Not the same story - II: a servizio del Bene

di Ink Voice
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XX
A presto

 
Esse elle.
Quella sigla incomprensibile, per la cui decifrazione non avevo alcun indizio, era onnipresente nei miei pensieri da tre giorni e passa. Bellocchio se n’era dovuto andare via in un’altra base segreta in cui c’era bisogno di lui - che tipo di aiuto potesse dare non lo sapevo. Quindi ero rimasta sola con le mie ipotesi, tutte inverosimili e per gran parte prodotto di un attacco di nervosismo momentaneo che mi portava a scrivere sul foglio delle mie proposte le prime baggianate che mi venivano in mente. Ed erano davvero tante.
Non ero proprio sola, Oxygen era tornato e io ero contentissima di averlo di nuovo tutto per me. O quasi: le lezioni sia sue che di Rosso interferivano con il nostro rapporto, ma ringraziavo il cielo anche per quei pochi ma assicurati minuti della giornata che potevo passare a contatto con lui, oltre alle orette scarse in giro per il Monte Corona, incuranti di tutto e messi in ogni caso al sicuro dai nostri Pokémon.
Quando ero da sola e non avevo niente di meglio da fare riprendevo ad aggiornare la mia lista di ipotesi sugli esse elle. Lo facevo nel silenzio della biblioteca - sicuramente anche per esercitarmi a non sbraitare contro l’elenco di traduzioni che avevo davanti - ed erano uscite cose più o meno interessanti. Rileggendo si aveva un comico e pietoso climax, perché andavo dalle congetture più credibili ad altre che rasentavano l’assurdo.
“Sciocchi Lamentosi. Soggetti a Leucemie. Stupidi Lecchini. Sorpresi a Limonare. Sommo Lavaggio.”
Erano queste le ultime supposizioni che avevo fatto e una era più insensata dell’altra. Nei primi due o tre giorni quella sigla era stata una vera e propria ossessione; mi appuntavo ogni parola incontrata che iniziasse per S o L e cercavo una combinazione funzionante. Poi però avevo deciso di darci un taglio e avevo ripreso ad aspettare il ritorno di Bellocchio, anche se sicuramente non mi avrebbe detto nulla sul conto di essa.
Ma non avevo niente da perdere ed era meglio farlo, un tentativo. Magari si sarebbe lasciato sfuggire qualcosa. “Come se quelli della Polizia Internazionale fossero degli sprovveduti” mi dicevo subito dopo contrariata, ben sapendo infatti che Bellocchio, pur essendosi rivelato poco competente sotto alcuni aspetti, quando si trattava di mantenere un segreto e di starsene zitto era meglio chiedere informazioni ai cristalli multicolore che decoravano la base segreta. A proposito, quella bella parolina “segreto” inizia per S; era meglio tenerla in considerazione.
Il capo tornò con un paio di giorni di ritardo e, solo dopo essersi liberato di impicci vari che avevano la priorità, acconsentì a parlare un po’ con la scomoda Eleonora. Ma doveva rassegnarsi, io non demordevo. -Ero sicuro che saresti venuta a chiedermi qualcosa sul resoconto- disse ironicamente quando capì il motivo della mia visita.
-Be’, sì…- Esitai un momento. -E poi dovevo restituirglielo.
Mentre prendeva quel foglio stropicciato che gli porgevo, gli chiesi con schiettezza: -Chi sono gli esse elle?
-I S. L.- corresse lui automaticamente, forse non accorgendosi di avermi dato un certo aiuto. “Il campo di ricerca della parola si restringe!” pensai. Grazie, Bellocchio. -Sono quelli come te.
Fu a dir poco diretto, tanto che tentennai prima di ritrovare l’uso della parola; inizialmente emisi un timido e quasi inudibile “Oh”, poi borbottai: -Allora non posso sapere niente di loro… cioè, di noi.
-Eh no- confermò Bellocchio, affatto interessato alla conversazione: stava mettendo a posto la scrivania, come al solito ingombra delle più svariate scartoffie, cartelle e anche apparecchi elettronici. -Quindi, passando alle cose più serie: sei soddisfatta di questo elenco di eventi?- chiese poi, distrattamente.
-Abbastanza- feci in maniera volutamente disinteressata, poiché ero indispettita per il fallimento che non aveva tardato ad arrivare. -Però ancora mi stupisco che, con tutte le missioni organizzate in questi anni, si sia saputo così poco dei Victory per così tanto tempo. Insomma, qualche informazione veritiera dovrebbe pur essere arrivata.
