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Disclaimer: Albert
Wesker, Alex Wesker, Irina e tutti gli altri personaggi appartengono a
Shinji Mikami, alla Capcom e a chi
detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta
per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo.
Nessun copyright
si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece
copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la
citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite
permesso scritto.
"Sometimes, monsters are tired of sleeping under your bed, so they
climb up into your head."
- Unknown author
-
Lullaby
for a dead man
Qualcosa cade in lontananza, nel silenzio irreale di mille morti.
Un ansito, un risucchio umido e di gola.
L'acqua sporca delle fogne scivola pigra tra le chiuse divelte e le tue
caviglie, anelli nerastri e limacciosi.
Un sospiro, un rumore di mascelle disarticolate.
L'Inferno ha aperto la sua bocca e tu sei stata la prima a uscirne.
È giunta
sull'isola come una salvatrice, bianchissima e così diversa
dalle donne locali, prosperose e dai lineamenti forti - capelli neri
come la fuliggine e ciglia lunghe.
La straniera
è pallida e sottile, una di quelle bellezze che vedi sulle
copertine dei giornali americani.
Ha un accento lievemente
europeo e si porta continuamente una ciocca di capelli dietro
l'orecchio destro, così biondi che a Irina sembrano fili
d'oro.
Parla senza incertezze,
si muove con grazia - nulla in lei indica un pericolo, una minaccia.
Gli occhi.
Irina si chiede se i
mostri possano avere occhi così belli.
La Falsa è stata qui; puoi sentirne la puzza.
La Falsa è stata qui e anche il suo protettore, Barry e
qualcosa - Barry
Burton, addetto al controllo armi della S.T.A.R.S.
La Falsa ha i tuoi ricordi, la tua passione, tutto.
La Falsa ha il tuo corpo e la tua giovinezza - la tua speranza.
Un infetto ti passa vicino senza nemmeno riconoscerti.
La straniera ha portato
soldi, infrastrutture, ospedali, benessere.
Cammina tra di loro
senza incertezze, le labbra piegate in un sorriso che a suo padre fa
venire la pelle d'oca.
Quando il diavolo è impegnato manda sempre una donna a fare
il lavoro per lui le
dice ogni sera, indicando con il pollice fuori dalla finestra E
quella donna è il diavolo in persona, kroshka.
Irina si scrolla nelle
spalle e ignora le sue stupide superstizioni, ravvivando il fuoco.
La torre della regina
cresce sempre più alta.
Ogni tanto hai ancora qualche frammento di lucidità; momenti
strappati alla disperazione di un corpo decadente e abominevole.
Sono quei momenti in cui ti siedi sul bordo della spiaggia e ti
raggomitoli dentro quello straccio di mantello che protegge la tua
figura, togliendoti la maschera e inspirando l'aria pulita del mare.
Sono quei momenti in cui vorresti piangere se i tuoi condotti lacrimali
non fossero stati bruciati, in cui la memoria diventa il veleno
più potente - la radice dell'odio più duraturo.
Fratello.
Gregor è morto da tempo, piccola Greta: a te, le briciole di
una storia che non poteva avere altro finale che questo.
È arrivato un
uomo sull'isola oggi, Irina l'ha visto.
Non avrebbe dovuto
neppure trovarsi lì, ma Nicholai le aveva detto che quella
notte ci sarebbero state le stelle cadenti e che la spiaggia era il
posto migliore per guardarle insieme.
Irina si nasconde meglio
dietro la fitta vegetazione, troppo curiosa - troppo incosciente.
L'uomo si guarda
intorno, le mani lungo i fianchi, il corpo leggermente teso.
Crack.
Irina trattiene il
respiro, la paura scioglierle le viscere e il cuore.
"Sono io."
L'uomo si rilassa,
raddrizzando le spalle e posando lo sguardo sulla sua destra.
"Sei in ritardo."
La donna ride e Irina la
riconosce.
La straniera.
"Lo so."
