Ex Aurum ab Umbra
Genere: Introspettivo, sovrannaturale
Rating: Verde, I think.
Personaggi: Yugi, Yami Yugi.
Discaimer: I
personaggi citati, così come il manga Yu-Gi-Oh! Non sono di mia
proprietà, bensì appartengono a Kazuki Takahashi. Io li
utilizzo solo per divertimento senza alcun fine di lucro.
Note: Flashfic, mezza What if? e mezza AU.
Avvertimenti: Vagamente nonsense, credo.
NdA: Welcom Back madness! Sì, dopo un anno rieccomi a postare vacc- coff- , schifez - coff- , 'RobeH' su questo fandom.
L'origine
di Questa Cosa è oscura, un flash di pochi secondi passatomi
davanti agli occhi mentre studiavo ccose che con Yu-Gi-Oh! c'entrano
come le rape nel caffelatte.
è l'analisi di un momento, l'istante in cui Yughino incontra per
la prima volta lo spirito del puzzle che, nella mia mente, avviene
molto prima dei suoi sedicidiciassette anni, quand'è ancora
bambino ed inizia a provare ad assemblare il puzzle; idealmrnte Questa
Cosa si colloca dopo l'antichissima One-Shot dal titolo '1987' e
ne segue pure il genere sovrannaturale, oscuro e distorto.
Buona Lettura
.
Ex Aurum ab Umbra
By:_Morgan
Ciò che vedi non è reale...
I pezzi d'oro del puzzle rinvenuto
in soffitta, suo tesoro, s'nvolano sospinti dalle sue mani nell'aria
umida, appiccicosa, dal forte odore d'acqua dolce e fango molle, il
profumo d'una terra lontana - non sua, non ancora almeno – di cui
conosce l'esistenza solo grazie alle antiche favole che il nonno gli
sussura la sera, al lume soffuso della lampada africana posta sul
comodino; ci sono gli Déi in quei racconti, e uomini, magie e
misteri...ci sono gli spiriti in quei racconti, ma Yugi dubita che
l'Ombra, colui che risiede nel buio che si cela oltre il fulgore
abbacinante dei preziosi tasselli, sia uno di essi.
Nonostante si somigliono molto, il
bambino dubita persino che L'altro sia una riflessione distorta di
sé; è 'Qualcosa', né uomo ne fantasma, forse un frammento d'anima
vagabondo, prigioniero del fato e costretto a dimorare fra i pezzi
scissi di quel gioco antico che ora, dopo millenni, sta nuovamente
prendendo forma grazie alle sue dita.
Yugi non sa come, ma a volte, quando
incastra un tassello ed indovina una posizione, ha l'impressione che
le sue mani si muovano da sole, guidate da una volontà più forte
della logica semplice, lineare, d'un bambino di otto anni e sente
freddo, un refolo leggero dietro l'orecchio dall'odore stantìo di
muffa e chiuso.
Non è l'aria di Domino, bensì il
respiro delle necropoli e, se ne conoscesse l'olezzo, riuscirebbe a
cogliere pure la morte in quel respiro, come a volte intravede un
guizzo sinistro sulle facce riflettenti dei preziosi tasselli,
ametiste incupite dallo specchio d'oro in cui si mostrano, irradiate
di vene sanguignee: gl'occhi della Creatura.
...Mou Hitori no Boku...
Nella sua ingenutà di bambino, nei
sogni che presto dimenticherà poiché non è ancora 'pronto' a
compiere il rito d'iniziazione, gli ha dato un nome giapponese e –
inconsciamente – la possibilità d'una scelta; l'Ombra, dalle
profondità nere create dalla sovrapposizione casuale dei tasselli,
lo osserva assottigliando lo sguardo felino, piegando le labbra
morbide in un sogghigno crudele, predatorio, il mostrare le zanne
della Iena poco prima d'iniziare a banchettare con i resti della
carcassa.
Yugi avverte un brivido freddo lungo
la schiena ed il frammento dorato che stava lanciando in aria per gioco gli sfugge, rotolando sul pvimento;
Lui ha proteso la mano pallida nel vuoto, flettendo le dita sotto la
calda luce del sole d'Aprile per sfiorargli una guancia, premendo le
unghie sino a lasciare dei solchi bianchi sulla pelle rosea.
