Le figlie del buio
Le figlie del buio
Chi non ha visto il calar della notte non giuri d’inoltrarsi nelle tenebre. (J.R.R.Tolkien)
Dalle imposte filtrava un debole spiraglio di luce. Mi sollevai, sbattendo le palpebre. Lina non era più al mio fianco.
La cercai
con lo sguardo e la trovai seduta al centro della stanza. Indossava i
suoi abiti da viaggio e i lunghi capelli rossi erano raccolti in una
treccia che le scendeva tra le scapole. Alzandomi vidi che aveva
spostato tutti i mobili e ammassato i cocci rotti della sera prima
contro le pareti. Sul pavimento aveva disegnato con un gesso un grosso
pentagramma e, in quel momento, si trovava al suo interno. Con gli
occhi chiusi e le sopracciglia aggrottate salmodiava formule e
incantesimi che mi fecero venire i brividi.
«Lina… Cosa stai facendo?»
«Contatto
la Gilda» borbottò, concentrata. Disegnò in aria
alcuni simboli, poi posò il palmo aperto al centro del
pentagramma. «Devono dirmi tutto quello che sanno su quella spada
maledetta. Poi partirò per cercare Gourry.» Il suo tono,
risoluto, non lasciava spazio a repliche.
Deglutii.
«Pensavo che, per avere simili informazioni dalla Gilda, bisognasse avere un colore.»
«Io ce l'ho, un colore.»
«Ah sì?»
Ero sorpreso. Conoscendola, mi sembrava strano che non se ne fosse mai fatta vanto.
«Certo
che ho un colore.» C'era una punta di irritazione nella sua voce,
che mi fece tirare un sospiro di sollievo. Preferivo saperla
arrabbiata, persino infuriata, piuttosto che triste e spenta come mi
era apparsa nelle ultime ore.
Gettò
una manciata di sale in una ciotola che aveva davanti e un fumo spesso
si sollevò nella stanza in una lunga colonna di nebbia.
«William
penserà che stiamo dando fuoco ai suoi preziosi mobili
istoriati» commentai, coprendomi la bocca e il naso con la mano.
«Che
pensi quello che gli pare, deve solo provare a venire a protestare.
Sono proprio dell'umore adatto per scambiare quattro chiacchiere con il
mio adorabile cognato...»
Oh, sì. Tira fuori il carattere, piccola.
«Se
è un uomo avveduto non lo farà. Dubito che voglia correre
il rischio di vedere il tuo simpatico falò esteso a tutto il
palazzo.»
«Non è un falò, ma un passaggio.»
Fu
sufficiente una formula perché un forte vento iniziasse a
spirare tra le pareti della stanza. Ma le finestre erano tutte chiuse.
La colonna di fumo tremolò, poi, lentamente, mutò forma
assumendo sembianze sempre più umane, finché non si
tramutò in una donnina dall'aria caparbia. Indossava una tunica
verde e i suoi capelli erano grigi come il ferro.
«Lina la Rosa, perché mi chiami al tuo cospetto?»
Per un istante pensai di aver capito male.
«Rosa? Il tuo colore è il rosa?!» bisbigliai, avvicinandomi alla maga.
«Taci,
Joy!» sibilò Lina, prima di rivolgersi all'apparizione.
«Vi ringrazio per aver ascoltato la mia chiamata, Viviana la
Verde. Mi trovo impossibilitata a raggiungere la Gilda e ho urgente
bisogno del vostro aiuto...»
«Hahahahaha! Ma davvero il suo colore è il rosa?!»
«Chi è questo individuo?»
«È solo un cretino» rispose Lina, impassibile. «Vi prego di non fare caso a lui.»
Viviana la Verde sembrava sconcertata. Lina mi diede una gomitata nelle costole.
«Torniamo
a noi. Ho...» Lina si morse le labbra. «Sono stata incauta,
e avventata, Viviana. Ho commesso un grave errore e ora a farne le
spese è mio marito.»
«Di cosa si tratta?»
«Un
oggetto magico, molto potente, di cui non conoscevo l'esistenza,
né i poteri. Il suo nome è Spada di Ombra, è stata
lasciata da lord Gabriev in eredità a suo figlio, Gourry
Gabriev, il portatore dell'arma di luce.» Prese un respiro, lo
sguardo rabbuiato. «Io temo che quell'arma si sia impossessata di
mio marito. Ha stravolto il suo carattere, portandolo a compiere azioni
che non gli appartengono. Ho bisogno di sapere quali sono le
conseguenze per chi impugna quella spada, e cosa è in grado di
fare.»
