Ricordati di me
Shenron era sparito.
Non ci furono parole
di
commiserazione o di protesta. La Terra era
stata salvata, tutti erano vivi e nessuno trattenne la gioia di poter
ancora confidare nel futuro che Li Shenron, dall’alto della
sua
superbia, aveva tentato di distruggere.
Era
stato bello
poter sperare, per una frazione di secondo, che tutto
fosse tornato alla normalità, ma quella volta qualcosa era
cambiato,
differendo da ciò che era sempre accaduto.
La
Terra aveva
rinunciato al suo miglior paladino, al principe azzurro
che l’aveva sempre salvata, strappandola dalle mani scabrose
dell’agonia e della distruzione.
Aveva
rinunciato
a Goku.
Quelle
facce così
spensierate avevano imparato a vederlo fuggire, così
tremendamente lontano dai propri doveri quanto vicino alle proprie
responsabilità, ignari del fatto che, quella volta, non
sarebbe
tornato. Non li avrebbe più salvati e loro non avrebbero
più potuto
provare quella sensazione di sollievo che pervadeva i loro animi ogni
volta che Goku appariva al loro fianco per opporsi a una situazione
che, fino a quel momento, era apparsa disperata agli occhi di tutti.
Erano
passati
tanti anni da quel giorno in cui il guerriero aveva
deciso di perseguire la strada meno battuta, la più
faticosa, che
l’avrebbe portato a rinunciare per sempre a Chichi, ai suoi
figli, alla
sua dolce nipotina, agli amici. Niente più dolci ricordi da
custodire,
nessun lieto fine pronto a bussare alla porta della piccola casa sui
monti Paoz. Quel giorno, per quanto vittoriosi, c’era
qualcuno che
aveva compreso la verità, la cui faccia mascherava un pianto
silenzioso, più profondo di quello che avrebbero potuto
mostrare un
paio di lacrime. Un dolore interno, che la lacerava e le imponeva di
urlare all’inganno, perché, in fondo, lei non si
sentiva così felice di
ciò che era accaduto.
Dieci anni.
Bulma
se ne stava
affacciata sulla vasta terrazza della Capsule
Corporation, fissando il cielo come faceva ogni giorno, nella speranza
di veder comparire una scintilla bionda che l’avvisasse che lui era
tornato, pronto a riprendere il posto che aveva ricoperto per tutta una
vita.
Socchiuse
gli
occhi, sperando che fosse la vista non più così
fresca a impedirle di
mettere a fuoco le cose intorno a sé;
quell’empireo dalle
nuvole soffici e rotonde non era attraversato da nessuna turbolenza ma
solo da un timido mantello crepuscolare che con movimento ancestrale
scendeva a coprire il Sole ormai rossastro all’orizzonte.
Goku
non era
tornato.
Trattenendo
un
singhiozzo, che strozzò prima che potesse fuoriuscire
dall’esofago, Bulma si accasciò su una sedia posta
lì vicino, posando
la testa sulle ginocchia.
Goku
aveva
ottenuto la gratificazione più alta che potesse essere
conferita al combattente più forte dell’universo,
aveva appagato con
quell’ultimo gesto d’amore la sua voglia di
mettersi alla prova e di
perfezionarsi.
In
fondo non lo
biasimava. Era sempre stato quello lo scopo della sua
intera esistenza.
Bulma
tentò di
figurarsi Chichi in quel momento, pensando a come
potesse sentirsi sola, abbandonata da un marito le cui promesse erano
state fatte troppo ingenuamente per essere mantenute. Goku era rimasto
un bambino, un dolce infante capace di mentire spudoratamente piuttosto
che avere del rimorso per una verità troppo dolorosa. Non le
aveva mai
promesso di esserle sempre accanto e, d’altronde, Bulma non
ricordava
quante promesse avesse infranto il sayan pur di preservare sua moglie,
parte integrante dell’intera umanità.
Bulma
sapeva che
l’amico non aveva mai amato Chichi come aveva amato
quell’universo a cui lui stesso aveva teso le mani per
attingere a un
vigore sconosciuto, un moto interiore che prescindeva dalla semplice
forza di volontà per tendere a quell’infinito
tanto agognato dal sayan,
il quale, dopo tanti anni, aveva finalmente vinto contro il nemico
più
agguerrito di tutti: il suo stesso limite.
Fu
solo in quegli
attimi che la turchina si rese conto di quanto le
mancasse. Era sempre stata abituata ad averlo accanto, a sapere che ci
sarebbe per sempre stato. Per tutti. Per lei.