Il bambino trattiene un singhiozzo fra i denti e, nonostante ne abbia paura,
continua a mantenere lo sguardo ben fisso sulle iridi evanescenti,
fatue, dell'Ombra; vi è qualcosa di diabolico in quelle venature
cremisi, nel modo in cui il viola s'adombra fra le tetre propaggini
del puzzle per poi rifulgere come una fiamma nella luce del giorno.
Vi è qualcosa di anomalo in quella
creatura che, mossa da chissà quale impulso, ora s'arrischia ad
inclinare il busto verso di lui, nei raggi inclementi filtrati
dai vetri del lucernaio, finché non restano che pochi centimetri a
separarli e la vastità della morte a sfalsare i piani dimensionali.
Il respiro trattenuto del bambino
fuoriesce in un soffio: “Perché...sei triste?”
Sebbene l'Ombra non capisca la
lngua in cui gli è stata posta la domanda, la pietà negl'occhi di
quel bambino spaventato è come una lama piantata nel costato, li
ove gli antichi sacerdoti gl'avevano insegnato che v'è il cuore; le
dita evanescenti scivolano dalla pelle calda nell'aria e lui inizia a
ritrarsi piano, verso l'oscurità che è stata sua casa e compagna,
verso il modo disgiunto d'ori e tenebre che è quel puzzle, sua casa e maledizione,
quando un'altro sussurro lo blocca.
“Mou Hitori no Boku?” ora Yugi è ad aver allungato le dita per sfiorare la Creatura, incontrando
però solo aria un poco più fredda del consueto ed un corpo privo di solidità,
semi svanito fra i pezzi disposti alla rinfusa nella scatola d'oro intarsiata di geroglifici;
l'Essere arresta il suo retrocedere, sgranado gli occhi dal taglio
ascutto.
“...Perchè? Perché te ne vai?”
domanda ancora il bambino: “Ti faccio paura? Sai...tu a me ne fai
tanta, ma so...che non sei cattivo.” ed inghiotte un bolo di
saliva, sperando che con esso svanisca anche il terrore che gl'incrina
la voce; si convince che la fiducia in quella creatura sia
ben riposta, non un abbaglio dettato dalla sua natura altruista.
Sono empatici gli spiriti, ed è
grazie a questa dote che l'Ombra è in grado di comprendere gli stati
d'animo del piccolo bambino così simile a lui, ma così diverso;
un altro sorriso appare sul viso pallido, stavolta dolce e privo di
smorfie, il primo gesto d'amicizia dopo giorni passati a divertirsi
nel causare terrore a quella piccola craturina umana, così distante
dall'immagine del 'prescelto' ideale, incaricato dagli Déi di porre
giustizia, districando gli antichi torti.
Ma questo bambino...Yugi...perchè?
Più
l'Ombra ne osserva il visetto tirato e gl'occhi grandi,
innocenti, più il moto di disgusto verso sé stesso e la
sua
incapacità d'essere materia, d'essere reale, aumenta; avrebbe
dovuto ottenere il privilegio di compiere da solo la propria vendetta,
gli Déi però si sono mostrati nuovamente inclementi,
beffandolo nella maniera più meschina: Un moccioso come
giuda terrena, uno strumento destinato alla distruzione.
Non può essere salvato...
Si salverà
da sé...
Forse.
Prima di svanire s'inclina di nuovo,
sfiorando con labbra di freddo vento quelle morbide e calde –
vive
– di Yugi, sibilando in una lingua morta un nefasto augurio; una
promessa; i tempi non sono ancora maturi e il suo custode non è
che un bambino, ancora acerbo, ancora inadatto ad attraversare il
buio senza tremare - brividi poi, ne avrà ugualmente - poichè
vive nella luce dell'infazia dove ogni cosa rifulge d'oro ed ha l'odore
gentile della brezza di maggio, dei fiori di campo, morte e sangue gli
sono oscuri.
Col sapore dolce del piccolo sulle labbra, l'Entità si cela fra i tasselli, svanendo alla vista.
Aspetterà ancora, un decennio non è nulla paragonato
all'eternità di quel suo mondo immoto, sabbia fine, labirinti d'oro
e d'ombra .
Tornerò quando sarai pronto.
Tornerò per trascinarti ove non v'è alcuna luce.
Ex aurum ab Umbra.
E.N.D.
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