Viviana la Verde annuì, pensierosa.
«Dammi qualche minuto» disse, prima di dissolversi.
Lina
sospirò, abbassando le spalle. Era tesa, lo capivo dal modo in
cui teneva i pugni serrati. Mi chiesi dove fosse Gourry, e che cosa gli
stesse passando per la mente. Lasciare Lina era l'ultima cosa che
avrebbe fatto, in una situazione normale. Ma se la situazione fosse
stata normale, la mia amica in quel momento non avrebbe avuto il volto
tumefatto e il cuore spezzato. Se Gourry era cosciente di quello che
aveva fatto a sua moglie, ero pronto a giurare che il senso di colpa lo
stesse divorando.
Passarono
alcuni minuti, in cui nessuno dei due parlò, poi Viviana
riapparve all'interno del pentagramma. Tra le mani teneva un libro.
«E'
più complicato di quanto potessi immaginare, Lina la Rosa»
disse, porgendole il volume. Era spesso e impolverato, le pagine
ingiallite. Lina lo prese in mano e lo studiò, sfogliandolo. La
sua espressione si incupì.
«Ma
è... illeggibile!» esclamò quindi, mostrando a
Viviana il testo. Le pagine erano rigide e riportavano le stesse
incisioni che erano contenute nella custodia della spada.
Viviana
scosse la testa. «E' illeggibile per noi, che non conosciamo
questo alfabeto. E' un tipo di linguaggio messo a punto per impedire
che chiunque venga a conoscenza di segreti troppo oscuri. Per questo
non avevi mai sentito parlare di questa spada. Nulla, sul suo conto,
è stato tramandato nella nostra lingua. Si tratta di un'arma che
appartiene al mondo delle tenebre, i suoi poteri sono oscuri, senza
dubbio, ma ci sono sconosciuti. Tutto ciò che la riguarda
è riportato in quel volume.»
Vidi la vena, sulla tempia di Lina, pulsare lievemente. Oh, non era mai un buon segno.
«D'accordo.
E come diavolo faccio a informarmi su quella dannata spada se tutto
ciò che la riguarda è scritto in un libro impossibile da
leggere?!»
«Temo, Lina la Rosa, che dovrai recarti nel luogo in cui il libro è stato inciso.»
«E sarebbe?»
«Il Santuario delle figlie del buio.»
Lina sbatté le palpebre e io sentii un brivido percorrermi la schiena.
«Le figlie del buio?»
Viviana annuì.
«Sono
vestali che il destino ha votato all'oscurità. E' compito loro
custodire e tramandare il sapere sulle arti occulte.»
«Non
capisco. Ho studiato magia nera per anni, e questa è la prima
volta che sento parlare di queste sacerdotesse...»
«Non stiamo parlando di semplice magia nera, Lina. Stiamo parlando di maledizioni.»
«Intendi dire che... la spada è maledetta?»
«Temo proprio di sì.»
Spirava un
forte vento sulla pianura di Elmekia. A testa bassa, per impedire che
le folate ci gettassero la sabbia negli occhi, io e Lina procedevamo
sui due cavalli che William Gabriev era stato così gentile da
concederci, quando gli avevamo detto che si trattava di una questione
della massima urgenza.
«E Gourry dove diavolo è finito?» aveva domandato William, con la consueta espressione truce.
«Emh...»
Avevo
guardato Lina e lei aveva sollevato le spalle. Certo, ero io il
bugiardo patentato, chi altro avrebbe dovuto rifilare a William, su due
piedi, un'improbabile palla sulla scomparsa di suo fratello?
«Gourry...
è già partito. Ha detto solo che era una sua usanza,
quella di lasciare casa nel cuore della notte senza salutare nessuno.
Insomma, le tradizioni vanno rispettate...»
Per nostra fortuna, William non aveva nessun senso dell'umorismo.
«Già, beh... almeno questa volta non aveva una spada rubata, con sé.»
Io e Lina ci eravamo scambiati una breve occhiata.
In teoria, questa volta non aveva rubato nessuna spada. Gli apparteneva di diritto, purtroppo.