L’aveva
trovato
per caso, sperduto in quei monti divenuti il suo nido
d’amore, solo e incapace di capire cosa fossero le relazioni
interpersonali; e lui, che era così cieco e ignorante sulla
forza
dell’amore, aveva scelto di seguirla, sacrificando se stesso
per ciò in
cui credeva.
Poteva
ancora
immaginarlo.
Con
la tuta
arancione, il bastone e la nuvola speedy, pronto a solcare
gli angoli più remoti del cielo, ignaro del futuro che lo
avrebbe
atteso dopo così tanti anni.
E
lei, Bulma, lei
lo avrebbe seguito sin in capo al mondo, perché per
quanto potessero trovarsi distanti, sapeva che Goku sarebbe sempre
tornato da lei; erano due anime, costrette a passare
un’esistenza
divise perché il loro comune sentiero si era divaricato in
due strade e
Bulma, da brava codarda, aveva scelto quella più facile,
quella di
sposarsi col sayan più isterico ed egoista
dell’universo, ma che, per
quanto megalomane, sarebbe sempre rimasto al suo fianco
perché, a modo
suo, l’amava più di quanto potesse amare la sua
voglia di emergere.
La
seconda strada
l’avrebbe portata a Goku, a un bambino imprigionato
in un corpo da sayan che non aveva scelto, ma che aveva deciso di
mettere al servizio dell’umanità.
Bulma
non avrebbe
mai potuto sopportare ciò che, in quel preciso
istante, stava provando Chichi. Lei era un’egoista e non
avrebbe mai
potuto condividere un bene tanto prezioso con l’intera
umanità.
Era
stato
quell’amore viscerale che aveva sempre nutrito nei confronti
del sayan che le aveva permesso di cederlo a un’altra,
sicuramente più
meritevole di stare con lui di quanto non lo fosse mai stata lei, una
sciocca ragazzina dalla folta treccia turchina avvolta in un fiocco
rosso, genio dell'ingegneria e innamorata
del suo migliore amico.
Non
avrebbe
potuto nascondere ancora a lungo ciò che aveva provato per
tutta una vita e, per quanto distante, sentiva che anche
l’amico
l’aveva amata, in un modo del tutto singolare.
Come solo un bambino
sa fare.
«Mi
manchi»
sussurrò, lasciando che quelle lacrime prepotenti le
bagnassero le guance arrossate.
Sentì
un brivido
percorrerle la schiena, mentre la dolce brezza estiva
si dilettava a smuovere le fronde degli alberi intorno alla casa.
Chiuse gli occhi. Sapeva che, se si fosse concentrata, avrebbe potuto
sentire la sua voce, come un dolce eco di ricordi che aveva conservato
gelosamente, prima di Chichi, di Vegeta, di Gohan, di
Trunks… quando il
mondo era solo loro, quando non c’erano regole o
responsabilità a cui
dover far riferimento, quando bastavano una moto e un radar per
viaggiare, quando si lottava con un bastone allungabile in una mano ed
il cuore nell’altra, pulsante per la voglia di misurarsi con
avversari
sempre più astuti, sempre più forti.
L’aveva
amato.
E,
quel giorno,
aveva compiuto il più grande atto d’amore che le
restasse da fare.
L’aveva
lasciato andare.
Alzò
gli occhi
azzurri al cielo, perdendosi in quel firmamento
costellato da tanti punti sfavillanti.
E
lì, in
quell’immensità fiammeggiante, Bulma vide Goku
brillare più di
tutte quelle stelle.
«Lo sai che
sei proprio strana
tu?» disse il bambino, sorpreso. «Dai
coraggio, seguimi, andiamo a casa!»
Bulma lo
seguì. «Non ci siamo
ancora presentati. Dimmi, tu come ti
chiami?»
«Il mio nome
è Son Goku, ma puoi
chiamarmi Goku. E tu, invece?»
«Veramente…
io…» La ragazza
tentennò qualche istante. «Bulma.»
Breve one -
shot che ho
deciso di scrivere così, su due piedi, perchè mi
andava di piangere un
po'!
Non so neanche perchè ho scelto Bulma e Goku, che sono
assolutamente la
mia coppia improponibile, dato che sono una fan accanita delle
VegetaxBulma, però penso che alla fine ogni autore debba
confrontarsi
con qualcosa che ritiene una sfida e per me questa coppia lo
è sempre
stata!
Un bacione a tutti!
_Vintage_
|