Irina comincia ad
arretrare, cercando di non pestare le foglie secche.
"Lo trovi divertente?"
Un'altra risata,
così libera che a Irina sembra quella di una donna
innamorata.
"Moltissimo."
Irina è
già lontana quando le labbra della straniera cercano quelle
dell'uomo in nero.
Ai mostri non serve una giustificazione, ma una motivazione.
Ai mostri non serve un ideale, basta uno scopo.
Ai mostri non snudi i denti, perché i loro sono
più grandi e più pericolosi.
Mostro. Un orribile
mostro deforme.
Ai mostri non si chiede il perché
se non si vuole ascoltare la risposta.
A Irina quello Stuart
non piace.
È un servo
fedele della donna, ma per Irina tutta quella sudditanza è
rivoltante.
Lo studia mentre
dà le indicazioni agli operai su come costruire la fabbrica
e all'apparenza non c'è nulla di strano.
È un uomo
ordinario: capelli grigi, sguardo severo, le prime rughe d'espressione
che si stanno facendo strada sulla fronte e ai lati della bocca.
Non è come l'altro. Non è come l'uomo in nero.
No, non è
come l'uomo che Irina ha visto sulla spiaggia qualche giorno prima, ma
è comunque pericoloso - indegno di fiducia.
Stuart storna lo sguardo
dalla gru e lo pianta in quello di Irina senza alcuna paura.
La Falsa non è lontana, puoi percepirla.
Il vento ti porta il suo odore, ma sei una femmina sciocca, per cui la
malinconia ti inchioda a terra - la sabbia tra dita che non hai il
coraggio di riconoscere come tue.
Sorge un sole pallido all'orizzonte e illumina un viso a
metà.
Il solo profilo che hai potuto salvare.
Non
è amore,
questo l'hai sempre saputo.
Siete due mostri
spregevoli che tentano di aggrapparsi a
quello che resta della loro
umanità - che tentano d'usarla per trascendere.
Non
vi siete messi su di
un piedistallo, non vi siete illusi.
Vi vedete
vivete per
quello che siete, senza inganni e senza menzogne.
Senza amore, il cuore
è lucido.
Senza amore, nessuna
ferita può essere inferta - nessuna promessa può
essere infranta.
Senza amore, non
c'è bisogno di dirsi addio - puoi sentire la mancanza di
uomo già morto?
Senza amore...
La verità
è che i mostri chiamano odio il sentimento sbagliato.
Il tuo cervello deve essersi rotto - frantumato in tanti pezzetti
mollicci e rosati.
La mattina è il momento peggiore, quella scheggia di
realtà nella quale non c'è alcuna
pietà (ma per te non c'è mai stata, uhm?)
Non ci sono difese dietro alle quali nascondersi, non ci sono anfratti
bui nei quali perdersi per ore, affidandosi alla dimenticanza e al
dolore.
Un granchio attraversa la spiaggia con quella sua andatura un po'
zoppicante, e tu ricordi quando il mondo tremava sotto il rumore dei
tuoi tacchi rossi e neri.
L'acqua ha cambiato colore ed è blu adesso, una sfumatura
leggermente più cupa del cielo.
Ciò che non
cambia mai sono io. Immutabile. Imperfetta.
Indegna. Infelice.
La Falsa si è fatta più vicina, i ricordi
più sanguinanti.
La solitudine è la punizione universale a cui neppure i
mostri possono sottrarsi.
Sono le cose che mancano
- che non farai più - quelle che si
notano.
Sono gli spazi vuoti che
ti ricordano chi prima li occupava,
perché il dolore si esprime per assenza, uno strappo che si
porta via qualcosa di te che nessuno più
ricorderà - amerà.
"Come procede il
progetto Phobos?"
"Bene." aveva mormorato
Alex, buttando la penna sul tavolo "E il tuo?
Ho saputo della presenza del BSAA in Kijuju."
Un suono irritato, come
una risata trattenuta.