La mappa
che Viviana la Verde ci aveva fornito per trovare il santuario era
piuttosto sbiadita, i contorni dei confini si distinguevano a malapena.
Io e Lina ci litigavamo sopra da ore.
«Dobbiamo andare di qua.»
«Joy, la stai guardando al contrario.»
«Sei tu che sei dalla parte sbagliata. Se la guardi da questa parte appare evidente che la direzione giusta...»
«Spero
che tu non dia le stesse indicazioni agli spiriti che fai passare
oltre. Non voglio nemmeno sapere dove siano finiti quei
poveretti.»
«Ah! Ha parlato Lina la Rosa, la maga più confettosa della Penisola!»
Il pungo in testa me lo meritai, ad onor del vero. Rimasi un po' rintronato, poi sbattei le palpebre ed ebbi un'illuminazione.
«Lina!
Ma siamo già arrivati da un pezzo...» le strappai la mappa
dalle mani, strizzando gli occhi per vedere meglio, poi puntai l'indice
al centro del foglio.
«Guarda
qua! Quel masso, è questo puntino, vicino alla X»
esclamai, indicando un accumulo di pietre poco distante. «Forse
è un... ingresso.»
«Sembra l'imbocco di una grotta. Noi stiamo cercando un santuario, Joy.»
«Un santuario votato all'oscurità. Perché non una grotta, dunque? O anche... un tempio sotterraneo?»
Lina mi guardò sgranando gli occhi.
«Forse non sei così stupido come sembri nella maggior parte delle occasioni.»
«Oh, ti ringrazio, Lina la Rosa.»
«Quando la smetterai sarà sempre troppo tardi, uomo avvisato mezzo salvato.»
«Correrò il rischio. È troppo divertente.»
«Beh, divertiti adesso. Dopo ti sarà difficile farlo, con una mascella rotta.»
Ci
inoltrammo fino al punto indicato dalla mappa. Le pietre, che da
lontano erano apparse impenetrabili, lasciavano in realtà spazio
per un passaggio. Io e Lina ci affacciammo, poi ci guardammo. Spirava
un vento gelido da quella fessura, e il buio non lasciava scampo.
La storia
che ci aveva raccontato Viviana la Verde, sulle sacerdotesse che
vegliavano in quel tempio, metteva i brividi. Si trattava di donne
predestinate in modo crudele.
«Le
figlie del buio nascono con le palpebre sigillate. Quando capita che in
una famiglia arrivi una bambina così, i genitori non hanno altra
scelta che portarla ai cancelli del santuario: il suo destino è
segnato. Isolate da tutto, queste donne custodiscono i più
terribili segreti legati all’occulto. La cecità permette
loro di restare immuni a incantesimi e maledizioni; i loro occhi non
conoscono la luce, il loro cuore non comprende l'odio, la passione,
l'amore. Sono immuni a ogni anatema.»
«Deve
essere tremendo, vivere così…» borbottai, mentre ci
inoltravamo nell’oscurità. Lina aveva creato una sfera
luminosa, che ci permetteva di vedere dove mettevamo i piedi.
Percorremmo un lungo tunnel umido. Da qualche parte gemevano dei
pipistrelli, l’aria si faceva sempre più sottile. Alla
fine sbucammo in uno spazio più aperto, e restammo a bocca
aperta. Davanti a noi si innalzava un cancello, oltre cui scorgevamo un
colonnato, e una cupola.
Un mondo sotterraneo.
«Che mi prenda un colpo…» balbettai.
«Pensavi
di essere il solo, ad avere accesso al mondo di sotto, ma a quanto pare
non è così» commentò Lina, sinceramente
ammirata. «Quante cose ci sono di cui non abbiamo il minimo
sentore…» mormorò dopo alcuni secondi.
«Sì,
beh… ma queste figlie del buio non ce l’hanno un
campanello?» borbottai, guardandomi intorno. «Come diamine
facciamo ad annunciarci?»
«Temo»
disse Lina, dopo aver spostato brevemente lo sguardo sulla cancellata.
«Che ci occorrerà farlo nel modo più ovvio.»
«E sarebbe?» domandai, irritato.
«Joy,
so che adesso sei un duca, e hai uno stuolo di servitori che ti
annunciano gli ospiti, ma noi comuni mortali in genere facciamo
così: ehilà, c’è nessuno?»
esclamò, portandosi le mani ai lati della bocca e gridando a
pieni polmoni.