-Alcune informazioni sono state veritiere solo per un certo periodo di tempo, finché il Nemico non ha cambiato qualcosa e ha distrutto ogni progresso fatto fino ad allora. La sai questa storia, no?- Notai che era più ironico del suo solito. Non era freddo e scocciato come la maggior parte delle volte. -Oppure i Victory hanno falsato senza troppi problemi le informazioni che poi sarebbero state raccolte dopo poco. Da molto tempo noi delle Forze del Bene non ci stupiamo più se qualcosa che credevamo di sapere poi viene smentito da un’altra scoperta, finché non ci siamo migliorati; finché loro non hanno iniziato a mostrarsi più deboli del solito era quasi una consuetudine rinvenire documenti, registrazioni e quant’altro che poi distruggevano ogni convinzione.
-E “noi delle Forze del Bene” siamo stati in grado di mettere il Victory Team un minimo in difficoltà o hanno fatto gli invincibili per fin troppo tempo?- chiesi con la stessa ironia.
-Non ti preoccupare, Eleonora, ci siamo fatti valere anche noi- rispose lui inarcando le sopracciglia, lanciandomi una veloce occhiata eloquente. Mi dissi che ne avevo abbastanza di quella scarna chiacchierata e decisi che era ora di andarmene un po’ per fatti miei, sperando di non dover più incontrare il brutto muso del capo per giorni.
Quasi subito dopo aver sbattuto la porta del suo ufficio dietro le mie spalle, mi arrivò con tempismo perfetto un messaggio da parte di Ilenia. Mi stupii abbastanza del suo contenuto, perché diceva di dovermi parlare. Dovevo raggiungerla fuori, all’esterno del Monte Corona; cosa ancora più strana poiché non sapevo che anche apprezzasse anche lei starsene in giro per il Monte e che, soprattutto, scegliesse le sue pendici perennemente innevate come luogo di un appuntamento in cui doveva comunicarmi qualcosa, a quanto pareva, di importante.
Non esitai a raggiungerla. Contrariamente a quello che facevo di solito, ovvero andarmene senza dire niente a nessuno, aprii con uno spiraglio la porta di Bellocchio e gli dissi che me ne sarei andata un attimo a spasso. Lo vidi rimanere un po’ perplesso, più per la mia comunicazione che per il suo contenuto; richiusi la porta e subito misi mano alla Ball di Altair, pronta a chiamarla per volare da Ilenia, che mi stava aspettando. Ripetemmo il percorso che ormai ci era così familiare per arrivare e, corricchiando per le vuote, ombrose e anche piuttosto lugubri stanze del Monte Corona, prima del solito mi ritrovai fuori da esso.
La ragazza era lì, non dovevo nemmeno cercarla da altre parti: si era fatta trovare facilmente alla prima uscita. La chiamai cercando di sovrastare il vento e lei si voltò. Le venni incontro: era seduta su una roccia che affiorava da un mare di erba alta, resistente anche a quel clima rigido, nivale. Restai parecchio perplessa per l’espressione che aveva, che quasi mai le avevo vista sul volto. Era infatti malinconica, se non addirittura triste. Gli occhi verdi della giovane adulta, che solitamente brillavano di allegria e arguzia, sorridenti e ironici, sembravano scendere in giù per quella tristezza diffusa anche nella sua postura ingobbita e nelle sopracciglia sottili.
-Ciao, Ele- salutò, talmente a bassa voce che faticai a sentirla. Tolsi un po’ di neve dalla roccia e mi sedetti anche io, proprio come avevo fatto con Daniel qualche tempo prima. -Come va?
-Io… non c’è male, direi. Tu invece hai una faccia…- risposi.
Arricciò amaramente le labbra rosee. -Già, ho un bel problema… che mi rende molto triste.- Le chiesi cosa stesse succedendo, perché stesse così male. Sospirò prima di parlare. -Devo partire per una missione.
-E allora? È difficile?- chiesi, non capendo come potesse una come lei avere l’umore abbattuto da qualcosa di simile. Insomma, Ilenia era sempre pronta a tutto, non si faceva problemi a lottare con il Nemico e nelle missioni sembrava a proprio agio anche quando era sola con la sua squadra di Pokémon. Per questo non riuscivo a capire come potesse essere triste per qualcosa che amava fare: le piaceva rendersi utile, pur sapendo che difficilmente il suo impegno sarebbe stato ripagato con qualche passo in avanti verso il successo sui Victory.
Lei finalmente ricambiò il mio sguardo insistente. Ero mortificata per il suo malessere, lei era la mia migliore amica e la mia sorellona. Per questo mi sentii ancora peggio quando in quegli occhi che conoscevo così bene, in cui mi piaceva specchiarmi perché mi sembrava che il mio lieve riflesso sorridesse insieme a loro, trovai una vera e propria nostalgia. Evidentemente non aveva alcuna voglia di partire in missione, ma perché?