"Chris Redfield
è venuto a portare i suoi omaggi."
Alex aveva annuito,
sfregandosi le palpebre.
"Quando torni?" era
stata la domanda successiva, la notte che andava
mangiandosi il cielo su Zabytij.
"Presto."
"Bugiardo." aveva
ridacchiato Alex, inconsapevole.
"L'Uroboros
raggiungerà in breve tempo il nostro scopo."
"Lo so."
"Allora
perché percepisco incertezza nella tua voce,
Alexandra?"
Perché il mondo non ha alcun valore senza di te avrebbe
voluto rispondere.
"Nessuna incertezza
Albert." aveva invece replicato "Solo una sana
verifica delle ipotesi."
"Dieci giorni,
Alexandra. Dieci giorni e il mondo sarà
nostro."
Dieci giorni dopo di
Albert Wesker non rimanevano altro che ossa e
polvere.
Ironico come il buco in cui hai scelto di rifugiarti sia una copia
spudorata di Villa Spencer.
Quel vecchio bastardo
deve avermi condizionato il cervello
più di quanto pensassi.
Lo specchio da cui stai rifuggendo è grande quanto la parete
stessa - lavorato in foglia d'oro e con i bordi arrotondati per
ingentilirne la forma.
Gli dai le spalle, ma lui è sempre lì che ti
fissa, lucido e splendido come il primo giorno.
Inspiri con forza, trovando il coraggio di voltarti e toglierti il
mantello - devo
esaminare le ferite che quel figlio di puttana mi ha
inflitto qualche ora prima, ti dici.
Ti porti una mano al volto, soffocando un conato.
Non c'è più niente di quello che ricordavi e la
schiena è crudelmente esposta, un arco deforme e metallico.
Gambe troppo lunghe, piedi sgraziati, addome svuotato.
E il pube una massa
rivoltante e occlusa, un agglomerato di carne
cicatrizzata e rattoppata dal virus.
Non badi ai fori di proiettile che vanno richiudendosi, ma ti concentri
sull'orrore che hai davanti - su quello che una volta era stato una
donna.
Lo specchio continua a guardarti, ad analizzarti, a scrutarti,
incurante.
Forse, se ti fissi abbastanza a lungo puoi fare finta d'essere un'altra
persona.
Forse, se affronti la tua paura quella se ne andrà e tu
tornerai a essere quella di un tempo.
Forse...
È forse
bastato sperare per salvare Albert?
Il vetro cade al suolo come una pioggia trasparente e impietosa.
La camicia bianca
scivola sul tappeto senza fare alcun rumore, un
fruscio delicato come le sue mani lungo la schiena.
Albert le sfiora il
collo in punta di dita, invitandola a guardarlo.
Sospira Alex tra le sue
braccia e s'inarca all'indietro, blandendo i
segni di un'altra donna e di un'altra vita.
Gli offre i seni piccoli
e pallidi, un corpo allenato alla guerra e
plasmato dal virus.
Gli offre un desiderio
sfacciato e immorale, cosce sottili eppure forti
abbastanza da trattenerlo contro i suoi fianchi.
Gli offre una pelle che
ha il suo stesso odore, una vergogna condivisa
e gesti lenti, di chi si prende tutto il tempo del mondo.
"È
così che fai con Excella?" gli domanda ogni
volta - e ogni volta riceve la stessa risposta.
"No."
Alex sorride sulla sua
bocca.
La Falsa è solo una bambina con un nastro azzurro tra i
capelli e un orsacchiotto come miglior amico.
La Falsa è tutto ciò che ti è rimasto;
tutto ciò in cui anche Albert aveva creduto.
Il mantello è ruvido sulle tue spalle e labbra deformi si
piegano in un sorriso senza allegria.
Scendi verso l'abisso, giù fino nel ventre della Bestia.
Scendi dal tuo piedistallo e percorri una spirale d'orrore e sangue,
bambole cieche a fare da monito e corpi senza forma essere la tua
avanguardia - il tuo lascito.