Passò
qualche secondo, poi una porta cigolò, da qualche parte. Ci
irrigidimmo. Non scorgevamo granché con quel misero lighting a
farci luce.
«Chi…
chi siete?» domandò, dopo alcuni secondi, una voce. Una
voce talmente sottile che sembrava appartenere a una bambina.
«Io…
sono Lina Inverse, e lui è Joy Shadow. Abbiamo bisogno del
vostro aiuto» disse Lina, con tono fermo.
«Che tipo di aiuto?»
«Dobbiamo
decifrare un testo. Non conosciamo l’alfabeto con cui è
stato scritto, ma voi sì. È davvero importante.»
«Siete malintenzionati?»
Sollevai un sopracciglio.
Anche se lo fossimo non lo verremmo di certo a dire a te, bambina.
«Non abbiamo cattive intenzioni. Abbiamo solo bisogno di aiuto.»
«Beh… in questo caso…»
Dalla
penombra spuntò una figura. Indossava una lunga veste bianca con
il cappuccio sollevato. Si avvicinò a piccoli passi e solo
quando fu vicina io e Lina scorgemmo la benda che le copriva gli occhi.
Nonostante la cecità, tuttavia, si muoveva senza indugi. Dalle
vesti estrasse un grosso mazzo di chiavi.
In
silenzio, la osservammo con un misto di stupore e fascinazione
scegliere una chiave tra cento e, con una singolare sicurezza,
infilarla nella serratura. Che non scattò.
«Mmmm…
no, non è questa» disse la sacerdotessa, provandone
un’altra. «Beh, nemmeno questa, e questa neanche. No, non
è questa… caspita, credevo che fosse… ma no,
questa è troppo piccola. Questa è troppo grande.
Ah,questa è quella rotta! Mi dimentico sempre di toglierla. Beh,
in realtà una volta ci ho provato, ma ho tolto quella sbagliata.
Questa… no, questa deve essere quella della serra. Oh, dopotutto
non è neanche questa, e quest’altra è quella della
biblioteca. No, questa è la dispensa, lo capisco perché
è un po’ unta. Ma allora… accidenti, non è
che…? Forse l’ho persa.»
Io e Lina,
dopo l’iniziale sconcerto, iniziammo a spazientirci, mentre la
ragazzina, perché solo di una ragazzina poteva trattarsi,
provava, una dopo l’altra, tutte le chiavi del mazzo.
Alla quarantesima chiave che infilava nel chiavistello mi schiarii la voce.
«Scusate… posso darvi un suggerimento?»
Lei
sollevò il volto verso di me, anche se non poteva vedermi. La
pelle del suo viso era bianca come cera, le labbra piene ricordavano la
forma di un cuore, ma erano pallide e screpolate.
«Ma… ma certo!»
«Qual è l’ultima chiave che usereste per aprire?»
Ci pensò un po’ su, poi ne scelse una.
«Forse questa.»
«Ecco, provate con quella.»
La serratura scattò.
«Accidenti, ha funzionato! Come facevate a saperlo?»
«Lo sanno tutti che la chiave che apre è l’ultima del mazzo.»
Lina roteò gli occhi al cielo, anche se sopra di noi c’erano solo rocce umide e stalattiti.
«Siete forse un profeta?» domandò la sacerdotessa.
«No,
è solo un idiota» disse Lina, precedendomi. Seguimmo
quella bizzarra figura in un lungo corridoio spoglio. I pochi mobili
che c'erano erano completamente impolverati e ricoperti di ragnatele.
«Dovete
scusarmi, ma non riceviamo spesso visite. Oh, diciamo che
l’ultima è stata… cinque anni fa. Credo. Forse
erano di più. O forse…»
Mentre
parlava a ruota libera, come se non lo facesse da anni, ci condusse in
un’ampia sala circolare. C’era un altare sovraelevato, e fu
lì davanti che ci lasciò.
«Aspettate
qui» disse, con aria improvvisamente solenne. Si voltò per
allontanarsi, e inciampò nei suoi stessi vestiti. La afferrai al
volo prima che toccasse terra.
«State attenta...»
«Oh,
non vi dovete preoccupare. Il naso me lo sono già rotto diverse
volte. E' colpa di questi abiti, a volte sanno essere così
ingombranti...»
