Effetti collaterali

di Sunshiner
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Effetti collaterali


-genius has side effects-



Avevano passato la notte da lei.
Poi se n’era andato, intorno alle sei del mattino. Non una parola per giustificare l’intreccio dei loro corpi, non una parola per ritrattarlo. L’aveva lasciata addormentata come una creatura di fantasia, come la ninfa di un dipinto neoclassico, le braccia abbandonate lungo la linea sinuosa del corpo, i riccioli neri che incorniciavano le guance.
L’elettricità delle loro anime che si attiravano e il magnetismo dei loro sguardi rendevano surreale il ricordo di quella notte da cancellare per sempre, proprio come un sogno. Le luci della città apparivano confuse come pennellate di un impressionista, vedeva solo strisce di colori che uscivano dal buio del primo mattino invernale, arancioni e verdi che saltavano fuori dall’oceano nero della notte, come a prendere respiro. Vedeva insegne blu e gialle che si stagliavano verso il cielo come rampe di lancio. Vedeva la luna.
Lui feriva la gente. Manipolava le relazioni, anziché maneggiarle delicatamente. Non sapeva dire l’amore con parole comprensibili. E non sapeva cosa fare di tutto il potenziale e prigioniero amore, di cui quel cuore danneggiato e chiuso sopportava - ormai a malapena - il peso.
Lui era infelice e rendeva infelici gli altri con quelle sue verità da rivelare come oracoli. Non era l’uomo adatto. Per nessuno. Non era la persona adatta. Non era nato per il mondo reale, perché nel tentativo costante di sconfiggerne il brutto, l’ingiusto, il grigio, l’errore, aveva finito per caricarsene l’intero peso. Un carico troppo pesante per le spalle di un uomo, quello dell’infelicità.
Non poteva coinvolgere anche lei nella propria personale battaglia di ogni giorno. Non voleva regalarle neppure la metà di quel veleno, avvolto da una gioia che, lo sapeva, sarebbe stata solo superficiale. Lui era un soldato, uno che vive nei campi, combatte per il proprio pasto ogni giorno. Uno che non ha bisogno del perdono. Uno che ha ragione.
Al prezzo di restare solo.
Il suo sole sorgeva con lei ogni mattina: nel primo sguardo che si scambiavano, nel rumore dei suoi tacchi nel corridoio, nello sfavillante silenzio di quel sentimento taciuto. Una notte di irrazionali pulsioni aveva macchiato per sempre quel delicato affresco psicologico. Volerla per sé, apertamente, avrebbe eroso quei colori leggeri come calce viva. Non sarebbe stato lui a rovinare il raggio di sole che si faceva spazio nella stanza buia dei suoi giorni solitari.
E quello che più gli costava ammettere era la segreta battaglia tra il desiderio di dividere il suo carico con qualcun altro e la paura di ammettere con lei la propria disperazione, la solitudine monacale del genio.
Quella sera, il vino aveva alleviato la noia del progetto di cui dovevano parlare, fino a far lasciare loro il lavoro nella stanza accanto, per dirigersi in camera da letto, coperti solo dal desiderio di dividere un po’ la reciproca solitudine di ogni sera.
E poi la notte era arrivata, come ogni volta, e l’amore era rimasto sdraiato fra loro: prima come un figlio da tenere al caldo, poi come un baluardo invalicabile.
E, mentre pensava alla donna che non meritava di addossarsi il peso della sua inadeguatezza, accelerava come per superare la vita reale con la sua moto.
Desiderò di sparire nella brezza del mattino.

***
“Ehi, sono qui”
Sembrava così solo e disperato.
Avrebbero dovuto incontrarsi per parlare del convegno di Diagnostica. Non era mai arrivato da lei.
“Batti gli occhi se mi senti”
Lo sguardo perso nel vuoto di un bambino abbandonato. Il volto magro di un viaggiatore solitario.





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