La Falsa si avvicina con quei suoi piedini piccoli e chiusi in
scarpette bianche e blu.
La Falsa si avvicina e con lei l'uomo del BSAA, l'amico dell'assassino
- Barry, Chris; non c'è alcuna differenza per te. Tutti
devono morire. Tutti moriranno.
Inspiri, cera calda e metallo.
La Falsa entra nella stanza di controllo, nell'aria le ultime note del
Requiem che vanno spegnendosi - le ultime note del tuo dolore.
La metamorfosi può avere finalmente inizio.
L'ultima volta che Irina
vede la straniera percepisce una nota dolente
e rabbiosa nei suoi gesti, al collo pietre nerissime e scure come una
notte senza stelle.
Ossidiana. riflette,
prima che l'ago le penetri nella pelle Deve essere
ossidiana.
La straniera le dedica
appena uno sguardo distratto, un breve cenno del
capo e occhi così vuoti da farle sciogliere il cuore nel
petto dalla paura.
Irina viene riportata in
fuori, in mezzo a tutti gli altri.
Si sente un po' stordita
e dove le hanno fatto l'iniezione la pelle ha
cominciato a pruderle, arrossandosi.
La straniera non esce
dalla torre e le pesanti porte di metallo si
chiudono dietro di loro con uno scatto secco, un clang che risuona come
un colpo di proiettile nell'aria immota del tardo pomeriggio.
Irina si guarda intorno
confusa - spaventata.
Nella notte inizieranno
le urla, per l'alba metà di loro
sarà già mutata, ma questo Irina non
può saperlo.
Si passa una mano tra i
capelli aggrovigliati, giocando poi con il
braccialetto che le hanno messo al polso.
Una donna comincia a
tossire, un vecchio a vomitare roba scura come
sangue coagulato.
Irina prega un dio sordo
alle sue richieste.
I proiettili ti squarciano il petto, sgranando polvere rossa e nera -
cordite e sangue.
Le fiamme risalgono la piega morbida collo, mordendo un viso che pare
sciogliersi in cera liquida ogni minuto che passa.
Natalia
urla, Barry bestemmia:
la tua anima è l'unica che
cerca il silenzio della morte.
Nessuno conosce la verità, ma tutti possono essere la
verità;
così diceva Kafka.
Alex tossisce,
nascondendo nel palmo della mano il marchio
incontrovertibile della rovina.
Si piega oltre il bordo
del letto, la schiena gelida e le guance
bollenti.
Il Progenitore sbrana, e quasi le
sembra di vederlo mentre aggredisce
le altre cellule del suo organismo - le divora, un predatore
che
strappa la carne dall'osso e scuote, distaccando muscoli, pelle,
grasso, tutto.
"Alexandra."
Il cuore si contrae
senza ritmo, i polmoni quasi non riescono a
dilatarsi.
"Va tutto bene."
mormora, ma il suono che le esce è umido di
sangue e bile "È solo una crisi."
Silenzio.
"Che creatura patetica
che sono." esala poi, allungando la mano verso
il comodino "L'avanguardia del nuovo mondo." recita, motteggiando
Spencer "Così all'avanguardia che il mio corpo non
è neppure in grado di sostenere il virus correttamente."
Albert tace,
osservandola senza alcuna espressione.
"Debole."
Un sorso d'acqua, un
colpo di tosse accennato.
"Fragile."
Il vetro s'incrina, la
pelle si taglia.
"Inutile."
Il bicchiere cede, il
sangue cade.
"Alexandra." ripete
Albert, il suo corpo una presenza solida alle sue
spalle.
Non la
rassicurerà; nessuno l'ha mai fatto con lui,
d'altronde.
Non le dirà
che andrà tutto bene,
perché non sono stati allevati
- cuccioli di Cerbero,
piccoli di Hunter; per Spencer non c'era alcuna differenza, embrioni di
un progetto disturbato e disturbante - per mentirsi l'uno con
l'altro.