Si rimise
in piedi con facilità, rassettandosi la gonna. Guardai la benda
che le copriva gli occhi. Doveva essere orribile nascere con le
palpebre incollate. Io, che nella mia vita avevo sempre sofferto per il
fatto di essere in grado di vedere cose che erano negate agli occhi
degli altri, mi sentii dispiaciuto per lei: non vedere affatto doveva
essere una sorte ben peggiore.
«Vado a chiamare la lettrice» disse la sacerdotessa, allontanandosi.
Restammo a
guardare quella minuta ragazza allontanarsi a passo spedito. Dopo
qualche secondo, tuttavia, la vedemmo tornare indietro. Era lei,
indubbiamente; la riconobbi dal profilo del volto, dalla forma delle
labbra, gli unici particolari che non fossero coperti di tessuto.
Salì gli scalini che portavano all'altare e posò le mani
sul marmo freddo.
«Sì,
beh ecco... sono sempre io la lettrice» disse, con un lieve
imbarazzo. «Diciamo che... qui faccio tutto io. Allora, questo
libro dov'è?»
Lina sollevò le sopracciglia.
«Ma... non ci sono altre sacerdotesse, qui?»
«Oh, beh. C'erano. Tanti anni fa.»
«E adesso... ci siete solo voi?»
La ragazza finse di pensarci, arricciando le labbra.
«Beh...
sì.» Si grattò una guancia. «Tutto sommato me
la cavo. Tengo in ordine la biblioteca e la serra, coltivo l'orto,
venero gli idoli e faccio un'ottima torta al caramello. Oh, e accolgo
gli ospiti, ovviamente. Quando sono tanto bravi da trovare questo
posto» aggiunse, con una risatina nervosa.
In quel
momento un pezzo di soffitto si staccò e cadde a terra con un
tonfo. La ragazza non fece una piega, contrariamente a me e Lina, che
trasalimmo.
«Qui...
cade tutto a pezzi!» bisbigliai alla maga, che stava guardando
verso l'altro con aria preoccupata. In effetti c'erano delle crepe che
si tendevano, lunghe e profonde, su di noi. L'umidità stava
corrodendo ogni cosa e, dai sinistri scricchiolii che si sentivano, era
probabile che stessimo per restare sepolti vivi da un momento
all'altro. Guardando con più attenzione tra l'oscurità
che regnava sovrana mi resi conto che il pavimento era disseminato di
detriti e schegge di pietra.
Lina sospirò, poi tolse dalla sacca da viaggio il libro e la custodia della spada.
«Meglio sbrigarsi» sussurrò.
Salì gli scalini e li depose sull'altare.
«Ho bisogno di sapere tutto che si può sapere su un'arma chiamata Spada di Ombra.»
«Spada di Ombra, certo» disse la sacerdotessa.
«La conoscete?» Una lieve traccia di speranza sporcava la voce della maga.
«Mmmm... no, mai sentita.»
Roteai gli
occhi al cielo. Se dovevamo affidarci a quell'inetta, per avere
informazioni, eravamo, per dirlo poeticamente, fottuti. Quella tizia
sembrava vivere completamente scollegata dalla realtà e di certo
non si rendeva conto che il mondo, fuori da quel buco buio, era un
posto con ritmi e problematiche che lei nemmeno si immaginava.
La
guardammo posare le mani sul libro e passarsi la lingua sulle labbra.
Leggeva grazie alle incisioni, con il tocco delle dita. Non sempre gli
occhi sono indispensabili, in fondo.
«Qui
c'è scritto...» fece una pausa di alcuni secondi.
«Spada di Ombra» disse infine, con tono solenne.
«Lina, sei sicura di quello che stai facendo? A me questa sembra matta...»
«Probabilmente
lo è, ma non abbiamo altre alternative» rispose la maga,
stringendosi nelle spalle. «E poi può darsi che sulla
copertina ci sia scritto davvero Spada di Ombra. Ha un senso, in
effetti...»
Mentre la
sacerdotessa sfogliava le pagine, umettandosi l'indice, nonostante non
ce ne fosse alcun bisogno dato che erano rigide, su di noi piovve una
pioggia di intonaco che ci fece tossire. Starnutì anche lei,
pizzicandosi il naso tra le dita.
«Oh, da quando hanno iniziato a fare i lavori, qua sopra, succede di continuo...»
«I... lavori? Quali lavori?»
