e raggelandosi in una discesa lenta e dolorosa ormai solamente per lui; lui che era rimasto. Il seguirne la caduta verso il suolo, quel tonfo sul terreno dei suoi abiti, fu una tentazione troppo forte per resisterle.
Non seppe quanto tempo passò prima che le gambe tornassero a farsi sentire, presenti, né quanto ci impiegò il proprio cuore a tornare a battere, imbizzarrito nel petto a ricordargli che lui era lì... ed era vivo.


Sorrise ad Anna con tranquillità, forse col modo di fare di chi, semplicemente, sa ben più di quel che vuol dare a vedere. Non potrà perdonarlo, né fargli una colpa. Ha ragione. Così dev'essere e sempre dovrà. Era ciò che Mikoto voleva, quello in cui sperava: qualcuno di tanto forte da esser capace di gestire quel potere per qualcosa che non fosse la distruzione. Forse era questo a cui si riferiva, con l'essere dei vincitori: il riuscire a sopportare il peso di quella pesante lama sul capo. Una domanda, però, a quel punto nasce spontanea nel suo petto: come si può esser vincitori senza aver vinto? Dove sta la vittoria nell'impotenza di esser soli?

«Sai come ci si sente da vincitori, Mikoto?»
mormorò sul corpo dell'amico, osservandolo ancora mentre l'unico rosso che vedeva era troppo doloroso per poter esser definito come colore caldo. Sorrise, sentendo le labbra tremare e la mano ostentò un momento una sicurezza vacillante, dinanzi al nulla, quando cercò di sistemarsi la montatura degli occhiali che non aveva più indosso.
«... è uno schifo.»





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