Non la
compatirà, non la scuserà, non la
umilierà.
"Abbiamo del lavoro da
fare."
Dita che s'intrecciano,
sangue che scivola sulla pelle d'entrambi.
"Lo so."
Accettazione: l'unica
cosa che i mostri possono davvero concedersi.
L'Uroboros è davvero un parassita straordinario.
Ricuce una pelle slabbrata, nutre una carne morta.
Anima uno spirito che non ha più forza, articola parole che
credeva ormai perdute.
Quale meraviglioso
mostro hai creato, Albert.
La follia è tutto quello che ti è rimasto e che
tu sia dannata se non la userai fino all'ultima goccia.
Gli umani a volte sono sciocchi; superficiali.
Pensano che creature come loro non abbiano bisogno di dormire, o di
mangiare.
Pensano che i mostri siano diversi da loro - più brutti,
più cattivi, più spietati.
Si raccontano questa bella favola per sentirsi migliori, per creare una
discriminante tra loro - gli eroi - e gli altri - i mostri.
Ne hanno bisogno: devono darsi un confine entro il quale muoversi,
devono sapere a quali regole sottostare e a quali no.
Alex si raggomitola sotto il lenzuolo, ascoltando il respiro quieto di
Albert.
Dorme. Come tutti - come gli eroi, come i mostri.
Sospira, raccogliendosi contro il suo petto e sfiorandogli gli zigomi
con la punta di dita, labbra calde e mani esigenti.
Mostri: un altro nome per un'umanità che ha solo paura di
conoscere se stessa.
Nero, bianco, rosso, arancione, giallo.
Il mondo è un vorticare di luci e colori, tutti sbagliati.
Nero, bianco, rosso, arancione.
L'erba è umida sotto di te e il cielo pieno di stelle; puoi
persino riconoscere l'Orsa Maggiore.
Nero, bianco, rosso.
Il cuore dell'Uroboros splende per qualche altro secondo, frangenti
ovattati dal dolore e dal sollievo.
Nero, bianco.
Barry dice qualcosa che non riesci a capire, Natalia una bambola
pallida e immobile sullo sfondo di una notte che sta per finire - per
sempre.
Nero.
Chiuderesti gli occhi se avessi ancora le palpebre, ma il fuoco se le
è mangiate tutte, assieme a ciò che rimaneva del
tuo corpo.
Silenzio.
La Falsa è appena morta e ancora non lo sa.
Irina si nasconde dietro una cassa di legno marcio, le mani sulle
orecchie e gli occhi ben chiusi.
La ferita le fa una male cane e il sito dell'iniezione prude come non
mai, la pelle che va squamandosi e aprendosi in una piaga infetta e
purulenta.
Ringhiano quelle cose là fuori, dei suoi concittadini solo
un tragico ricordo degradato dalla realtà.
Irina soffoca un singhiozzo, sentendoli ciondolare intorno alla casa,
sbattere lungo le pareti in pietra senza una meta precisa.
Schioccano le mandibole, strisciano tra l'erba alta, sbavano saliva e
sangue.
Irina comincia a grattarsi dove Nicholai l'ha graffiata, piangendo in
silenzio.
Qualcuno urla e Irina è quasi sicura che sia Agata, la
nipote di Akim, ma ben presto anche quel suono viene spezzato da un
silenzio umido e pesante.
Irina si lecca le labbra screpolate, appoggiando la testa sulle
ginocchia e cominciando a tremare.
Se avesse ancora uno specchio potrebbe notare i primi segni
dell'infezione farsi spazio sul suo bel viso giovane - la sclera
iniettata di sangue, la pelle pallida e sudata, i denti che vanno
marcendo senza un'apparente ragione - ma Irina non ha più
nulla tra le mani se non la propria disperazione - la propria
solitudine.
I suoi ultimi pensieri coerenti vanno a suo padre e alla donna in
bianco.