«Credo che stiano costruendo una diga, qualcosa del genere... Si sentono certi schiocchi!»
Pensai ai
massi ammonticchiati fuori dalla grotta e rabbrividii. Se stavano
costruendo qualcosa, là fuori, era probabile che bloccassero
l'unico passaggio che portava al tempio. O, cosa ancora peggiore,
l'intero santuario sarebbe franato su se stesso, seppellendo chiunque
ci fosse là sotto.
Noi, in quel caso. E quella sacerdotessa squinternata.
«Non è molto saggio che voi continuate a vivere qui, da sola. Potrebbe essere pericoloso...»
«Ma
questa è la mia casa. Inoltre, sono rimasta l'unica custode del
tempio. Se me ne vado, chi penserà a questo posto?»
«Se crolla tutto, non vi sarà alcun bisogno che qualcuno si occupi di questo posto» la interruppi, brusco.
«Ragione per cui dovremmo accelerare i tempi» esclamò Lina. Quindi, cosa dice sulla spada?»
«Oh,
dunque...» la sacerdotessa stava per ricominciare a parlare,
quando un boato ci interruppe di nuovo. Questa volta si era staccato un
intero pezzo di parete, franando su se stesso.
«Per gli dei, oggi sono particolarmente rumorosi disse la ragazza, tossicchiando.»
«Dobbiamo andarcene bisbigliai alla maga. Rischiamo di restare sepolti.»
«Non
prima che mi abbia rivelato ogni singolo dettaglio su quella orribile
spada!» sibilò Lina. Quando si metteva in testa qualcosa
era dannatamente difficile farle cambiare idea.
«E allora ce ne andremo tutti.»
«Cosa? Vuoi... rapire la sacerdotessa?»
«Per
gli dei, no! Però dobbiamo portarla fuori di qui, e alla svelta.
Sta per caderci il soffitto sulla testa!»
La maga si
morse le labbra, lanciando un'occhiata preoccupata alle crepe, sempre
più numerose, che si tendevano sopra di noi.
«D'accordo, facciamo in fretta.»
Non ci fu
bisogno di parole per coordinarci. Mentre Lina ampliava il lighting e
creava uno scudo di protezione io salii gli scalini e chiusi il libro
davanti al naso della ragazza.
«La lettura è rimandata, dolcezza. Ora andiamo a fare una passeggiata.»
«Passeggiata?» chiese lei, confusa.
«Prima che la festa inizi e a noi venga un terribile mal di testa.»
«Ma... io non posso proprio venire. Ho fatto un giuramento, non posso uscire dal tempio!»
«I giuramenti, a volte, vanno infranti. Soprattutto quando si tratta di salvarsi la pelle.»
«Il mio destino è legato a questo luogo. Se me ne vado non potrò portarlo a compimento!»
«Preferite essere una sacerdotessa che ha infranto le regole o una sacerdotessa morta?»
«Beh, se la mettete in questi termini...»
«Ecco, e allora andiamo!»
Senza troppi complimenti la afferrai e me la caricai sulle spalle, mettendomi il libro sotto braccio.
«Ma... un attimo, io...»
«Niente capricci, bambina» dissi, categorico. «Adesso andiamo.»
Uscimmo
appena in tempo. Quando sbucammo dall'imbocco della grotta, alcuni
uomini, probabilmente giunti sul posto dopo il nostro arrivo, stavano
lavorando agli scavi. Ci guardarono come fossimo fantasmi, ovvero come
in genere io guardavo la gente con cui avevo a che fare.
Misi a terra la sacerdotessa e lei si coprì il volto con le mani.
«Cos'è...
cos'è questa...» scosse la testa, poi si
rannicchiò, affondando il viso tra le braccia.
«Forza, è solo un po' di sole...»
«Brucia!»
«Oh, se credete che questo bruci è solo perché non avete ancora fatto arrabbiare Lina.»
Lina mi rivolse un'occhiataccia.
«Forza, andiamocene da qui. Nel bosco, lontano da sguardi indiscreti.»
«E lei?»
«Lei viene con noi, che domande. Deve leggermi il libro.»
«E poi? Non possiamo abbandonarla in mezzo a una strada...»
«Ci penseremo a tempo debito.»
Lina, quando voleva, sapeva essere estremamente sintetica.
«Dove
andiamo? Io... voglio tornare al tempio!» balbettò la
ragazza, tirandosi il cappuccio della veste fino al mento, così
da coprire tutta la faccia.