-Devo andare a Johto, sai… è proprio una bella regione- esordì. -Ho sempre desiderato visitarla, fin da quando ero bambina mi raccontavano dei miti che circolavano su di essa ed ero affascinata da quel territorio esotico, pieno di storia e di luoghi da visitare. Be’…- Ridacchiò. Era un risolino falso e nervoso che le fece buttar fuori da sé stessa un po’ di ansia, se non di afflizione - qualunque cosa negativa provasse. Riprese: -Ecco, avrò tutto il tempo che vorrò per visitarla, anche se dovrò lavorare in ogni momento. Hanno deciso di farmi trasferire lì. Stabilmente.
-No…!
Esclamai più forte del previsto e battei le mani sulla roccia per la sorpresa. Ilenia aprì un po’ meglio gli occhi, stupita per la mia reazione, forse lusingata visto ciò che essa significava.
-Stabilmente? Vuoi dire che non tornerai più qui?- chiesi, stavolta con un filo di voce.
La fissavo pregandola con lo sguardo di dirmi che stava scherzando, che voleva solo vedere se ci tenevo a lei. E ci tenevo eccome. La mia sorellona non poteva andarsene così, non poteva lasciarmi sola nella base segreta: avevo bisogno della mia migliore amica, di una persona più grande ed esperta alla quale fare riferimento. Avevo bisogno del calore che solo il suo sguardo benevolo e gentile, scherzoso e pacato, poteva darmi nella freddezza della base segreta. Non mi interessava, in quel momento, di Oxygen e Daniel.
-Ele, mi dispiace così tanto…- mormorò, sorridendo di nuovo amaramente, ma più intenerita.
-Perché devi andare via?- la interruppi. Parlava troppo lentamente.
-Bellocchio si è finalmente accorto delle mie capacità come Allenatrice, a quanto pare. Gli è stato detto che sono una dei migliori nel gruppo di noi combattenti e ha verificato di persona. La spinta decisiva gliel’ha data Rosso, che ha confermato: sono uno degli elementi più promettenti. Per questo devo andare. Lì, inoltre, mi aspetta una cosa molto importante da fare, che sarà in un certo senso la mia prima missione.
Quando le chiesi in cosa consistesse, lei disse che non lo sapeva ancora. Le era stato accennato qualcosa ma le era anche stato imposto il silenzio, e non poteva proprio dirmelo. Quella volta non m’importò di sapere qualche segreto, volevo solo che lei trovasse un modo per non lasciarmi lì, nella penombra della base del Monte Corona. I messaggi sul PokéGear o qualche telefonata isolata non potevano colmare il vuoto che la sua partenza avrebbe lasciato, anche perché di rado saremmo riuscite a sentirci: già era difficile vederci di persona.
-Eleonora, non sai quanto io ti ringrazi per il tuo affetto- sorrise dopo minuti interi di conversazione, in cui io la pregavo di dirmi se esisteva una possibilità che lei potesse rimanere con me. -Ma non posso rifiutare, lo sai anche tu, e forse toccherà anche a te partire, un giorno, perché le tue capacità saranno richieste altrove.
-Allora chiederò di andare a Johto.
Lei ridacchiò e arrossì un pochino. -E che mi dici di Oxygen? E di Daniel?
Distolsi lo sguardo da lei. -Ilenia, con te è diverso. Non voglio fare distinzioni di sesso, ma tu sei una ragazza e sei mia sorella maggiore. È totalmente differente dal rapporto che ho con loro due. Uno è il mio fidanzato e per questo ho sempre paura di fare qualcosa che non vada bene per noi due, ho paura che mi giudichi e che disapprovi le mie azioni. Lo ha già fatto, ma per cose che per la nostra relazione erano poco importanti. L’altro è sì il mio migliore amico, però… te l’ho detto, lui è un maschio ed è più difficile parlarci che con te.
-Capisco- bisbigliò lei. Mi passò un braccio attorno alle spalle e io mi appoggiai su di lei, godendo quel contatto dolce e amichevole che andavo sempre cercando. -Ho deciso. Facciamo un patto.
-Un patto?- domandai sorpresa.
-Sì. Tu mi devi promettere che supererai le tue paure con Oxygen e che cercherai di renderlo felice, perché quel pover’uomo riceve troppa poca dolcezza da te, bimba.
Arrossii. -Insisti troppo su queste cose, Ile…
-Cerca di capirmi, io vi shippo. Siete la mia one true pairing!