"Sono morta."
Lo dici senza alcuna incertezza, persino con una punta di sollievo.
"Sì."
Annuisci, sorridendo a un corpo che è tornato a essere tuo.
"Quella stronza della Redfield." aggiungi, soffocando una risata "Che
famiglia di merda."
Una risata, mani calde sui fianchi.
"Non voglio andarmene."
"Non hai altra scelta."
"Non l'abbiamo mai avuta, vero?"
Albert sorride, ora un bambino di otto anni che ti ignora e mastica un
biscotto, ora l'incrollabile Capitano della S.T.A.R.S.
"No."
Gli stringi il polso tra le dita, occhi che mutano sotto i tuoi e
diventano rossi come stelle di sangue.
"L'esperimento ha funzionato." continua, adesso una massa sfregiata e
corrotta dall'Uroboros "Sarai immortale, Alexandra."
Annuisci ancora, sentendoti una bambina debole e indifesa - sentendoti
come quando Spencer aveva ordinato la tua eliminazione, buttata via
come un esperimento qualsiasi; una falla da chiudere, un errore da
cancellare e dimenticare.
Come un Gregor senza più alcuna speranza.
"Alexandra."
È polvere adesso sotto le tue dita, muscoli e ossa
orribilmente esposti dalle ustioni provocate dalla lava.
"Non ci riesco."
Albert non replica nulla, sfiorandoti solo la fronte con le labbra.
"Vai, Alexandra. La tua storia - la nostra storia - non è
ancora conclusa."
Ridi, un suono a metà tra il derisorio e il triste.
"Ti odio." mormori, e il mondo comincia a svanire.
Albert ti trattiene un'ultima volta contro il suo petto, un corpo
solido e tiepido come ricordavi, né tyrant, né
mutato, solo umano - solo tuo.
"Lo so."
Le luci si spengono, i colori sfumano, i suoni si perdono nel silenzio
della tua coscienza; tra le sue braccia aspetti l'Inizio e la Fine.
"Natalia?"
Una voce calda, rassicurante. Paterna.
"Natalia, come ti senti?"
Apri gli occhi, ti guardi intorno - mani piccole, scarpette bianche e
blu, un vestito troppo leggero per il vento che spira dalle montagne.
"Grazie a Dio sei viva."
Già; proprio grazie a Dio.
Barry ti sorride senza alcuna incertezza, Claire e Moira ne seguono
l'esempio.
Vi ucciderò.
"Barry." mormori, ed è la voce di Natalia a parlare per te.
Avrò quello che mi spetta e voi non potrete impedirmelo -
non questa volta.
Il sole imporpora l'orizzonte, tingendo di rosso il mare e bruciandone
i contorni.
L'elicottero continua la sua rotta, oltrepassando quelli militari del
BSAA.
Butti un'ultima occhiata all'isola, osservando la colonna di fumo che
si alza dal tuo corpo dilaniato.
Le labbra di Natalia s'incurvano in un sorriso incerto, un po'
infantile; infili le mani nelle tasche della felpa e stringi una
piccola sfera nera tra le dita, non più grande di una
biglia.
Ossidiana.
Il tuo cuore batte allo stesso ritmo di quello di un uomo morto.
Note dell'autrice: Albert Wesker e Alex Wesker non sono fratello e
sorella. Non hanno nessun legame di sangue e non sono stati cresciuti
nella stessa famiglia come tali (ne hanno avute due ben diverse e
distinte) per cui non ritengo che questa storia richieda l'avvertimento
incest. Appartengono allo stesso progetto scientifico di selezione
genetica (Project W.) e per questo si definiscono "fratello" e
"sorella" e possiedono lo stesso cognome (in onore del creatore del
progetto), ma nei fatti non lo sono e non hanno mai avuto l'occasione
di comportarsi come tali.
Secondo la legge italiana non sono né discendenti
né ascendenti, e neppure affini in linea retta, per cui il
reato d'incesto non sussiste.
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