«Mi dispiace darvi questa triste notizia, ma il vostro tempio non esiste più.»
«Cosa? E... che ne sarà di me?»
«Per ora verrete con noi. Coraggio.»
Tenendola
per il gomito, io da un lato e Lina da quell'altro, la scortammo fino
ad inoltrarci nella boscaglia. Inciampò su numerose radici,
mentre camminava, e cercammo di tenerla in piedi come meglio potevamo.
«E' tutto così... così bizzarro. Cos'è questo odore?»
«Resina di pino.»
«Cos'è un pino?»
«Andiamo
bene...» bofonchiai, già stufo di essermi accollato quella
responsabilità. Ma, del resto, se l'avessimo lasciata dov'era, a
quell'ora avrei comunque avuto a che fare con lei sotto forma di
spirito. E io preferivo le persone in carne ed ossa, nella maggior
parte dei casi.
Ci fermammo in una radura ombrosa. La ragazza si sedette a terra, raggomitolandosi su se stessa. Sembrava terrorizzata.
In effetti
doveva essere terribile, per lei, aver perso tutti i punti fissi a cui
era abituata. Brancolava nel buio da una vita, in un tempio che
conosceva come conosceva le sue tasche. Ora era libera nel mondo. Un
mondo che non poteva vedere e che non comprendeva. Ci sarebbero volute
dosi massicce di pazienza con lei.
E la pazienza era proprio l'unica cosa che, sia io che Lina, possedevamo in scarsissime quantità.
Lina prese il libro dalle mie mani e glielo porse.
«Coraggio. Ho bisogno che tu lo legga per me» disse, mettendo da parte i formalismi.
«No, no, no! Lasciatemi in pace!» gridò lei, con una vocina sottile. «Riportatemi a casa!»
Io e la
maga ci scambiammo un'occhiata. Nel suo sguardo lessi la frustrazione
che tutta quella situazione le stava provocando. I suoi nervi erano
corde sottili prossime a spezzarsi. Dovevo intervenire.
Mi piegai verso la sacerdotessa e, con lo stesso tono calmo che usavo con gli spiriti più tenaci, provai a parlarle.
«So
che sei confusa e spaventata. Ma non devi avere paura, non vogliamo
farti del male. Ti abbiamo portato via da quella che era la tua casa
perché restarci sarebbe stato troppo pericoloso, per te.
Penseremo noi a proteggerti, faremo in modo che non ti accada nulla di
male. Però, per favore, aiutaci. Sei l'unica che può
farlo.» Posai una mano sulla sua e lei sobbalzò. La pelle,
sul dorso, era tanto bianca che le vene sembravano sottili decori blu.
Paragonata alla mia era molto più piccola e incredibilmente
delicata.
La sentii emettere un lieve singhiozzo.
«Come
ti chiami?» le domandai quindi, rendendomi conto solo in quel
momento che non avevo idea di quale fosse il suo nome.
«Hazel.»
«Hazel, io sono Joy. Puoi fidarti di me.»
Solo a quel
punto lei sollevò il volto verso il mio. Aveva ancora il
cappuccio a coprirle il viso e glielo scostai gentilmente. Una folta
matassa di capelli biondi si srotolò sulla sua schiena,
riflettendo l'oro del sole. Hazel indietreggiò, scostando la mia
mano, che era rimasta sospesa a mezz'aria; sembrava volesse difendersi,
proteggersi.
«Non ti farò del male» dissi ancora, pacato.
«Non è per questo, è che… non so se posso davvero aiutarvi.»
«Sei una figlia del buio, l’ultima
figlia del buio. Sei più preziosa di quanto immagini, per
noi.» A parlare era stata Lina, che si era piegata al mio fianco.
«Ti prego, ho bisogno del tuo aiuto.»
«Ma
io…» Hazel si portò le mani tremanti al volto,
sciogliendo la benda che li copriva. «Non sono una vera figlia
del buio.»
Due occhi
azzurri, grandi e spauriti, si fissarono nei miei per un breve istante.
La ragazza li chiuse, abbagliata, poi li riaprì, sconcertata.
Vidi il terrore colmare le sue iridi.
Si portò le mani al volto e si accasciò contro di me con un breve gemito, svenuta.
Cazzo, eravamo proprio nella merda.
|