-Mio Dio, Ilenia!- Scoppiai a ridere, seguita subito da lei. Era una risata sincera, finalmente, e la sua era bella e contagiosa. Anche quando finimmo sul suo bel viso rimaneva l’ombra di un sorriso dolce, piacevole da guardare.
-D’accordo. Te lo prometto, romanticona. E tu cosa farai?
Mi abbracciò con decisione, cogliendomi un po’ di sorpresa, ma mi fece piacere. Ricambiai e fui invasa di nuovo da una profonda tristezza, che pareva essere stata cancellata per qualche istante dalla risata di vero divertimento che lei aveva scatenato in me. Sentii improvvisamente il bisogno di piangere sulla sua spalla, di affondare il naso nella morbida sciarpa di lana che le avvolgeva il collo esile e lungo. Forse piangendo lei sarebbe rimasta.
No. Mi sentii infantile al pensiero. Le lacrime non sarebbero servite a nulla, se non a sfogare i sentimenti che in quel momento mi stavano opprimendo. Allora era meglio non mostrarmi debole davanti a lei, che era così forte e coraggiosa e sempre pronta ad affrontare ogni ostacolo con anima e corpo, impegnandosi insieme alla sua squadra di Pokémon. Lei era il fuoco che bruciava e che animava lo spirito del suo prossimo.
Io invece cos’ero? Volevo essere fuoco come lei. O meglio, volevo tornare ad esserlo, perché prima che in me avvenisse il drammatico cambiamento che non ero riuscita ad impedire, di cui non mi ero accorta finché esso non mi aveva travolta, prima anche in me ardeva quella fiamma di vitalità e di energia che spingeva ogni mia azione.
-Io ti prometto che ci rivedremo. Ci ritroveremo presto.
Sciogliemmo quella stretta affettuosa. Non riuscii più a trattenere qualche lacrima, che quasi gelò per il freddo dell’inverno che stava arrivando, quando vidi il suo volto totalmente bagnato. Sorrideva.

Ilenia partì quella stessa mattina. Fu la prima ad andarsene dal Monte Corona con la scusa del doversi ancora preparare, ma probabilmente non riusciva più a sostenere il peso della conversazione che avevamo conclusa e dei miei occhi quasi spaventati alla vista delle sue lacrime. Non avrei mai immaginato di poterla vedere piangere.
Ma era umana anche lei. La consideravo l’immagine umana del fuoco, ma doveva aver accumulato in anni di addestramento più dolori e ferite di quelli che avevo provato io sulla mia pelle, nel mio cuore. Probabilmente pure a lei era stato portato via qualcosa dai Victory; forse la famiglia come era successo a me, forse un Pokémon a cui si era affezionata, forse il diritto a vivere una vita da normale Allenatrice, aspirante Capopalestra di Fuoco. Era quello il suo desiderio, voleva aprire una sua Palestra o magari succedere a grandi come Blaine, che era morto da anni e che nessuno aveva rimpiazzato, o Fiammetta. Oppure Vulcano, il Superquattro, che però era dei Victory.
Ilenia aveva avuto ogni diritto di lasciarsi andare, di piangere per la rabbia, la tristezza, il dolore che per così tanto tempo aveva tenuto dentro di sé pur di apparire agli altri come una giovane donna spensierata, piena di vita e di energia da offrire, di allegria da regalare e di sorrisi meravigliosi. Eppure neanche quella volta si era concessa di gridare la sua frustrazione, piangendo in silenzio e subito scappando via, dicendomi definitivamente addio.
Forse era “solo” un arrivederci. Ma che la mia sorellona se ne fosse andata per me equivaleva ad un mero addio raddolcito dalla speranza, non del tutto spenta, che prima o poi saremmo tornate insieme. Ci saremmo abbracciate e l’una avrebbe detto all’altra quanto le era mancata per quelle settimane, mesi, anni che erano state separate. Mi mancava così tanto anche solo a partire dal giorno dopo. La base segreta sembrava vuota senza di lei.
Iniziai a parlare di più con Sara, ma la sua riservatezza mi impediva di costruire un rapporto che mi aiutasse a superare la perdita, fosse essa momentanea o no. Mi aiutarono molto Oxygen e Daniel. Il mio amico lo fece con gli scherzi e la vitalità che somigliava così tanto a quella di Ilenia e che mi fece ritrovare un po’ di lei nel mio amico, che subito divenne molto più speciale di quanto avevo deciso fosse fino ad allora. Anche lui aveva un po’ di fuoco in sé e sicuramente anche lui aveva bisogno di piangere per qualche motivo, ma si ostinava a non farlo e dava il meglio di sé per mostrarsi sicuro, stabile e disponibile. Gli avrei voluto consigliare di sfogarsi appena avesse voluto, magari anche con me, perché avrei tanto voluto essere anche io il calore del fuoco rassicurante e vivido.
Oxygen invece aveva la gentilezza e la dolcezza di lei. Quando me ne resi conto mi parve di amarlo ancora di più e decisi di impegnarmi a fondo per mantenere la promessa fatta a Ilenia. Cominciai a chiamarlo senza farmi alcun problema amore mio, fui più dolce e amabile in ogni occasione e persino lui che iniziava a sembrare un po’ rigido - probabilmente perché io ero stata abbastanza fredda - si sciolse nuovamente. Ci impegnammo di più per ritagliare un po’ del nostro tempo per stare insieme, per parlare, e ritrovando in lui parte della mia sorellona non ebbi più alcuna riluttanza a parlare. Fui più naturale, più determinata. Migliore, almeno in questo.
Un giorno di inizio dicembre Bellocchio mi mandò a chiamare. Era da un po’ che non lo incontravo e quella convocazione sapeva di missione. Non sbagliai.
-Partirai insieme a Sara, Lorenzo…- fece altri due nomi di due ragazzi che dimenticai praticamente subito. Ma rivedere Lorenzo mi faceva piacere: era un ragazzo simpatico ed ero andata in missione con lui solo una volta, era stata la mia prima in assoluto. Gli incontri da allora erano stati molto radi ma avevamo mantenuto i contatti, un po’, grazie a delle amicizie in comune. Partire con Sara, invece, mi infondeva una certa sicurezza. Mi fidavo di lei.
-La missione si svolgerà entro i confini di Sinnoh- continuò lui. -Andrete nella base nemica più grande di cui abbiamo grosso modo individuato la posizione. Si trova all’interno di Via Vittoria ed è abbastanza complicato raggiungerla, per questo motivo la vostra squadra conta eccezionalmente di due esploratori. Ti voglio avvisare subito, Eleonora, nella speranza che almeno tu sia preparata. Con ogni probabilità incontrerai Cyrus.
Trasalii. Che almeno io fossi preparata… si riferiva sicuramente a Camille e alla sua reazione inaccettabile sotto ogni punto di vita. Subito dopo disse, turbandomi ancora di più: -Avrei voluto riprovare a mandare Camille in missione, approfittando della tua presenza che avrebbe dovuto tenerla a bada, ma non riesco a rintracciarla.
Riprese senza approfondire ulteriormente la questione della ragazza a illustrarmi i dettagli della missione, che io ignorai quella volta. Me li sarei fatti ripetere da Sara o Lorenzo, avevo qualcos’altro adesso a cui pensare. Come era possibile che Bellocchio sorvolasse tranquillamente, quasi con leggerezza, il fatto che Camille non si trovasse da nessuna parte? Poteva pure aver iniziato a fregarsene di lei, ma possibile che non indagasse sulla sua sparizione improvvisa? Era troppo difficile da credere, qualcosa non andava. Eppure lui non mi chiese nulla.
-Tutto chiaro?- domandò distrattamente alla fine del suo racconto.
Ci misi qualche secondo a ritrovare la voce. Lui subito disse che comprendeva il mio turbamento, che rivedere Cyrus doveva essere per me un brutto colpo, ma voleva mettermi alla prova anche perché, mi confidò, era sicuro abbastanza che io riuscissi a controllarmi e che Rosso - il quale, a quanto pareva, consultava spesso - lo aveva informato di grandi passi in avanti fatti da me e che gli dispiaceva non vedermi più a lezione. Anche questo mi parve impossibile, ma in quel momento avevo un’altra preoccupazione.
-Ho capito- risposi alla domanda di prima, interrompendolo. Era abbastanza chiacchierone quel giorno. -Mi scusi, Bellocchio, ma c’è una cosa che non mi è molto chiara.- Mi fece cenno di proseguire. Mi sporsi in avanti e, dopo una breve pausa ad effetto, gli sussurrai guardandolo negli occhi: -Dov’è Camille?
Sulle prime lui parve agitarsi e boccheggiò, comprendendo qualcosa di grave. Ma poi si spense e mi rispose con un semplice “Non lo so” che mi lasciò a bocca aperta. Insistetti ma notai che c’era qualcosa che non andava affatto. Sembrava sul punto di addormentarsi, addirittura di cadere in trance. Aveva gli occhi vitrei e il tono di voce basso.
Uscii, quindi, chiedendomi cosa gli prendesse così all’improvviso.





Si ringrazia cortesemente l'illustr(at)issima collega AuraNera_ per il suggerimento "Sommo Lavaggio".




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